Lavoro e Previdenza

Thursday 04 December 2003

Obbligo di contrarre e coercibilità della conclusione del contratto di lavoro. Cassazione – Sezione Lavoro – Sentenza 26 agosto 2003 – 12516/2003

Obbligo di contrarre e coercibilità della conclusione del contratto di lavoro

Cassazione – Sezione Lavoro – Sentenza 26 agosto 2003

12516/2003

Sentenza.

Presidente S. Senese – Relatore P. Picone

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Bergamo, decidendo sugli appelli di G. B. e della (omissis) (che ha poi ceduto l’azienda alla omissis), rispettivamente principale e incidentale, ha accolto in parte l’impugnazione principale e rigettato quella incidentale.

G. B., avendo ottenuto l’accertamento giudiziale, con sentenza passata in giudicato in data 7.3.1994, della sussistenza di rapporto di lavoro subordinato dal 10.6.1986 con la (omissis), aveva convenuto in giudizio la (omissis) (succeduta alla (omissis)) perché, rimasto inadempiuto l’obbligo di assunzione di tutti i lavoratori già dipendenti della (omissis), assunto con la stipulazione di accordo sindacale in data 24.7.1992 dalla (omissis), fosse pronunciata sentenza costitutiva del rapporto di lavoro e di condanna alle retribuzioni; in subordine, per ottenere la condannai al risarcimento del danno subito fino al raggiungimento dell’età pensionabile. L’adito Pretore accoglieva la domanda subordinata, limitando il risarcimento del danno alla data della sentenza, con rivalutazione monetaria e interessi legali.

Il Tribunale, esaminato per primo l’appello incidentale, nella parte in cui contestava la sussistenza dell’obbligo di assunzione, ha interpretato l’accordo sindacale nel senso che beneficiari fossero tutti i lavoratori già dipendenti della (omissis), non esclusi, come pretendeva la società, quelli che formalmente non risultavano tali alla data dell’accordo sindacale.

Quanto ai contenuti dell’appello principale, nella parte che ancora rileva, il Tribunale ha confermato la statuizione della sentenza di primo grado, di rigetto della pretesa all’emanazione di una sentenza ai sensi dell’art. 2932 c.c., sul rilievo che gli elementi essenziali del contratto di lavoro da stipulare non erano determinati, e ciò con particolare riguardo alle mansioni da espletare presso l’azienda obbligata all’assunzione.

Ha ritenuto, infine, infondata la tesi dell’appellante incidentale, circa il divieto legale di cumulare rivalutazione monetaria e interessi per i crediti di lavoro maturati successivamente al 1 ° gennaio 1995, osservando che, nella fattispecie, si era in presenza di un credito al risarcimento del danno, e, quindi, di valore e non di valuta.

La cassazione della sentenza è domandata dalla (omissis) (nella qualità sopra evidenziata) con ricorso per due motivi, , ulteriormente precisato con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.; resiste con controricorso G. B., proponendo anche ricorso incidentale per un unico motivo.

Motivi della decisione

Preliminarmente, la Corte riunisce i ricorsi proposti contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).

Il primo motivo del ricorso principale denuncia che, con violazione e falsa applicazione di norme di diritto e motivazione viziata, la sentenza impugnata ha ritenuto che il B. rientrasse tra i beneficiari dell’accordo sindacale 24.7.1992.

Il motivo non può trovare accoglimento giacché le argomentazioni in cui si articola non dimostrano la sussistenza di vizi riconducibili alle previsioni di cui all’art. 360 c.p.c.

1. Si afferma che il Tribunale non ha rispettato l’art. 1362, 1° comma, siccome la lettera dell’accordo, nella parte in cui recava l’impegno “di assumere tutti i dipendenti (omissis) che lo desiderino”, era assolutamente chiara nell’esprimere l’intento di assumere tutti e soltanto i lavoratori che “risultavano” alle dipendenze della (omissis).

Orbene, l’affermazione che la formulazione letterale rilevasse un simile intento negoziale esprime l’opinione sa della ricorrente, potendo altrettanto plausibilmente, come ritenuto dal Tribunale, significare che non si intendesse fare alcuna riserva per coloro che non risultavano formalmente dipendenti.

Né contrastano con i precetti di logica le considerazioni del Tribunale circa il valore significativo della mancanza di precisazioni e riserve specifiche, a fronte di situazioni certamente prevedibili, come l’esistenza di giudizi in corso per ottenere l’accertamento di rapporti di lavoro sunordinato.

2. Si sostiene anche che, nel rispetto dell’art. 1362, comma secondo, c.c., il Tribunale non avrebbe potuto valorizzare comportamenti assolutamente inidonei a ricostruire l’intenzione delle parti, quali quelli consistiti nel rifiuto dell’azienda di dar corso all’assunzione con esplicitazione di motivi diversi dall’inapplicabilità al B. dell’accordo sindacale. Come pure, del tutto incongruo si palesava il richiamo del criterio della buona fede.

Si tratta di censure che la Corte non deve prendere in esame, concernendo una parte della motivazione svolta ad abundatiam, rispetto alla ricostruzione dell’intento negoziale sulla base della formulazione letterale del testo. Contrariamente all’impostazione della ricorrente, i comportamenti indicati sarebbero stati rilevanti ai fini della decisione solo ove avessero offerto elementi per contrastare l’interpretazione letterale.

