Civile

Thursday 04 March 2004

La sola esistenza di una denuncia non è motivo per negare la regolarizzazione degli extracomunitari. TAR SICILIA, SEZ. STACCATA CATANIA, SEZ. II – sentenza 12 febbraio 2004 n. 204

La sola esistenza di una denuncia non è motivo per negare la regolarizzazione degli extracomunitari.

TAR SICILIA, SEZ. STACCATA CATANIA, SEZ. II – sentenza 12 febbraio 2004 n. 204

Dr.SALVATORE SCHILLACI Presidente – Dr.PANCRAZIO MARIA SAVASTA Primo Ref. , relatore

Poidimani Raffaele contro Prefettura di Siracusa

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Reg.sent: 204/04

Reg.Gen:5171/2003

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia

Sezione staccata di Catania

SECONDA SEZIONE

adunato in Camera di Consiglio con l’intervento dei Signori Magistrati: Dr.SALVATORE SCHILLACI Presidente – Dr.PANCRAZIO MARIA SAVASTA Primo Ref. , relatore – Dr.MICHELANGELO FRANCAVILLA Ref. ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 5171/2003 proposto da:

POIDIMANI RAFFAELE , rappresentato e difeso da CARUSO AVV. FRANCESCO con domicilio eletto in CATANIA VIA ADUA, 29 presso CARUSO NADIA

contro

PREFETTURA DI SIRACUSA rappresentata e difesa da: AVVOCATURA DELLO STATO con domicilio eletto in CATANIA VIA VECCHIA OGNINA, 149 presso la sua sede

per l’annullamento

del decreto, prot. n. 282/2003/ELI emesso dal Prefetto di Siracusa in data 25.6.2003, non notificato al ricorrente, con il quale è stata rigettata l’istanza da questi prodotta nei termini intesa a regolarizzare – ai sensi dell’art. 1 D.L. 9.9.2002 n. 195, la posizione del lavoratore subordinato extracomunitario EL HAJRA MOHAMED;

Visto il ricorso introduttivo del giudizio;

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;

Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato,

Visto l’atto di costituzione in giudizio del PREFETTURA DI SIRACUSA

Udito nella Camera di Consiglio del 29 Gennaio 2004 il relatore Primo Ref. PANCRAZIO MARIA SAVASTA

Uditi gli avvocati come da verbale;

Vista la documentazione tutta in atti;

Visto l’art 21, u.c., della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034;

Visto l’art. 21 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, nel testo modificato dall’art. 3 della L. 21 luglio 2000, n. 205, in base al quale, nella camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare, il Tar può definire il giudizio nel merito, a norma dell’art. 26 della stessa legge n. 1034/1971 (nel testo modificato dalla L. n.205/2000);

Accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria e sentite sul punto le parti costituite;

Premesso quanto rappresentato nell’atto introduttivo del giudizio, notificato il 14.11.2003 e depositato il 15.12.2003 ;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue

FATTO E DIRITTO

I. Il ricorrente, avvalendosi delle disposizioni di cui alla legge 9.10.2002 n.222, ha presentato domanda di legalizzazione di lavoro irregolare a favore di El Hajra Mohamed.

Con decreto, prot. n. 282/2003/ELI del 25.6.2003, il Prefetto di Siracusa ha rigettato detta istanza adducendo, come motivazione, la pendenza a carico del menzionato lavoratore extracomunitario di una denuncia per delitto non colposo di cui all’art. 468 c.p., per il quale è previsto l’arresto facoltativo in flagranza.

Con ricorso, notificato il 14.11.2003 e depositato il 15.12.2003, il ricorrente ha impugnato detto provvedimento.

Il gravame è stato supportato dalle seguenti considerazioni in diritto:

ILLEGITTIMITÀ DEL PROVVEDIMENTO IMPUGNATO PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1 COMMA 8 DECRETO LEGGE 9.9.2002 N. 195 CONVERTITO IN L.9.10.2002 N. 222.

I provvedimenti impugnati sarebbero fondati su una lettura non corretta della norma calendata, in quanto si riferiscono esclusivamente all’esistenza di una denuncia senza tenere conto della possibilità che, nei tempi richiesti dalla giustizia, il procedimento penale possa concludersi con esiti favorevoli al ricorrente.

II. Il Collegio, come già chiarito in precedenza (cfr. TAR Catania, II, 16.10.2003 n. 1604), ritiene che i rilievi mossi all’operato dell’Amministrazione debbano essere condivisi.

L’art. 1, comma 8, lett. c) della L. 222/2002 stabilisce l’impossibilità della regolarizzazione del rapporto di lavoro ove i lavoratori extracomunitari “risultino denunciati per uno dei reati indicati negli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, salvo che il procedimento penale si sia concluso con un provvedimento che abbia dichiarato che il fatto non sussiste o non costituisce reato o che l’interessato non lo ha commesso, ovvero nei casi di archiviazione previsti dall’articolo 411 del codice di procedura penale”. Il dettato normativo, seppur incerto nella sua formulazione, non sembra al Collegio possa interpretarsi secondo l’accezione dell’Amministrazione resistente, posto che lo stesso non si limita a stabilire l’impossibilità di regolarizzazione, ma anche che il proscioglimento del denunciato obbliga, ove non vi siano altri motivi ostativi, all’assenso amministrativo.

