Enti pubblici

Wednesday 12 February 2003

L’impugnabilità del silenzio rifiuto secondo il Consiglio di Stato

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI

– Sentenza 10 febbraio
2003 n. 672

Pres. Giovannini,
Est. Pajno – Solferino
(Avv.ti Pellegrini e Buccellato) c. Università degli
Studi "G. D’Annunzio" di Chieti,
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ed altro (Avv. Stato
Rago) – (conferma T.A.R
Abruzzo – Pescara, sent. 9 novembre 2000, n.
679).

FATTO

La
Sig.ra Solferino Valeria
frequentava, nell’anno accademico 1996-1997 i seminari tenuti da alcuni
collaboratori del Prof. Di Raimondo, docente di Istituzioni di diritto pubblico presso la facoltà di
Economia e Commercio di Chieti; la stessa, recatasi a
sostenere per la prima volta l’esame di Istituzioni di Diritto Pubblico al
secondo appello della sessione autunnale, nell’ottobre del 1997, veniva
invitata dal predetto docente a ripresentarsi nella sessione straordinaria del
gennaio 1998.

All’appello
del 15 gennaio 1998 la Solferino, sosteneva la prima
parte dell’esame con un cultore della materia, ma il titolare della cattedra,
dopo averle rivolto ben sei domande, invitava
l’interessata a ripresentarsi all’appello successivo.

La
Solferino, allora, verificata l’esattezza delle
proprie risposte, si presentava nuovamente al Prof.
Di Raimondo, lamentando senza esito la non correttezza della valutazione.

Il
5 giugno 1998 l’assistente che aveva esaminato la Sig.
Solferino le consigliava di
non presentarsi al titolare della cattedra; la studentessa si recava, peraltro,
dal Prof. Di Raimondo, il quale faceva presente che
la stessa avrebbe rischiato la verbalizzazione della
bocciatura se avesse continuato nella propria esposizione.

In
data 23-24 aprile 1996 il Prof.
Di Raimondo presentava alla Procura della Repubblica di Pescara due
esposti-denunce nei confronti della Sig.ra Solferino.

A
quest’ultima, presentatasi di nuovo all’appello del 10 luglio 1998, veniva impedito di sostenere l’esame.

Con
atto del 21 ottobre 1999 il Procuratore della Repubblica di Pescara chiedeva al
Giudice per le indagini preliminari l’archiviazione
del procedimento aperto a seguito dei due esposti.

In
data 22 febbraio 2000 la Sig.ra Solferino
presentava presso il Rettorato dell’Università di Chieti
e presso la Presidenza della Facoltà di Economia e
Commercio, richiesta di avvio di procedimento disciplinare nei confronti del Prof. Di Raimondo.

Poiché
nessuna risposta giungeva dall’Ateneo, la interessata
diffidava l’Università degli Studi G. D’Annunzio di Chieti,
il Consiglio di Amministrazione della medesima e la
Facoltà Economia e Commercio di Pescara ad adottare i provvedimenti di loro
competenza sull’istanza di avvio di procedimento disciplinare.

Essendo
rimasta senza esito la diffida, la Sig.ra Solferino impugnava il silenzio serbato dall’Ateneo sull’istanza con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale
dell’Abruzzo – Sez. di Pescara. Con sentenza n. 679
del 9 novembre 2000 il Tribunale dichiarava inammissibile il ricorso,
osservando che la ricorrente non era legittimata a richiedere l’apertura di un
procedimento disciplinare a carico di insegnanti
dipendenti dell’Università, sicché la richiesta dell’interessata assumeva la
consistenza di un atto di denuncia, al quale non poteva essere collegato un
obbligo di provvedere. Il Tribunale riteneva, così, che all’Università ed ai
suoi organi non incombesse alcun onere di dare riscontro alle richieste della
ricorrente.

