Penale

Monday 28 February 2005

La sentenza della Cassazione sul caso Erra SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE I PENALE – Sentenza 28 gennaio 2005 -22 febbraio 2005 n. 6775

La sentenza della Cassazione sul caso Erra

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE
I PENALE – Sentenza 28 gennaio 2005 -22 febbraio 2005
n. 6775

RITENUTO IN FATTO

1.– La sera di sabato 28 settembre
2002 il padre di (omissis) denunziava la scomparsa della figlia, studentessa
quattordicenne, uscita di casa alle ore 15,30 circa.
Il primo elemento utile per le indagini era costituito da un messaggio SMS,
pervenuto la mattina successiva al cellulare del fratello (omissis), con il
quale (omissis) comunicava che stava con “T.”, cioè
con (omissis) cui era legata sentimentalmente, e che non intendeva tornare a
casa. Il messaggio si rivelava però fuorviante e opera di altri
soggetti perché il (omissis) in quel momento si trovava coi familiari nella
caserma dei Carabinieri. Si accertava anche che il messaggio era stato inviato
da una cabina telefonica stradale di Leno mediante una scheda prepagata smarrita dal titolare nello scorso agosto a Iesolo, località in cui era in vacanza la famiglia B. pure
residente a Leno nei pressi dell’abitazione della famiglia P.. In effetti, la
perquisizione domiciliare eseguita il 4 ottobre portava al rinvenimento della
scheda telefonica in possesso del sedicenne (omissis), la cui tessera SIM
risultava peraltro essere stata utilizzata per fare due telefonate dal
cellulare di (omissis) dopo le ore 15,47 del 28 settembre.

Il (omissis) confessava di avere
ucciso (omissis) con un coltello e accompagnava i
Carabinieri presso un vecchio e abbandonato cascinale -la cascina E.- alla
periferia di Leno, indicando lo sgabuzzino sito al primo piano, ove era stato
trascinato e giaceva il cadavere della ragazza. La polizia giudiziaria
documentava fotograficamente e procedeva al
campionamento di diverse fascette autobloccanti e di
numerose macchie di sangue presenti nei diversi locali, sulla base delle quali
e dei rilievi medico-legali i Carabinieri del RIS avrebbero
poi enucleato la verosimile ipotesi ricostruttiva
degli eventi, fatta propria dai giudici di merito. Il (omissis) faceva altresì
rinvenire presso un’altra cascina i jeans e la giacca
di (omissis), due rivestimenti del cellulare della stessa, due fazzoletti
sporchi di sangue e una confezione di fascette, oltre un grosso coltello di
acciaio per cucina. Gli accertamenti medico-legali individuavano sul corpo
della ragazza quattro lesioni da punta e taglio, compatibili col coltello
sequestrato, di cui due mortali all’emitorace
anteriore e posteriore sinistro, una pure potenzialmente letale al collo ma
provocata in limine vitae e un’altra alla regione lombare sinistra, oltre ad
una ferita toracica più superficiale ed a numerose contusioni, escoriazioni,
ecchimosi e ferite da difesa.

Coinvolto dal (omissis) nella
vicenda, il giovane amico (omissis) faceva a sua volta il nome di un terzo
minorenne, (omissis), ed entrambi facevano quindi il
nome dell’odierno imputato, Giovanni E., residente di fronte all’abitazione P.,
cui attribuivano un preciso ruolo nella dinamica dei fatti, sia nella fase
deliberativa che in quella esecutiva. Esaminato su sua richiesta dal G.i.p., all’esito dell’audizione
del (omissis) e del (omissis) in sede di incidente probatorio, l’E. rendeva
parziali ammissioni circa la partecipazione all’incontro preliminare, in cui si
era progettato di portare con un pretesto (omissis) nella cascina abbandonata
per abusarne sessualmente, e la sua effettiva presenza nella medesima cascina
il pomeriggio del 28 settembre.

Dall’analisi delle tracce ematiche
rinvenute all’interno della cascina il R.I.S. dei
Carabinieri enucleava infine l’ipotesi di ricostruzione sequenziale degli
avvenimenti, posta a base della prospettazione accusatoria.

1.1.- Tenuto conto della sostanziale
coerenza tra le risultanze delle indagini tecniche e
degli accertamenti medico-legali, le parziali ammissioni dell’imputato e il
nucleo fondamentale delle dichiarazioni accusatorie degli imputati minorenni
(omissis) e (omissis), il G.u.p. del Tribunale di
Brescia, investito del rito abbreviato, riteneva provata la presenza fisica e
la partecipazione diretta dell’E. a tutte le cadenze principali del fatto
criminoso e lo dichiarava colpevole dei delitti di violenza sessuale di gruppo
e di sequestro di persona, unificati nel vincolo della continuazione, nonché
del delitto di omicidio pluriaggravato, oltre che del reato di spaccio di
sostanze stupefacenti, condannandolo, negate le attenuanti generiche e con la
diminuente del rito, alla pena dell’ergastolo, oltre al risarcimento dei danni
a favore dei genitori di (omissis), costituitisi parti civili.

