Penale

Wednesday 25 June 2003

Le motivazioni della Cassazione che ha bocciato la scarcerazione dei “no global” disposta dal Tribunale di Catanzaro.

Le motivazioni della Cassazione che ha bocciato la scarcerazione dei “no global” disposta dal Tribunale di Catanzaro.

Cassazione – Sezione prima penale (cc) – sentenza 7 maggio-20 giugno 2003, n. 27055

Presidente Teresi – relatori Gemelli e Fazzioli

Pg Veneziano – ricorrente Pg in proc. Solito ed altri

Svolgimento del processo

Con un’unica ordinanza in data 4.11.2002 il Gip del Tribunale di Cosenza applicava misure coercitive nei confronti di Cirillo Francesco, Campenni Antonino, Curcio Anna, Santagata Michele, Azzarita Lidia Mattia Giancarlo, Caruso Francesco Saverio, salvi Claudio, Tallarico Gianfranco, Fonzino Giuseppe, Fonzino

Gianluca, Petruzzi Giancarlo, Orfeo Giuseppe, Rollo Antonio Paolo, Solito Pierpaolo, Stasi Salvatore, Brunetti Antonio Oliva Vittoria e Francioso Lucia indagati, tra l’altro, di cospirazione politica mediante associazione (articolo 305 Cp aggravato ex comma 4 in relazione agli articoli 270, 272 comma 1 e 289 comma 2 Cp).

Sulle richieste di riesame proposte dai singoli indagati il Tribunale della Libertà di Catanzaro, competente funzionalmente ai sensi dell’articolo 309 comma 70 Cpp, provvedeva con separate ordinanze, tutte in data 2.12.2002, con le quali, per quanto qui interessa, revocava parzialmente le misure cautelari ed emetteva altri provvedimenti il cui contenuto non è necessario richiamare ai fini della definizione del giudizio di legittimità, come si preciserà in prosieguo.

Avverso le singole ordinanze ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza deducendo, oltre a motivate censure concernenti la ritenuta insussistenza nei confronti di tutti gli indagati del delitto di cospirazione politica mediante associazione e la violazione dell’articolo 127 commi 30 e 60 Cpp sotto il profilo dell’asserito svolgimento di attività istruttoria non consentita nel corso dell’udienza camerale, due specifiche e particolari censure di carattere procedurale.

Da in lato, infatti, si è dedotta l’inammissibilità di tutte le richieste di riesame per la sistematica violazione degli articoli 582 e 591 Cpp, in quanto il cancelliere addetto alla ricezione delle singole “impugnazioni” non aveva dato atto, né comunque indicato, il nominativo della persona che le aveva presentate; dall’altro, la violazione degli articoli 178 lettera a) Cpp e 25 Costituzione in quanto le decisioni in questione erano state assunte da un collegio giudicante appositamente costituito, previa adozione, da parte del presidente della prima sezione penale de Tribunale di Catanzaro, di un provvedimento al quale erano estranei tutti i giudici appositamente assegnati con specifica desti nazione tabellare, nessuno dei quali risultava mancante o impedito e previa fissazione di un’udienza straordinaria per l’esame soltanto delle predette richieste.

Motivi della decisione

La Corte, preliminarmente, ritiene di disporre la riunione di tutti i ricorsi, siccome afferenti a motivi comuni – salvo rilievi di dettaglio per quanto si riferisce agli indizi di colpevolezza relativi alle singole posizioni personali ‑ avuto riguardo alla identica impostazione delle varie ordinanze di riesame, solo apparentemente distinte, rispetto alle quali appariva più che opportuno, invece, che anche il Tribunale della libertà avesse provveduto alla trattazione congiunta, attesa l’ unicità dell’ordinanza impositiva.

Tanto premesso, va rilevato che preliminare è l’esame della censura relativa all’inammissibilità delle richieste di riesame per violazione dell’articolo 591 n. 1 lettera c) in quanto la sua fondatezza precluderebbe la valutazione degli ulteriori motivi.