La
pronuncia di primo grado è stata, adesso, impugnata dall’interessata, la quale,
a sostegno del gravame, ha dedotto che la propria posizione di studentessa la
legittimava a proporre all’Università una denuncia non formale degli
avvenimenti di cui la stessa era stata involontariamente partecipe, e che erano
stati causati dal Prof. Di Raimondo che, con la
proposizione di due esposti-denunce all’Autorità Giudiziaria Ordinaria aveva
inciso sulla sua posizione giuridica.

Avendo
il Prof. Di Raimondo gettato un’ombra sulla condotta
dell’interessata, quest’ultima lecitamente poteva ritenere che il Prof. Di Raimondo non si era attenuto
ai propri doveri di docente e pubblico dipendente.

L’appellante
non avrebbe mai pensato di costituire un organo preposto all’inizio del
procedimento disciplinare; la stessa, peraltro, in quanto
studentessa dell’Ateneo, sarebbe stata pienamente legittimata a segnalare
disfunzioni e problemi nell’esercizio dell’attività didattica.

Peraltro, il comportamento del Prof.
Di Raimondo si riverberebbe negativamente sulla
stessa Università G. D’Annunzio di Chieti.

Le
doglianze formulate dall’appellante in primo grado parrebbero
confermate dalla Relazione rassegnata al C.U.N. dalla Corte di
disciplina, istituita nel 1998, dopo un anno di funzionamento.

Sarebbe,
così, evidente, l’equivoco in cui sarebbe incorso il
primo giudice: l’esponente, infatti, non avrebbe inteso aprire un procedimento
disciplinare ma più semplicemente, segnalare i fatti all’Università, al fine di
far verificare non solo l’eventuale fondatezza della propria convinzione di
essere stata ingiustamente accusata, ma anche se l’atteggiamento tenuto nei
suoi confronti fosse tale da arrecare ulteriore nocumento allo svolgimento
dell’iter accademico. In tale prospettiva, la Risposta del Rettore sarebbe
apparsa necessaria, oltre che opportuna.

Si
sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e
della Ricerca e l’Università degli studi G. D’Annunzio di Chieti
che, con apposita memoria hanno chiesto il rigetto del
gravame. A sua volta, l’appellante ha, con memoria, ulteriormente insistito per
l’accoglimento del gravame.

DIRITTO

1.
Deve, innanzitutto, essere ricordato che il Tribunale è pervenuto alla
statuizione di inammissibilità del ricorso di primo
grado osservando che l’odierna appellante, studentessa iscritta presso la
Facoltà di Economia e Commercio, non è legittimata a proporre l’apertura di un
procedimento disciplinare a carico di insegnanti dipendenti dell’Università,
non esistendo alcuna disposizione che le riconosca tale facoltà e potendo, di
conseguenza, la richiesta da lei formulata "assumere, tutto al più, mera
funzione di atto di denuncia, cui non va collegato alcun obbligo di
provvedere".

In
tal modo il primo giudice ha, sostanzialmente negato che sull’istanza dell’odierna appellante sussistesse l’obbligo di
provvedere dell’Università, e non potendo, di conseguenza configurarsi il
silenzio rifiuto, ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo del
giudizio.

2.
Tale essendo il contenuto della decisione impugnata, l’appello proposto
dall’interessata appare infondato e deve, di conseguenza essere rigettato.

E’
noto, infatti, che il ricorso avverso il
silenzio-rifiuto è diretto ad accertare la violazione dell’obbligo
dell’Amministrazione di provvedere sulla istanza del privato tendente a
sollecitare l’esercizio di un pubblico potere, la sussistenza dell’obbligo di
provvedere e la violazione di tale obbligo in caso di inerzia. Correlativamente, il ricorso avverso il
silenzio rifiuto presuppone che l’amministrazione sia titolare del potere il
cui esercizio venga sollecitato; che il soggetto istante sia titolare di una
posizione qualificata che legittimi l’istanza; che sia stato attivato il
procedimento di formulazione del silenzio mediante notifica di apposita diffida
con assegnazione di un termine (Cons. Stato, Sez. V, 10 aprile 2002 n. 1970).