1.2.- La Corte di assise
di appello di Brescia, disattese le eccezioni difensive di inutilizzabilità
delle dichiarazioni parzialmente confessorie rese dall’E. al G.i.p. e respinte le istanze di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale, pur ribadendo la tesi della partecipazione
diretta dell’imputato alle principali cadenze della vicenda criminosa,
accoglieva parzialmente l’appello dell’imputato relativamente all’esclusione
delle aggravanti dell’omicidio di cui agli artt. 576, comma
1 nn. 1 e 5, e 577, comma 1 n. 4, in
relazione agli artt. 61 nn. 1 e 2 c.p., sull’assunto che:
l’aggravante dell’art. 576 comma 1 n. 5 si riferisce a figure di reato, quelle
degli artt. 519-520-521, ormai espunte dall’ordinamento a seguito della riforma
dei reati sessuali di cui alla legge n. 66 del 1996, e in ogni caso la violenza
sessuale di gruppo costituisce una fattispecie autonoma a concorso necessario,
rispetto alla quale non è dato rinvenire continuità normativa con le ipotesi
abrogate; non era configurabile né provata la finalizzazione dell’omicidio all’occultamento
dell’abuso sessuale o ad assicurarsi l’impunità dal medesimo reato, poiché la
situazione era ormai uscita di controllo a causa
dell’improvvisa furia omicida del (omissis); la futilità del motivo, pertinente
alla condotta del materiale esecutore a fronte della reazione ingiuriosa della
vittima, non si comunicava per il suo carattere soggettivo al coimputato. Di
talché, con sentenza del 26/5/2004 la Corte distrettuale, concesse le
attenuanti generiche ritenute equivalenti alla residua aggravante della
crudeltà di cui all’art. 61 n. 4 c.p., riduceva la pena ad anni 20 di reclusione (p.b. per l’omicidio anni 23 + anni 7 per il concorrente
reato continuato di sequestro di persona e violenza sessuale + anni 2 per il
reato di spaccio di stupefacenti = anni 32, ridotti ex art. 78 c.p. ad anni 30
– 1/3 per il rito abbreviato = anni 20), con conseguente revoca della
pubblicazione della sentenza e limitazione di durata pari a quella della pena
detentiva delle pene accessorie dell’interdizione legale e della sospensione
della potestà genitoriale; confermava nel resto la decisione di primo grado.

2.- Avverso la predetta sentenza
hanno proposto distinti ricorsi per cassazione il difensore dell’imputato e il
P.G. presso la Corte
d’appello di Brescia, cui hanno fatto seguito note di replica del primo e
memoria difensiva del procuratore speciale delle parti civili.

2.1.- Il difensore dell’imputato,
dopo avere ribadito l’eccezione di inutilizzabilità
delle dichiarazioni rese dallo stesso davanti al G.i.p.
all’esito dell’incidente probatorio fissato per l’audizione del (omissis) e del
(omissis), nonché criticato la denegata rinnovazione dell’istruzione probatoria
mediante il riesame dei coimputati minorenni e la perizia psichiatrica sulla
fragile personalità dell’E., ha dedotto la manifesta illogicità della
motivazione in ordine alla individuazione del ruolo e dello specifico
contributo concorsuale dell’imputato. Le sequenze fattuali sarebbero state
ricostruite e la sua partecipazione alla vicenda criminosa affermata in forza di elementi indiziari inattendibili, incerti e congetturali,
in particolare circa l’apporto operativo consistito nell’ostacolare la fuga
della vittima e nel prestare aiuto all’aggressore determinato ad ucciderla. In
ogni caso, quantomeno ai fini dell’ipotesi subordinata della diminuente di cui
all’art. 116 c.p., secondo
l’alternativa ricostruzione dei fatti prospettata dalla difesa del ricorrente,
l’eventuale presenza dell’E. nella cascina si sarebbe verosimilmente verificata
quando la vittima era già stata colpita a morte e trovavasi
accasciata per tE. ai piedi della scala, mentre la
furibonda reazione del (omissis), in preda ad una furia omicida, segnava ormai
“un’invalicabile cesura tra gli atti sessuali e la deviazione da essi verso
approdi nemmeno immaginati”, diversi e più gravi rispetto al reato voluto,
oltre ogni possibilità di intervento dell’E. per arrestare l’esecuzione omicidiaria. Ha denunziato inoltre la difesa dell’imputato
l’erronea applicazione dell’aggravante della crudeltà, poiché le efferate e
atroci modalità esecutive dell’omicidio, per il loro contenuto soggettivo, appartenevano esclusivamente alla sfera morale del
(omissis), determinato da una ormai incontenibile furia ad uccidere (omissis),
dalla quale era stato deriso e insultato. Quanto al sequestro di persona, se ne è contestata la coesistenza con il delitto di violenza
sessuale, la quale avrebbe comportato di per sé una transitoria e funzionale
limitazione della libertà di movimento della vittima, senza un’apprezzabile soluzione
di continuità fra i segmenti dell’azione. Infine, sono stati censurati l’omesso
riconoscimento dell’attenuante della minima importanza della partecipazione
alla vicenda criminosa ex art. 114 c.p. e l’erroneo giudizio di
equivalenza fra le attenuanti generiche e l’unica, residua aggravante.

Il difensore delle parti civili ha
replicato censurando l’inammissibilità del ricorso dell’imputato, essendosi
questi limitato a proporre una ricostruzione alternativa degli eventi non
consentita in sede di legittimità ovvero ad avanzare richieste manifestamente
infondate.

2.2.- Il P.G. presso la Corte d’appello di Brescia
ha dedotto a sua volta:

a) la manifesta illogicità della
motivazione quanto all’esclusione per l’omicidio dell’aggravante del nesso
teleologico, sul rilievo che l’uccisione della ragazza aveva l’obiettivo di
procurarsi l’impunità dai delitti di sequestro di persona e di violenza
sessuale facendo tacere per sempre la vittima, sul cui corpo, pure in assenza
di segni dei palpeggiamenti, erano comunque visibili
le tracce lesive (tagli, graffi, ecchimosi) dell’aggressione subita;

b) l’erronea applicazione della legge
penale quanto all’esclusione per l’omicidio dell’aggravante di cui all’art.
576, comma 1 n. 5, c.p. in relazione al contestuale delitto
sessuale di gruppo, attesa la prospettata continuità (non solo delle
tradizionali condotte di violenza sessuale descritte negli artt. 609-bis e 609-ter, ma anche) della speciale e concorsuale figura
criminosa di cui all’art. 609-octies rispetto alle abrogate fattispecie di cui
agli artt. 519-520-521, tuttora richiamate dall’art. 576 per un mero difetto di
coordinamento legislativo, con l’ulteriore conseguenza
che l’illecito sessuale, degradato ad aggravante dell’omicidio, sarebbe in
questo assorbito componendo la figura del reato complesso di cui all’art. 84 c.p.;

c) l’erronea applicazione della legge
penale quanto all’esclusione per l’omicidio dell’aggravante dei motivi abietti
e futili, ritenuta per il suo carattere soggettivo
propria del (omissis) e non estensibile al coimputato E., che pure aveva
contribuito al risultato finale condividendo consapevolmente gli sviluppi
dell’azione esecutiva del primo.

