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Thursday 18 March 2004

La nozione di centro commerciale. T.A.R. UMBRIA – PERUGIA – Sentenza 15 marzo 2004 n. 111

La nozione di “centro commerciale”.

T.A.R. UMBRIA – PERUGIA – Sentenza 15 marzo 2004 n. 111

Pres. Lignani – Est. Ferrari

Confcommercio – Associazione Territoriale Di Orvieto (Avv. Segarelli) e altri c. Comune di Orvieto (Avv. Tarantini) e altri

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

Il Tribunale Amministrativo dell’Umbria    

ha pronunciato la seguente   

S E N T E N Z A    

– sul ricorso n. 585/2002 proposto dalla  

CONFCOMMERCIO – Associazione Territoriale di Orvieto, in persona del legale rappresentante pro-tempore; dalla S.n.c. MACELLERIA FILIPPESCHI, in persona del legale rappresentante pro-tempore;   

dalla S.n.c. EFFE BI & C. di Battenti Nadia, in persona del legale rappresentante pro-tempore; dalla ditta Riccardo MESSINA;   

dalla S.r.l. SOLINI MARCELLO in persona del legale rappresentante pro-tempore;   

dalla ditta Marco RICCI;   

dalla S.n.c. PIETRO PERALI, in persona del legale rappresentante pro-tempore;   

dalla S.n.c. PICKWICK SCHOOL in persona del legale rappresentante pro-tempore;   

dalla ditta Roberto ROTICIANI,   

dalla S.A.S. LA SANITARIA in persona del legale rappresentante pro-tempore;   

dalla ditta Luigi Maria MANIERI; dalla ditta Tiziana QUINTI;   

dalla S.a.s. PIU’ O MENO, in persona del legale rappresentante pro-tempore;   

da Patrizia GARGIUOLO , titolare della ditta “Punto e a capo”, tutti con sede in Orvieto e tutti rappresentati e difesi dall’avv. Umberto Segarelli con domicilio elettivo in Perugia, via Podiani n. 17 presso lo studio dell’avv. Maurizio Mariani;

   

– sul ricorso n. 591/2002 proposto dalla ditta Tiziana QUINTI e da Gabriela MUZI FRISONI, titolare della ditta “Eredi di Frisoni Ettore Vincenzo” entrambe con sede in Orvieto rappresentate e difese dall’avv. Paolo Rossi ed elettivamente domiciliate presso il medesimo in Perugia, via Dottori 85;   

– sul ricorso n. 405/2003 con relativi motivi aggiunti proposti dalla CONFCOMMERCIO – Associazione Territoriale di Orvieto, in persona del legale rappresentante pro-tempore; dalla S.n.c. MACELLERIA FILIPPESCHI, in persona del legale rappresentante pro-tempore; dalla S.n.c. EFFE BI & C. di Battenti Nadia, in persona del legale rappresentante pro-tempore; dalla ditta Riccardo MESSINA; dalla S.r.l. SOLINI MARCELLO in persona del legale rappresentante pro-tempore; dalla ditta Marco RICCI; dalla S.n.c. PIETRO PERALI, in persona del legale rappresentante por-tempore; dalla S.n.c. PICWICK SCHOOL in persona del legale rappresentante pro-tempore; dalla ditta Roberto ROTICIANI, dalla S.A.S. LA SANITARIA in persona del legale rappresentante pro tempore; dalla ditta Luigi Maria MANIERI, tutti con sede in Orvieto rappresentati e difesi dall’avv. Umberto Segarelli ed elettivamente domiciliati in Perugia, via Podiani n. 17 presso lo studio dell’avv. Maurizio Mariani;

