Enti pubblici

Saturday 28 February 2004

Le condizioni per il rimborso delle spese legali sostenute dagli amministratori degli enti locali.

Le condizioni per il rimborso delle spese legali sostenute dagli amministratori degli enti locali.

CORTE DEI CONTI, SEZ. II GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – sentenza 16 febbraio 2004 n. 49 – Pres. T. De Pascalis, Est. A. D’Aversa – (conferma, nei sensi di cui in motivazione, Corte dei conti sezione Emilia Romagna n. 1213/2001).

FATTO

Con delibera n. 163 del 6 maggio 1996 la Giunta comunale di Rivergaro, premesso che, con sentenza del 20 gennaio 1994, la Corte d’appello di Bologna aveva prosciolto, per intervenuta prescrizione, i signori R. Mauro e C. Vincenzo, nonché altri amministratori comunali, dall’imputazione del delitto di cui all’art. 324 C.P (ora 323), e considerato che i predetti R. e C. avevano chiesto il rimborso delle spese legali da loro sostenute per le rispettive difese, decideva di accogliere detta istanza e di liquidare ai medesimi quanto da loro pagato a fronte delle parcelle presentate dai difensori nel predetto processo penale, per l’importo complessivo di Lit. 45.066.958 (di cui Lit. 33.575.160 all’avv. Tabacchi, difensore del R., e Lit. 11.491.798 all’avv. Cella, difensore del C.).

La Procura regionale riteneva tale delibera illegittima, stante il divieto del rimborso di spese legali in presenza di un conflitto di interessi che, nella specie, era agevolmente desumibile dagli atti del procedimento penale. Questo riguardava, infatti, il reato di interesse privato in atti di ufficio, poi assorbito dal 1990 nella norma che sanziona l’abuso di ufficio, in quanto, all’epoca dei fatti, cioè nel 1975, la maggioranza consiliare aveva consentito l’inclusione in zona residenziale edificabile di un terreno appartenente ad alcuni consiglieri ed assessori comunali, con conseguente, e consistente, incremento del valore delle aree per le quali era stato, altresì, approvato un piano edificatorio ad iniziativa privata.

Le sentenze penali, di I e II grado, avevano dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione; tuttavia, nel merito, la Corte d’Appello, pronunciandosi sull’impugnativa dei medesimi che chiedevano l’assoluzione nel merito, aveva escluso, per mancanza di prova, che i consiglieri di maggioranza avessero concorso nell’ingerenza profittatrice, commessa dal loro collega R. Dorino, il quale aveva acquistato le aree in questione mediante un prestanome; riteneva, però, che tale consapevolezza vi fosse stata allorquando essi avevano deliberato la variazione di destinazione delle aree stesse, variazione precedentemente non approvata allorché esse appartenevano a diverso proprietario. Per tale ragione veniva confermata la pronuncia di prescrizione.

Secondo la Procura attrice, dalle sentenze penali emergeva chiaramente che i consiglieri comunali di cui sopra avevano agito in palese conflitto di interesse con l’ente locale, venendo meno, cioè, all’obbligo di imparzialità e di esclusiva cura dell’interesse pubblico della comunità amministrata, dando luogo, invece, ad una modifica del piano regolatore generale al solo scopo di favorire gli interessi dei loro colleghi del consiglio comunale.

La sezione di primo grado, considerato che le sentenze penali non erano di assoluzione piena, cioè di accertamento dell’inesistenza di ogni responsabilità da parte degli imputati, ma decidevano solamente di non potersi procedere a seguito della intervenuta prescrizione, richiamandosi al consolidato orientamento giurisprudenziale al riguardo, ha ritenuto dannosa per le finanze comunali la suindicata delibera di rimborso, ed affetto da colpa grave, se non da dolo, il comportamento, sia dei membri della Giunta comunale che l’avevano adottata, sia del segretario comunale, il quale aveva espresso parere favorevole, condannando, quindi, i seguenti nominativi, al risarcimento, delle somme indicate a fianco di ciascuno dei medesimi:

