Penale

Friday 17 October 2003

L’ intervento edilizio su bene vincolato in assenza della prescritta autorizzazione costituisce reato anche se non vi è alcuna prova di un effettivo danno ambientale

L’intervento edilizio su bene vincolato in assenza della prescritta autorizzazione costituisce reato anche se non vi è alcuna prova di un effettivo danno ambientale

Cassazione Penale – Sezione Terza Sentenza 5 agosto 2003 n° 32993/2003

Sentenza.

Presidente Toriello – Estensore Onorato

Svolgimento del processo e motivi della decisione.

1 – Con sentenza del 30 maggio 2002 la corte d’appello di Cagliari, sez. dist. di Sassari, riformando – su gravame del pubblico ministero – quella resa il 7 giugno 2001 dal tribunale monocratico di Tempio Pausania, sezione distaccata di La Maddalena, dichiarava M., P., C. e S. colpevoli della contravvenzione di cui l’art. 1 sexies legge 431/1985 per aver realizzato, i primi due quali committenti, il terzo quale direttore dei lavori e il quarto quale costruttore, due manufatti edilizi di mc. 114,15 e di mc. 103,07 in zona sottoposta a vincolo, senza autorizzazione dell’autorità tutoria.

Per l’effetto, la corte li condannava alla pena di dieci giorni di arresto ed euro 10.330,00 di ammenda, col beneficio della sospensione condizionale della pena.

Osservava il giudice di appello che la concessione in sanatoria, accompagnata dal nulla-osta dell’autorità preposta al vincolo paesaggistico, estingueva il reato di cui all’art. 20 legge 47/1985 ai sensi degli art. 13 e 22 della stessa legge (per tale reato infatti la sentenza di primo grado aveva prosciolto gli imputati, senza che il pubblico ministero proponesse appello al riguardo), ma non estingueva il reato ambientale, che ha natura formale.

2 – Avverso la condanna solo il M., la P. e il C. hanno proposto ricorso per cassazione, con atto unico comune, deducendo tre motivi a sostegno.

2.1 – Col primo articolato motivo i ricorrenti deducono inosservanza o erronea applicazione della legge penale, laddove la corte di merito ha osservato che la contravvenzione ambientale contestata è reato formale e di pericolo presunto, che sussiste anche se successivamente alla edificazione l’autorità tutoria ha dichiarato che le opere non recavano danno ai beni paesaggistici tutelati.

2.2 – Col secondo motivo si deduce ancora inosservanza o erronea applicazione della legge penale, sostenendo che l’accertamento di conformità rilasciato ai sensi dell’art. 13 legge 47/1985 estingue non solo il reato urbanistico ma anche quello ambientale.

2.3 – Col terzo motivo, infine, i ricorrenti deducono mancanza o manifesta illogicità della motivazione.

Sostengono che la corte di merito, a fronte del nulla-osta postumo dell’Ufficio tecnico Paesaggi della Provincia di Sassari, che accertava l’assenza di danno ambientale, non ha minimamente verificato se le opere realizzate erano comunque idonee a incidere negativamente sull’originario assetto del territorio, ponendo in pericolo il paesaggio o immutando in modo rilevante e apprezzabile le caratteristiche fisiche o estetiche del luogo.

Rilevano infine la contraddizione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, laddove da una parte osserva il reato di cui l’art. 1 sexies legge 431/1985 è “sempre” stato qualificato come reato di pericolo presunto, e dall’altra afferma che detto principio esprime un orientamento “pressoché” costante della giurisprudenza di legittimità.

Motivi della decisione.

3 – Il primo e il terzo motivo (nn. 2.1 e 2.3) vanno esaminati congiuntamente, giacchè sottintendono, più o meno esplicitamente, quella concezione c.d. realistica del reato, secondo cui non può esservi un reato senza una offesa effettiva del bene protetto.

Tuttavia questa concezione è stata criticata in dottrina con indubbio fondamentale sulla base di una semplice argomentazione logica: se – come ritengono gli stessi propugnatori di quella concezione – il bene protetto deve essere desunto dalle singole fattispecie incriminatici, ne consegue che è impossibile ipotizzare un fatto conforme alla fattispecie tipica che non sia necessariamente lesivo del bene protetto.

Inoltre, si deve aggiungere che per le fattispecie incriminatici che hanno natura di reato di pericolo presunto o astratto – come pacificamente quella di cui l’art. 1 sexies legge 431/1941 o quella di cui l’art. 163 D.L.vo 490/1999 che sostituisce la prima in perfetta continuità normativa – l’utilizzazione del principio di offensiva concreta incontra un ulteriore ostacolo, giacchè, per definizione, in questi tipi di reato la valutazione della offesa arrecata dalla condotta al bene tutelato è sottratta al giudice, essendo operata positivamente dal legislatore in via astratta e tipica una volta per tutte.

