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Monday 03 May 2004

Non è eleggibile chi è stato condannato se la riabilitazione è stata ottenuta dopo la candidatura

Non è eleggibile chi è stato condannato se la riabilitazione è stata ottenuta dopo la candidatura

Cassazione – Sezione prima civile – sentenza 8 marzo-21 aprile 2004, n. 7593

Presidente Grieco – Relatore Genovese

Pm Pivetti – conforme – ricorrente Plutino

Svolgimento del processo

Il signor Giuseppe Plutino, veniva eletto al Consiglio comunale di Reggio Calabria in esito alle elezioni amministrative del 25 e 26 maggio 2002.

La Prefettura locale, con nota del 3 luglio, informava il Segretario generale del Comune che, il signor Plutino, avendo subito una condanna definitiva alla pena di un anno e mesi quattro di reclusione, per ‑ a dire dell’odierno ricorrente ‑ «falsità materiale commessa da privato in atti pubblici», era incandidabile, ai sensi dell’articolo 58, comma 1, lettera e) D.Lgs 267/00.

Ciononostante, il Consiglio comunale deliberava la convalida della elezione del signor Plutino, sulla base della sua dichiarazione di non versare in condizioni di ineleggibilità.

Il Prefetto di Reggio Calabria proponeva ricorso al Tribunale locale, che l’accoglieva e dichiarava l’incandidabilità del signor Plutino nonché la nullità della sua elezione a consigliere comunale.

Il signor Plutino proponeva appello davanti alla Corte d’appello di Reggio Calabria che dichiarava la infondatezza della dedotta questione di legittimità costituzionale dell’articolo 58, comma 1, lettera c), D.Lgs 267 cit., e confermava la sentenza di primo grado, tra l’altro ritenendo priva di pregio la circostanza di fatto in base alla quale, successivamente all’elezione, ancor prima del ricorso del Prefetto, al signor Plutino era stata concessa la riabilitazione ai sensi dell’articolo 179 Cpp dal locale Tribunale di Sorveglianza con provvedimento del 21 agosto 2002 e, in considerazione del fatto che la sua condanna riguardava un delitto «commesso con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio», ai sensi dell’articolo 58, comma 1, lettera c), D.Lgs 267/00.

2. Contro tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il signor Plutino, articolato in tre mezzi ed illustrato anche con memoria.

3. Il prefetto di Reggio Calabria non ha svolto difese.

Motivi della decisione

1.1. Con il primo motivo di ricorso (con il quale, in relazione all’articolo 360 nn. 3 e 5, lamenta violazione e falsa applicazione dell’articolo 58, ultimo comma, D.Lgs 267/00 e insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia) il Signor Giuseppe Plutino deduce che la Corte territoriale avrebbe errato nell’esame della questione dell’intervenuta riabilitazione. Ferma la natura costitutiva della riabilitazione, qualora questa intervenga prima che sia dichiarata la decadenza dalla carica, quest’ultima non potrebbe più essere pronunciata. Il ricorso dell’Amministrazione sarebbe carente d’interesse, ai sensi dell’articolo 100 Cpc, ab origine, poiché ‑ nel caso esaminato – anche in rapporto al carattere inviolabile del diritto di elettorato, non vi sarebbe stata alcuna offesa al decoro della funzione. Né tale interpretazione contrasterebbe con la pronuncia della Cassazione 2743/01, poiché, in quel caso, la riabilitazione sarebbe intervenuta mentre era in corso il procedimento volto a far dichiarare la decadenza dell’eletto.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso (con il quale, in relazione all’articolo 360 nn. 3 e 5, lamenta violazione e falsa applicazione dell’articolo 58, primo comma, lettera c), D.Lgs 267/00 e insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia) il Signor Giuseppe Plutino deduce che la Corte territoriale avrebbe errato nell’esaminare la circostanza di fatto riguardante le risultanze del proprio certificato del casellario, peraltro corrispondente alle statuizioni della sentenza penale di condanna, dai quali risulterebbe la sua responsabilità per il reato di cui all’articolo 482 Cp («falsità materiale commessa dal privato»), travisando la reale portata della motivazione della sentenza fino a indagare sulle circostanze e modalità del reato commesso, per far rientrare il fatto accertato in sede penale alle fattispecie di cui all’articolo 58, primo comma, lettera c), D.Lgs 267 cit., nella quale invece non rientrerebbe.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso (con il quale lamenta, in relazione all’articolo 360 nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’articolo 58, primo comma, lettera c) e d), D.Lgs 267/00 e insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia) che la corte abbia applicato l’ipotesi di cui all’articolo 58, primo comma, lettera e), anche al caso dell’extraneus concorrente nel reato proprio.

