Lavoro e Previdenza

Monday 14 July 2003

Part time: non è possibile la modifica unilaterale dell’orario di lavoro da parte del datore, anche in presenza di accordo sindacale. E’ necessario esplicito ed espresso mandato (Cass. Sent. n. 3898 del 17.03.2003).

Cassazione
Sezione lavoro
Sentenza 17 marzo 2003 n. 3898
Svolgimento del processo

La signora A.S. ricorre per la cassazione della sentenza, descritta in epigrafe, del Tribunale di Latina che, in riforma di quella di primo grado, ha respinto la sua domanda volta a far dichiarare, nei confronti della spa Pellegrini centro sud, di cui aveva svolto mansioni di impiegata di 5° livello presso la cassa della mensa dello stabilimento Slim di Cisterna, l’illegittimità dei mutamenti dell’orario part-time assegnatile, dapprima, dal 18 dicembre 1993 e, poi, dal luglio ’94, nonché delle sanzioni disciplinari e, infine, del licenziamento intimatole il 18 novembre ’94, a fronte della sua opposizione a tali modifiche e della contestuale offerta di rispetto dell’orario originale.

La sentenza impugnata ha osservato che il ripetuto rifiuto della lavoratrice, punito con sanzioni vieppiù incisive e, infine, espulsive, di rispettare la variazione dell’orario di lavoro rispetto a quanto originariamente convenuto (h 10-14-lunedì/venerdì), dapprima fissato dalle ore 17.30 alle 21 dal lunedì e dalle 10.30 alle 13 del sabato e, quindi, dopo l’intervento giudiziario inutilmente invocato dalla S. ex articolo 700 Cpc, sostanzialmente ripristinato, salvo che per la giornata di sabato (ore 10.25/12.05), non era giustificato, essendo fondato su un accordo collettivo, a lei opponibile perché iscritta al sindacato, intervenuto presso l’Uplmo, che aveva modificato i termini originali, secondo quanto verificato dal provvedimento cautelare a lei sfavorevole anche per mancanza del periculum in mora.

Premessa questa ricostruzione, il tribunale ha argomentato che l’eccezione inadempimenti non est adeimplendum, valorizzata dalla sentenza pretorile che aveva accolte le domande della S., non poteva essere esercitata dalla lavoratrice in sede di merito sia perché aveva devoluto, in via d’urgenza, l’esame dell’illegittimità del provvedimento, contro cui non aveva poi, dato l’esito negativo, proposto reclamo («Ciò che la S. non poteva più fare era ricorrere all’autotutela dell’eccezione d’inadempimento» sentenza pagina 12), sia in considerazione del legittimo mutamento d’orario, convenuto con l’organismo sindacale cui, all’epoca, aderiva e ciò indipendentemente dalla pacifica natura del provvedimento ex articolo 700, Cpc, che, seppure inidoneo ad assumere valore di cosa giudicata, «sanciva, sia pur nei limiti della sommaria delibazione propria della fase cautelare, la correttezza del comportamento della società».

Infatti, secondo il tribunale, «a mente dell’articolo 1460 Cc, nei contratti con prestazioni corrispettive non può rifiutarsi l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede» e in questa situazione versava la S., la quale non poteva contestare la legittima modificazione dell’orario di lavoro, riconosciuta in sede cautelare, anche perché, ai fini della gravità dell’inadempimento, rilevava il fatto che, mentre l’irreparabilità del danno denunciato in sede cautelare riguardava l’intera settimana lavorativa, dopo il provvedimento cautelare l’incidenza dell’orario concerneva la sola giornata del sabato.

Inoltre, il tribunale ha sostenuto che «il provvedimento datoriale non assume i connotati dell’illegittimità in quanto volto legittimamente ed adeguatamente a sanzionare il comportamento della prestatrice, consistito in un rifiuto di adempiere manifestamente contrario alla buona fede (essendo) di contro improntata a buona fede e non irragionevole la pretesa del datore di lavoro di ottenere l’esecuzione di una prestazione lavorativa di un’ora e mezza al sabato, disposta sulla base di un accordo sindacale giudicato legittimo dall’autorità giudiziaria» e ha valutato negativamente, rispetto alle varie contestazioni disciplinari, le giustificazioni della ricorrente, riferite ad esigenze familiari che il datore di lavoro aveva avuto cura di richiamare, già reputato irrilevanti in sede di provvedimento cautelare.