  – sul ricorso n. 408/2003 proposto dalla ditta Tiziana QUINTI, da Gabriela MUZI FRISONI, titolare della ditta “Eredi di Frisoni Ettore Vincenzo”, da Noemi MORELLI, legale rappresentante della società “Anagold s.a.s.”, Federica SPACCINI, legale rappresentante della “Federica Hair Fashion di Spaccini & C.” s.a.s.Anna PAPINI e Scilla PORINI, legali rappresentanti della “Lavanderia Ecologica Bowe s.n.c.”, dalla ditta Adriana Edda SGARRONI, Franco FILIPPUCCI, legale rappresentante della “Fratelli Filippucci s.n.c.”, Francesca CORRADINI, legale rappresentante della “Wunder bar s.n.c.”, Rita AVOLA, legale rappresentante della “Gat s.r.l.”, tutti con sede in Orvieto rappresentati e difesi dall’avv. Paolo Rossi ed elettivamente domiciliati presso il medesimo in Perugia, via Dottori 85;   

C O N T R O 

Il COMUNE DI ORVIETO in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Tarantini ed elettivamente domiciliato presso il medesimo in Perugia, via Baglioni n. 10 (Ric. nn. 585/2002, 591/2002, 405/2003, 408/2003);   

S.P.A. RFI Rete Ferroviaria Italiana, in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituitasi in giudizio (Ric. nn. 405/2003, 408/2003);

   

E NEI CONFRONTI  

della società DESPINA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Alarico Mariani Marini ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Perugia, via Mario Angeloni n. 80/B (Ric. nn. 405/2003 e 408/2003);

  S.P.A. Metropolis, in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituitasi in giudizio (Ric. nn. 405/2003, 408/2003);   

Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, in persona del Ministro pro-tempore, non costituitosi in giudizio (Ric. nn. 405/2003, 408/2003);   

per l’annullamento

quanto al ric. n. 585/2002: del Piano comunale delle “medie strutture di vendita” adottato con delibera C.C. 1 agosto 2002 n. 117, quanto alle statuizioni di cui alle Norme di Attuazione, Art. 16, comma 5, là dove stabiliscono che più esercizi commerciali, anche siti nello stesso edificio o complesso immobiliare, pure se serviti da parcheggio comune, ed anche se fruitori di spazi condominiali congiuntamente gestiti, non sono qualificabili “centri commerciali” “quando manchino associazioni, consorzi o altri apparati organizzativi tra gli operatori economici”.

quanto al ric. n. 591/2002: della delibera n. 115 del 1 agosto 2002, pubblicata in data 5 agosto 2002, con la quale il Consiglio comunale di Orvieto ha adottato il piano attuativo di iniziativa privata “zone D2A e D2B di P.R.G. – Ambito AG – OSCA 3 Porta di Orvieto – Loc.tà S.S. 205 Amerina – Orvieto Scalo”, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e/o consequenziale.

quanto al ric. n. 405/2003: del Piano Attuativo di iniziativa privata riferito alle “zone D2A e D2B di P.R.G. – Ambito AG – OSCA 3 – Porta di Orvieto – Loc.tà S.S. 205 Amerina – Orvieto Scalo” approvato con delib. del C.C. di Orvieto n. 53 del 9 maggio 2003, oggetto di avviso 27 maggio 2003 pubblicato sul B.U.R. del 17 giugno 2003; nonché di tutti gli atti del relativo procedimento, preliminari, presupposti, connessi, conseguenti e di attuazione: segnatamente, delle determinazioni assunte dal C.C. con riguardo all’osservazione presentata; della “autorizzazione preliminare” in data 6 dicembre 2002, accordata dalla S.p.a. RFI, contrassegnata come segue: RFI/CN/DIFI.TC.OC.1 / A.XVI.(81.DD).1942, “a far eseguire gli interventi” edilizi di cui al P.A. ad una distanza di metri 23,50 dalla più vicina rotaia, della Direttissima Roma Firenze, in “deroga alle norme del D.P.R. 11 luglio 1980 n. 753”.

