Enti pubblici

Tuesday 20 April 2004

La Consulta precisa i limiti di funzioni e le attribuzioni specifiche del difensore civico. Corte costituzionale – Sentenza 6 aprile 2004, n. 112

La Consulta precisa i limiti di funzioni e le attribuzioni specifiche del difensore civico

Corte costituzionale – Sentenza 6 aprile 2004, n. 112  (Presidente Zagrebelsky – Relatore Capotosti)

Ritenuto in fatto

1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 30 settembre 2002, depositato il successivo 8 ottobre, ha sollevato questione di legittimità costituzionale in via principale dell’articolo 2, comma 1, lettera a), e comma 2, dell’articolo 4, dell’articolo 6, comma 1, e dell’articolo 10, comma 2, nonché dell’allegato B, punti 7 ed 8, della legge della Regione Marche 10/2002 (Misure urgenti in materia di risparmio energetico e contenimento dell’inquinamento luminoso), pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Marche del 1° agosto 2002, n. 87.

2. Il ricorrente censura un primo gruppo di disposizioni della citata legge regionale 10/2002 e, precisamente, l’articolo 2, comma 1, lettera a), e comma 2, e l’articolo 4 (il quale rinvia all’allegato B – punti 7 ed 8), deducendo che esse, nella parte in cui attribuiscono alla Regione la competenza ad adottare il “regolamento di riduzione e prevenzione dell’inquinamento luminoso” che dovrebbe definire i requisiti tecnici per la progettazione, l’installazione e la gestione degli impianti di illuminazione esterna, pubblici e privati, realizzerebbero una restrizione della circolazione delle merci nel mercato unico europeo in violazione dell’articolo117, primo comma, della Costituzione, e sarebbero lesive della competenza legislativa statale in tema di tutela dell’ambiente (articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione) e in tema di determinazione dei principi fondamentali in materia di energia elettrica (articolo 117, terzo comma, della Costituzione). Inoltre l’articolo 6, comma 1, si porrebbe in contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, violando la competenza del legislatore statale in tema di “ordinamento civile” nella parte in cui impone all’autonomia negoziale dei privati l’adozione di capitolati conformi alle prescrizioni della legge stessa.

Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, l’articolo 10 della predetta legge regionale n. 10 del 2002, sostenendo che tale disposizione, nella parte in cui – al comma 2 – stabilisce che, «decorso inutilmente il termine di cui al comma 1» (e cioè il termine per provvedere assegnato dal difensore civico regionale nel caso in cui «i Comuni ritardino o omettano di compiere gli atti obbligatori previsti dalla presente legge»), «il difensore civico, sentito il Comune inadempiente, nomina un commissario ad acta che provvede in via sostitutiva», si porrebbe in contrasto con gli articoli 114, primo e secondo comma, 117, secondo comma, lettera p), e 120, secondo comma, della Costituzione.

Quest’ultimo attribuisce al Governo il potere di «sostituirsi a organi (…) delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni» nei casi espressamente previsti, riservando, nel secondo periodo, alla “legge” la fissazione delle procedure, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione. Secondo il ricorrente, la “continuità dei due periodi dell’unitario” secondo comma dell’articolo 120 della Costituzione, l’articolo 114, primo e secondo comma, della Costituzione, nonché l’articolo 117, secondo comma, lettera p), che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia “organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane”, unitamente all’esigenza di una disciplina «unica o quanto meno fortemente coordinata delle modalità di esercizio dei poteri sostitutivi sin dal momento della individuazione dell’organo deliberante l’intervento sostitutivo», indurrebbero a ritenere che la “legge” indicata nell’articolo 120 della Costituzione sia la legge statale.

Pertanto, la disposizione censurata recata dall’articolo 10 violerebbe i succitati parametri, attribuendo al difensore civico regionale il potere di nominare un commissario ad acta, senza neppure chiarire se quest’ultimo debba o meno osservare le direttive impartite dal difensore civico.

Il ricorrente osserva, infine, che indubbiamente sussiste l’esigenza di adeguare gli articoli 136, 141 e 247 del D.Lgs 267/00 (Tu delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), alla soppressione degli organi regionali di controllo, ma ad essa deve provvedere il legislatore statale, stabilendo modalità uniformi sull’intero territorio nazionale, e conclude deducendo, “in via logicamente subordinata”, «che lo statuto della Regione non pare consenta l’attribuzione al difensore civico regionale di funzioni di tanto spessore».

3. La Regione Marche, in persona del Presidente della Giunta regionale, si è costituita nel giudizio chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.

In particolare, in relazione alle censure concernenti l’articolo 10, la resistente deduce che l’articolo 120, secondo comma, Costituzione, riguarderebbe esclusivamente l’esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato e non escluderebbe il potere delle regioni di disciplinare forme e modalità dell’esercizio di poteri sostitutivi di queste ultime nei confronti degli enti locali.

4. Nell’imminenza dell’udienza pubblica l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato memorie nelle quali dichiara di limitare «la materia del contendere al citato articolo 10», in relazione al quale insiste per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nel ricorso introduttivo, “con abbandono delle rimanenti censure”.