La suddetta interpretazione appare quella più corretta, intanto, sotto l’aspetto logico, posto che, aderendo all’impostazione apparentemente letterale seguita dall’Amministrazione, risulterebbero sforniti di tutela tutti gli extracomunitari anche a fronte di strumentali ed infondate denunce, in quanto ritenute, quindi, già sufficienti a paralizzare definitivamente l’interesse alla regolarizzazione.

L’interpretazione prospettata dall’Amministrazione, inoltre, contrasterebbe palesemente con l’art. 3 della Cost., in quanto consentirebbe una disparità di trattamento legata ad eventi del tutto indipendenti dal soggetto interessato.

A tal proposito è sufficiente osservare che l’esito finale negativo del procedimento di legalizzazione, se collegato alla semplice denuncia e non all’esito finale del processo, conduce a penalizzare i “denunciati” che non hanno potuto beneficiare della celebrazione di un processo rapido perché ricadente in Uffici giudiziari particolarmente oberati di lavoro e, quindi, costretti a dare risposte in tempi diluiti.

In altri termini, legare l’ammissione al beneficio (rectius: il mancato “definitivo” diniego) alla rapida definizione positiva del giudizio (unica che potrebbe, secondo l’Amministrazione resistente, caducare l’effetto della denuncia), significa discriminare gli extracomunitari a seconda del ”luogo della celebrazione del processo” e/o delle possibilità dell’organo procedente o di circostanze occasionali quali, ad esempio, il numero dei coindagati (che, se notevole, normalmente comporta difficoltà di accertamento e, quindi, dilatazione dei tempi processuali).

Anche l’iter formativo seguito dalla norma appare confortare tale tesi.

La lettera c) del comma 8 dell’art. 1 della L. 222/2002, nella sua stesura originaria, prima della conversione in legge del d.l. n. 195/2002, non prevedeva l’ipotesi di divieto di diniego di reiezione dell’istanza di legalizzazione legata ai casi di archiviazione previsti dall’articolo 411 del codice di procedura penale.

L’introduzione di detto inciso, in effetti, appare ricca di significato, ove si osservi che, indipendentemente dalle ipotesi di archiviazione stabilite dal citato art. 411 c.p.p., in detta circostanza, ai sensi del successivo art. 414 c.p.p., è possibile la riapertura delle indagini su richiesta del pubblico ministero motivata dalla esigenza di nuove investigazioni.

Ciò significa che la paralisi del diniego di legalizzazione, diversamente da quanto stabilito nell’impostazione originaria della norma in esame, può essere legata anche a fasi prodromiche del processo non dotate, quindi, dell’idoneità di acquisire il crisma di definitività, collegato unicamente dalla sussistenza di un provvedimento che abbia dichiarato che il fatto non sussiste o non costituisce reato o che l’interessato non lo abbia commesso.

Detta interpretazione appare, in ultimo, coerente con l’art. 27 della Costituzione, posto che la pendenza del procedimento penale, per altro senza l’acquisizione della qualifica di imputato, non sembra consentire effetti negativi “definitivi”, sia pur nei confronti dello straniero.

Con detta affermazione il Collegio non intende concludere che al Legislatore, in dipendenza del dettato costituzionale sopra richiamato, sia preclusa di per sé la possibilità di impedire effetti favorevoli a spessore esclusivamente amministrativo (quale si configura il caso per cui è ricorso) nelle ipotesi in cui vi siano procedimenti penali in corso.

La Sezione, però, osserva che, accogliendo l’interpretazione fornita dall’Amministrazione con il provvedimento impugnato, verrebbe rovesciato il principio contenuto in detta norma, secondo cui l’imputato (ed in questo caso, si ribadisce, trattandosi di mera denuncia, addirittura in asseza dell’acquisizione di detta qualifica) si presume innocente sino alla condanna definitiva.

Conclusivamente, il Collegio ritiene che una interpretazione adeguatrice al chiaro dettato costituzionale dell’art. 1, comma 8, della L. 222/2002 conduca, senza necessità di remissione degli atti al Giudice delle Leggi, all’accoglimento del gravame e, quindi, all’annullamento degli atti impugnati.

La novità della questione suggerisce di compensare integralmente tra le parti le spese ed onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania – Sezione seconda accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Catania, nella Camera di consiglio del 29.1.2004.

L’Estensore Il Presidente

F.to Pancrazio Maria Savasta F.to Salvatore Schillaci

Depositata nella Segreteria

del T.A.R.- Sez. di Catania

oggi 12-02-2004