quanto al ric. n. 408/2003: della delibera n. 53 del 9 maggio 2003, pubblicata nel B.U.R. in data 17 giugno 2003, con la quale il Consiglio comunale di Orvieto ha approvato il piano attuativo di iniziativa privata “zone D2A e D2B di P.R.G. – Ambito AG – OSCA 3 – Porta di Orvieto – Loc.tà S.S. 205 Amerina – Orvieto Scalo”; nonché, per quanto occorrer possa, di tutti gli atti del relativo procedimento, preliminari, presupposti, connessi, conseguenti e di attuazione, ivi compresa l’”autorizzazione preliminare” in data 6 dicembre 2002, accordata dalla S.p.A. RFI, contrassegnata come segue:

RFI/CN/DIFI.TC.OC.1 / A.XVI.(81.DD).1942, “a far eseguire gli interventi” edilizi di cui al P.A. ad una distanza di metri 23,50 dalla più vicina rotaia, della Direttissima Roma Firenze, in “deroga alle norme del D.P.R. 11 luglio 1980 n. 753”.

Quanto ai motivi aggiunti (ricorso n. 405/2003), per l’annullamento del Piano attuativo, di iniziativa privata, riferito alle “zone D2A e D2B di P.R.G. – AmbitoAG – OSCA 3 – Porta di Orvieto – Località S.S. 205 Amerina – Orvieto Scalo”, approvato con Delib. del C.C. di Orvieto n. 53, del 9 Maggio 2003, oggetto di avviso 27 Maggio 2003 pubblicato sul B.U.R. del 17 Giugno 2003; di tutti gli atti del relativo procedimento, preliminari, presupposti, connessi, conseguenti e di attuazione; segnatamente delle determinazioni assunte dal C.C. con riguardo all’osservazione presentata;

della “autorizzazione preliminare”, in data 6 Dicembre 2002, accordata dalla s.p.a RFI, contrassegnata come segue: RFI/CN/DIFI.TC.OC.1/A.XVI.(81.DD).1942, “a far eseguire gli interventi” edilizi di cui al P.A. ad una distanza di metri 23,50 dalla più vicina rotaia, della Direttissima Roma-Firenze, in “deroga alle norme del D.P.R. 11 Luglio 1980 n. 753”.

  Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visti i motivi aggiunti di cui al ricorso n. 405/2003

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Orvieto e della controinteressata Despina srl;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Data per letta, alla pubblica udienza del 28 gennaio 2004, la relazione del cons. Annibale Ferrari e udite le parti come da verbale.

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto:

FATTO E DIRITTO 

1. La prima controversia di cui è causa è insorta a seguito di una specifica statuizione contenuta nella delibera consiliare del Comune di Orvieto con la quale è stato adottato il Piano comunale delle medie strutture di vendita (delibera n. 117 del 1 Agosto 2002). In particolare, con il primo ricorso viene denunciata l’illegittimità della statuizione di cui all’art. 16, 5° co. delle Norme di attuazione di detto Piano laddove si esclude che possa giuridicamente configurarsi un “centro commerciale” quando più esercizi commerciali, tra loro strutturalmente correlati anche con servizi comuni, non siano altresì soggettivamente legati da un vincolo giuridico associativo o consortile o di altro tipo tra gli operatori economici titolari di detti esercizi.

Le ulteriori e più specifiche censure degli altri tre ricorsi e dei motivi aggiunti sono poi riferite: A) alle delibere consiliari di adozione e di approvazione di un piano attuativo di iniziativa privata riguardante le zone D2A e D2B ambito AG-OSCA3 – Porta d’Orvieto, località s.s. Amerina di Orvieto Scalo; piano presentato dalla società “Despina” s.r.l. con sede in Roma, proprietaria di apprezzamenti di terreni in quella zona (delibere n. 115 del 1 Agosto 2002 e n. 53 del 9 Maggio 2003); B) agli atti presupposti rispetto alle delibere medesime e, segnatamente: b1) all’autorizzazione preliminare in deroga rilasciata in data 6 Dicembre 2002 (con la quale la società R.F.I. s.p.a. ha consentito di fare eseguire gli interventi edilizi previsti nel cennato piano ad una distanza inferiore a quella indicata dal D.P.R. n. 753 del 1980, tenuto conto della presenza delle rotaie della direttissima ferroviaria Roma-Firenze); b2) alla Delibera di Giunta Municipale n. 39 del 28 Marzo 2002 di presa d’atto di un progetto preliminare in variante al P.R.G. per la realizzazione della nuova viabilità “complanare” della zona, viabilità che la delibera di approvazione del P.R.G. (n. 23 del 16 Febbraio 2000) aveva accantonato (a seguito di un parere negativo della Regione) con l’impegno di procedere in tempi brevi ad una nuova e più attenta progettazione da approvare poi come variante al Piano medesimo; b3) al parere di nulla osta rilasciato in data 20 Giugno 2002 dall’Unità Territoriale di Firenze sud della predetta società ferroviaria R.F.I. per il successivo rilascio dell’autorizzazione in deroga di cui al citato punto b1).

