Lavoro e Previdenza

Monday 05 July 2004

La Cassazione in tema di necessità di affiggere il Codice disciplinare in azienda. Cassazione – Sezione lavoro – sentenza 8 ottobre 2003-27 maggio 2004, n. 10201

La Cassazione in tema di necessità di affiggere il Codice disciplinare in azienda

Cassazione Sezione lavoro sentenza 8 ottobre 2003-27 maggio 2004, n. 10201

Presidente Ciciretti Relatore Balletti

Pm De Augustinis difforme ricorrente Poste Italiane Spa controricorrente Carminati ed altri

Svolgimento del processo

Con ricorso ex articolo 414 Cpc dinanzi al Pretore-Giudice del Lavoro di Bergamo Maria Lina Carminati, Giordano Belloli, Giuseppe Gabello, Vincenzo Anzelmo, Bruno Andriuzzi, Nicoletta Carminati e Eugenio Galiberti dipendenti dallEnte Poste Italiane convenivano in giudizio il cennato Ente e chiedevano alladito Giudice del lavoro di «dichiarare nullo, illegittimo ed arbitrario il provvedimento di sospensione dal lavoro di un giorno per avere attuato, durante unagitazione sindacale, un picchettaggio allesterno dellufficio postale di Treviglio, impedendo ai colleghi non scioperanti di prendere servizio». A sostegno di tale richiesta i ricorrenti deducevano, preliminarmente, la violazione dellarticolo 7 della legge 300/70 per non avere lEnte Poste portato a conoscenza dei lavoratori, in luogo accessibile a tutti, le disposizioni relative alle sanzioni disciplinari e le relative procedure (cd. codice disciplinare); nel merito, sostenevano di non avere tenuto un comportamento disciplinarmente sanzionabile e, comunque, la non proporzionalità della sanzione irrogata.

Si costituiva in giudizio lEnte Poste Italiane che impugnava integralmente la domanda attorea e ne chiedeva il rigetto.

Ladito Giudice del Lavoro accoglieva il ricorso ed annullava la sanzione disciplinare e ‑ su impugnativa della spa Poste Italiane (subentrata allEnte Poste Italiane) e ricostituitosi il contraddittorio ‑ la Corte di appello di Brescia-Sezione Lavoro respingeva lappello compensando le spese del grado.

Per quello che rileva in questa sede il Giudice di appello ha rimarcato che: a) «la questione della necessità che il codice disciplinare sia reso conoscibile da tutti i lavoratori mediante lo specifico adempimento (non suscettibile di sanatoria per equipollente) della sua affissione in luogo accessibile a tutti, non sembra sia stata sottoposta a censura in questa sede e, in ogni caso, lanzidetta necessità non sembra possa ritenersi seriamente contestabile, essendo già stato in precedenza affermato in giurisprudenza che, ai fini della legale conoscenza del codice disciplinare da parte dei dipendenti, non è sufficiente la consegna di una copia di esso ai dipendenti»; b) «in materia di sanzioni disciplinari il principio ‑ secondo cui, quando i fatti contestati costituiscono di per sé fatti lesivi delle fondamentali regole di civiltà, non necessita una loro esteriorizzazione attraverso il codice disciplinare ‑ giustamente è stato ritenuto applicabile solo alla sanzione espulsiva del licenziamento per colpa, perché qui il potere di recesso dellimprenditore è già previsto direttamente dalla legge e tipizzato in presenza di giusta causa o di giustificato motivo»; c) «per le sanzioni conservative, invece, esso non può trovare applicazione, perché, in tal caso, il potere disciplinare del datore di lavoro è solo genericamente previsto dallarticolo 2106 Cc ed esige necessariamente, per il suo concreto esercizio, la predisposizione di una normativa secondaria, cui corrisponda lonere della pubblicità, al fine di precludere al datore di lavoro di stabilire di volta in volta, caso per caso, la sussistenza dellinfrazione e, soprattutto, di scegliere arbitrariamente la sanzione ritenuta applicabile»; d) «il primo giudice non ha mancato di rilevare che le sanzioni in oggetto sono state comminate con espresso riferimento proprio agli articoli 32 e 34 del Ccnl, vale a dire, con inequivoca manifestazione di quel potere disciplinare datoriale, per il cui esercizio non può eludersi lonere indefettibile della pubblicità».

Per la cassazione di tale sentenza la spa Poste Italiane propone ricorso affidato ad un motivo e sostenuto da memoria ex articolo 378 Cpc.