R. Mauro L. 22.533.480

T. Giuliana L. 15.773.435 (segretario comunale)

T. Gianfranco L. 2.253.347

D. Giuseppe L. 2.253.347

Z. Ivano L. 2.253.347.

Avverso detta sentenza hanno proposto distinti appelli gli interessati basati sui seguenti motivi:

R. (appello n. 14456): chiede il rigetto della pretesa risarcitoria stabilito nella sentenza impugnata in quanto, pur ammettendo l’esistenza del descritto conflitto di interessi, afferma che il suo comportamento non sarebbe caratterizzato da colpa grave, ma da negligenza scusabile. In via subordinata, chiede che si tenga comunque conto, mediante l’esercizio del potere riduttivo, di tale dedotta circostanza.

In relazione a tale impugnativa la Procura generale ha presentato appello incidentale nel quale, premesso il rigetto dell’appello proposto dal R., e la conferma della condanna di tutti i soggetti convenuti in primo grado, chiede, che, in parziale riforma della sentenza di I grado e in difformità del suo dispositivo, venga statuita una diversa ripartizione tra i corresponsabili del danno da risarcire, attribuendo, comunque, al sindaco R. una quota non inferiore a quanto da lui medesimo illegittimamente percepito a titolo di rimborso.

T. (appello n. 14565) sostiene l’equiparabilità della sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 531 e 129 c.p.p. alla sentenza di assoluzione ex art. 530 c.p.p.; precisa al riguardo che, in assenza di ricostruzione negativa dei fatti operata in sede amministrativa, la sentenza penale di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, legittimava il rimborso delle spese legali sostenute dagli imputati prosciolti, anche per onorare il principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza enunciato dall’art. 27 della Costituzione.

Sottolinea, altresì, l’assenza dell’elemento soggettivo della colpa grave richiamando alcune sentenze di questa Corte che hanno indicato gli elementi dai quali può desumersi l’esistenza di un comportamento gravemente colpevole e lamenta l’omessa applicazione dell’art. 1, comma quinquies, della Legge n. 20/94.

Chiede, infine, che, nella denegata ipotesi di conferma della sentenza impugnata, sia dichiarata la responsabilità principale del R. attribuendo, alla T., quella sussidiaria. Chiede, in subordine, l’applicazione del potere riduttivo.

T. D. e Z. (appello n. 14704) sostengono, in primo luogo, la erronea valutazione sia della legittimità della delibera n. 163/96, sia dell’elemento soggettivo degli appellanti.

Lamentano poi l’eccessività degli importi della condanna a loro carico, concludendo con la richiesta di proscioglimento e, in via subordinata, l’uso del potere riduttivo, non utilizzato in primo grado.

Da parte sua la Procura Generale, nel proprio atto conclusionale, contesta i motivi di appello precisando, riguardo al problema del rimborso delle spese legali, che, pur mancando, nell’ordinamento, una norma specifica che regoli i rapporti patrimoniali tra il Comune ed i suoi amministratori, la costante giurisprudenza di questa Corte ha escluso che coloro che sono investiti di una carica pubblica e che agiscono per conto o nell’interesse del soggetto giuridico da loro amministrato, possano subire gli effetti dannosi conseguenti alla loro attività; di conseguenza i componenti degli organi degli Enti pubblici, hanno diritto a ricevere il rimborso delle spese sostenute ed il risarcimento dei danni sofferti per adempiere il loro mandato.

Ricorda il Procuratore Generale che anche il Consiglio di Stato, è giunto ad analoga conclusione richiamandosi all’art. 1720 del c.c, secondo il quale il mandante deve rimborsare al mandatario le spese da quest’ultimo sostenute per l’adempimento dell’incarico svolto, nonchè i danni eventualmente subiti.

Tuttavia, il medesimo giudice amministrativo ha circoscritto la possibilità di tale rimborso ai soli casi in cui sia stata incontestabilmente accertata la mancanza di responsabilità dei soggetti che hanno sostenuto le spese legali e anche questa Corte ha escluso che possa procedersi al rimborso de quo in caso di proscioglimento adottato con formule processuali non pienamente liberatorie.