Il
giudizio sul silenzio rifiuto è, infatti diretto ad
accertare se il comportamento silenzioso in concreto tenuto "violi
l’obbligo dell’Amministrazione di adottare un provvedimento esplicito
sull’istanza del privato"(Cons. Stato, Ad. Plen., 9 gennaio 2002 n. 1).

Per
la configurazione di tale "obbligo" dell’Amministrazione di adottare
un provvedimento esplicito sull’istanza del privato
appare pertanto, necessario che il soggetto istante sia titolare di una
posizione qualificata che legittimi l’istanza, e cioè che le norme che
disciplinano il potere ed il procedimento che regola il suo esercizio assegnino
all’istante una situazione qualificata e differenziata: come, ad esempio,
avviene quando, nell’ambito del procedimento medesimo, venga affidato ad un
soggetto uno specifico potere di proposta, rispetto al quale si configura,
quindi, un dovere altrettanto specifico, per l’Amministrazione, di prendere in
considerazione la proposta, e di rispondere a provvedere in modo esplicito.

Una
situazione del genere non si verifica, invece, nel
caso in esame. L’odierna appellante, in quanto
studentessa dell’Università degli Studi G. D’Annunzio di Chieti
può, infatti, certamente avanzare, in tale qualità, richieste, segnalazioni o istanze al Rettore dell’Università, ai fini dell’esercizio
del suo potere disciplinare; ma a tale potere di segnalazione non corrisponde,
in capo al Rettore, un obbligo giuridico di adottare provvedimenti espliciti
sulla richiesta o sull’istanza, la cui presenza soltanto appare idonea a
configurare il silenzio-rifiuto, e ciò perché le norme che disciplinano
l’esercizio del potere disciplinare invocato non prendono in considerazione in
modo specifico l’attività di denuncia o istanza, ricollegando al suo esercizio
un obbligo di esplicita risposta.

3.
I profili di doglianza addotti dalla appellante non
paiono, d’altra parte, idonei a fondere un diverso avviso.

Così
è infatti di quello con cui si ricorda che la Sig.ra Solferino sarebbe
legittimata a rivolgersi all’Amministrazione Universitaria "con una sorta
di denuncia non formale" degli avvenimenti dei quali la Sig.ra Solferino sarebbe stata
involontariamente partecipe (pag. 4 dell’atto di appello): da una parte,
infatti, la legittimazione ad inoltrare una "denuncia non formale"
all’Università, non attribuisce, come si è visto, al denunciante una posizione
qualificata nell’ambito del procedimento disciplinare; dall’altra, quest’ultimo
non costituisce il luogo o lo strumento di tutela della situazione giuridica
della Sig.ra Solferino,
eventualmente lesa in conseguenza delle denuncie (in ordine alle quali è stata,
peraltro, richiesta l’archiviazione) all’Autorità Giudiziaria, poste in essere
dal Prof. Di Raimondo.

Non
sembrano, d’altra parte, utilmente richiamati nella fattispecie, i profili riguardanti la presunta violazione, da parte del medesimo Prof. Di Raimondo, dei propri doveri di docente e di
pubblico dipendente, o del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici. Il
presente giudizio riguarda, infatti, esclusivamente, l’accertamento
dell’esistenza di un obbligo specifico dell’Università
di adottare un provvedimento esplicito a seguito della segnalazione della Sig.ra Solferino, e non, invece,
la fondatezza della pretesa, e quindi l’esistenza, nel merito, di un illecito
disciplinare del predetto Prof. Di Raimondo.

4.
Le osservazioni sopra esposte evidenziano, altresì, l’infondatezza del secondo
e del terzo profilo di doglianza, con cui l’appellante deduce per un verso, di
essere legittimata a segnalare disfunzioni e problemi nell’esercizio
dell’attività didattica, e dall’altra, che apparirebbe "ben poco
rispondente" all’interesse dell’Ateneo il fatto che l’autorità
Universitaria rimanga inerte nei riguardi della vicenda che ha riguardato la Sig.ra Solferino.