Al riguardo è sufficiente rilevare peraltro che sotto lo specifico profilo dedotto,dal Pm ricorrente, la giurisprudenza di questa Corte è decisamente orientata nel senso che non può essere posta a carico della parte ‑ con la conseguenziale sanzione della inammissibilità dell’impugnazione ‑ la inottemperanza di regole che devono essere osservate e rispettate dai funzionari preposti alla ricezione degli atti, in particolare, come nel caso di specie, per quanto si riferisce all’omessa indicazione della identità del presentatore (cfr., tra le altre, Cassazione, sezione prima, sentenza 5579/96 ric. Emmanuello).

A diverse conclusioni ritiene invece il collegio di dover pervenire quanto all’altro motivo di censura.

Sul punto è necessario premettere che nei giorni interessati come risulta dalla documentazione allegata ai motivi di ricorso il Tribunale della libertà di Catanzaro, in una totalmente diversa composizione collegiale, ha regolarmente funzionato, senza che si fosse verificata alcuna necessità di sostituzione di alcuno dei suoi componenti (e, quindi, di un motivo di applicazione o di supplenza); che i provvedimenti adottati ed oggetto dei ricorsi in esame risultano decisi in data 2.12.2002 e che sin dal 23.11.2002 il Presidente della prima sezione penale del Tribunale di Catanzaro aveva adottato un decreto del seguente testuale tenore:

«il presidente, ritenuto che il notevole carico di lavoro del collegio del riesame (che nelle prossime settimane sarà sottoposto ad una pressione notevole a causa della contemporanea esecuzione di numerosi provvedimenti restrittivi, emessi dai vari Gip del distretto e dal Gip distrettuale) richiede l’immediata applicazione di altri magistrati al predetto collegio; applica i giudici della sezione, dr.Bravin, dr.Pavich e se medesimo al collegio del riesame».

Dagli atti allegati al ricorso, ora, non risulta alcuna delega, né del Presidente del Tribunale,né del Presidente della Corte di appello per l’adozione, da parte del Presidente della prima sezione penale, del provvedimento di applicazione in questione, né, tanto meno, per la fissazione dell’udienza straordinaria fissata per il giorno 29.11.2002.

Le questioni prospettate sono incentrate pertanto nel valutare se, in assenza di una qualsiasi delle motivazioni che giustificano la formazione di un collegio totalmente diverso con la conseguente fissazione e trattazione di un’apposita udienza straordinaria e per uno specifico procedimento, ci si trovi soltanto di fronte ad una pluralità di violazioni dell’articolo 33 n. 1 e 2 Cpp in contrasto con quanto stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario, ovverosia ad una nullità assoluta ‑ inquadrabile sub articolo 178 n. 1 lettera a) Cpp ‑ previsione, quest’ultima, da ritenersi non esaustiva se rapportata agli ineludibili precetti recepiti dagli articoli 25 comma 10 e 111 comma 20 della Costituzione, per la realizzazione di un collegio “extra ordinem” e “ad hoc”.

La censura appare fondata ed ha carattere assorbente.

1) Nel complesso delle norme contenute nell’ordinamento giuridico volte ad assicurare il più corretto esercizio dell’attività giurisdizionale, sotto lo specifico profilo della terzietà e dell’imparzialità del giudice, si possono enucleare una pluralità di disposizioni riconducibili, tutte, alla medesima finalità, ma aventi collocazione e grado tra di loro differenti.

Trattasi, per l’esattezza, di norme recepite: a) nelle leggi cosiddette di ordinamento giudiziario; b) nel Cpp; c) nella Carta costituzionale.

