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Friday 28 January 2022

“Maramaldo, tu ledi un uomo morto!”

«Premesso che, ai fini della preclusione connessa al principio del “ne bis in idem”, l’identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condotta – nesso causale – evento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta, non ricorre l’idem factum tra le lesioni personali e l’omicidio preterintenzionale, in quanto il fatto concreto di cui all’articolo 584 c.p.. È caratterizzato dall’evento morte, che è, invece, assente nel delitto di cui all’articolo 582 c.p., la cui tipicità è integrata da un diverso, e meno grave, evento, le lesioni personali; trattandosi di fattispecie in relazione di incompatibilità, il giudice del secondo procedimento è tenuto a considerare, altresì, il principio di detrazione, nel senso che deva assicurare, mediante un meccanismo di compensazione, che l’importo complessivo delle sanzioni irrogate sia proporzionato alla gravità dei reati complessivamente considerati».

Cass. pen., sez. V, ud. 25 ottobre 2021 (dep. 14 gennaio 2022), n. 1363

La vicenda è davvero interessante e nasce da una inconsueta velocità del sistema giudiziario che è riuscito a celebrare un processo, definendolo con sentenza passata in giudicato, nei confronti di un imputato per lesioni volontarie nei confronti di un terzo, terzo poi, purtroppo deceduto in esito alle stesse.
Decesso che, causato dall’aggressione subita, ha dato origine a procedimento nei confronti dell’aggressore per omicidio preterintenzionale.
Genesi alquanto strana e, per certi versi, paradossale.

Il ricorso formulato dal difensore, oserei dire alquanto colto ed intelligente, puntava a far dichiarare la nullità della pronuncia resa in relazione al delitto di omicidio preterintenzionale in forza e virtù del divieto di bis in idem per come qualificato dalla Giurisprudenza delle corti nazionali e, soprattutto, sovranazionali.
L’idem factum. La Corte per risolvere il quesito sottopostole, analizza la giurisprudenza nazionale e sovranazionale, soffermandosi anche, ça va sans dire, sulla pronuncia della Corte Costituzionale n. 200 del 2016 con la quale il giudice delle leggi ha provveduto a chiarire che il divieto di bis in idem preclude non il similtaneus processus per distinti reati commessi con il medesimo fatto, ma una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia già stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo.

L’idem factum quindi non coincide, né può farlo con l’idem legale.
Ne discende come sia ormai pacifico che l’estensione del bis in idem processuale sia diversa e di regola più ampia rispetto al bis in idem sostanziale, e concerna rapporti diversi: se l’articolo 649 c.p.p. riguarda il rapporto tra il fatto storico oggetto di giudicato ed il nuovo giudizio, prescindendo dalle eventualmente diverse qualificazioni giuridiche, il bis in idem sostanziale concerne invece il rapporto tra norme incriminatrici astratte e prescinde da raffronto con il fatto storico (cfr. Cass. Pen. Sez. 7 n. 32631 01/10/2020).
La definizione di idem factum della Corte di Strasburgo, si è formata attraverso un triplice passaggio che, ai fini del presente commento, è opportuno richiamare per sommi capi identificandone dapprima la sussistenza nell’identico comportamento del “ricorrente” inteso in senso storico naturalistico, a prescindere dalla sua qualificazione giuridica, per poi legittimare invece che dalla medesima condotta possa fondare plurime “infrazioni” con l’apertura di distinti procedimenti e l’applicazione di più sanzioni, per poi assestarsi ponendo l’accento sui cosiddetti elementi essenziali delle due fattispecie.
Ai sensi di detto orientamento l’art. 4 protocollo 7 può tollerare una pluralità di procedimento in caso di concorso formale di reati ma è necessario valutare se le due fattispecie abbiano o meno gli “stessi elementi essenziali” per escludere che si tratti duna semplice differenza di nomen juris.
La conclusione cui giunge la Corte EDU (meritevole in punto una lettura completa della sentenza che identifica ed indica alcuni passaggi davvero interessanti) è che l’art. 4 del protocollo 7 deve essere interpretato nel senso che il reato è il medesimo se i fatti che lo integrano sono identici o sono sostanzialmente gli stessi, dovendosi intendere per fatto l’insieme di circostanze di fatto concrete che coinvolgono lo stesso imputato e che sono inestricabilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio la cui esistenza deve essere dimostrata al fine di ottenere una condanna o avviare un procedimento penale.
L’approdo della Corte di Strasburgo si completa con la l’affermazione, piuttosto nota, che un medesimo fatto illecito può legittimare l’instaurazione di una pluralità di procedimenti sia penali che amministrativi o comunque complementari rispetto ad essi, se per l’agente si poteva o doveva trattare di evenienza nota o che comunque l’interessato potesse agevolmente rappresentarsi.
Il tutto ovviamente a fronte di una sanzione che rispettasse il principio di proporzionalità.

La Corte Costituzionale (sentenza 2000/2016), rilevato come la giurisprudenza EDU non sia consolidata in tema di bis in idem (il che è quantomeno discutibile) ne sottolinea l’aspetto casistico (il che invece è certamente corretto trattandosi di Corte che decide secondo principi di common e non di civil law) afferma come «il fatto storico naturalistico rileva ai fini del bis in idem, secondo l’accezione che gli conferisce l’ordinamento, perché l’approccio epistemologico fallisce nel descriverne un controno identitario dal contenuto necessarioFatto è in questa prospettiva l’accadimento materiale certamente affrancato dal giogo dell’inquadramento giuridico ma pur sempre frutto di un’addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi.
Non vi è in altri termini alcuna ragione logica per concludere che il fatto pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all’azione o all’omissione, e non comprenda, invece anche l’oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione, l’evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dall’agente».
Col che è evidente che la triade, condotta-nesso casuale- evento continui a regnare sovrana in tema di divieto di bis in idem.
Nel caso di specie però la condotta è identica, il nesso causale anche, ciò che muta è l’evento.
Evento che, peraltro, nella mente dell’agente non è direttamente voluto ma causato da una condotta antigiuridica che porta a conseguenze, lui attribuite, oltre la propria intenzione.
Se non bastasse le lesioni apportate prima del decesso dell’aggredito certamente costituiscono elemento oggettivo del reato di omicidio preterintenzionale che si consuma proprio a cagione delle lesioni apportate Nonostante ciò, o se si vuole proprio in virtù della differenza di evento (lesioni vs morte) la Corte stabilisce che non vi sia violazione del principio del bis in idem essendo la condotta posta in essere dall’agente capace di aver violato due distinte norme, delle quali l’una, le lesioni, impossibile a verificarsi od a punirsi autonomamente nel caso di omicidio preterintenzionale.

La soluzione adottata dalla Corte pare all’umile commentatore dettata non tanto dal rispetto dei principi del diritto quanto dalla necessità di porre rimedio all’insolita accelerazione processuale che avrebbe prodotto, in assenza del principio di diritto affermato dalla Cassazione, ad una condanna estremamente mite in relazione ad un delitto, l’omicidio pur se preterintenzionale, che aggredisce il bene vita, oggetto di straordinaria protezione da parte dell’ordinamento.
E allora, allora si può provocare lesioni volontariamente, essere condannati per il fatto e, successivamente alla morte dell’aggredito, essere processati e condannati per omicidio preterizionale: purché la pena complessivamente irrogata sia proporzionata alla gravità del reato.
Un artificio per evitare condanna mite e tornare alla pena prevista per il reato più grave.

Avv. Claudio Bossi