Ha postulato quindi il P.G. una
rinnovata valutazione delle circostanze aggravanti erroneamente escluse e un
nuovo giudizio di comparazione tra le stesse e le attenuanti generiche, la cui
concessione a favore dell’imputato non è stata tuttavia contestata.

All’atto di impugnazione
del rappresentante della pubblica accusa ha replicato la difesa dell’imputato,
ribadendo la tesi della discontinuità normativa fra le abrogate fattispecie
degli artt. 519-520-521 c.p. e la nuova, autonoma e
speciale, fattispecie della violenza sessuale di gruppo, costruita dalla
dottrina e dalla giurisprudenza come reato plurisoggettivo
a concorso necessario: donde la non riferibilità dell’aggravante di cui
all’art. 576 comma 1 n. 5 al delitto di cui all’art. 609-octies c.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.– Vanno preliminarmente esaminate
le eccezioni in rito sollevate dal difensore dell’E.,
in punto di ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni da questi rese nel
corso di incidente probatorio davanti al G.i.p. e di
denegata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, mediante la riaudizione dei coimputati minorenni e la perizia
psichiatrica sulla personalità dell’imputato.

Ritiene il Collegio che la prima
eccezione, oltre ad essere formulata in termini generici, risulta
manifestamente infondata, poiché l’E., dopo avere espressamente e personalmente
chiesto al G.i.p. di essere anch’egli esaminato e
posto a confronto con i coimputati minorenni (omissis) e (omissis), per i quali
era stato appena ultimato il relativo incidente probatorio, ha reso, in sede di
interrogatorio e di confronto con i suoi accusatori, dichiarazioni parzialmente
confessorie, avvalendosi dell’assistenza del difensore nel pieno
contraddittorio tra le parti, e accedendo poi al rito abbreviato, nel quale non
rileva comunque la dedotta, e però insussistente, inutilizzabilità
“fisiologica” della prova (Cass., Sez.
Un., 21/6/2000, Tammaro).

Quanto all’omessa rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale, la
Corte di assise di appello ha
puntualmente replicato alla sollecitazione difensiva con rilievi fattuali
attinenti alla completezza dei dati probatori già acquisiti ai fini del
decidere. Donde la valutazione, logica e incensurabile in sede di legittimità,
di superfluità dei richiesti mezzi di prova, atteso che, da un lato, i
coimputati minorenni erano già stati sentiti numerose volte nelle varie fasi
del processo, mentre i pur evidenti aspetti di fragilità della personalità
dell’E. e i denunziati “disturbi di ansia”, correlati
anche all’abuso di alcool e di sostanze stupefacenti, non giustificavano
neppure il dubbio di una loro incidenza sulla normale capacità d’intendere e di
volere dell’imputato.

4.– La difesa ha denunziato la
manifesta illogicità della motivazione in ordine alla
ritenuta partecipazione dell’imputato alla vicenda criminosa, che sarebbe stata
affermata in forza di elementi indiziari inattendibili, incerti e congetturali
circa l’identificazione del ruolo e dello specifico contributo concorsuale a
lui ascritto. Secondo l’alternativa sequenza fattuale prospettata dalla difesa,
quantomeno ai fini della diminuente di cui all’art. 116 c.p., l’eventuale presenza dell’E. nella cascina si sarebbe
verificata solo quando la vittima era già stata colpita a morte ai piedi della
scala, mentre l’ormai incontrollato comportamento del (omissis), in preda ad
una furia omicida, segnava “un’invalicabile cesura tra gli atti sessuali e la
deviazione da essi verso approdi nemmeno immaginati”, diversi e più gravi
rispetto al reato voluto. Ad avviso del ricorrente meritavano di essere
censurati, in ogni caso, l’omesso riconoscimento dell’attenuante della minima
importanza della partecipazione ex art. 114 c.p. e,
quanto al sequestro di persona, l’affermata coesistenza con il delitto di
violenza sessuale, pure in difetto di un’apprezzabile soluzione di continuità
fra i segmenti dell’azione criminosa.

Ritiene il Collegio che tutti i
suesposti motivi di gravame siano privi di fondamento.

4.1.- Occorre innanzi tutto
rammentare, in linea di fatto, che:

– sono stati i minorenni (omissis) e
(omissis) a fare per primi il nome dell’odierno
imputato, Giovanni E., residente di fronte all’abitazione della famiglia P., ma
dei cui rapporti con la ragazza era già stata rinvenuta una traccia epistolare
nella minuta di un manoscritto della giovane scomparsa, in cui veniva descritto
come un insistente ammiratore, che telefonava tutti i giorni destando in lei
sentimenti di paura;

– il (omissis) e il (omissis) hanno
attribuito all’E. un preciso ruolo nella dinamica dei
fatti: essi, insieme con l’E. e con un altro minorenne, (omissis), avrebbero
concordato fin dal giovedì 26 settembre di attirare con un pretesto (omissis)
nella cascina per abusarne sessualmente, confortati dalle assicurazioni
dell’adulto che “ci sarebbe stata” come “ci stava con tutti”; l’E. era presente
nella cascina mentre i ragazzi spogliavano e palpeggiavano in varie parti del
corpo la ragazza, legata con le mani dietro la schiena con fascette autobloccanti, ed anzi, essendo riuscita la stessa a
fuggire per le scale dopo la prima coltellata infertale dal (omissis) a seguito
del rifiuto opposto al rapporto sessuale, era stato l’E. a trattenerla per
riaccompagnarla forzosamente al primo piano dove la ragazza, portatasi verso la
finestra per l’ennesimo disperato tentativo di fuga, era stata ancora colpita
ripetutamente e mortalmente con il coltello dal (omissis); l’E. aveva infine
contribuito a trascinare il corpo della ragazza nello sgabuzzino;

– lo stesso E. ha reso parziali
ammissioni nel corso dell’interrogatorio davanti al G.i.p., circa la partecipazione all’incontro di giovedì 26 con i
ragazzi, in cui s’era recepito il progetto di portare con un pretesto (omissis)
nella cascina abbandonata per abusarne sessualmente, e la sua effettiva
presenza nella cascina il tardo pomeriggio di sabato 28, ove avrebbe assistito
ad una parte dell’aggressione e dalla quale sarebbe fuggito perché impaurito
dal comportamento del (omissis);

