Civile

Wednesday 25 April 2007

La Cassazione disconosce il danno esistenziale.

La Cassazione disconosce
il danno esistenziale.

Cassazione – Sezione terza civile
– sentenza 27 marzo-20 aprile 2007, n. 9510

Presidente Preden – Relatore
Varrone

Pm Martone – parzialmente
conforme – Ricorrente Ardigas Snc di Profunser & C

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato
il 27, 25 e 21 febbraio 1992 I. T. e E. P., in proprio e quali esercenti la
potestà sul figlio minore C. T., convenivano dinanzi al tribunale di Milano
Franz Innerhofer, la Snc
Ardigas di Profunser & C. e la Spa Generali Assicurazioni (rispettivamente conducente, proprietaria ed
assicuratrice dell’autocarro targato BZ 400175) chiedendone la condanna in
solido al risarcimento dei danni sofferti in conseguenza dell’incidente
stradale avvenuto il 10 marzo 1987 sull’autostrada A4, in località Rezzato, nel
quale I. T. aveva subito gravi lesioni personali.

Gli attori esponevano che
l’Innerhofer aveva tamponato un altro autocarro e, perso il controllo del
proprio mezzo, era andato ad invadere la corsia di sorpasso così determinando
la collisione con l’auto targata VI 621707 del T. che stava sopraggiungendo.
Precisavano che il giudizio penale svoltosi a carico dell’Innerhofer si era
chiuso in primo grado con la condanna dello stesso per il reato previsto e
punto dagli articoli 590, 583 Cp ed in secondo grado con declaratoria di
estinzione del reato per intervenuta amnistia, sicché l’accertamento del fatto
era divenuto definitivo. Descrivevano le gravi lesioni subite da I. T. e le drammatiche ripercussioni che la situazione
aveva determinato nell’ambito familiare. Chiedevano dunque, rinviando a quanto
già statuito in sede penale sulla responsabilità, il risarcimento di tutti i
danni da ciascuno subiti.

Si costituivano congiuntamente
Franz Innerhofer e la Snc
Ardigas di Profunser & C. contestando unicamente l’entità
del risarcimento richiesto da I. T. ed il fondamento
giuridico del risarcimento richiesto dall’attrice e dal figlio.

Chiedevano che la compagnia
assicuratrice convenuta fosse condannata anche oltre il massimale di polizza,
avendo senza giustificazione ritardato la liquidazione dei danni.

La Spa Generali
Assicurazioni, costituendosi, eccepiva l’incompetenza per territorio del
giudice adito risultando pendente dinanzi al Tribunale di Brescia altra causa
connessa promossa contro gli stessi convenuti da altro soggetto, tale Jaine
Vergara Morilla, per danni subiti nel medesimo incidente, causa in relazione
alla quale si profilava un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra i
danneggiati a motivo della verosimile insufficienza del massimale di polizza a
soddisfare le diverse pretese risarcitorie. Eccepiva altresì l’incompetenza per
territorio del Tribunale adito in considerazione del luogo dell’avvenuto
sinistro, di residenza dell’Innerhofer e della Snc Ardigas Profunser & C.

Quanto all’entità del
risarcimento richiesto da I. T. rilevava che i
pagamenti effettuati in suo favore, ammontanti a lire 326.917.800, dovevano
ritenersi soddisfattivi e contestava integralmente la fondatezza della pretesa
risarcitoria della P. e di C. T., chiedendo dunque, nel merito, che fosse
ritenuta la congruità delle somme versate ad I. T. e che venissero
respinte le richieste formulate in favore di C. T. e E. P..

Disposta Ctu medico – legale
sulle persone di I. e C. T.,
il Gu del tribunale di Milano, con sentenza del 28 ottobre 1999 – 7 febbraio
2000, dato atto che l’accertamento in sede penale della responsabilità
dell’Innerhofer nella causazione dell’incidente era divenuto definitivo e che
il relativo giudicato aveva efficacia in sede civile nei confronti dell’imputato,
dei responsabili civili e della parte civile che erano stati parti nel processo
penale; rigettate le eccezioni di incompetenza; procedeva alla liquidazione dei
danni in favore degli attori e condannava i convenuti, in solido, e la Società assicuratrice, nei
limiti del massimale maggiorato della rivalutazione e degli interessi legali
con decorrenza dal 18 ottobre 1988 (data di invio della richiesta di
risarcimento), stante l’accertata mala gestio, a corrispondere a I. T. la somma
di lire 694.277.000
in moneta attuale detratti gli acconti di lire
184.515.000 ‑ versato nel maggio 1989 ‑ e di lire 235.981.479 ‑ versato
nell’aprile 1995 ‑ previa rivalutazione alla data della decisione degli
acconti (al fine di operare la compensazione fra dati omogenei), oltre agli
interessi medi ponderati al tasso annuo del 6% dalla data del fatto e agli
interessi legali dalla sentenza al saldo; a C. T., e per esso ai genitori
esercenti la potestà, la somma di lire 145.300.000 in
moneta attuale con gli interessi come sopra calcolati; a E. P. la somma di lire
30.000.000 in
moneta attuale con gli interessi ugualmente calcolati; condannava i medesimi a
rifondere agli attori le spese giudiziali.