Gli intimati Maria Lina Carminati, Giordano Belloli, Giuseppe Gabello, Vincenzo Anzelmo, Bruno Andriuzzi, Nicoletta Carminati e Eugenio Galiberti resistono con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con lunico articolato motivo di ricorso la società ricorrente ‑denunciando violazione degli articoli 7 della legge 300/70 e 2106 Cc ‑ rileva che «il codice disciplinare è stato concordato e predisposto dal datore di lavoro di concerto con le organizzazioni sindacali, [per cui] lonere di affissione non sembra vincolante ai fini dellesercizio del potere disciplinare, avendo, comunque, i lavoratori avuto piena ed effettiva conoscenza del codice, per avere contribuito alla predisposizione dello stesso e per avere ricevuto copia del contratto collettivo, secondo le previsioni ivi contenute» e censura, inoltre, la sentenza impugnata «che si pone in netto contrasto con il principio, assolutamente pacifico e consolidato in dottrina e giurisprudenza, secondo cui, quando un comportamento integra la fattispecie di reato, non occorre una previsione espressa e specifica nel codice disciplinare ed è pure irrilevante laffissione o meno in relazione a tale specifica previsione, non essendo necessario che il codice disciplinare contenga unanalitica e specifica predeterminazione delle infrazioni, della loro gravità e delle corrispondenti sanzioni, [sicché] è evidente lerrore in cui è incorsa la Corte di appello di ritenere che, in assoluto, tali corretti argomenti di diritto non possano estendersi anche al caso delle sanzioni conservative irrogate per comportamenti del dipendente che, per la loro particolare valenza negativa, non necessitano di essere specificamente previsti e regolati nel codice disciplinare».

2. Il motivo di ricorso come dinanzi proposto non è meritevole di accoglimento.

Anzitutto, si rileva che la doglianza sulla questione ‑ secondo cui la consegna brevi manu di una copia del contratto collettivo di categoria contenente il codice disciplinare comprova che i lavoratori hanno avuto piena ed effettiva conoscenza di detto codice per avere contribuito alla predisposizione dello stesso sicché lonere di affissione non sembra vincolante ai fini dellesercizio del potere disciplinare ‑, già decisa in senso favorevole ai lavoratori, dal Giudice di primo grado, è stata considerata dalla Corte territoriale «non sottoposta a censura in sede di appello» e sul punto gli intimati hanno eccepito con il controricorso «lassoluta novità dellargomento», per cui il cennato profilo dellimpugnativa in sede di legittimità si appalesa inammissibile.

Infatti i motivi del ricorso per cassazione debbono investire, a pena dinammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio dappello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili dufficio: con la conseguenza che il ricorrente, ove proponga detta questione in sede di legittimità ha lonere ‑ al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura ‑, non solo di allegare lavvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminarne il merito (cfr., ex plurimis, Cassazione 5150/03).

Nella specie, a fronte della specifica statuizione del Giudice di appello e della puntuale contestazione della controricorrente, la società ricorrente non solo non ha indicato in quale atto del giudizio di primo grado abbia dedotto la questione summenzionata, ma non ha neppure espressamente affermato di avere ritualmente sollevato la questione stessa: donde la confermata inammissibilità della cennata «nuova» censura.

3. Anche lulteriore profilo della proposta impugnativa ‑ secondo cui «non occorre laffissione del codice disciplinare perché il lavoratore abbia piena consapevolezza della valenza disciplinare dei comportamenti manifestamente lesivi dellinteresse dellimpresa e universalmente conosciuti come gravemente contrari alle più elementari regole di convivenza ‑ deve essere disatteso.

Al riguardo, in merito al potere disciplinare del datore di lavoro, in generale, si rileva che il principio dì legalità (nullum crimen sine lege e nulla poena sine lege) ‑ che ha rilievo costituzionale per le sanzioni penali (articolo 25 Costituzione) – finisce per trovare applicazione anche alle sanzioni disciplinari pur non essendo queste ultime riconducibili pedissequamente alle prime e che, nellambito delle sanzioni disciplinari, occorre distinguere le sanzioni cosiddette conservative ‑ che, nella prospettiva degli articoli 2106 Cc e 7 della legge 300/70, tendono a consentire la proficua prosecuzione del rapporto di lavoro, responsabilizzando il prestatore inadempiente a riportare il suo comportamento entro i limiti dellobbligazione dovuta ‑ da quelle cosiddette espulsive ‑ che, per la gravità o la reiterazione del comportamento inadempiente, si connotano per lassoluta inidoneità della prosecuzione della prestazione lavorativa nellambito aziendale ‑: distinzione questa che, a parte la palese differenza ontologica tra le due ipotesi, è stata oggetto di un ampio dibattito dottrinario e giurisprudenziale sulla nozione di licenziamento disciplinare con riferimento allambito di applicazione dei primi tre commi dellarticolo 7 cit., che ha avuto definizione nelle sentenze della Corte costituzionale 204/82 e delle Su 4823/87.