  2. I ricorrenti, che nei ricorsi n. 585/2002 e 405/2003 sono pure affiancati dalla “Confcommercio” di Orvieto, dichiarano di essere tutti titolari di esercizi commerciali siti nel Comune di Orvieto e di Orvieto Scalo e come tali assumono di subire un diretto ed immediato pregiudizio dagli atti impugnati ed in special modo dalla realizzazione del piano di lottizzazione riguardante appunto due lotti rispettivamente a destinazione commerciale (per la distribuzione alimentare e non alimentare e per la vendita al minuto) nonché a destinazione direzionale e turistica.

  3. Il Comune di Orvieto si è costituito e resiste avverso ciascun ricorso. Nei ricorsi 405/2003 e 408/2003 si è pure costituita la società “Despina s.r.l.” in qualità di controinteressata la quale, al pari del Comune, oppone eccezioni di rito e di merito.

All’udienza del 28 Gennaio 2004, dopo la discussione orale, i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.  

4. La connessione oggettiva ed in gran parte soggettiva esistente tra i ricorsi medesimi giustifica la decisione di riunirli per la trattazione congiunta con la precisazione che il ricorso n. 591/2002 (avverso la delibera di adozione del Piano attuativo di cui è causa) è da considerare improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse a seguito della delibera consiliare n. 53 del 9 Maggio 2003 concernente l’approvazione del predetto piano ed oggetto del ricorso 408/2003.   

5. In primis, con riguardo ai ricorsi n. 585/2002, 405/2003 e 408/2003 vanno gradatamente esaminate le eccezioni di rito; eccezioni che il Collegio ritiene di dover disattendere per le seguenti ragioni.   

5.1. Infondata è anzitutto l’eccezione di inammissibilità del ricorso 585/2002 siccome riferita alla “estrema genericità” delle censure ivi contenute nonché alla “sostanziale carenza di legittimazione ed interesse (delle parti ricorrenti)”.

Quanto alla asserita genericità delle censure basti rilevare che a pag.4 del ricorso sono stati formulati puntuali motivi di violazione di legge, articolati sia con riguardo al D. Lgvo. n. 114 del 1998 sia con riguardo alla L.R. n. 24 del 1999.

Quanto poi all’asserito difetto di legittimazione ed interesse, è da rilevare che la natura (prevalentemente commerciale) degli interessi in gioco e la non contestata localizzazione dell’attività (commerciale) delle imprese gestite dai ricorrenti operanti in gran parte in prossimità della zona di cui è causa non lasciano sussistere dubbi sulla loro legittimazione sostanziale e processuale ai ricorsi. Né tanto meno può dubitarsi della legittimazione e dell’interesse della “Confcommercio” di Orvieto, quale ente locale “leader”, posto a tutela degli interessi di categoria.   