5. Anche la Regione Marche ha depositato memorie nelle quali insiste per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nell’atto di costituzione. Con riferimento alle censure sollevate nei confronti dell’articolo 10 – al cui vaglio è stato circoscritto il ricorso dello Stato “per espressa rinuncia alle altre censure” – la resistente deduce l’infondatezza del ricorso, dal momento che «la disciplina dettata dall’articolo 120, comma secondo, della Costituzione» – che si assume violata – «si riferisce (…) esclusivamente all’ipotesi dell’esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato (e segnatamente del Governo), senza perciò escludere la facoltà di introdurre e disciplinare proprie forme ed ipotesi di poteri sostitutivi da parte delle Regioni nei confronti degli enti locali». La Regione Marche sostiene, peraltro, che la norma censurata, «nel definire un potere sostitutivo regionale in caso di inattività degli enti locali», non sarebbe lesiva del «rilievo costituzionale riconosciuto dal novellato articolo 114 Costituzione agli enti locali ed alla loro autonomia», ma, “al contrario”, ne rafforzerebbe la portata, «prevedendo una procedura di attivazione del Comune nell’ipotesi di inadempienza (cui viene assegnato un termine per provvedere e il diritto di essere “sentito” comunque, pur insistendo nell’inadempienza), in conformità (…) a quanto previsto dall’articolo 120, secondo comma, Costituzione», che associa il principio di sussidiarietà al principio di leale collaborazione, ed in linea con quanto affermato di recente dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza 313/03). Né risulterebbe fondata – ad avviso della resistente – la censura relativa alla presunta violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), «che assegna alla legislazione esclusiva dello Stato le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane», dal momento che la normazione sull’organizzazione e sullo svolgimento delle funzioni fondamentali sarebbe lasciata «al potere regolamentare dei singoli enti locali (…) per le funzioni di spettanza legislativa statale, alla Regione e al potere regolamentare dell’ente locale per le funzioni rientranti nella competenza legislativa regionale» e considerato che la previsione di poteri sostitutivi da parte delle regioni nei confronti degli enti locali rientrerebbe tra le “forme di consultazione e di raccordo tra enti locali, Regione e Stato”, volte a garantire il «rispetto del principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo locale nello svolgimento delle funzioni fondamentali che richiedono per il loro esercizio la partecipazione di più enti». Quanto, infine, alla censura secondo cui lo statuto della Regione Marche non consentirebbe «l’attribuzione al difensore civico regionale di funzioni di tanto spessore», la resistente, oltre ad eccepirne la genericità, ne deduce l’infondatezza, considerato che «l’attribuzione al difensore civico della competenza ad assegnare un termine ed a nominare il commissario ad acta costituisce mera applicazione e quasi letterale riproduzione del modello di potere sostitutivo indicato dall’articolo 136 del D.Lgs 267/00».

6. All’udienza pubblica dell’11 novembre 2003 la Regione Marche e la difesa erariale hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1. La questione di legittimità costituzionale, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe, concerne gli articoli 2, comma 1, lettera a), e comma 2; 4; 6, comma 1; 10, comma 2, nonché l’allegato B, punti 7 ed 8, della legge della Regione Marche 10/2002 (Misure urgenti in materia di risparmio energetico e contenimento dell’inquinamento luminoso), in riferimento agli articoli 114, primo e secondo comma, 117, primo comma, secondo comma, lettere p), s) ed l), e terzo comma, e 120 della Costituzione.

Secondo il ricorrente, che nella memoria presentata nell’imminenza dell’udienza ha delimitato la materia del contendere al solo articolo 10 “con abbandono delle rimanenti censure”, il predetto articolo violerebbe in particolare gli articoli 114, primo e secondo comma, 117, secondo comma, lettera p), e 120 della Costituzione nella parte in cui attribuisce al difensore civico il potere di nominare un commissario ad acta, senza neppure chiarire se quest’ultimo debba o meno osservare le direttive impartite dal difensore civico, così innovando alla disciplina statale vigente e sovrapponendo «una disposizione legislativa regionale ad una specifica norma statale». Ed invero, anche se sussiste l’esigenza di adeguare l’attuale regime legislativo alla soppressione degli organi di controllo, a ciò deve provvedere il legislatore statale stabilendo modalità uniformi sull’intero territorio nazionale.

2. Preliminarmente va ricordato che l’Avvocatura generale dello Stato, dopo avere dichiarato, nella memoria del 20 ottobre 2003 presentata nell’imminenza dell’udienza, l’“abbandono delle rimanenti censure” – non risultanti neppure nella relazione ministeriale allegata alla delibera del Consiglio dei ministri di proposizione del ricorso, nella quale si censurava esclusivamente il predetto articolo 10 – ha contestualmente circoscritto l’originaria materia del contendere al “citato articolo 10” della legge censurata, senza alcuna indicazione di commi. Lo scrutinio di costituzionalità va quindi limitato a questa ultima disposizione, la quale prevede che il difensore civico regionale, dopo avere assegnato ai Comuni, che ritardino od omettano di compiere atti obbligatori previsti dalla stessa legge, un termine per provvedere, nomina, decorso inutilmente il predetto termine e sentito il Comune inadempiente, un commissario ad acta, che provvede in via sostitutiva.