2. Va, preliminarmente, esaminata, d’ufficio la regolarità del contraddittorio nell’ambito di questo giudizio, considerato che il ricorrente non ha notificato il ricorso al Procuratore generale presso la Corte d’appello di Reggio Calabria.

A tal proposito questa Corte ha già esaminato e risolto la questione con una pluralità di pronunce

(Cassazione 18513/03, 2986/00 e 6854/97) che hanno espresso il principio di diritto secondo il quale, nelle controversie elettorali, benché il Pm rivesta la qualità di contraddittore necessario, legittimato all’impugnazione della sentenza che definisce il giudizio, qualora il ricorrente non abbia provveduto a notificare il ricorso

per cassazione al Pg presso la Corte d’appello, deve escludersi la necessità di disporre

l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti nel caso in cui la sentenza impugnata abbia

integralmente accolto le sue richieste, poiché in siffatta ipotesi manca una lesione degli interessi

allacui tutela egli è preposto, dato che non può proporre né ricorso incidentale, né controricorso,

restandosoddisfatte le esigenze del contraddittorio e l’esercizio delle attribuzioni e funzioni spettanti al Pm dal necessario intervento nel giudizio di legittimità del Pg presso la Corte di cassazione.

Da tale indirizzo non v’è ragione di discostarsi.

3. Nel merito, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.

3.1. Il primo motivo di ricorso ripropone una questione che, contrariamente a quanto argomentato dal ricorrente, è già stata scrutinata da questa Corte, anche se non già con la sentenza 2743/01 (come indicato nel ricorso e nella memoria illustrativa), bensì con una successiva, 1362/02.

In questa, infatti, è stato affermato il principio secondo il quale le cause di ineleggibilità di cui alla

legge55/1990 non si applicano nei confronti dei soggetti condannati con sentenza penale passata in

giudicato che abbiano ottenuto la riabilitazione, giusta il disposto dell’articolo 15, comma quarto ‑ sexies, della legge 55/1990, a condizione che la pronuncia di riabilitazione sia intervenuta prima della presentazione della candidatura (nella specie, a consigliere comunale), attesa l’efficacia soltanto ex nunc di tale pronuncia, e senza che assuma, all’uopo, rilievo la data di presentazione della relativa domanda da parte dell’interessato.

È invece ) pacifico che, nel caso di specie, il ricorrente ha chiesto ed ottenuto la riabilitazione dalla condanna penale solo dopo la sua elezione alla carica di consigliere comunale.

Quanto al fondamento di tale rigorosa applicazione, che il ricorrente contesta invocando il diritto costituzionale di elettorato passivo e la sua tendenziale prevalenza su ogni limitazione legislativa qua e là formulata dal legislatore ordinario, va ricordato che proprio la Corte costituzionale, scrutinando altre disposizioni di legge, nelle recenti decisioni nn. 132/01 e 25/2002, ha riaffermato la piana giustificazione di quelle disposizioni legislative che non consentono il ripristino di tale diritto inviolabile per colui che abbia subito una condanna penale, fra quelle nominate espressamente, o che ne invochi la lievità o la tenuità, richiedendo una modifica, per intervento del Giudice delle Leggi, della previsione legislativa.

Significativamente, la Consulta, ha escluso la fondatezza della questione di costituzionalità concernente la mancata estensione alle fattispecie di ineleggibilità di cui all’articolo 15 legge 55/1990 (ora sostituito dalle disposizione contenute negli articoli 58 e 59 D.Lgs 267/00), del regime della sospensione condizionale della pena operante con riguardo a quella accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. La questione è stata ritenuta infondata, sia sotto il profilo della Pretesa violazione del principio di rieducatività della pena, perché la ineleggibilità, come quella in questione, attiene ai «requisiti di accesso alle cariche elettive» e non alle conseguenza penali dei reati, sia sotto il profilo della lesione del diritto di accesso alle cariche elettive.

Secondo tale pronuncia, le fattispecie di incandidabilità , e quindi di ineleggibilità, per delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione, e quindi di ineleggibilità, previste dall’articolo 15 della legge 55/1990 (ora articoli 58 e 59 D.Lgs 267/00), a differenza dell’interdizione dai pubblici uffici quale pena accessoria, non rappresentano, non solo un aspetto del trattamento sanzionatorio penale derivante dalla commissione del reato, e nemmeno una autonoma sanzione, collegata al reato medesimo, quanto piuttosto sono l’espressione del «venir meno di un requisito soggettivo per l’accesso alle cariche elettive».