Tra queste ultime, aventi grado e valore superiore ed alle quali, pertanto, occorre fare sempre riferimento affinché i non venga eluso il loro carattere non programmatico,,ma indiscutibilmente precettivo, vanno qui richiamati gli articoli 108, 25 e 111 comma 20 della Costituzione che costituiscono le linee guida di quei valori che ‑ ritiene la Corte ‑ non possono essere mai disattesi o travalicati.

Per quel che si riferisce al richiamo all’articolo 108 comma 10 Costituzione è sufficiente qui sottolineare che tale precetto ha un suo specifico campo di applicazione ‑ nell’ambito della problematica in esame ‑ con riferimento ai “criteri e direttive” emanati dal Csm con apposite deliberazioni dell’Assemblea plenaria che, pur nel suo innegabile ruolo di “vertice organizzativo”, segnatamente in materia “gabellare”, non può imporre regole che, superando il ruolo di mera “supplenza” possano porsi “contro” specifiche disposizioni di legge.

Sulle precisazioni ora evidenziate, è appena il caso di mettere in evidenza ora che le tabelle a suo tempo approvate dal Csm, con gli allegati criteri e direttive allegati dal Pm ricorrente, risultano – come è di regola ‑ puntualmente in linea con tutta la vigente normativa, mentre non in violazione di dette regole (riconducibili senza dubbio nell’ambito della disciplina, in genere, dell’ordinamento giudiziario), ma al di fuori delle stesse cioè “extra ordinem”, risulta il provvedimento adottato il 23.11.2002 dal presidente della prima sezione penale quanto alla composizione del collegio ed alla fissazione di apposita udienza per un unico procedimento, tale dovendosi obiettivamente ritenere la separata trattazione, ma in un unico contesto, delle plurime richieste di riesame scaturenti dalla stessa comune ordinanza applicativa delle misure cautelare.

La questione sottoposta all’esame della Corte si incentra pertanto nel valutare se le specifiche censure mosse dal ricorrente si possono ricondurre nell’ambito degli articoli 178 lettera a) e 179 comma 10 Cpp ‑ così come dedotto ‑ ovverosia rientrano sempre in mere violazioni degli articoli 7bis e 7ter dell’ordinamento giudiziario, rispetto alle quali non si considerano attinenti alla capacità del giudice ‑ e non sono suscettibili pertanto di essere sanzionate da nullità assoluta ‑ le disposizioni specificamente richiamate dall’articolo 33 comma 20 Cpp.

A questo punto appare indispensabile una riflessione sulla portata e sulla valenza stessa degli articoli 25 e 111 _comma 20 Costituzione per valutare se, rispetto al non contestabile contenuto precettivo degli stessi, possa considerarsi esaustiva e, quindi rigidamente “chiusa”, la previsione di cui agli articoli 178 n. 1 lettera a) e 179 comma 1 Cpp, oppure se tali norme debbano comunque e sempre essere interpretate alla luce dei principi portanti dei richiamati articoli ed integrarsi con gli stessi.

Ritiene la Corte che debba darsi risposta positiva a tale impostazione.

2) I principi della precostituzione del giudice naturale (articolo 25 Costituzione) e quello, ribadito nel secondo comma dell’articolo 111 Costituzione, del giudice “terzo ed imparziale”, come garanzie primarie ed insostituibili assicurate alle parti e non solo a queste ma anche nei confronti dello stesso giudice per metterlo “al riparo da tentativi di sottrazione della “sua causa”‑ (in tal senso è concorde la migliore dottrina anche costituzionale) hanno in tutta la vigente codificazione processuale una serie di riferimenti normativi i più rilevanti dei quali sono contenuti negli articoli 11 (competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati); 34 e 35 (incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento e incompatibilità per ragioni di parentela, affinità o coniugio); 36 e 37 (astensione e ricusazione); 45 (Rimessione).

Tutte queste norme, infatti, seppur tra di loro nettamente distinte e riferite a situazioni diverse, hanno, a ben vedere, una “ratio” comune: e ciò al di là delle possibili conseguenze riconducibili al loro mancato rispetto.

