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Friday 31 October 2003

Niente rigetto ma semplice sospensione per l’ istanza di regolarizzazione presentata dall’ extracomunitario sottoposto a procedimento penale. Tar Catania – Sezione seconda – sentenza 16 ottobre 2003, n. 1604

Niente rigetto ma semplice sospensione per listanza di regolarizzazione presentata dallextracomunitario sottoposto a procedimento penale

Tar Catania Sezione seconda sentenza 16 ottobre 2003, n. 1604

Presidente Schillaci estensore Savasta

Ricorrente Shbm

Fatto e diritto

I. Il ricorrente, avvalendosi delle disposizioni di cui alla legge 222/02, ha presentato, tramite il proprio datore di lavoro, titolare di un avviato ristorante, domanda di legalizzazione di lavoro irregolare.

Con provvedimento del 5 giugno 2003 la Prefettura di Messina ha decretato il respingimento dellistanza di regolarizzazione di lavoro irregolare adducendo, come motivazione, la mancata «concessione del nulla-osta per il rilascio del permesso di soggiorno in quanto il medesimo risulta essere stato denunciato allautorità giudiziaria per il reato di rapina in concorso in danno di altro cittadino extracomunitario» e che «non è possibile procedere alla regolarizzazione del rapporto di lavoro svolto dal suddetto cittadino tunisino in quanto, essendo stato denunciato per una fattispecie di reato contemplata dall articolo 380 Cpp ricorre uno dei motivi ostativi di cui allarticolo 1 comma 8 lettera c) del decreto legge 195/02 come modificato dalla legge 222/02».

Con ricorso, notificato il 28 luglio 2003, depositato il 7 agosto 2003, il ricorrente ha impugnato detti provvedimenti.

Il gravame è stato supportato dalle seguenti considerazioni in diritto: violazione e falsa applicazione dellarticolo 1 comma 8 decreto legge 195/02 convertito in legge 222/02. Difetto di istruttoria. Difetto di motivazione i provvedimenti impugnati sarebbero fondati su una lettura non corretta della norma calendata, in quanto si riferiscono esclusivamente allesistenza di una denuncia senza tenere conto della possibilità che, nei tempi richiesti dalla giustizia, il procedimento penale possa concludersi con esiti favorevoli al ricorrente.

Il Prefetto di Messina, quindi, avrebbe violato larticolo 1, comma 8, lettera c) della legge 222/02, arrestando la procedura e decretando il rigetto dellistanza di regolarizzazione prima ancora della conclusione del procedimento penale, almeno in primo grado.

La disposizione in esame, invero, andrebbe letta nel senso di impedire la regolarizzazione fino a quando è pendente una denuncia, ma con un provvedimento, tuttavia, che non comporti il rigetto dellistanza del lavoratore ma, al limite, sospenda ogni determinazione in attesa dellesito del procedimento penale.

Ove non interpretata nel modo prospettato, la norma non sfuggirebbe al sospetto di illegittimità costituzionale per contrasto con gli articoli 3 e 27 Costituzione e, pertanto, andrebbe sospeso il giudizio, al fine di investire il Giudice delle leggi della relativa questione.

II. Il Collegio ritiene che i rilievi mossi dal ricorrente alloperato dellAmministrazione debbano essere condivisi.

Larticolo 1, comma 8, lettera c) della legge 222/02 stabilisce limpossibilità della regolarizzazione del rapporto di lavoro ove i lavoratori extracomunitari «risultino denunciati per uno dei reati indicati negli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, salvo che il procedimento penale si sia concluso con un provvedimento che abbia dichiarato che il fatto non sussiste o non costituisce reato o che linteressato non lo ha commesso, ovvero nei casi di archiviazione previsti dallarticolo 411 del codice di procedura penale». Il dettato normativo, seppur incerto nella sua formulazione, non sembra al Collegio possa interpretarsi secondo laccezione dellAmministrazione resistente, posto che lo stesso non si limita a stabilire limpossibilità di regolarizzazione, ma anche che il proscioglimento del denunciato obbliga, ove non vi siano altri motivi ostativi, allassenso amministrativo.