5.2. Infondata poi è l’eccezione di irricivibilità dei ricorsi 405/2003 e 408/2003 siccome tardivamente notificati oltre i termini di legge, a partire dall’ultimo giorno di pubblicazione nell’albo pretorio (30 Maggio 2003) della delibera di approvazione del piano attuativo di cui è causa (Del. n. 53/2003). In proposito, giova chiarire che nella fattispecie non è corretto il richiamo del principio generale (codificato altresì nell’art. 124 del D. Lgvo n. 267/2000) secondo cui la pubblicità legale e quindi la presunzione assoluta di conoscenza degli atti deliberativi dei Comuni e delle Province da parte dei soggetti non contemplati in tali atti si determina mediante affissione degli atti stessi nei relativi albi pretori.

In questo caso, infatti, assume deciso rilievo il contenuto della delibera consiliare impugnata la quale è per legge assoggettata ad un ulteriore e particolare regime di pubblicità espressamente previsto dall’art. 21, 11° co. della L.R. n. 31 del 1977, in armonia con tutto il contesto della speciale disciplina di pubblicità dell’iter di approvazione dei piani urbanistici attuativi contenuta nella norma medesima, a partire dalla fase di adozione dei piani medesimi.

Tale ulteriore regime concernente le delibere di approvazione è quello della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione.

In ordine a tale specifico adempimento si potrebbe anche prospettare la tesi che esso sia una semplice forma di pubblicità notizia e non un elemento costitutivo che va ad incidere sulla validità e sull’efficacia giuridica degli atti in questione.

Ma questa tesi non sembra affatto conforme alla specificità letterale della citata norma regionale e soprattutto alla “ratio” della stessa.

Appare evidente anzitutto che le particolari forme di pubblicità ivi previste per le delibere di adozione sono abbondantemente rafforzative rispetto a quelle della pubblicazione nell’albo pretorio.

Inoltre, proprio in considerazione della specialità della norma, appare altresì evidente che la sua finalità giuridica (riferita, ripetesi, alle delibere di adozione e di approvazione dei piani urbanistici attuativi) – sia quella di estendere al massimo la conoscibilità di atti, anche in funzione di eventuali gravami giurisdizionali tenuto conto della loro pregnante incidenza nell’assetto urbanistico del territorio comunale.

In tal senso, dunque, il Collegio ritiene che il “dies a quo” per proporre eventuali ricorsi sia quello della data di pubblicazione nel B.U.R., intesa come data di efficacia “erga omnes” degli atti deliberativi in questione. E’ pur vero d’altra parte che – come pure sostengono le difese del Comune e della controinteressata – la delibera n. 53/2003 in quanto attuativa di una previsione generale contenuta nel P.R.G. (approvato con delibera n. 23 del 2000 che non è stata impugnata dai ricorrenti) non modifica il già conformato assetto urbanistico-commerciale della zona.

E’ anche vero, però, che detta generale previsione del P.R.G. (non impugnata) è divenuta concreta, attuale ed immediatamente lesiva solo quando è stato approvato il piano attuativo di lottizzazione presentato dalla società “Despina” e solo quando tale piano è diventato conoscibile “erga omnes” mediante pubblicazione nel B.U.R.; piano che, si badi bene, i ricorrenti censurano non perché esso è difforme rispetto alla predetta generale previsione urbanistico-commerciale di zona bensì per le seguenti altre ragioni che solo in fase attuativa sono divenute concrete e come tali ritenute immediatamente lesive; in particolare:

1) perché detto piano attuativo risulta al momento conformato ad un “assetto stradale” considerato di primaria importanza per zona medesima, ma tuttora oggetto di “stralcio” dal P.R.G. e quindi ancora in fase di studio e di possibili modifiche;

2) perché lo stesso piano attuativo risulta eccezionalmente consentito in base ad un “assetto ferroviario” che si pone in deroga alle distanze legali previste da norme primarie per la tutela della sicurezza pubblica in un ambito attraversato dalla “direttissima Roma-Firenze”;

3) perché tale piano risulta formalmente e/o sostanzialmente mirato alla realizzazione di un “centro commerciale” di notevole rilievo nell’ambito di un assetto distributivo locale di beni e servizi già precostituito e funzionante e quindi tale da essere sconvolto ed anche pregiudicato dalla realizzazione del centro medesimo.