Tendono infatti inequivocabilmente a dare una compiuta attuazione al principio dell’imparzialità del giudice ed alla sua precostituzione che alle stesse è pertanto immanente.

A “fortiori”, identica riflessione va fatta quanto al precetto contenuto nell’articolo 25 Costituzione – del quale l’articolo 111, in particolare nel novellato comma 20, appare un ineludibile corollario ed al tempo stesso un rafforzativo ‑ in quanto il principio della precostituzione del giudice naturale, affermato nel titolo primo della parte prima della Carta fondamentale, trova ivi la sua particolare collocazione non quale generica affermazione, ma al fine specifico di garantire la certezza del cittadino di vedere tutelati i propri diritti.(cfr.Corte costituzionale 272/98).

Si è osservato al riguardo, da autorevole dottrina, che la Corte, nella decisione ora richiamata e, soprattutto, nella successiva sentenza 419/98, dopo avere messo in evidenza che lo sbarramento operato dal legislatore ordinario con l’articolo 33 comma 20 Cpp trovava la sua giustificazione nel bilanciamento degli interessi in gioco (cfr.Corte costituzionale, 274/74; 135/80; 260/86), tra i quali andava presa in seria considerazione l’efficienza e la funzionalità della giustizia ‑ non ha escluso che la violazione dei criteri, in genere, di assegnazione degli affari fosse priva di rilievo e che «non vi siano,‑ o che non debbano essere prefigurati, appropriati rimedi dei quali le parti possono avvalersi».

Sviluppando ancora le osservazioni che precedono, la dottrina ha posto in evidenza come se è vero che la violazione delle disposizioni sulla composizione dei collegi e sulla destinazione dei giudici alle sezioni siano di regola ininfluenti sulla capacità del giudice, secondo il disposto dell’articolo 33 comma 20 Cpp, è altrettanto vero che non pare possa negarsi che vi siano violazioni alle quali deve invece riconoscersi rilevanza, come nel caso, preso in esame in modo specifico, della costituzione di un collegio ad “hoc” per decidere su una determinata vicenda processuale.

In tale ipotesi, invero, si è affermato, deve ritenersi verificata una vera e propria lesione delle condizioni di capacità del giudice ravvisabile nella “imparzialità” degli organi giudiziari a presidio della quale è posto «non soltanto l’articolo 101 Costituzione ma anche il principio sancito dell’articolo 25 comma 10 della Costituzione».

Certo è che seppur tale opinione non è da tutti condivisa è difficile negare che si possano verificare situazioni obiettive nelle quali le soluzioni specificamente adottate in “subiecta materia” appaiono univocamente elusive dei precetti costituzionali sopra richiamati, ovvero in aperta violazione degli stessi, che, pertanto, ne risulterebbero svuotati di reale contenuto ed efficacia.

3) Le conclusioni cui si perverrebbe nell’attribuire valore assorbente, in ogni caso, alla previsione di cui all’articolo 33 comma 2 Cpp, si appalesano pertanto in contrasto con gli stessi principi costituzionali sopra richiamati, che, seppur nei limiti di osservanza delle regole dettate dal citato “bilanciamento degli interessi in giuoco” restano sempre le linee direttrici fondamentali alla luce delle quali tutte le altre norme vanno lette ed interpretate per dare compiuta attuazione al principio del “giusto processo”.