Contro questa sentenza la S. prospetta tre motivi di impugnazione. Resiste la società con controricorso. entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 378 Cpc.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso per cassazione la difesa di parte ricorrente illustra la violazione e falsa applicazione degli articoli 1175, 1325, 1362, 1375, 1419, 1455, 1460, 2077 Cc, nonché difetti di motivazione (articolo 360 numero 3 e 5 Cpc), avendo tra l’altro, il tribunale violato il principio dell’inefficacia delle pronunce negative ex articolo 700 Cpc, dell’ermeneutica contrattuale, del principio di buona fede, tenuto conto che il datore di lavoro non può modificare unilateralmente l’orario di lavoro part time pattuito dalle ore 10 alle 14 dal lunedì al venerdì, costituente espressione di un diritto soggettivo perfetto non variabile, né gestibile dal sindacato, cui non era stato conferito alcun potere di rappresentanza.

Con il secondo mezzo, denunciando sotto altro profilo la violazione e falsa applicazione degli articoli 1175, 1325, 1362, 1366, 1375, 1419, 1455, 1460, 2077 Cc, dell’articolo 7 della legge 300/70, nonché difetti di motivazione (articolo 360 numero 3 e 5 Cpc) si sostiene che la sentenza impugnata, pur escludendo correttamente valore di giudicato all’ordinanza ex articolo 700 Cpc, ha poi, contraddittoriamente, ritenuto che «la pronuncia di rigetto del provvedimento cautelare non può non rivestire rilevanza nei rapporti fra le parti», valutando di buona fede la condotta societaria e di mala fede il comportamento della S. che, rifiutando di rispettare l’orario impostole nella giornata del sabato non si era conformata a quel dictum, pur giustificando l’impossibilità di aderirvi per motivi familiari.

Rileva, in particolare, che il giudice collegiale ha omesso di considerare che la ricorrente non era tenuta ad osservare l’ordine societario illegittimo di rispettare una modifica unilaterale dell’orario di servizio in un rapporto part time, contraddistinto dalla rigidità del tempo della prestazione, non modificabile in sede sindacale, tranne che in caso di espresso mandato, sicché il suo modo di agire non poteva essere considerato di male fede, né doveva la ricorrente giustificare, rispetto al richiamato dell’ordinanza cautelare nelle lettere di addebito, la sua intenzione di voler ricorrere nuovamente al giudice.

Con il terzo motivo d’impugnazione, denunciando sotto ulteriore profilo la violazione e falsa applicazione degli articoli 1175, 1325, 1362, 1366, 1375, 1419, 1455, 1460, 2077 Cc dell’articolo 7 della legge 300/70, e degli articoli 669septies e 700, Cpc, nonché difetti di motivazione (articolo 360 numero 3 e 5, Cpc) la difesa ricorrente, richiamato un corrispondente caso definito da questa Corte favorevolmente per il dipendente (sentenza 6053/00), ribadisce che la propria assistita aveva comunicato all’azienda di non poter svolgere il lavoro di sabato per ragioni di carattere personale e familiari e di essere disposta a riprendere l’orario di lavoro pattuito.

A quest’ultimo replica, con controricorso, la società che, oltre a contestare i richiami normativi, pressoché uguali, dei tre motivi, obietta che «il presente giudizio verte sull’efficacia, ancorché provvisoria, dell’ordinanza del pretore (ex articolo 700, Cpc) ha testualmente affermato la legittimità dell’orario di lavoro lunedì-sabato secondo l’Accordo Uplmo 5 gennaio 1994».

I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente per l’intrinseca e concorde esposizione delle censure che convergentemente evidenziano, sotto diverse prospettive, l’errore di diritto che sarebbe stato compiuto dal tribunale nel valutare l’efficacia, sul giudizio di merito, delle motivazioni di un provvedimento cautelare sfavorevole al proponente e da questi non reclamato.

Per contro è fuori di tema, in questa vicenda, prima ancora che erroneo, dissertare sulla «efficacia ancorché provvisoria, dell’ordinanza del pretore del 26 marzo 1994 che, rigettando la domanda ex articolo 700 Cpc della S., ha testualmente affermato la legittimità dell’orario di lavoro lunedì-sabato dell’Accordo Uplmo» (vedi memoria ex articolo 378 Cpc).