Ovviamente, ciò che in particolar modo e direttamente viene considerato lesivo degli interessi dei ricorrenti è proprio la prevista realizzazione di siffatto “centro”, in quanto concepito come un complesso unitario di distribuzione di beni e servizi idoneo come tale ad attirare la clientela di zona ed a distrarla dagli esercizi commerciali ivi già esistenti.

In appresso, si vedrà se la pretesa lesione di detto primario interesse commerciale dei ricorrenti sia o meno giuridicamente fondata con riguardo alle varie censure ed “in primis” con riguardo a quelle del ricorso 585/2002.

Per ora, in considerazione di quanto sopra detto, si può correttamente ritenere che tutte le censure dei ricorsi in questione (e, quindi, anche dei ricorsi n. 405/2003 e n. 408/2003) risultano tempestivamente proposte, in quanto notificate nei termini di legge che (ripetesi) nella fattispecie debbono intendersi decorrenti dalla data in cui la delibera di approvazione del piano attuativo ha completato il suo “iter” di pubblicità legale e cioè dalla data di pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione Umbria (avvenuta il 17 Giugno 2003).

  6. Nel merito, primaria attenzione va dedicata alle censure del ricorso n.585/2002.

In proposito, limitando l’esame al progetto del “lotto A” che è quello che direttamente interessa i ricorrenti (il “lotto B” si riferisce alla realizzazione di strutture turistico-ricettive da porre a servizio della zona specifica e di tutto il territorio comunale), è significativo rilevare che le previsioni edilizie di tale lotto riguardano una grande edificazione unitaria con corpi di fabbrica separati ma collegati e correlati tra loro: con percorso pedonale comune, con spazi comuni e ballatoi. Sono progettati due piani di cui uno seminterrato destinato a parcheggio coperto e l’altro a piano terra destinato alle attività commerciali di tipo alimentare e di tipo diverso nonché alla vendita al minuto; il tutto per un totale di superficie lorda pari a mq. 6815 e per un totale netto di 5200 mq.

E’ altresì previsto un piccolo corpo di fabbrica di 70 mq distaccato dall’insieme e probabilmente destinato a “punto informativo”. Nel perimetro dell’edificio principale sono poi previste le strutture di allocazione e di utilizzazione delle utenze (luce, gas e reti di servizio delle acque nere e bianche) ed è altresì previsto un parcheggio scoperto con adiacente verde pubblico particolarmente attrezzato (anche per il diletto di bambini e per la sosta degli animali domestici che spesso sono in accompagno dei signori e delle signore che effettuano lo “shopping”).

E’ poi previsto un impianto automatico di irrigazione ad orario alimentato da un pozzo ubicato in una delle zone di maggiore estensione del verde. Ancora è previsto un impianto di illuminazione con corpi illuminanti del tipo arredo urbano.

Infine, sono previste soluzioni tecniche particolarmente accorte e sofisticate per risolvere i vari problemi ambientali e di altro tipo derivanti dalla presenza della fascia di rispetto della ferrovia direttissima “Roma-Firenze”.   

7. Così sommariamente delineata (per quanto qui interessa) la progettazione edilizia di cui è causa (i riferimenti più precisi e particolareggiati sono contenuti nella relazione illustrativa del 12 Aprile 2003 a firma degli architetti Gino Mencarelli e Gianfranco Fliviani), appare veramente arduo sostenere – come sostiene il Comune resistente nelle difese avverso il ricorso n. 585/2002 – che nella fattispecie non possa giuridicamente configurarsi un “centro commerciale” così come definito dall’art. 4, 1° co. lett. g del D.Lgvo n. 114 del 1998.

Invero, è fuori discussione che il complesso edilizio in questione sarà unitarimente strutturato e servito da infrastrutture comuni e da spazi di servizio comuni. Così, infatti, è chiaramente previsto nella stessa relazione illustrativa che accompagna il progetto.