In definitiva operando la cosiddetta “prova di resistenza”, si dovrebbe convenire che i principi enucleabili dalle norme costituzionali devono avere comunque la prevalenza ed in tale ottica, se del caso, anche gli articoli 178 n.1 lettera a) e 179 comma 1 Cpp vanno letti nel senso che, se è vero che le violazioni poste in essere in materia “tabellare” non possono essere ricondotte nell’alveo delle nullità assolute ‑ giusta lo specifico dettato dell’articolo 33 comma 20 Cpp ‑ è altrettanto vero che esistono e possono esistere atti e/o provvedimenti che solo formalmente sono riconducibili allo schema ora citato, ma che invece, proprio perché realizzati al di fuori dello stesso, vanno qualificati come posti in essere “extra ordinem” e, in quanto tali, rientranti nel novero di quelle nullità previste dagli articoli 178 n. 1 lettera a) e 179 comma 1 Cpp siccome in irriducibile contrasto con i precetti costituzionali in argomento. In definitiva il collegio ritiene di.poter affermare che i principi della “precostituzione del giudice naturale” e della sua “terzietà ed imparzialità” sono tra di loro strettamente collegati e si integrano a vicenda nel quadro di quelle garanzie costituzionali espressamente previste per assicurare al cittadino “un giusto processo”.

Lì dove particolari situazioni e/o particolari provvedimenti vulnerano tali principi stravolgendo le regole di ordinamento giudiziario e processuali (anch’esse preordinate a garantire l’accennata finalità) si verifica una insanabile violazione delle norme costituzionali che non può non trovare una sua specifica sanzione di nullità assoluta da inquadrarsi in un difetto di costituzione del giudice.

4) Nel caso in esame, ora, detta violazione e la conseguente nullità – sia del provvedimento in data 23.11.2002, sia delle ordinanze di riesame successivamente emesse devono ritenersi verificate.

È certo, infatti, ed è documentato negli atti allegati ai ricorsi proposti dal Pm, che nel periodo che interessa (23 novembre /12 dicembre 2002) i “collegi del riesame” precostituiti presso il Tribunale di Catanzaro hanno regolarmente funzionato senza che nel loro ambito si sia verificata alcuna sostituzione o applicazione.

Per la precisione:

a) udienza 26 novembre Pres. Reillo-Commodaro-Pingitore;

b) udienza 28 novembre Pres. Commodoro-Macri-Pingitore;

c) udienza 3 dicembre Pres. Reillo-Commodaro-Pingitore;

d) udienza 5 dicembre Pres. Commodoro-Macri-Pingitore.

Come ha sottolineato ancora il ricorrente, in nessuna altra udienza e/o procedimento vi è stato un collegio con Pres. Salustro e giudici Bravin e Pavich la cui formazione trova pertanto la sua fonte e giustificazione esclusiva nel provvedimento di “autoapplicazione” del Pres. Salustro e di applicazione dei giudici Bravin e Pavich in data 23.11.2002 nel quale, appunto, non si fa cenno alcuno alla necessità di ricorrere ad applicazioni o supplenze nei collegi precostituiti ‑ ancorché con criteri parzialmente diversi da quelli tabellarmente previsti ‑ e nell’ambito dei presupposti richiesti dall’ordinamento.

La successiva fissazione di un’udienza straordinaria per la trattazione di quello che a tutti gli effetti doveva e deve considerarsi un unico procedimento, essendo state proposte le 18 richieste di riesame avverso l’unica, comune ordinanza impositiva ed essendo state definite le stesse in un unico contesto (come d’altra parte ha dovuto fare questa Corte anche nel rispetto del principio ripetutamente affermato del divieto di frammentazione delle valutazioni in fattispecie similari) mette in evidenza che ci si trova di fronte ad un provvedimento ‑ quello del 23 novembre ‑ ed alle successive ordinanze da considerarsi del tutto “extra ordinem” ed in patente violazione degli articoli 25 comma 10 e 111 comma 20 Costituzione.

Le ordinanze impugnate vanno pertanto annullate con rinvio allo stesso Tribunale di Catanzaro che nella prevista composizione tabellare provvederà al nuovo giudizio di riesame.

PQM

La Corte di cassazione, prima sezione penale, visti gli articoli 25 comma 1 e 111 comma 2 della Costituzione, annulla le ordinanze impugnate e rinvia per nuovo giudizio di riesame al Tribunale della Libertà di Catanzaro.