Proponevano gravame i T. – P. ed
in via incidentale le Generali nonché la Ardigas e l’Innerhofer e la Corte di Appello di Milano,
con sentenza 9 aprile-20 settembre 2002, in parziale accoglimento dei primi due,
condannava gli appellanti incidentali, in solido, a corrispondere ulteriori
somme risarcitorie (euro 103.291,38
a favore di I. T. ed euro 2.555,14 a favore della
P.) attualizzate, con gli interessi legali fino al saldo, confermando nel resto
la sentenza impugnata e compensando totalmente le spese del grado.

Affermava la Corte territoriale:

– che era condivisibile la
liquidazione del danno biologico e di quello morale, mentre andava corretto il
coefficiente per il danno da lucro cessante, stante l’aumento delle aspettative
di vita;

– che il calcolo andava
effettuato sul reddito al netto dei contributi versati dal datore di lavoro;

– che restavano inalterate le
operazioni di detrazione della residua rendita Inail, in mancanza di specifica
contestazione;

– che le compromissioni della
carriera lavorativa di I. T. dovevano essere
risarcite, aggiungendosi alla perdita della capacità lavorativa specifica;

– che andava riconosciuto il
diritto al risarcimento a favore della P. e di C. T., con un incremento a
favore della P. a titolo di danno morale;

– che non vi erano elementi per
riconoscere un danno alla vita sessuale della P.;

– che l’imputazione degli acconti
era stata correttamente effettuata non ai sensi dell’articolo 1194 Cc ma
secondo i criteri affermati da questa Corte di legittimità;

– che la responsabilità delle Generali per mala gestio comportava il superamento del
massimale aumentato di rivalutazione ed interessi, decorrenti dalla scadenza
dello spatium deliberandi;

– che il Tribunale aveva omesso
di pronunciarsi sulle somme corrisposte agli altri danneggiati (tranne che per
la rendita vitalizia capitalizzata dell’Inail). che
pertanto dovevano essere poste in detrazione cumulativamente dal massimale
disponibile.

Per la cassazione di tale
sentenza hanno proposto ricorso la ditta Ardigas e l’Innerhofer sulla base di
due motivi, illustrati anche con memoria. Hanno resistito i T. – P. con
controricorso, proponendo a loro volta ricorso incidentale
affidato ad otto motivi. Le Generali non hanno svolto
attività difensiva in questo grado.

Motivi della decisione

Vanno preliminarmente riuniti i due ricorsi, proposti avverso la stessa sentenza, ai sensi
dell’articolo 335 Cpc.

Ricorso principale – Con il primo
motivo, denunciando la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 112
e 345 Cpc, 1218
e 1882 Cc nonché il vizio della motivazione su un punto decisivo della
controversia, in relazione all’articolo 360 nn. 3) e 5 Cpc, i ricorrenti
lamentano che il giudice di appello non abbia rilevato che essi avevano fatto
valere nei confronti delle Generali la mala gestio
“propria”, con conseguente responsabilità della Compagnia oltre il massimale
per l’intero risarcimento dovuto ai danneggiati.

La censura non può essere
accolta. Premesso che il compito di interpretare la domanda è istituzionalmente
devoluto al giudice di merito il citi accertamento
diviene incensurabile in cassazione ove sorretto da idonea motivazione, nella
specie la Corte
ambrosiana ha motivato il suo diciuni rilevando la novità della domanda siccome
formulata per la prima volta in appello, perché li attuali ricorrenti (allora
appellanti incidentali) “si erano invero limitati in primo grado a configurare
la colpa dell’assicuratrice con riferimento al ritardo con il quale questa
aveva messo a disposizione gli acconti risarcitori e alla mancata accettazione
di una transazione vantaggiosa, sicché il titolo autonomo relativo
all’ulteriore danno causato agli assicurati come sopra prospettato al di fuori
della generica mala gestìo non può inerire alla domanda iniziale, esulandovi”.

