Lavoro e Previdenza

Wednesday 28 May 2008

Licenziabile dipendente che in malattia svolge un secondo lavoro.

Licenziabile dipendente che in
malattia svolge un secondo lavoro.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Sentenza 31 gennaio – 24 aprile
2008, n. 10706

(Presidente
Ciciretti – Relatore Ianniello)

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 22
dicembre 2004, la Corte
d’appello di Milano, quale giudice del lavoro, su appello di F. C., in parziale
riforma della sentenza del locale Tribunale depositata il 3 giugno 2003, ha annullato il
licenziamento per giusta causa intimato al ricorrente dalla propria datrice di
lavoro X. Italiana s.p.a. con comunicazione scritta in data 5 settembre 2000 –
per avere svolto in un periodo di assenza dal lavoro per malattia, attività
lavorativa presso terzi -, con le conseguenze tutte di cui all’art. 18 della
legge 20 maggio 1970 n. 300, come sostituito dall’art. 1 della legge 11 maggio
1990 n. 108.

La Corte territoriale ha invece
confermato la decisione di primo grado di rigetto delle domande di
riconoscimento della categoria di quadro dall’1 marzo 1993, di pagamento di
alcuni premi aziendali asseritamene maturati nel corso del rapporto di lavoro,
di riconoscimento dell’indennità di maneggio denaro, di rimborso delle spese
fatte nell’interesse della società, di accertamento della pretesa attribuzione
di stok options nonché di risarcimento di danni biologici, all’immagine e alla
professionalità.

Avverso tale
sentenza propone ricorso per cassazione la X. Italiana s.p.a., sviluppando due motivi di ricorso.

Resiste alle domande il C. con un
proprio controricorso.

Motivi della decisione

1 – Col primo motivo, la società
ricorrente denuncia la violazione dell’art. 18 S.L.,
il vizio di motivazione e l’omessa e/o contraddittoria valutazione delle
risultanze istruttorie.

In proposito, la Corte d’appello di Milano
aveva richiamato i principi più volte affermati da questa Corte in materia,
secondo i quali lo svolgimento da parte del dipendente di una
attività lavorativa in proprio o presso terzi durante il periodo di
assenza dal lavoro per malattia costituisce inadempimento contrattuale nei
confronti del datore di lavoro solo allorché tale attività riveli l’inesistenza
della malattia stessa nonché quando essa possa ritardare o pregiudicare la
guarigione e quindi il rientro in servizio del lavoratore.

Nell’ applicare tali principi al
caso in esame, la Corte
territoriale aveva peraltro valutato che il comportamento del C., di
svolgimento di una attività lavorativa nel periodo di assenza dal lavoro per
malattia dal 30 giugno al 30 luglio 200, non realizzasse un grave inadempimento
agli obblighi contrattuali, in ragione del fatto che si era trattato di un
tirocinio presso una farmacia, iniziato già nel 1999, svolto prevalentemente
nelle ore serali, come tale non valutabile come pregiudizievole per la guarigione
o incompatibile con la malattia denunciata ("astenia psico-fisica"
come certificato e confermato in giudizio dal suo medico).

La società contesta tale
valutazione, anche sotto il profilo del vizio di motivazione, deducendo
sostanzialmente che lo stato di prostrazione fisico e
psichico, diagnosticato al dipendente, così come era stato ritenuto dal
medico incompatibile con l’impiego, prevalentemente sedentario, presso la X., avrebbe dovuto logicamente
essere valutato incompatibile anche con l’attività di tirocinio presso una
farmacia della periferia milanese, da ritenere comunque stressante anche perché
svolta prevalentemente nelle ore serali, quelle in cui maggiore è il pericolo
di rapine, la possibile affluenza di drogati, etc..

2 – Con un secondo gradato
motivo, la società X. deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 18
della legge 20 maggio 1970 n. 300, come novellato dall’art. 1 della legge 11
maggio 1990 n. 108 e degli artt. 1223, 1227, 2727 e 2729,
comma 2 cod. civ. nonché dell’art. 112 c.p.c.
in relazione agli artt. 342, 414, 416, 163, 164, 167 e 359 c.p.c..

In proposito, la ricorrente
sostiene che, anche ad ammettere la fondatezza della domanda di impugnazione
del licenziamento, il danno conseguentemente da risarcire ai sensi dell’art. 18
S.L. avrebbe dovuto essere accertato dai giudici in
concreto, tenendo conto dell’aliunde perceptum dal C. nel periodo successivo al
licenziamento, come risultante e comunque desumibile alla stregua degli
elementi acquisiti in giudizio.

Doveva infatti
ritenersi che il C. avesse proseguito nello svolgimento del periodo di tirocinio
regolarmente pagato, divenendo al termine di esso titolare di farmacia, come
del resto oggi risultante avvenuto dal 15 novembre 2001, alla luce di una
recente visura camerale.

Il ricorso è fondato quanto al
primo motivo.

In materia di svolgimento di
altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia, la
giurisprudenza di questa Corte suprema è ormai costante nel ritenere che tale
comportamento può giustificare il licenziamento per violazione dei doveri
generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di
diligenza e fedeltà, oltre che nell’ipotesi in cui l’attività esterna sia di
per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche quando
la medesima attività, valutata ex ante in relazione alla natura della patologia
e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e con essa il rientro del lavoratore in servizio (cfr., al
riguardo recentemente, Cass. 10 luglio 2005 n. 14046).

Il Collegio ritiene peraltro che,
nell’ applicare tale regola al caso in esame, la Corte territoriale abbia
affermato in maniera sostanzialmente apodittica e prevalentemente sulla base di
mere ipotesi, non controllate anche alla luce delle argomentazioni contrarie
della sentenza di primo grado richiamate dalla società, che il lavoro svolto
dal C. negli orari prevalentemente notturni presso una farmacia della periferia
milanese è compatibile con la situazione di astenia che lo aveva fatto ritenere
temporaneamente inidoneo a svolgere l’attività lavorativa di impiegato presso
la datrice di lavoro X. Italiana, senza approfondire in maniera adeguata le
cause della malattia, le caratteristiche proprie di essa, in un passo della
sentenza definita depressione, né le concrete mansioni svolte dal C. sia presso
la X. che presso
la farmacia, tutti elementi di rilevanza decisiva in direzione del duplice
accertamento prima enunciato.

Concludendo, il ricorso va
accolto quanto al primo motivo, con assorbimento del secondo (in ordine al
quale si ricorda peraltro che secondo questa Corte – cfr.,
per tutte, Cass. sez. lav. 28 agosto 2007 n. 18146 – grava sul datore di lavoro
la prova dell’aliquid perceptum dal lavoratore, ai fini della riduzione del
danno accertato come conseguente all’illegittimità del licenziamento, oltre
quello rappresentato dalle cinque mensilità di retribuzione).

La sentenza impugnata va pertanto
cassata, con rinvio, anche per il regolamento delle spese, alla Corte d’appello
di Brescia, che dovrà approfondire, anche alla luce di tutti gli elementi di
fatto indicati, di connotazione della fattispecie, la compatibilità o meno del
lavoro espletato dal dipendente presso terzi con lo stato di malattia
denunciato e la sua idoneità o non idoneità a pregiudicare o ritardare, secondo
un valutazione ex ante, la ripresa del servizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso,
cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello
di Brescia.