Parimenti indiscutibile altresì è la considerazione che tali “infrastrutture” e tali “spazi di servizio” – proprio in quanto comuni – non potranno che avere una gestione unitaria.

Infatti, non è giuridicamente concepibile che ciascuno dei proprietari dei singoli locali commerciali abbia titolo per gestire in proprio (sia pure pro quota) i vari beni comuni, dissociandosi da quella che naturalmente dovrà essere la gestione unitaria dei beni medesimi.

In proposito, è appena il caso di evidenziare che la presenza di beni comuni tra loro inscindibili comporta di per sé (in base alle ben note regole civilistiche della comunione ed, in particolare, di quelle del condominio negli edifici) una regolamentazione unitaria ed una gestione altrettanto unitaria dei beni medesimi; ciò, a prescindere dall’eventualità che tra i soggetti partecipanti alla comunione e/o condominio venga costituito un ulteriore legame giuridico di tipo associativo ovvero consortile o di altra natura.

Né risulta che siffatta disciplina civilistica di carattere generale sia derogata dalle specifiche norme di legge applicabile al caso di specie: Infatti, né il decreto legislativo n. 114/1999 né la legge regionale n. 24/1999 richiedono che nell’ambito di un “centro commerciale” – così come ivi definito – la gestione unitaria dei beni comuni (da effettuarsi per regola in base al Codice Civile) debba altresì avvenire sulla base di una particolare conformazione di tipo associativo o consortile o di altro tipo dei rapporti interni tra gli operatori economici del centro medesimo.

In conclusione, la delibera comunale impugnata con il primo ricorso è da considerare illegittima nella parte in cui modifica il concetto giuridico di “centro commerciale” previsto da puntuali disposizioni di legge e lo circoscrive indicando siccome necessaria non solo la presenza di un elemento oggettivo (costituito da spazi condominiali da gestire come tali in modo unitario) ma anche la pesenza di un ulteriore elemento di carattere intersoggettivo riferito ad una specifica conformazione giuridica dei rapporti interni di tipo associativo o consortile o di altra natura da creare tra gli operatori economici del centro.

  7.1 Le considerazioni di cui sopra assumono rilevanza decisiva anche per affermare la fondatezza dei primi motivi di censura contenuti negli altri due ricorsi n. 405/2003 e 408/2003.

Invero, essendo nella fattispecie correttamente configurabile l’esistenza di un “centro commerciale” costituito da una “grande struttura di vendita” (come tale altresì identificabile, ai sensi dell’art. 4 della L.R. n. 24/1999, in base alla superficie del centro compresa tra mq 2501 e 5500 ed in base alla classe 2° in cui è inquadrato il Comune di Orvieto), era necessario che l’approvazione del piano attuativo “de quo” fosse preceduta dalla preventiva acquisizione dell’autorizzazione amministrativa di cui all’art. 9 1° co. del D. Lgvo n. 118/1998, da richiedere e rilasciare con la procedura di cui al 2° e 3° comma dello stesso articolo. Ciò, anche in armonia con l’art. 24 della L.R. n. 31/1997.

La fondatezza delle predette censure riferite al mancato rispetto di tale procedura e quindi alla mancata acquisizione di detta autorizzazione preventiva incide evidentemente su tutta la procedura di adozione e di approvazione del piano attuativo di cui è causa, rendendo illegittimi tutti gli atti connessi e consequenziali alla procedura medesima.

Per economia di giudizio, si possono dunque considerare superate e/o assorbite tutte le altre censure dei predetti due ricorsi e dei motivi aggiunti, riferite alla mancata acquisizione del parere della 3^ Commissione Consiliare permanente previsto dall’art. 29 del regolamento edilizio comunale nonché al parere ed alla autorizzazione preliminare in deroga rilasciati rispettivamente dal Compartimento ferroviario di Firenze e dalla società R.F.I. per quanto concerne il mancato rispetto delle distanze dalla più vicina rotaia della ferrovia direttissima Roma-Firenze.