– gli accertamenti medico-legali
hanno individuato sul corpo della ragazza quattro lesioni da punta e taglio,
compatibili col coltello fatto rinvenire dal (omissis), di cui due mortali all’emitorace anteriore e posteriore sinistro, una pure
potenzialmente letale al collo ma provocata in limine vitae e un’altra alla
regione lombare sinistra, oltre ad una ferita toracica più superficiale ed a
numerose contusioni, escoriazioni, ecchimosi e ferite da difesa;

– dall’analisi delle tracce ematiche
rinvenute all’interno della cascina il R.I.S. dei
Carabinieri ha enucleato l’ipotesi di ricostruzione sequenziale degli
avvenimenti (il cui caposaldo è costituito dalla impossibilità,
per una persona colpita da una coltellata così devastante quale quella all’emitorace anteriore sinistro, di sottrarsi alla presa dei
giovani violentatori, di scendere al piano sottostante cercando di guadagnare
la porta d’ingresso e con essa la salvezza) nei seguenti termini: la stretta e
ripida scala collegante il piano tE. al primo piano è
stata individuata come la zona maggiormente interessata dalle tracce di sangue
appartenenti alla (omissis) e in parte anche al (omissis), feritosi col
coltello; in questa zona la ragazza ha cercato ripetutamente e vanamente di
puntellarsi, qui ha cercato di fuggire raggiungendo il fondo delle scale per
poi essere nuovamente sopraffatta e trascinata al primo piano, sollevata di
peso da almeno due persone; gli accoltellamenti mortali alla schiena e lo sgozzamento finale sono avvenuti accanto alla finestra del
primo piano, dalla quale la ragazza ha ancora invano cercato di affacciarsi.

Orbene, valutata la sostanziale
coerenza tra le risultanze delle indagini tecniche e
degli accertamenti medico-legali, le parziali ammissioni – pur ritrattate –
dell’imputato, insieme con il falso alibi fornitogli dalla moglie, e il nucleo
fondamentale delle plurime e talora contraddittorie dichiarazioni accusatorie
degli imputati minorenni (omissis) e (omissis), i giudici del merito hanno
ritenuto provata la presenza fisica e la partecipazione diretta dell’E. a tutte
le cadenze principali del fatto criminoso: e cioè, sia all’incontro serale del
26 settembre in cui s’era programmato di attirare con un pretesto la ragazza
nella cascina per perpetrare la violenza sessuale anche grazie alle menzogne
dell’adulto circa la propensione della stessa a “farsela con tutti”, sia alle
condotte di violenza sessuale di gruppo cui aveva quantomeno assistito senza
intervenire, sia infine all’uccisione di (omissis), avendo in particolare
contribuito ad impedirne la fuga ed a riportarla con la forza al piano
superiore, dove le venivano inferte le coltellate mortali. Nonostante
le varie e contraddittorie dichiarazioni del (omissis), del (omissis) e
dell’E., rimangono, infatti, taluni indiscutibili punti fermi in ordine
alla circostanza della contemporanea presenza dell’imputato all’intera sequenza
dei tragici avvenimenti, coerenti peraltro con gli oggettivi rilievi di polizia
giudiziaria e con gli esiti delle citate indagini tecniche del R.I.S. e medico-legali, con particolare riguardo alle
singole fasi: dell’incontro del 26 settembre in cui si presero gli accordi per
attirare con un pretesto (omissis) nella cascina il successivo sabato onde
abusarne sessualmente; del procacciamento delle fascette autostringenti
e del coltello (di cui parlano l’E. e sua moglie in due conversazioni
telefoniche intercettate); della fuga della ragazza per le scale dopo il
tentativo di immobilizzazione della stessa mediante le fascette adesive, il
parziale denudamento, gli atti di violenza sessuale consistiti in
palpeggiamenti del corpo ed il primo accoltellamento inferto per vincerne la
resistenza; della caduta, dell’arresto, del mancato aiuto e anzi del riaccompagnamento forzoso della stessa al primo piano, ove
veniva ripetutamente accoltellata alle spalle mentre era vicina alla finestra
per poi subire il colpo finale alla gola.

Così ricostruiti, con analitico e
puntuale apparato argomentativo, i distinti momenti della complessa vicenda
criminosa e, all’interno della descritta sequenza fattuale, i più significativi aspetti dello specifico contributo concorsuale
recato dall’E. al sequestro, agli atti di violenza sessuale e all’omicidio di
(omissis) (ben oltre, dunque, la mera presenza passiva postulata dalla difesa),
risulta ineccepibile la logica conclusione – oltre il ragionevole dubbio – che
la fattiva collaborazione dell’imputato a trattenere la vittima che s’era data
alla fuga per le scale ed all’operazione di riaccompagnamento
forzoso al piano superiore, alla mercé quindi dell’aggressore armato di
coltello, dal quale era già stata minacciata e gravemente ferita, comportava la
consapevole adesione dell’E. alla prosecuzione degli atti di violenza e, in termini
di altissima probabilità (perciò di dolo diretto), attesa la furia omicida
palesata dal (omissis), alla imminente realizzazione dell’evento omicidiario. Ed invero, una volta resosi conto che il
(omissis) stava colpendo la ragazza con il coltello, solo con il delineato
atteggiamento di adesione al dolo omicidiario,
derivante dal timore di essere anch’egli accusato ove la stessa fosse riuscita
a sfuggire agli aggressori, poteva giustificarsi l’aiuto prestato a ricondurla
al piano superiore dove le vennero inferti i colpi mortali. Specifico e
consapevole contributo causale per la realizzazione dell’impresa criminosa,
questo, che per il consistente rilievo psicologico che lo sorregge esclude in
radice la configurabilità del prospettato concorso anomalo ex art. 116 c.p..

Di talché, considerato che dei
principi che presidiano l’acquisizione della prova e la sua valutazione
la Corte
distrettuale ha fatto corretta applicazione, con motivazione adeguata e
articolata, estesa a tutti gli elementi offerti dal processo, dando
ragione delle scelte eseguite e dell’assoluta preponderanza ed univoca
convergenza delle prove d’accusa, concludendo quindi senza contraddizioni
logiche per la responsabilità del ricorrente, le doglianze di quest’ultimo attinenti alla ricostruzione probatoria dei
fatti o alla loro qualificazione giuridica per i profili dell’elemento
psicologico, si rivelano infondate, sollecitando esse in realtà il riesame nel
merito della decisione impugnata, che non può trovare ingresso in questa sede
di legittimità, laddove la Corte
distrettuale, come nella specie, abbia esplicitamente motivato circa tutti i
punti oggetto delle specifiche ragioni di gravame.