Nel caso di specie, rileva la parte concludente, la sentenza penale è stata emessa a causa dell’intervenuta prescrizione dopo aver constatato l’esistenza di prove di colpevolezza degli imputati che non consentivano, come chiedevano gli interessati, il proscioglimento nel merito e la loro assoluzione piena.

Ritiene, altresì, inconferente il richiamo alla presunzione di innocenza e non accettabile la pretesa difficoltà della valutazione della sentenza della Corte d’appello ai fini della legittimità del rimborso e respinge il richiamo alla buona fede di tutti coloro che approvarono la delibera di cui trattasi.

Conclude per il rigetto dei gravami proposti, fatta salvi i diversi profili relativi ad una diversa ripartizione del danno tra i corresponsabili, e le conseguenti statuizioni in ordine alle spese del giudizio a carico degli appellanti.

Nella pubblica udienza, assenti i difensori degli appellanti, il P.M. ha richiamato sia le conclusioni emesse dalla Procura Generale nei confronti degli appelli, sia l’appello incidentale proposto dalla parte pubblica.

DIRITTO

In via preliminare si deve provvedere alla riunione, ai sensi dell’art. 335 c.p.c. di tutti gli appelli presentati dai destinatari della sentenza indicata in epigrafe.

Passando quindi al merito si osserva che la giunta comunale ha deliberato il rimborso delle spese legali, sostenute dai signori R. e C. in data 6 maggio 1996, di molto successiva, quindi, alle vicende per cui era stato instaurato il giudizio penale, risalenti al 1975.

Il fatto che molti degli odierni appellanti non abbiano avuto alcun ruolo nelle suddette vicende, come rappresentato nelle impugnative è, tuttavia, con ogni evidenza, del tutto irrilevante in questa sede dove ad essere giudicata è solo la legittimità del comportamento tenuto dai medesimi nell’ approvare la delibera di rimborso del 1996. È vero che, in precedenza, il rimborso era stato approvato dal Consiglio comunale e che la delibera relativa, cioè la n. 30/95, era rimasta ineseguita poiché il CORECO aveva rilevato che il provvedimento era da censurare in quanto di competenza della giunta, sia per errata imputazione di bilancio. Ma tale circostanza, addotta dagli appellanti quasi ad addossare al rilievo del CORECO la responsabilità della loro decisione, è palesemente improponibile, data la diversità delle competenze e delle funzioni dei due organi.

In realtà essi, di fronte alle domande di rimborso dovevano unicamente accertare se, alla luce del disposto e della motivazione delle sentenze, esistevano le condizioni per procedere nel senso richiesto. Dovevano, cioè, aver presente che la sentenza penale di I grado aveva dichiarato la prescrizione del reato del quale erano stati accusati i due nominativi suindicati; che gli stessi avevano impugnato detta sentenza per ottenere l’assoluzione, nel merito, dall’imputazione e che il giudice dell’appello aveva precisato, tenuto conto dello svolgimento dei fatti rappresentati, di non poter dichiarare la loro mancanza di responsabilità penale, per cui confermava l’intervenuta prescrizione, già dichiarata in primo grado.

Di fronte a tali pronunce non si vede come sia possibile, da parte degli appellanti, asserire che la delibera è stata adottata in omaggio al principio della presunzione di innocenza (appello T.) o per non conoscenza dei fatti oggetto delle pronunce dei giudici penali (appello T., D. e Z.) quasi che avessero il potere, o il dovere, o la necessità di riesaminare il contenuto del processo penale.

Gli attuali appellanti dovevano, invece, solo prendere atto che la pronuncia dei giudici penali si era limitata a dichiarare l’intervenuta prescrizione e non era, quindi, di assoluzione piena per le soprariportate considerazioni del giudice dell’appello in merito alla condotta dei due imputati, ed è lecito presumere che gli appellanti abbiano letto detta sentenza prima di adottare la delibera in questione.

Anche questo Collegio ritiene, pertanto, che sussiste la piena responsabilità degli appellanti in ordine a quanto loro contestato in primo grado.