  8. Una ulteriore considerazione appare comunque opportuna (per completezza d’esame) in ordine alle censure riferite all’omessa verifica di compatibilità del progetto relativo alla c.d. “complanare”.

In entrambi i ricorsi n. 405/2003 e 408/2003 viene, infatti, ampiamente evidenziata la macroscopica irrazionalità dell’agire dell’Amministrazione comunale la quale – pur prevedendo in sede di pianificazione urbanistica generale che l’area di cui trattasi (AG3 “Porta di Orvieto”) è in parte destinata alla realizzazione di una importante strada “complanare” da utilizzare per lo smistamento della circolazione automobilistica di tutta la zona ed anche di quella diretta in città – ha ritenuto ammissibile procedere allo stralcio di tale localizzazione viaria per maggiori approfondimenti, senza nel contempo preoccuparsi di subordinare preventivamente ogni altra decisione sugli insediamenti urbanistici nella stessa zona alla definitiva approvazione del progetto della “complanare” medesima.

E’ così accaduto che il piano attuativo di cui è causa è stato adottato e poi approvato prima dell’approvazione definitiva del progetto della “complanare”. La difesa del Comune e della controinteressata replicano sul punto sostenendo che il piano attuativo di lottizzazione è stato approvato in conformità di quella che sarà o che dovrebbe essere la futura e probabile realizzazione della “complanare” medesima. Ma tale linea difensiva non può ritenersi soddisfacente appunto perché, ripetesi, il progetto della “complanare” è ancora in fase di studio e quindi ancora suscettibile di modificazioni più o meno rilevanti; modificazioni che evidentemente l’immediata realizzazione parziale o totale del progetto di lottizzazione già approvato potrebbe rendere non più attuabili proprio in presenza di opere edilizie in ipotesi già portate a compimento in tutto o in parte.

In tal senso, deve altresì riscontrarsi l’illegittimità della denunciata inversione logica ed operativa che sorregge gli atti comunali impugnati. In altri termini, poiché è pacifico in atti che l’infrastruttura viaria in questione è di primaria importanza per tutto l’apparato urbanistico della zona, non è affatto giustificabile che l’approvazione del relativo progetto possa intervenire dopo l’approvazione del piano di lottizzazione di cui è causa. Non è ammissibile, in sostanza, che la futura realizzazione della c.d. “complanare” possa in qualche modo (sia pure minimo) risultare condizionata dal fatto compiuto e cioè dalla avvenuta approvazione ed anche dalla realizzazione totale o parziale dell’insediamento commerciale di cui trattasi.

  9. Per tutte le ragioni suesposte, i ricorsi n. 585/2002, 405/2003 e 408/2003 meritano l’accoglimento mentre il ricorso n. 591/2002 va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

  10. Le spese di lite seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate e ripartite come da dispositivo, tenuto conto altresì che la società controinteressata risulta costituita solo nei ricorsi n. 485/2003 e 408/2003.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo dell’Umbria, definitivamente pronunciando, dichiara improcedibile il ricorso n. 591/2002; accoglie i ricorsi n. 585/2002, 405/2003 e 408/2003 e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati per quanto di ragione.

Condanna l’Amministrazione comunale e la società controinteressata, in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite in favore dei ricorrenti nella misura complessiva di 12.000 euro di cui 7000 euro a carico del Comune e 5000 euro a carico della società controinteressata; il tutto da dividersi in parti uguali a favore dei vari ricorrenti.

   

Così deciso in Perugia, nella Camera di Consiglio del 28 gennaio 2004 con l’intervento dei signori:

Avv. Pier Giorgio Lignani Presidente

Avv. Annibale Ferrari Consigliere, estensore

Dott. Carlo Luigi Cardoni Consigliere

   

IL PRESIDENTE

F.to Pier Giorgio Lignani

   

L’ESTENSORE

F.to Annibale Ferrari

   

IL SEGRETARIO

F.to Rolando Massaccesi