Infatti, nel quadro del processo civile, come riformato dalla legge 353/90 e successive modificazioni, il provvedimento d’urgenza (o il rifiuto di provvedere) in sede cautelare ex articoli 669bis e seguenti è pur sempre caratterizzato, oltre che dalla sua strumentalità , dalla provvisorietà e difetto di decisorietà , essendo destinato, data la natura interinale che lo contraddistingue, ad essere assorbito o superato dagli altri provvedimenti che possano essere adottati nel corso del giudizio, essendo incapace di produrre effetti di diritto sostanziale o processuale sulla vicenda sottoposta all’esame del giudice (vedi ex multis, Cassazione, Sezioni unite, 824/95).

In questo quadro, pertanto, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale emergeva, ai fini della valutazione del reciproco comportamento delle parti conseguente all’esito del mancato accoglimento (oltretutto non reclamato) del provvedimento urgente promosso dalla S. per impedire l’attuazione della modificazione dell’orario part time, una condotta imprenditoriale improntata a correttezza e buona fede, viceversa negativa in capo alla lavoratrice, appare frutto di un errore logico, prima ancora che giuridico.

Infatti, la questione controversa concerneva, secondo la prospettazione di parte ricorrente, l’accertamento dell’illegittimità del cambiamento unilaterale, da parte del datore di lavoro, dell’orario di una prestazione a tempo parziale, ancorché fosse anche emerso che ciò era stato deciso dall’azienda all’esito di una trattativa sindacale, sicché, su questo versante, la decisione e le motivazioni del provvedimento conclusivo della fase cautelare assumevano carattere neutro, non essendo in alcun modo idonee, come visto, ad incidere sulla re judicanda.

D’altra parte, se è vero che l’articolo 5 del decreto legge 726/84, convertito in legge 863/84, al comma 3, conferisce alla fonte collettiva, anche aziendale, il potere di determinare, tra l’altro, le modalità temporali di svolgimento delle prestazioni a tempo parziale, non può essere trascurato il principi generale secondo cui la contrattazione collettiva non può disporre, se non in senso migliorativo, dei diritti attribuiti al dipendente dal contratto individuale di lavoro, salvo che il dipendente stesso non consenta espressamente alla modificazione dei patti (articolo 2077 Cc).

La lavoratrice aveva, pertanto, il diritto-dovere soggettivo perfetto, ad essa attribuito pacificamente dal contratto di lavoro individuale, ad onorare e vedere rispettato il turno settimanale previsto dal lunedì al venerdì dalla ore 10 alle 14.

Infatti, nel caso di prestazione a tempo parziale il lavoratore è interessato alla puntuale osservanza del suo impegno lavorativo presso l’azienda, onde conciliarlo con le proprie esigenze familiari e/o altre attività di lavoro.

Ne consegue che questa tipologia contrattuale esclude dal potere gestionale del datore di lavoro la possibilità di una definizione unilaterale dei tempi della prestazione.

Nella specie, essendo pacifico che inizialmente la prestazione giornaliera fosse “spalmata” dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 14, il diritto della S. non poteva essere violato unilateralmente dall’imprenditore, pur sorretto da una contrattazione aziendale a lei, come visto, non opponibile, non essendo sufficiente la semplice adesione al sindacato, come limitatamente eccepito da parte imprenditoriale, bensì risultando essenziale un esplicito ed espresso mandato (vedi Cassazione 2382/90; 11966/91; 13728/91; 2460/92; 8721/92; 6903/00).

In conformità a queste premesse il ricorso della S., fondato sugli errori di diritto sopra evidenziati, espressi dalla sentenza impugnata in conformità all’appello che li sosteneva, deve essere accolto, conseguentemente; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto rispetto alla domanda della ricorrente, deve essere confermata la sentenza del pretore.

Quanto alle spese processuali, confermata la relativa statuizione di primo grado, le successive sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, rigetta l’appello nei confronti della sentenza di primo grado, che conferma anche in punto spese processuali, ponendo quelle successive a carico della società che liquida, quanto a quelle d’appello, in euro 500 per diritti e euro 1.000 per onorari, oltre euro 100 per spese e, quanto a questo giudizio di cassazione, in euro 2.000 per onorari ed euro 45,50 per spese.

Così deciso in Roma il 25 novembre 2002.