Contro questa motivazione si
infrange la dedotta censura che, riportando correttamente il tenore delle
richieste avanzate in prime cure, consente di evidenziarne la genericità, come
tale inidonea, secondo l’apprezzamento insindacabile del giudice di appello, a
ritenerla come autonoma domanda fondata sulla responsabilità per mala gestio
“propria” nel rapporto corrente tra assicurato ed assicuratore, e quindi anche
oltre i limiti del massimale maggiorato di svalutazione monetaria ed interessi.

Il primo motivo va, pertanto,
rigettato.

Il secondo mezzo è inammissibile
perché, ad onta dell’asserita denuncia di violazione e/o falsa applicazione
degli articoli 1223, 1224 e 1282 Cc anche sotto il profilo motivazionale sul
punto decisivo della controversia “in ordine alla determinazione del quantum”,
nella sostanza si risolve nella generica richiesta a questa Corte di enunciare
“con chiarezza i criteri da applicare” al riguardo, in mancanza di appello
incidentale sul punto.

Concludendo, il ricorso
principale va rigettato.

Ricorso incidentale – Con il
primo motivo i ricorrenti incidentali denunciano la violazione e la falsa
applicazione dell’articolo 1194 Cc ed il vizio della motivazione su un punto
decisivo della controversia attinente all’imputazione degli acconti (articolo
360 nn. 3 e 5 Cpc), lamentando che tale imputazione sia stata effettuata al
capitale e non prima agli interessi.

Il motivo non è fondato. La Corte ambrosiana ha ritenuto
corretta l’imputazione fatta dal tribunale degli acconti prima al capitale e
poi eventualmente agli interessi, contrariamente alla regola stabilita
dall’articolo 1194 Cc, in quanto «tale regola ha senso soltanto allorché sia il
credito per capitale che quello accessorio per gli interessi (e spese) siano
simultaneamente liquidi ed esigibili, e vale pertanto nell’ambito delle
obbligazioni pecuniarie. In tema di risarcimento del danno, invece, i
versamenti effettuati in favore del danneggiato nel corso del processo di
liquidazione non presuppongo un debito pecuniario, venendo questo a sussistenza
solo nel momento in cui viene effettuata la
liquidazione del danno. Di conseguenza i versamenti devono imputarsi al
capitale, posto che vanno a ridurre l’ammontare del danno da liquidare».
Aggiungendo che il diverso criterio di imputazione è dovuto
alla diversa natura dei due tipi di versamento, sicché appare fuori luogo
l’eccezione di illegittimità costituzionale per disparità di trattamento fra
debitore da fatto lecito e debitore da fatto illecito, trattandosi di
situazioni disomogenee.

Trattasi di motivazione uniforme
agli insegnamenti di questa Corte (ex plurimis Cassazione 5707/97) e che nel
contempo comporta la manifesta infondatezza della sollevata questione di
costituzionalità.

Il primo motivo va, pertanto,
rigettato.

Con il secondo mezzo i ricorrenti
denunciano generica violazione di norme di diritto ed il vizio della
motivazione su altro punto decisivo della controversia circa la possibilità di
detrarre dal massimale i pagamenti effettuati a favore degli altri danneggiati.
Lamentano al riguardo che il giudice di appello abbia
“accolto parzialmente l’appello incidentale delle Generali, disponendo la
detrazione dal massimale delle somme pagate alla FAI Spa in data 19 ottobre
1989 ed a Jaime Vergara Mortilla in data 15 dicembre 1993, con una decisione
palesemente erronea, essendo contrario a diritto opporre agli odierni
ricorrenti incidentali i pagamenti effettuati in forza di accordi transattivi
cui essi sono rimasti estranei”. In altre parole, le Generali
non possono pretendere di risarcire parzialmente i T. – P. poiché hanno già
integralmente risarcito il danno ad altri danneggiati, imputando ad essi
ricorrenti di non avere partecipato ad altro giudizio preventivamente promosso.