Anche nella sentenza 25/2002, la quale ha escluso la fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 15 anzidetto (ora sostituito dall’articolo 58, comma 1, lettera a), dall’articolo 59, comma 1, lettera a), e comma 4 del D.Lgs 267/00), sollevata in riferimento agli articoli 3 e 51 Costituzione, tale ratio decidendi è stata ribadita e si è affermato che, in situazioni siffatte, non si pone un’esigenza di proporzionalità, per le misure in questione (ed, in particolare, per quella cautelare della sospensione obbligatoria dalla carica elettiva, rispetto al reato commesso o alla gravità del fatto), in quanto esse conseguono piuttosto alla constatazione del «venir meno di un requisito soggettivo essenziale per la permanenza dell’eletto nell’organo elettivo», proprio in considerazione della finalità di prevenzione della delinquenza mafiosa o di altre gravi forme di pericolosità sociale fornite di alta capacità di inquinamento degli apparati pubblici. Sicché non è in contrasto con la Costituzione la legge che abbia dato esclusivo rilievo alla identificazione dei reati che danno luogo a quelle conseguenze, senza aver riguardo a valutazioni di stretta competenza del giudice di merito e, in ispecie, senza tener conto della circostanza attenuante dell’azione commessa per motivi di particolare valore morale e sociale o del riconoscimento della lieve entità del fatto addebitato.

Il sistema giurisprudenziale costituzionale sembra dunque lì aver individuato il fondamento di quelle previsioni nella necessità che, per il candidato o l’eletto, non deve «venir meno un requisito soggettivo essenziale per l’accesso o la permanenza nell’organo elettivo».

Ed è in base a tale fondamento che deve ribadirsi l’orientamento già espresso da questa Corte, con la sentenza 1362/02. La legge ordinaria, bilanciando una pluralità di valori costituzionali, ha fatto prevalere quello, pure di rango parametrico più elevato, dell’accesso (e della permanenza) alle cariche pubbliche elettive soltanto di coloro che possiedono, al momento dell’elezione (o successivamente ad essa), i requisiti espressamente stabiliti dalla stessa legge per essere eletti (o per mantenere la carica elettiva).

Non si tratta di un valore formale, come si è visto dalla ricognizione della giurisprudenza costituzionale, ma di un vero e proprio interesse sostanziale alla salvaguardia della pari capacità elettorale dei cittadini (cfr. Corte costituzionale, sentenze 264/96 e 280/92), che mira ad eliminare quei vantaggi ottenuti scorrettamente per questo o per quel candidato, illecitamente avvantaggiatosi con comportamenti “non virtuosi” sul piano dell’agire comune o nell’ambito delle funzioni pubbliche, per quanto successivamente essi non siano più censurati o censurabili, in ragione del buon comportamento tenuto dal suo autore, il quale potrà così tornare a competere anche nell’ambito elettorale.

3.2. Il secondo motivo, con il quale si chiede un riesame delle risultanze processuali presupposte rispetto al provvedimento amministrativo di incandidabilità , è inammissibile.

Questa Corte ha già precisato (Cassazione 2197/88) che in tema di contenzioso elettorale amministrativo, pur se la corte di cassazione è giudice anche del merito, si che deve ritenersi consentito alle parti di sottoporle anche la rivalutazione dei fatti di causa, tuttavia il suo giudizio si svolge al di fuori di ogni governo istruttorio e la conoscenza dei fatti le è consentita solo in base agli atti e ai documenti già prodotti in giudizio e ritualmente riprodotti nella fase di cassazione.

Poichéagli atti manca la sentenza penale, di cui si chiede il riesame, sull’ipotesi della sua scorretta conduzione da parte del Giudice del merito, l’esame della richiesta è perciò stesso preclusa.

3.3. Anche il terzo motivo, con il quale si censura la decisione di merito per l’applicazione dell’ipotesi di cui al citato articolo 58, primo comma, lettera c), anche al caso dell’extraneus concorrente nel reato proprio, deve essere rigettato.

Questa Corte ha già risolto anche tale questione, con la sentenza 11140/02 (confermata con la sentenza 2864/04), affermando il principio secondo il quale la norma di cui all’articolo 58, lettera c), del Dpr 267/00 ‑ secondo cui non possono essere candidati alle elezioni coloro che sono stati condannati… per un delitto commesso con abuso di poteri o con violazioni dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio ‑ non restringe la causa di decadenza ai soli soggetti che esercitano la pubblica funzione o il pubblico servizio, ma pone come condizione di ineleggibilità o di decadenza dalla carica elettiva soltanto la condanna per detti reati, indipendentemente dal fatto che il condannato sia l’esercente la pubblica funzione o il pubblico servizio, ovvero altro soggetto, che abbia agito in situazione di concorso col primo.

4. Non v’è ragione di provvedere sulle spese, non avendo la Prefettura – Utg svolto attività difensive in questa fase di legittimità.

PQM