In ordine logico deve essere esaminato a questo punto l’unico motivo del ricorso incidentale con il quale si denuncia essere affetta dal vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 2932 c. c. e da vizi di motivazione la decisione di rigetto della domanda diretta all’emanazione di sentenza costituiva del rapporto di lavoro.

1. Si deduce, in particolare, che l’accordo sindacale in data 24.7.1992 garantiva, all’art. 8, “a tutti i lavoratori che chiederanno il passaggio il mantenimento delle condizioni salariali e normative precedentemente acquisiti in (omissis) attraverso accordi nazionali, aziendali e individuali”. Se ne trae la conseguenza che il contratto collettivo applicabile consentiva di stabilire compiutamente quali fossero le mansioni, corrispondenti alla 7a categoria, da assegnare al lavoratore, e dall’accordo sindacale era possibile trarre la precisazione delle altre modalità della prestazione.

2. Il motivo non può trovare accoglimento.

Il Tribunale si è puntualmente uniformato al principio di diritto secondo cui la disposizione di cui all’art. 2932 c.c., diretta a dare esecuzione in forma specifica all’obbligo di contrarre, è applicabile solo ove la fonte dell’obbligo consenta di determinare completamente tutti gli elementi del contratto, anche nei dettagli, in modo che sia possibile iniziarne l’esecuzione senza che le parti debbano esprimere ulteriori dichiarazioni dirette a precisarne l’oggetto o il contenuto, elementi tra i quali sono comprese soprattutto le mansioni (cfr., ex plurimis, Cass. 11284/1991; 4953/1998; 8489/2002).

Sicché, mancando tale specificazione e allorché l’obbligo del datore di lavoro rimanga inadempiuto, il lavoratore non può esperire il rimedio dell’esecuzione in forma specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c., ma ha (soltanto) diritto all’integrale risarcimento dei danni, ossia al ristoro delle utilità perdute per tutto il periodo del protrarsi di detto inadempimento.

3. La corretta applicazione alla fattispecie del suddetto principio di diritto emerge dalla stessa formulazione del motivo di ricorso: si era in presenza di un obbligo di inserimento, nel rispetto dei precedenti livelli retributivi e trattamenti normativi, in una realtà aziendale del tutto diversa; l’applicazione di un determinato contratto collettivo avrebbe consentito di stabilire la categoria e la qualifica, ma non certo le concrete mansioni ed altre modalità di svolgimento della prestazione.

Si deve ora esaminare il secondo motivo del ricorso principale, con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 429, comma 3 °, c. p. c., anche in relazione al disposto degli art. 1223 ss., 1282, 1284 c.c. e 18 1. 300/1970, nonché vizio della motivazione, in relazione alla decisione di aggiungere gli interessi al tasso medio del 7,5% alla somma rivalutata attribuita al B. a titolo di risarcimento del danno.

1. Si sostiene l’applicabilità del nuovo regime giuridico di cui all’art. 22, comma 36, 1. 724/1994 e decreto del Ministro del Tesoro 352/1998, che esclude il cumulo tra rivalutazione e interessi, a tutti i crediti di lavoro, compresi quelli di natura risarcitoria, ai quali già si riferiva l’art. 429 c.p.c. alla stregua di un consolidato orientamento giurisprudenziale.

2. Il motivo deve essere rigettato perché il dispositivo della sentenza impugnata, nella parte investita dall’impugnazione e concernente esclusivamente il cumulo degli interessi con la rivalutazione, è conforme al diritto, ancorché la motivazione necessiti di essere corretta (art. 384, comma secondo, c.p.c.).

La correzione si rende necessaria a seguito dello ius superveniens rappresentato dall’intervento della sentenza costituzionale n. 459 del 2000, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), limitatamente alle parole “e privati”.

3. Il dispositivo dell’intervento del giudice delle leggi, infatti, ha prodotto la conseguenza di escludere che l’anzidetta norma concerna in qualche modo i rapporti di lavoro subordinato privato e, quindi, il regime dei crediti di lavoro come già determinato dall’art. 429, comma terzo, c. p. c.

Diventa perciò irrilevante l’indagine diretta a stabilire se l’innovazione legislativa, nel suo riferimento “agli emolumenti di natura retributiva”, concerna anche i crediti di lavoro non pecuniari.

4. L’applicazione dell’originario testo dell’art. 429, comma terzo, interpretato da una giurisprudenza consolidata nel senso che per “crediti di lavoro” devono intendersi anche quelli di natura risarcitoria (cfr., da ultimo, Cass. 5024/2002) e, in particolare, derivanti dalla violazione dell’obbligo di assunzione (tra le numerose, Cass. 216/1990; 13924/2001), rende dunque conforme al diritto l’aggiunta degli interessi legali alla somma rivalutata, come operata dalla sentenza impugnata (sulla misura degli interessi legali non vi è specifica censura).

Per le considerazioni esposte vanno rigettati il ricorso principale e il ricorso incidentale; l’esito complessivo della controversia induce a compensare la metà delle spese e degli onorari del giudizio di cassazione, restando a carico della (omissis) la restante metà, che si liquida come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa nella misura della metà le spese del giudizio di cassazione e condanna la (omissis) al pagamento della restante metà, metà che liquida in Euro 14,00 per spese e Euro 1800,00 per onorari .