Il motivo è fondato. E’ principio
sempre ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte che in tema di
risarcimento del danno derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei
natanti, qualora vi siano più persone danneggiate nello stesso sinistro,
l’assicuratore deve provvedere, usando la normale diligenza,
all’identificazione di tutti i danneggiati, attivandosi anche con la loro
congiunta chiamata in causa, per procedere alla liquidazione del risarcimento
nella misura proporzionalmente ridotta ai sensi del primo comma dell’articolo 27 della legge 990/69. Ne consegue che
l’assicuratore, convenuto in giudizio con azione diretta da parte di uno dei
danneggiati, non può opporre, al fine della riduzione dell’indennizzo, la somma
già concordata e versata in sede stragiudiziale ad un altro danneggiato, pur
nella consapevolezza che nel sinistro erano rimaste coinvolte più persone,
dovendo imputare a propria negligenza il non aver provveduto ‑ o
richiesto che si provvedesse in sede giudiziale ‑ alla congiunta disamina
delle pretese risarcitorie dei danneggiati per la riduzione proporzionale dei
correlativi indennizzi (Cassazione 1831/88 ex plurimis). Si è altresì precisato
che non esiste alcun onere di iniziativa o di collaborazione dei danneggiati
(Cassazione 4377/91) e che la disposizione dell’articolo 27 cit. non è
applicabile alle maggiori somme dovute per interessi, svalutazione monetaria e
spese processuali (Cassazione 10810/93).

Il motivo va, pertanto, accolto
ed il giudice di rinvio dovrà provvedere ad una corretta e proporzionale
liquidazione tra tutti i danneggiati. Ne consegue l’assorbimento del terzo
motivo con cui si lamenta il vizio della motivazione con riguardo alla
detrazione dal massimale del pagamento effettuato in favore dell’Inail.

Con il quarto motivo i ricorrenti
lamentano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su altro punto
decisivo della controversia relativo alle modalità di calcolo del quantum
debeatur. Al riguardo denunciano un primo errore di calcolo in relazione a
quanto riconosciuto a titolo di lucro cessante (lire 228.471.223 invece di lire
150.994.000 effettivamente liquidate) e, soprattutto, un secondo errore di
calcolo, in quanto la Corte
ambrosiana ha dichiarato di volere aggiungere, alla somma relativa alla perdita
della capacità lavorativa specifica di I. T., altra
somma che “tenga conto anche dell’aspetto relativo alla compromissione della
carriera”, determinandola in via equitativa in un importo pari a lire
200.000.000 (euro 103.291,38) comprensivo di entrambe, facendo riferimento a
valori già rivalutati ed aumentati degli interessi. L’errore consiste nel fatto
che la Corte
territoriale, mentre intendeva aumentare il risarcimento del danno da lucro
cessante, ha finito per ridurlo di oltre un terzo, da 325 a 200 milioni di lire.

Il motivo deve essere accolto.
Per quanto riguarda i profili matematici del conteggio, essi sono già stati
dedotti in sede di ricorso per correzione ma senza successo, né questa Corte
può procedere a calcoli nuovi e diversi, indiscutibile
è che il giudice di appello voleva riconoscere un ulteriore risarcimento per la
compromissione della carriera di I. T. ed, invece, tale risarcimento ha finito
con essere assorbito nella somma complessivamente riconosciuta a titolo di
lucro cessante. La contraddittorietà dovrà essere sanata dal giudice di rinvio
ed il quarto motivo viene pertanto accolto.

Fondato è anche il quinto motivo
con cui i ricorrenti denunciano ancora vizio della motivazione su altro punto
decisivo della controversia (articolo 360 n. 5 Cpc.) poiché la Corte ambrosiana,
riconoscendo ai coniugi T. – P. ulteriori somme a titolo di lucro cessante e di
mancato guadagno “con riferimento ai valori attualizzati alla data della
sentenza di primo grado”, ha poi disposto la decorrenza degli interessi legali
“dalla data della presente decisione al saldo”. Anche su questo punto emerge una
contraddittorietà perché tali interessi debbono decorrere dalla stessa data in
cui le somme‑capitale vengono attualizzate,
perché altrimenti i beneficiari verrebbero privati degli interessi legali nel
periodo che va dalla decisione di primo grado a quella di appello (dal 28
ottobre 1999 al 9 aprile 2002).

Con il sesto motivo i ricorrenti
denunciano generica violazione di norme di legge e vizio della motivazione in
relazione al mancato riconoscimento a favore di I. T.,
del danno esistenziale.