4.2.- Risulta
altresì priva di pregio, per il medesimo ordine di considerazioni, la doglianza
del ricorrente relativa al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui
all’art. 114 c.p., avendo i giudici del merito
ritenuto, con esauriente e logico apparato argomentativo, che il ruolo svolto
dall’E., lungi dall’essere stato marginale, era stato determinante e
indispensabile, sia per la deliberata programmazione degli abusi sessuali sia
per l’accertata partecipazione all’interno della cascina alle fasi del
sequestro e della violenza sessuale, seguite dalla forte reazione e
dall’uccisione della vittima. Di talché, contrariamente a quanto prospettato
dalla difesa, da un lato il contributo concorsuale dell’E. aveva rivestito
efficienza causale, essendosi posto come condizione necessaria dell’evento
lesivo, e dall’altro esso non era stato tale da poter essere avulso, senza
apprezzabili conseguenze pratiche, dalla serie causale
produttiva dell’evento.

4.3.- Anche per il capo relativo al sequestro di persona le decisioni di merito sono
sorrette da un corretto e logico apparato argomentativo, ancorato a precise risultanze
probatorie, essendosi evidenziato che, pur comportando la violenza sessuale di
per sé una transitoria e funzionale limitazione della libertà di movimento
della vittima (assorbendo in questo caso il giudizio di riprovevolezza
di tale illecita condotta), nel caso concreto (omissis) venne privata della
libertà personale per un tempo più ampio di quello necessario per realizzare
gli atti di violenza sessuale, avendo la ritenzione e l’immobilizzazione della
vittima contro la sua volontà anticipato di un congruo momento gli atti
sessuali: questi, infatti, sicuramente iniziarono dopo le ore 16,00, mentre già
alle ore 15,47 la ragazza era stata immobilizzata e le era stato sottratto il
cellulare, con il quale il (omissis), inserendovi la sua scheda, avrebbe fatto
una prima telefonata.

4.4.- Quanto al riconoscimento
dell’esistenza a carico dell’E. dell’aggravante per il delitto omicidiario di cui all’art. 577 n. 4, in relazione all’art. 61 n. 4 c.p. (avere agito con crudeltà
verso la vittima per le atroci ed efferate modalità esecutive dell’omicidio),
la relativa censura del ricorrente, argomentata sull’assunto che essa, per il
suo carattere soggettivo, apparterrebbe esclusivamente alla sfera morale del
(omissis), determinato da una ormai incontenibile furia ad uccidere (omissis),
dalla quale era stato deriso e insultato, si palesa priva di fondamento.

E’ bensì vero che la circostanza
aggravante in esame ha natura soggettiva, in quanto attiene alla
intensità del dolo del soggetto agente, rivelandone l’indole
particolarmente malvagia e l’insensibilità a ogni richiamo umanitario (Cass., Sez. I, 30/05/1980,
Milan, rv. 146064; Sez. I, 6 ottobre 1987, Mastrotaro, rv. 177452). Ma la
Corte distrettuale, ai fini del criterio di imputazione
disciplinato dagli artt. 59 comma 2 e 118 c.p., sost. rispettivamente dagli arrt. 1 e 3 L. 7/2/1990 n. 19, ha
posto correttamente in rilievo come il ricorrente, nel momento in cui ebbe ad
impedire la fuga della ragazza, già ferita a colpi di coltello ripetutamente
infertile dal (omissis), ed a riportarla poi di peso al primo piano della
cascina nelle mani dello stesso, non poteva non avere piena consapevolezza e
perciò rappresentarsi i mezzi e le spietate modalità con cui l’aggressore,
ancora in possesso del micidiale coltello, avrebbe proseguito nell’azione
omicida, culminata addirittura con la recisione della gola
quando la vittima era ancora viva. Di guisa che la relativa aggravante
non può non essere riferita anche al soggetto che
abbia dato la sua adesione, col proprio volontario contributo, alla
realizzazione dell’evento criminoso e, prima dell’esaurirsi del suo apporto, ne
abbia maturata e fatta propria la particolare intensità del dolo.

4.5.- Il ricorso dell’imputato va
pertanto respinto con le conseguenze di legge, mentre, con riguardo alla
residua doglianza difensiva avente ad oggetto il giudizio di equivalenza
e la denegata prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante della
crudeltà – l’unica ritenuta sussistente dai giudici di appello -, il relativo
motivo di gravame deve ritenersi assorbito nelle statuizioni di accoglimento
delle ragioni di ricorso del P.G., di cui appresso si
dirà, restando affidato al giudice di rinvio il compito di provvedere al
rinnovato apprezzamento circa la sussistenza delle altre circostanze
aggravanti, pure contestate, ed al conseguente giudizio di comparazione delle
stesse con le attenuanti generiche, e quindi all’eventuale rideterminazione
della pena.

5.1.– Il P.G. ricorrente ha
denunziato, a sua volta, l’erronea applicazione della legge penale, quanto
all’esclusione per l’omicidio dell’aggravante del motivo abietto e futile di
cui all’art. 577 n. 4, in relazione all’art. 61 n. 1 c.p., che la Corte d’appello ha ritenuto, per il suo
carattere soggettivo, proprio del (omissis) e non estensibile al coimputato E.,
il quale avrebbe contribuito al raggiungimento del risultato finale “per una
diversa motivazione, di ben più cospicuo spessore, rappresentata dalla
necessità di evitare che fosse rivelato il compiersi di un tentato omicidio”.