3. La questione è fondata.

La giurisprudenza di questa Corte (cfr. in particolare sentenze 43 e 69/2004) ha già precisato, a proposito del potere sostitutivo regionale e dei suoi limiti, che nel sistema del Titolo V l’articolo 120 della Costituzione, nel prevedere, in via straordinaria, l’intervento sostitutivo del Governo, non esaurisce tutte le possibili ipotesi di esercizio di poteri sostitutivi e in particolare non preclude che la legge regionale, disciplinando materie di propria competenza, possa anche stabilire, in caso di inadempimento o inerzia dell’ente locale competente, poteri sostitutivi in capo ad organi regionali per il compimento di atti obbligatori per legge, nel rispetto, peraltro, di rigorosi limiti prefissati dal legislatore, a tutela dell’autonomia, costituzionalmente garantita, degli enti locali. La legge regionale deve dunque innanzi tutto prevedere e disciplinare l’esercizio dei poteri sostitutivi, definendone i presupposti sostanziali e procedurali (sentenza 338/89); in secondo luogo stabilire che la sostituzione concerna solo il compimento di attività “prive di discrezionalità nell’an”, la cui obbligatorietà derivi da interessi di livello superiore, tutelabili appunto attraverso l’intervento sostitutivo (sentenza 177/88); disporre inoltre che il potere sostitutivo sia esercitato, in ogni caso, da un organo di governo della Regione o almeno sulla base di una sua decisione (sentenze 460/89, 342/94 e 313/03); prevedere infine congrue garanzie procedimentali ispirate ai principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, così da consentire all’ente sostituito di interloquire e, se del caso, intervenire nel procedimento di sostituzione (sentenza 416/95 e ordinanza 53/2003).

La norma censurata delinea una disciplina del potere sostitutivo regionale nel settore del risparmio energetico e del contenimento dell’inquinamento luminoso, la quale appare, in linea di massima, rispettosa, sotto il profilo procedimentale, dei predetti principi giurisprudenziali, mentre, sotto il profilo soggettivo, in riferimento alla titolarità del potere incentrata sul difensore civico regionale e su un commissario ad acta di sua nomina, non appare conforme ai criteri prospettati. Ed invero nella giurisprudenza di questa Corte è stato più volte affermato che i poteri sostitutivi in ambito regionale sono in ogni caso da ascrivere, per lo spostamento eccezionale di competenze che determinano e per l’incidenza diretta su enti politicamente rappresentativi, ad organi di governo della Regione e non già ad apparati amministrativi (sentenze 460/89, 352/92, 313/03), dal momento che le scelte relative ai criteri ed ai modi degli interventi sostitutivi a salvaguardia di interessi di livello superiore a quelli delle autonomie locali presentano un grado di politicità tale che la loro valutazione complessiva ragionevolmente non può che spettare agli organi regionali di vertice, cui istituzionalmente competono le determinazioni di politica generale, delle quali assumono la responsabilità.

In questa categoria non rientra certo la figura del difensore civico regionale, che, indipendentemente da ogni qualificazione giuridica, è generalmente titolare di sole funzioni di tutela della legalità e della regolarità amministrativa, in larga misura assimilabili a quelle di controllo, già di competenza, prima dell’abrogazione dell’articolo 130 della Costituzione, dei previsti comitati regionali di controllo, ai quali, del resto, tale figura era già stata equiparata dall’articolo 17 della legge 127/97 (ora articolo 136 del D.Lgs 267/00), nonché da alcune leggi regionali successive. Anche il difensore civico della Regione Marche, istituito in base alla legge 29/1981, rientra in questo schema, poiché ha il compito precipuo di vigilare, a tutela di cittadini, enti e formazioni sociali, sull’imparzialità e sul buon andamento degli uffici dell’amministrazione regionale, degli enti pubblici regionali e delle amministrazioni pubbliche dipendenti dalla Regione, al fine di rilevarne eventuali “irregolarità o ritardi” e di “suggerire mezzi e rimedi” per la loro eliminazione.

Si tratta quindi essenzialmente di un organo – tra l’altro non previsto dallo statuto – preposto alla vigilanza sull’operato dell’amministrazione regionale con limitati compiti di segnalazione di disfunzioni amministrative, al quale non può dunque essere legittimamente attribuita, proprio perché non è un organo di governo regionale, la responsabilità di misure sostitutive che incidono in modo diretto e gravoso sull’autonomia costituzionalmente garantita dei Comuni.

P.Q.M.

La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 10 della legge della Regione Marche 10/2002 (Misure urgenti in materia di risparmio energetico e contenimento dell’inquinamento luminoso).

Così deciso in Roma il 25 marzo 1004.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 6 aprile 2004.