La suddetta interpretazione appare quella più corretta, intanto, sotto laspetto logico, posto che, aderendo allimpostazione apparentemente letterale seguita dallAmministrazione, risulterebbero sforniti di tutela tutti gli extracomunitari anche a fronte di strumentali ed infondate denunce, in quanto ritenute, quindi, già sufficienti a paralizzare definitivamente linteresse alla regolarizzazione.

Linterpretazione prospettata dallAmministrazione, inoltre, contrasterebbe palesemente con larticolo 3 della Costituzione, in quanto consentirebbe una disparità di trattamento legata ad eventi del tutto indipendenti dal soggetto interessato.

A tal proposito è sufficiente osservare che lesito finale negativo del procedimento di legalizzazione, se collegato alla semplice denuncia e non allesito finale del processo, conduce a penalizzare i denunciati che non hanno potuto beneficiare della celebrazione di un processo rapido perché ricadente in Uffici giudiziari particolarmente oberati di lavoro e, quindi, costretti a dare risposte in tempi diluiti.

In altri termini, legare lammissione al beneficio (rectius: il mancato definitivo diniego) alla rapida definizione positiva del giudizio (unica che potrebbe, secondo lAmministrazione resistente, caducare leffetto della denuncia), significa discriminare gli extracomunitari a seconda del «luogo della celebrazione del processo» e/o delle possibilità dellorgano procedente o di circostanze occasionali quali, ad esempio, il numero dei coindagati (che, se notevole, normalmente comporta difficoltà di accertamento e, quindi, dilatazione dei tempi processuali).

Anche liter formativo seguito dalla norma appare confortare tale tesi.

La lettera c) del comma 8 dellarticolo 1 della legge 222/02, nella sua stesura originaria, prima della conversione in legge del decreto legge 195/02, non prevedeva lipotesi di divieto di diniego di reiezione dellistanza di legalizzazione legata ai casi di archiviazione previsti dallarticolo 411 del codice di procedura penale.

Lintroduzione di detto inciso, in effetti, appare ricca di significato, ove si osservi che, indipendentemente dalle ipotesi di archiviazione stabilite dal citato articolo 411 Cpp, in detta circostanza, ai sensi del successivo articolo 414 Cpp, è possibile la riapertura delle indagini su richiesta del pubblico ministero motivata dalla esigenza di nuove investigazioni.

Ciò significa che la paralisi del diniego di legalizzazione, diversamente da quanto stabilito nellimpostazione originaria della norma in esame, può essere legata anche a fasi prodromiche del processo non dotate, quindi, dellidoneità di acquisire il crisma di definitività, collegato unicamente dalla sussistenza di un provvedimento che abbia dichiarato che il fatto non sussiste o non costituisce reato o che linteressato non lo abbia commesso.

Detta interpretazione appare, in ultimo, coerente con larticolo 27 della Costituzione, posto che la pendenza del procedimento penale, per altro senza lacquisizione della qualifica di imputato, non sembra consentire effetti negativi definitivi, sia pur nei confronti dello straniero.

Con detta affermazione il Collegio non intende concludere che al Legislatore, in dipendenza del dettato costituzionale sopra richiamato, sia preclusa di per sé la possibilità di impedire effetti favorevoli a spessore esclusivamente amministrativo (quale si configura il caso per cui è ricorso) nelle ipotesi in cui vi siano procedimenti penali in corso.

La sezione, però, osserva che, accogliendo linterpretazione fornita dallAmministrazione con il provvedimento impugnato, verrebbe rovesciato il principio contenuto in detta norma, secondo cui limputato (ed in questo caso, si ribadisce, trattandosi di mera denuncia, addirittura in assenza dellacquisizione di detta qualifica) si presume innocente sino alla condanna definitiva.

Conclusivamente, il Collegio ritiene che una interpretazione adeguatrice al chiaro dettato costituzionale dellarticolo 1, comma 8, della legge 222/02 conduca, senza necessità di remissione degli atti al Giudice delle Leggi, allaccoglimento del gravame e, quindi, allannullamento degli atti impugnati.

La novità della questione suggerisce di compensare integralmente tra le parti le spese ed onorari del giudizio.