Il motivo di gravame è fondato poiché
– come si è già osservato a proposito della “crudeltà” – la natura soggettiva e
personale della circostanza aggravante in esame, siccome attinente alla intensità del dolo del soggetto agente, non comporta
affatto, secondo una irragionevole applicazione del criterio di imputazione
disciplinato dagli artt. 59 comma 2 e 118 c.p., che la stessa possa riguardare solo la sfera morale del
(omissis), rimanendo invece automaticamente estranea all’E.. Sembra infatti
logico ritenere, come ha affermato il giudice di primo grado e come ha
prospettato la pubblica accusa, che l’E., nel concorrere volontariamente e
consapevolmente al risultato finale e nel condividere gli sviluppi dell’azione
esecutiva, sia stato altresì in grado di rappresentarsi la palese viltà e
l’enorme sproporzione dei motivi del gesto omicidiario,
e perciò di maturare e fare propria la particolare intensità del dolo che lo ha
assistito.

5.2.- Risulta
parimenti fondato l’ulteriore motivo di ricorso con il quale il P.G. ha dedotto
la manifesta illogicità della motivazione quanto all’esclusione per l’omicidio
dell’aggravante del nesso teleologico di cui all’art. 576 comma 1 n. 1, in relazione all’art. 61
n. 2 c.p., che, secondo la contestazione, sarebbe
stato commesso per occultarne un altro ovvero per assicurarsi l’impunità del
delitto di violenza sessuale di gruppo.

Infatti, le affermazioni della
sentenza impugnata (pag. 46) secondo cui, da un lato, la finalizzazione
dell’omicidio ad occultare l’abuso sessuale non sarebbe configurabile “perché
l’omicidio della vittima non nasconde le eventuali tracce dell’abuso” e,
dall’altro, “l’aiuto prestato dall’E. non pare rivestire la finalità di evitare
la scoperta del reato sessuale o di procurarsi l’impunità per tale delitto, ma
è conseguenza della presa d’atto che la situazione era uscita di controllo e che occorreva evitare che la ragazza, già
aggredita nella sua fisica incolumità, denunciasse qualche cosa di ben più
grave che una molestia sessuale”, si palesano meramente apodittiche,
disancorate da ogni base fattuale e probatoria, oltre che in insanabile
contraddizione con quanto si legge in altri passaggi della motivazione.

Ed invero, dall’affermazione contenuta
nella medesima sentenza (pag. 42), laddove si sostiene che il comportamento
attivo tenuto dall’E., nell’impedire alla (omissis) di fuggire, era “diretto ad
evitare che la giovane desse l’allarme” e quindi potesse denunciare i gravi
delitti fino a quel momento commessi, sembra lecito desumere, come lineare e
logico corollario, la concreta configurabilità, tra i motivi soggettivi
dell’apporto concorsuale dell’E. all’uccisione della ragazza, anche
dell’obiettivo di occultare o conseguire l’impunità dai delitti di sequestro di
persona e di violenza sessuale, facendo tacere per sempre la vittima, sul cui
corpo, pure in assenza di segni dei palpeggiamenti, erano comunque visibili le
tracce lesive dell’aggressione subita.

Entrambi i punti controversi,
riguardanti l’applicazione delle circostanze aggravanti del motivo abietto e
futile e del nesso teleologico, dovranno essere oggetto, pertanto, di una nuova
valutazione da parte del giudice di merito.

6.- Il P.G. ricorrente ha infine
censurato l’erronea applicazione della legge penale quanto all’esclusione per
l’omicidio dell’aggravante di cui all’art. 576, comma 1 n. 5, c.p. in relazione
al contestuale delitto sessuale di gruppo, sul rilievo – contrariamente a
quanto sostenuto dalla Corte distrettuale – della continuità normativa della
speciale figura criminosa di cui all’art. 609-octies rispetto alle abrogate
fattispecie di cui agli artt. 519-520-521, tuttora
richiamate dal n. 5 dell’art. 576.

Il Collegio deve dunque rispondere al
duplice quesito interpretativo: a) se la circostanza aggravante prevista
dall’art. 576, comma 1 n. 5 c.p. per il reato di omicidio,
quando sia stato eseguito “nell’atto di commettere taluno dei delitti previsti
dagli artt. 519, 520 e 521”,
sia tuttora configurabile, nonostante l’abrogazione di queste ultime
disposizioni ad opera dell’art. 1 L. 15/2/1996 n. 66, con riferimento ai delitti di violenza
sessuale di cui agli artt. 609-bis e segg. c.p., inseriti dalla stessa legge tra i delitti contro la
libertà personale, ed in particolare con riferimento all’autonoma fattispecie
della violenza sessuale di gruppo prevista dall’art. 609-octies; b) in caso di
risposta affermativa, se tale aggravante sia compatibile con quella della
connessione teleologica fra l’omicidio e la violenza sessuale, prevista
dall’art. 61 n. 2 richiamato dall’art. 576, comma 1 n. 1 c.p..

6.1.- Premesso in linea di fatto che
nella ricostruzione probatoria della vicenda criminosa operata dai giudici di
merito non è in discussione la sussistenza del requisito, necessario e
sufficiente, della connessione di contestualità
cronologica fra le condotte integrative dei due reati (Cass., Sez. I, 11/12/1972,
Colarusso, rv. 123696-697; Sez. I, 10/2/1992, De Pasquale, rv. 189872; Sez. I, 4/3/1997, P.G. in proc. Chiatti, rv. 207229), nel senso
che risulta accertato che in occasione e contemporaneamente
agli atti di violenza sessuale sono stati posti in essere altresì atti diretti
all’uccisione della vittima, ritiene innanzi tutto il Collegio che il rinvio
dell’art. 576 comma 1 n. 5 ai “delitti previsti dagli artt. 519, 520 e 521” abbia natura “formale”
anziché “recettizia”.

Pur essendo praticabili anche
all’interno del medesimo ordinamento entrambi i modelli di rinvio, la cui
scelta rifletterebbe mere esigenze di economia
legislativa, deve convenirsi, infatti, che la tecnica del rinvio “mobile” o
“formale” appare più coerente al permanente potere del legislatore – frutto
delle sue scelte punitive – di modificare, sostituire o addirittura abrogare il
preesistente atto normativo. Questo tipo di rinvio consente più realisticamente
di fare riferimento non solo alla specifica norma preesistente ma anche alle
sue successive vicende modificative, mentre con il rinvio “fisso” o “recettizio” viene recepita per
intero, senza che ne sia riprodotto il testo, solo la specifica disposizione
incriminatrice all’epoca vigente, della quale si postula la perdurante
intangibilità.