Né sono rinvenibili elementi utili ad attenuare detta responsabilità in quanto, con ogni evidenza, hanno dolosamente perseguito l’illecito scopo di rimborsare le spese legali sostenute dal R. e dal C. in conseguenza della loro chiamata in giudizio per aver abusato del loro Ufficio.

Non sono utili, in proposito, data la loro manifesta infondatezza, i richiami alla decisione del CORECO o alla asserita non conoscenza, da parte degli appellanti T., D. e Z., della questione che aveva dato origine al processo penale.

Si aggiunga, per quanto riguarda l’appellante R., che egli, essendo direttamente interessato alla vicenda, in quanto imputato del reato dal quale era stato prosciolto per prescrizione e postulante il rimborso, non doveva nemmeno partecipare alla delibera con cui è stata accolta tale richiesta, per evidente conflitto di interesse con l’Ente chiamato ad accollarsi la spesa.

La condanna deve altresì essere confermata anche nei confronti del segretario comunale, Giuliana T., in quanto ha espresso parere favorevole all’adozione della delibera in questione. Detta responsabilità deve essere giudicata diretta, e non meramente sussidiaria, in quanto la manifestazione del parere, obbligatoria per la legislazione all’epoca vigente, e che fu favorevole, è stata espressione della sua diretta ed autonoma volontà.

Per le suindicate ragioni debbono essere rigettati gli appelli dei signori R., T., T., D. e Z. avverso la sentenza n. 001213/01/EL del 25 giugno 2001 della Sezione giurisdizionale per l’ Emilia Romagna.

Deve, viceversa, trovare accoglimento l’appello incidentale della Procura Generale avverso la suddetta sentenza, nella parte in cui ha ripartito, tra i condannati, le rispettive e personali responsabilità.

Si osserva, infatti, che la sentenza di primo grado, pur avendo ritenuto che il R., a causa del conflitto di interessi di cui si è fatto cenno in precedenza e del suo diretto coinvolgimento nella vicenda penale, fosse il maggior responsabile del danno, lo ha poi condannato a risarcire la somma di Lit. 22.533.480, inferiore, cioè, a quella di Lit. 33.575.160, percepita a titolo di rimborso di quanto corrisposto al proprio difensore.

Tale decisione non appare condivisibile in quanto il medesimo, pur avendo deliberato un rimborso a proprio favore, sarebbe, poi, chiamato a risarcire al Comune una somma inferiore a quella a lui medesimo illecitamente rimborsata.

Poiché tale conseguenza non appare in alcun modo ragionevole, e comunque non accettabile, va stabilito che, restando confermato in euro 23.275,14 (pari Lit. 45.066.958) l’ammontare complessivo del danno da risarcire al Comune di Rivergaro, va stabilito in euro 17.340,00 (pari a Lit. 33.575.160) l’importo posto a carico del R., mentre la restante cifra di euro 5.935,02 (pari a Lit. 11.491.798) dovrà essere ripartita tra gli altri condannati secondo i criteri adottati dal giudice di primo grado e, quindi, specificamente, ad euro 3.610,96 la T. e ad euro 774,69, per ognuno degli altri tre appellanti, Tranelli. D. e Z..

P.Q.M.

La Corte dei conti, sezione seconda giurisdizionale centrale, definitivamente pronunciando, previa riunione degli appelli in epigrafe

Respinge

Gli appelli proposti dai signori Mauro R., Giuliana T., T. Gianfranco, D. Giuseppe e Z. Ivano avverso la sentenza n. 01213/2001 della Sezione giurisdizionale per la regione Emilia Romagna, che resta in tal modo confermata relativamente alla condanna al risarcimento della complessiva somma nella stessa indicata;

Accoglie

l’appello incidentale proposto dalla Procura Generale avverso la medesima sentenza e, a parziale modifica della stessa, determina in euro 17.340,00, la quota da risarcire da parte del R., in euro 3.610,96 quella a carico della T. e in euro 774,96 quella a carico di ognuno degli altri tre appellanti, T., D. e Z., oltre gli interessi a decorrere dal 14 giugno 1996.

Restano a carico dei medesimi le spese anche del presente grado del giudizio, che si liquidano in euro 475,94 (quattrocentosettantacinque/94).