Da
una parte, infatti, il potere di segnalare disfunzioni e problemi
all’Università non attribuisce all’istante una posizione
qualificata nello specifico procedimento disciplinare, che è quello relativo al
potere a suo tempo sollecitato dall’odierno appellante; dall’altro, l’oggetto
del giudizio sul silenzio rifiuto concerne, esclusivamente l’accertamento
dell’obbligo dell’Amministrazione di rispondere, e quindi della legittimità del
comportamento silenzioso, ma non implica alcuna valutazione sull’opportunità
di tale comportamento.

5.
Non appare, poi, pertinente all’oggetto del giudizio la questione prospettata
dall’appellante, della c.d. obbligatorietà dell’azione disciplinare. Nel caso
in esame, infatti, si tratta di stabilire se l’Università dovesse,
o meno, adottare una formale risposta a seguito della segnalazione della Sig.ra Solferino, e non se il
Rettore avesse l’obbligo di iniziare dopo tale segnalazione, il procedimento
disciplinare. La disposizione richiamata dall’appellante, (e cioè
l’art. 59, quarto comma, del d. lgs. n. 29 del 1993), che attribuisce le competenze in ordine
alla contestazione degli addebiti, all’istruzione del procedimento e alle
sanzioni minori all’ufficio competente
ai procedimenti disciplinari, "su segnalazione del Capo della
struttura" presso la quale il dipendente lavora, sembra d’altra parte
escludere che all’inizio del relativo procedimento si debba provvedere
necessariamente a seguito della segnalazione di un soggetto terzo, diverso dal
"capo della struttura".

Il
riferimento alla relazione della "Corte di disciplina" contenuto
nell’atto di appello, appare, poi, idoneo a mettere in
luce l’opportunità che le amministrazioni universitarie si attengono
scrupolosamente alle disposizioni che regolano l’avvio del procedimento
disciplinare e la contestazione degli addebiti, ma non è idoneo a correlare
all’esercizio del potere generale di segnalazione una posizione qualificata
all’interno del procedimento disciplinare, nell’assenza di una disposizione sul
procedimento che provveda in tal senso.

Sotto
questo profilo, esattamente è stato osservato che non può essere, nella
fattispecie, invocata la disposizione di cui all’art. 2 della legge 7 agosto
1990 n. 241, che espressamente correla il dovere di
concludere il provvedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso al
fatto che il procedimento medesimo consegua "obbligatoriamente" ad
una istanza: esito, questo, che non si verifica nel caso in esame.

6.
Deve, infine, essere osservato che non può indurre ad un contrario avviso il
richiamo, operato dall’appellante, con la memoria, alla pronuncia n. 1 del 2002
dell’Adunanza Plenaria: questa, infatti evidenzia
proprio che il giudizio sul silenzio rifiuto è diretto esclusivamente ad
accertare se il silenzio serbato dall’Amministrazione violi l’obbligo di
adottare il provvedimento esplicito richiesto con l’istanza, e non, invece, di
pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa sostanziale.

A
tali principi si è, appunto, attenuto il primo giudice con la sentenza
impugnata.

7.
In conclusione, l’appello deve essere respinto.

La
natura della fattispecie induce, peraltro, il Collegio a disporre la
compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente
pronunciando, respinge l’appello in epigrafe, con conseguenziale
conferma della impugnata sentenza di primo grado.

Compensa
tra le parti le spese processuali.

Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2002, dal Consiglio di
Stato, in sede giurisdizionale – Sez.VI – nella
Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:

Giorgio
GIOVANNINI Presidente

Sergio
SANTORO Consigliere

Alessandro
PAJNO Consigliere Est.

Lanfranco
BALUCANI Consigliere

Rosanna
DE NICTOLIS Consigliere

Depositata
in segreteria in data 10 febbraio 2003.