E’ pacifico che la ratio della
circostanza aggravante in esame é da ravvisare nell’intento di apprestare la
rigorosa tutela degli interessi ivi protetti, mediante un più severo trattamento
sanzionatorio dei fatti in essa previsti, nel senso di
punire più gravemente con la pena dell’ergastolo l’omicidio allorché questo,
denotando una più marcata attitudine criminosa dell’agente, sia contestuale
alle aggressioni alla libertà sessuale della vittima, originariamente
contemplate dagli artt. 519-521 c.p.,
abrogati dall’art. 1 L. n. 66
del 1996.

Ed è altresì incontroversa, in
dottrina e in giurisprudenza, la tesi della continuità normativa tra le previgenti e plurime nozioni di “congiunzione carnale” e di
“atti di libidine” mediante violenza, minaccia o abuso di autorità,
di cui alle abrogate figure criminose, e la nozione di “atti sessuali”,
risultante della somma delle previgenti fattispecie e
richiamata dall’art. 609-bis c.p. per la configurabilità del reato di violenza
sessuale, nel quale risultano oggi inseriti i medesimi fatti contemplati nelle
prime (da ultimo, Cass., Sez.
I, 24/2/2004, Ceraulo, rv. 227118; Sez. III, 6/5/2004, Gerboni, rv. 229555). All’esito
della comparazione e del raffronto tra gli elementi strutturali del contenuto
normativo delle fattispecie incriminatrici (secondo
lo schema ermeneutico disegnato nelle più recenti
decisioni delle Sezioni Unite: Sez. Un., 20 giugno 1990, Monaco; Sez.
Un., 25/10/2000, Di Mauro; Sez. Un., 9/5/2001, Donatelli; Sez. Un., 27/6/2001, Avitabile; Sez. Un., 26/3/2003,
Giordano) persiste infatti, anche se mutato, il giudizio di disvalore
astratto per effetto di un nesso di continuità ed omogeneità delle rispettive
previsioni e il significato lesivo del fatto storico risulta riconducibile nel
suo nucleo essenziale ad una diversa categoria d’illecito, tuttora penalmente
rilevante nonostante ed anzi proprio in conseguenza dell’intervento
legislativo, formalmente abrogativo. Di talché, la pur espressa abrogazione
dell’intero capo I del titolo IX del libro secondo del codice penale non ha
certamente comportato una generalizzata abolitio criminis in materia, ma solo un ordinario fenomeno di
successione di leggi penali incriminatrici nel tempo,
disciplinato dal comma 3 dell’art. 2 c.p., nell’ambito della cennata
unificazione delle due fattispecie di cui agli artt. 519-521 nella violenza
sessuale di cui all’art. 609-bis.

Ciò posto, occorre concludere
che la mancata riformulazione dell’art. 576 comma 1 n. 5 c.p.,
ad opera della L. n. 66 del 1996, sia ascrivibile a
mero difetto di coordinamento legislativo e non possa essere
affatto intesa dall’interprete come implicita abrogazione
dell’aggravante, che permane nonostante la mutata collocazione dei fatti di reato
contemplati nelle disposizioni degli artt. 519-521 in altro
titolo e in altre norme dello stesso codice penale, in forza del rinvio
“formale” di cui si è fatto cenno.

6.2.- Si sostiene tuttavia, da una
parte della dottrina, che il rinvio in esame opererebbe ancora con esclusivo
riguardo alle condotte di violenza sessuale già ricadenti nella sfera delle
tradizionali figure criminose degli artt. 519-521, oggi descritte negli artt.
609-bis, 609-ter e 609-quater, quindi solo nell’ipotesi di realizzazione monosoggettiva del tipo di illecito,
suscettibile di concorso eventuale di persone ex art. 110 c.p.,
ma non anche per la autonoma e più grave fattispecie criminosa della violenza
sessuale di gruppo di cui all’art. 609-octies. In questa, nonostante l’identità
del bene giuridico protetto, é configurabile, in considerazione del maggiore
grado di intensità dell’offesa alla libertà sessuale
della vittima realizzata da “più persone riunite”, un reato plurisoggettivo
a concorso necessario (Cass., Sez.
III, 3/6/1999, Bombaci, rv. 215148; Sez. III, 13/11/2003, Pacca, rv. 227495), completamente nuovo e non corrispondente alla previgente disciplina, che prevedeva solo la figura
dell’ordinario concorso di persone negli atti di
violenza. L’esclusione viene dunque motivata (v. anche la sentenza impugnata,
pag. 45) con il rilievo che non sussisterebbe alcuna continuità normativa tra i
delitti di cui agli abrogati artt. 519-521, per la cui
integrazione non era richiesta, oltre all’accordo delle volontà dei
compartecipi, anche l’elemento costitutivo della simultanea, effettiva presenza
di costoro nel luogo e nel momento di consumazione dell’illecito, e quello di
violenza sessuale di gruppo, nella specie contestato e ritenuto a carico dell’E..

La tesi, come hanno puntualmente
rilevato sia il P.G. ricorrente che il P.G.
requirente, non può essere condivisa, per una serie di ragioni di ordine
logico-sistematico.

La descrizione legale della condotta
tipica, integratrice dell’autonoma fattispecie della violenza sessuale di gruppo,
pur connotata dalla contestualità e interazione delle
condotte partecipative di più persone riunite nella fase esecutiva del delitto,
e sol per questo punita più gravemente e sottratta al regime ordinario di
perseguibilità a querela, rinvia secondo la formulazione letterale del primo
comma dell’art. 609-octies, quanto alle modalità dell’azione criminosa, alla unitaria nozione degli “atti di violenza sessuale di
cui all’art. 609-bis”.

Orbene, se è esclusivamente il dato
della “partecipazione da parte di più persone riunite ad atti di violenza
sessuale” a svolgere il ruolo di elemento
specializzante e aggiuntivo, che qualifica in termini di autonomia la
fattispecie a concorso necessario della violenza sessuale di gruppo, rispetto
alla tipicità generale del concorso di persone, non sembra possa dubitarsi che
la condotta integratrice di base del delitto in esame sia pur sempre costituita
dai singoli atti di violenza sessuale realizzati dai soggetti agenti, in forma monosoggettiva o plurisoggettiva,
che corrispondono ontologicamente e strutturalmente
alle tradizionali ipotesi di atti di libidine e di congiunzione carnale
violenta, prima previste dalle abrogate norme degli artt. 519-521
ed oggi sostanzialmente sussumibili nell’unitaria
nozione di cui all’art. 609-bis.