Questo motivo non è fondato.
Questo Collegio, infatti, condivide l’orientamento maggioritario esplicitato
con particolare chiarezza nella recente sentenza n. 23918/2006, secondo la
quale la responsabilità aquiliana va ricondotta nell’ambito della bipolarità
prevista dal “codice vigente” tra danno patrimoniale (articolo 2043 Cc) e danno
non patrimoniale (articolo 2059 Cc); ferma la tipicità prevista da quest’ultima
norma, il danno non patrimoniale deve essere risarcito non solo nei casi
previsti dalla legge ordinaria, ma anche nei casi di lesione di valori della
persona umana costituzionalmente protetti (quali la salute, la famiglia, la
reputazione, la libertà di pensiero) ai quali va riconosciuta la tutela minima,
che è quella risarcitoria; ne consegue che non può formare oggetto di tutela
una generica categoria di “danno esistenziale” nella quale far confluire
fattispecie non previste dalla norma e non ricavabili
dall’interpretazione costituzionale dell’articolo 2059 Cc Pertanto, qualora, in
relazione ad una lesione del bene alla salute, sia stato liquidato il “danno
biologico”, che include ogni pregiudizio diverso da quello consistente nella
diminuzione o nella perdita della capacità di produrre reddito, ivi compresi il
danno estetico e il danno alla vita di relazione, non v’è luogo per una
duplicazione liquidatoria della stessa voce di danno, sotto la categoria
generica del “danno esistenziale” (in senso cfr. Cassazione
11761/06 e 15022/05). Nella specie, in particolare, nella liquidazione
del danno biologico, si è “tenuto conto dei pregiudizi all’integrità fisica del
soggetto considerato in tutte le situazioni e i rapporti di esplicazione della
persona ed in tutti i suoi aspetti, tra i quali quelli dell’attività
produttiva, come quello delle altre attività, nonché quello della vita sociale,
affettiva, spirituale” (pag. 10 – 11 della sentenza).

Il sesto motivo va, pertanto,
rigettato.

Appare fondato e va,
conseguentemente accolto, il settimo motivo con cui, denunciando la violazione
degli articoli 1223, 1226, 2043 e 2056 Cc con riguardo al risarcimento del
lucro cessante di I. T., si lamenta che il reddito
annuo costitutivo della base di calcolo era stato confermato nella misura “al
netto dei contributi previdenziali versati dal datore di lavoro, tale essendo
il reddito che effettivamente al lavoratore viene corrisposto annualmente, e
senza defalcazione degli oneri fiscali, il cui versamento resta a carico di
quest’ultimo”.

Il ragionamento dei giudici di
merito sembra errato e pur in mancanza di precedenti specifici di questa Corte,
sembra più corretto argomentare che maggiori contributi equivalgono ad una
maggiore pensione e che anche questa perdita vada risarcita, ponendo a base del
calcolo del lucro cessante il reddito al lordo di tali contributi.

Resta da esaminare l’ottavo ed
ultimo motivo con cui si denuncia il mancato riconoscimento del danno
esistenziale sotto il profilo della vita sessuale patito dalla P.. Esso non è
fondato. A prescindere dalla risarcibilità in via autonoma del pregiudizio
collegato alla perdita della possibilità di avere rapporti sessuali (v.
Cassazione 2311/07), nella specie il giudice di appello ha escluso in radice
qualsiasi risarcimento osservando che «non vi è alcun elemento invece
concretamente indicativo di un danno inerente la vita
sessuale della P.: né le torpide reazioni emotive, né la lentezza
comportamentale, né i rilievi sulla personalità di I. T. contenuti nelle
relazioni peritali dei Ctu nominati in primo grado depongono per una specifica
incidenza delle lesioni da questi riportate in conseguenza del sinistro sulla
sfera sessuale della moglie. Non vi è perciò motivo per liquidare somme
ulteriori rispetto a quanto già riconosciuto dal Tribunale a titolo di danno
morale».

Trattasi di apprezzamento congruo
e logico, come tale incensurabile in questa sede.

La censura viene
quindi rigettata.

Tirando i fili del discorso e
concludendolo con riguardo al ricorso incidentale vanno rigettati il primo, il
sesto e l’ottavo motivo, accolti il secondo, il quarto, il quinto ed il
settimo, assorbito il terzo, con correlata cassazione dell’impugnata sentenza e
rinvio ad altra Sezione della stessa Corte a qua, che provvederà anche sulle
spese di questo grado.

PQM

la Corte
riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, nonché i motivi primo, sesto
ed ottavo del ricorso incidentale, dichiarando assorbito il terzo, che accoglie
nel resto (secondo, quarto, quinto e settimo motivo); cassa la sentenza
impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa ad altra Sezione
della Corte di Appello di Milano, anche per le spese del giudizio di
cassazione.