In particolare, in relazione alla problematica sullonere del preventivo inserimento della specifica infrazione e della correlativa sanzione nel codice disciplinare e della previa pubblicità dello stesso, questa Corte ha statuito che siffatti oneri operanti per le sanzioni disciplinari – tout court non si estendono alle sanzioni espulsive, in quanto i comportamenti del lavoratore i che costituiscano gravi violazioni dei doveri fondamentali del lavoratore ‑ come quelli della fedeltà e del rispetto del patrimonio e della reputazione del datore di lavoro ‑ sono sanzionabili con il licenziamento disciplinare, a prescindere dalla loro inclusione, o meno, tra le sanzioni previste dalla specifica regolamentazione disciplinare del rapporto e anche in difetto della pubblicazione del codice disciplinare, purché siano osservate le garanzie previste dallarticolo 7, commi 2 e 3, cit. [Cassazione 7884/97, 12299/98, 1902/00 (con la puntualizzazione che «lillecito disciplinare commesso dal datore per violazione di un obbligo o di un divieto sanzionati anche penalmente non presuppone, per linflizione della sanzione disciplinare, laffissione prevista dallarticolo 7 cit., quando lillieità della violazione, per il contrasto con la coscienza comune, possa essere conosciuta ed apprezzata dal lavorato­re senza bisogno di previo avviso da parte del datore di lavoro»)].

Siffatta lettura tendenzialmente flessibile del principio di legalità, che ne ha stemperato sostanzialmente il rigore tassativo caratterizzante la materia penale, necessita di una prima precisazione in quanto si deve distinguere tra illeciti relativi alla violazione di prescrizioni strettamente attinenti allorganizzazione aziendale ed ai modi di produzione, per lo più ignote alla collettività ‑ e, quindi, conoscibili solo se espressamente previste ‑ e quelli costituiti da comportamenti manifestamente contrari agli interessi dellimpresa per i quali non è, invece, richiesta la specifica inclusione nel codice disciplinare, sicché è sufficiente che il codice disciplinare sia redatto in forma che renda chiare le ipotesi di infrazione, sia pure mediante una nozione schematica e non dettagliata, ed indichi, contestualmente, le prescrizioni sanzionatorie, anche se in maniera ampia e suscettibile di adattamento alle effettive e concrete inadem‑pienze (Cassazione 8191/91, 1747/95 ove viene ribadita la distinzione tra comportamenti illeciti attinenti allorganizzazione aziendale ed alla produzione e quelli manifestamente contrari ai valori generalmente accertati ‑ e, perciò, spesso illeciti anche penalmente ‑ oppure palesemente in contrasto con linteresse dellimpresa per i quali non è necessaria la specifica inclusione nel codice disciplinare) del codice disciplinare non può estendersi a quei fatti il cui divieto risiede, non più nelle fonti collettive o nella determinazione dellimprenditore (con lesercizio del potere disciplinare), bensì nella coscienza sociale quale minimum etico ‑ si è sviluppato con riferimento alle sanzioni espulsive (idest, al licenziamento disciplinare) atteso che, indipendentemente dal richiamo o dalla previsione dì determinate infrazioni punibili con il recesso secondo la previsione del codice disciplinare predisposto dal datore di lavoro o in sede di contrattazione collettiva, il potere di licenziamento è attribuito direttamente dalla legge al verificarsi di situazioni che ne integrino la giusta causa o il giustificato motivo soggettivo. Questo si evince, oltre che in base al cennato principio generale, dalla disamina della fattispecie oggetto delle decisioni di questa Corte sempre riferita (con unica eccezione costituita dalla sentenza 5583/96 concernente la sanzione della sospensione disciplinare) a ipotesi di licenziamento disciplinare (cfr., da ultimo, Cassazione 17562/02, ove è stato rimarcato che la giusta causa di licenziamento trova la propria fonte direttamente dalla legge, per cui lelencazione delle ipotesi dì giusta causa eventualmente contenuta nei contratti collettivi o in un atto unilaterale dellimprenditore ha valenza esemplificativa e non tassativa).

Per le sanzioni conservative, a fronte di un potere disciplinare solo genericamente previsto dallarticolo 2106 Cc, sussiste, per il suo concreto esercizio, lesigenza della predisposizione di una normativa secondaria di integrazione e specificazione con conseguente onere della pubblicità della stessa, solo così potendo trovare piena attuazione il summenzionato principio di legalità, al quale conformemente al precetto sovraordinato ex articolo 25 Costituzione, larticolo cit. ha inteso conferire effettività anche con riferimento alla comunità di impresa al fine di precludere al datore di lavoro di stabilire di volta in volta e caso per caso la sussistenza della infrazione e di scegliere discrezionalmente (e, quindi, arbitrariamente) la sanzione ritenuta applicabile (Cassazione 2453/96).

Nella specie ‑ trattandosi dellapplicazione di una sanzione conservativa (sospensione disciplinare di un giorno dal lavoro) e non avendo la datrice di lavoro portato a conoscenza dei lavoratori, mediante affissione in luogo accessibile a tutti, il codice disciplinare ‑ esattamente la Corte di appello di Brescia ha ritenuto illegittima la sanzione irrogata dalla società.

4. In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto dalla spa Poste Italiane deve essere respinto e la ricorrente, stante la sua soccombenza, va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate, insieme agli onorari difensivi, come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro 12 oltre ad euro 2000 per onorario.