Di talché, una
volta individuato, all’esito del raffronto strutturale tra gli elementi
descrittivi delle astratte fattispecie, un rapporto di specialità “per
aggiunta” tra la fattispecie dell’art. 609-octies e quella dell’art. 609-bis c.p., deve convenirsi che anche in riferimento alla figura
criminosa della violenza sessuale di gruppo, attesa la persistente e prevalente
rilevanza lesiva dell’elemento comune e tipico alle due fattispecie, si pone in
termini di continuità (lo stupro di gruppo essendo certamente punibile già in
base alla legge precedente, a titolo di concorso di persone nel reato ex artt.
519-521) un ordinario fenomeno di successione di leggi penali incriminatrici nel tempo, disciplinato dal comma 3
dell’art. 2 c.p.,
nell’ambito della cennata unificazione delle due
fattispecie di cui agli artt. 519-521 nella violenza sessuale di cui all’art.
609-bis (Cass., Sez. III, 1/7/1996, Hodca, rv. 205798).

D’altra parte, essendo confermata la
vigenza della previsione aggravatoria comportante la
pena dell’ergastolo nelle ipotesi meno gravi di realizzazione monosoggettiva o di concorso eventuale ex art. 110 c.p. in
atti di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis, sarebbe, oltre che iniquo,
davvero irrazionale da un punto di vista logico-sistematico, considerata la
ratio dell’aggravamento, interpretare la mancata riformulazione dell’art. 576
comma 1 n. 5 c.p., ad opera
della L. n. 66 del 1996, nel senso
della sua implicita abrogazione limitatamente alla più grave ipotesi
dell’omicidio commesso nell’atto di eseguire una violenza sessuale di
gruppo. Figura questa che, al di là dell’elemento
specializzante e aggiuntivo della “partecipazione da parte di più persone
riunite ad atti di violenza sessuale”, risulta per contro sovrapponibile, nel
nucleo essenziale e negli elementi strutturali di base della norma
incriminatrice, alle abrogate fattispecie degli artt. 110, 519-521 c.p., unificate nel nuovo art.
609-bis.

Ne deriva quale ulteriore
conseguenza che, in tal caso, il delitto di violenza sessuale di gruppo,
considerato come circostanza della forma aggravata dell’omicidio se commesso in
un unico contesto temporale, non concorre formalmente bensì resta in questo
assorbito, venendo a confluire nella figura del reato complesso in senso
stretto di cui all’art. 84 comma 1 c.p., punibile con
l’ergastolo (Cass., Sez. I, 11/12/1972, Colarusso, rv. 123697; Sez. I, 10/2/1992, De Pasquale, rv.
189872).

6.3.- Avendo dato risposta
affermativa al primo quesito interpretativo, la Corte è chiamata a
pronunziarsi sull’ulteriore questione se l’affermata
sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 576 comma 1 n. 5, con il
conseguente assorbimento del delitto di violenza sessuale di gruppo in quello
di omicidio, sia compatibile con il riconoscimento dell’aggravante prevista
dall’art. 61 n. 2 richiamato dall’art. 576, comma 1 n. 1, contestata anche con
riferimento al fine di occultare e conseguire l’impunità del primo dei
menzionati delitti (oltre che del sequestro di persona), ovvero ne comporti
l’esclusione.

Premesso che ben possono coesistere,
dal punto di vista storico-fattuale, la contestualità cronologica e il collegamento di tipo finalistico fra le condotte e le distinte volizioni
dell’omicidio e della violenza sessuale, ritiene il Collegio (richiamandosi sul
punto alla Relazione ministeriale al progetto definitivo del codice penale del
1930 – p. 369 – e aderendo ad un pur remoto, ma non contrastato, indirizzo
giurisprudenziale: Cass., Sez. I, 27/7/1937, Sotgiu; Sez. I, 28/1/1955 n. 142,
Bertolino; Sez. I, 10/12/1958 n. 2069, Bianchi) che
neppure si ravvisano ostacoli all’affermata compatibilità delle due aggravanti
nella costruzione concettuale della figura del reato complesso. Ed invero, la fictio juris dell’assorbimento, in funzione della previsione aggravatoria della pena per l’omicidio, non cancella
l’autonomia del delitto di violenza sessuale, ai plurimi e diversi fini di
volta in volta rilevanti per le norme di riferimento dell’ordinamento
giuridico.

7.- In definitiva, la sentenza
impugnata, pronunziata dalla seconda sezione della Corte di assise di appello
di Brescia, va annullata con rinvio ad altra sezione della medesima Corte, la
quale, uniformandosi ai principi di diritto suenunciati,
procederà a nuova valutazione circa la sussistenza delle circostanze aggravanti
del nesso teleologico, della connessione cronologica e dei motivi abietti o
futili, e quindi alla rielaborazione del giudizio di comparazione e
bilanciamento tra le circostanze aggravanti e le attenuanti generiche, irreversibilmente concesse all’imputato in difetto di
specifico gravame del P.G. sul punto (restando così assorbito il motivo di
ricorso dell’imputato che ne chiede la prevalenza), e alla rideterminazione
del complessivo trattamento sanzionatorio.

PER QUESTI
MOTIVI

Annulla la sentenza impugnata
limitatamente all’esclusione, per il delitto di omicidio,
delle aggravanti di cui agli artt. 576, comma 1 nn. 1 e 5, e 577, comma 1 n. 4, in
relazione all’art. 61 n. 1 c.p., e rinvia per
nuovo giudizio su tali punti e per la conseguente rideterminazione
del trattamento sanzionatorio ad altra sezione della Corte di assise di appello
di Brescia.

Rigetta il ricorso dell’E., che
condanna al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese
sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che si liquidano in
complessivi euro 4.240, di cui euro 500 per spese.

Così deciso in Roma il 28 gennaio
2005.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 22
febbraio 2005.