Per queste ragioni, più che al principio di offensività occorre fare riferimento al principio di tipicità, giacchè l’interprete deve fare l’esegesi della norma incriminatrice tipica prima di individuare l’interesse penalmente tutelato.

A questo riguardo va messo in evidenza che, sotto il vigore della legge 431/1985, per il combinato disposto degli art. 1 e 1 sexies della stessa legge, in relazione all’art. 7 legge 1497/1939, il precetto penalmente sanzionato era quello di non distruggere il bene ambientale, nè introdurvi modificazioni che recassero “pregiudizio a quel suo esteriore aspetto che è protetto dalla legge”; e pertanto di trasmettere all’autorità regionale competente il progetto dei lavori, prima di intraprenderli, per ottenere l’autorizzazione (secondo la formulazione letterale del citato art. 7).

Identico è il precetto desumibile dell’art. 163 del nuovo testo unico (D.L.vo 490/1999), secondo il quale è vietato eseguire lavori di qualsiasi genere sui beni ambientali senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa. L’autorizzazione deve essere preventivamente richiesta per le opere di qualunque genere che si intendano eseguire (art. 151, comma 2). Anche con la nuova normativa è peraltro precisato che le opere vietate sui beni ambientali sono quelle di distribuzione o di modificazione “che rechino pregiudizio a quel loro aspetto esteriore che è oggetto di protezione” (art. 151, comma 1). Poiché il secondo comma dell’art. 151, laddove si riferisce alle “opere di qualunque genere”, va letto nel contesto del primo comma, laddove vieta soltanto quegli interventi sui beni vincolati “che rechino pregiudizio a quel loro esteriore aspetto che è oggetto di protezione”, se ne deve concludere che la norma incriminatrice sanziona penalmente ogni intervento che pregiudichi l’aspetto esteriore del paesaggio (che la recente evoluzione legislativa ha ormai acquisito come forma visibile del territorio) e sia realizzato senza l’autorizzazione o in difformità da essa.

Questa ricostruzione ermeneutica del reato ambientale trova conferma nelle disposizioni che definiscono gli interventi non soggetti ad autorizzazione (art. 82, comma 12, D.P.R. 616/1977 e art. 152 D.L.vo 490/1999), in particolare laddove esonerano dal controllo preventivo dell’autorità tutoria a) gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di consolidamento statico e restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici, b) gli interventi per attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edili e altre opere civili, proprio perché si tratta di interventi che il legislatore considera tipicamente irrilevanti per il paesaggio, inteso come forma visibile del territorio.

Alla luce di questa impostazione dommatica vanno valutate quelle sentenze citate dai ricorrenti a sostegno della loro concezione “realistica” del reato ambientale e altre analoghe (in particolare Cass. Sez. III, n. 3693 del 28/1/1998, Ruffatti, rv. 210469; Cass. Sez. III, n. 7147 del 7/5/1998, P.M. e Vassallo, rv. 211218; Cass. Sez. III, n. 6180 del 3/3/2000, Faiola ed altro, 216975; Cass. Sez. III, n. 2732 del 7/3/2000, Gargiulo rv.215891). Laddove queste decisioni escludono la sussistenza del reato ambientale, o non sono condivisibili, o sono condivisibili in base non già al principio di offensività bensì a quello di tipicità. In altri sussumibile nella fattispecie tipica, e non già perché essa non è idonea a offendere il bene ambientale protetto. Insomma, non configura reato un intervento sul bene vincolato per il quale non è prescritta la previa autorizzazione; ma quando l’autorizzazione è prescritta, l’intervento in assenza o in difformità dell’autorizzazione integra il reato anche se non cagiona un danno ambientale, posto che il legislatore ritiene quell’intervento astrattamente idoneo a ledere o mettere in pericolo il paesaggio o l’ambiente, entrambi intesi come forma visibile del territorio.

4 – Così ricostruita la struttura giuridica del reato ambientale, ne discende logicamente un preciso corollario.

Una volta che il reato ambientale sia stato commesso, è penalmente irrilevante l’autorizzazione ambientale postuma rilasciata dall’autorità tutoria, così come qualsiasi altro atto amministrativo in cui detta autorità attesi comunque che l’intervento incriminato non ha prodotto un danno ambientale.

Vero è che alcune pronunce precisano che l’autorizzazione amministrativa costituisce un modo di gestione del vincolo da parte dell’autorità competente, che il giudice penale non può disattendere (Cass. Sez. III n. 5257 del 29/4/1987, Ricotti, rv. 175822; Cass. Sez. III n. 3125 del 27/3/1996, Michetti ed altri, rv. 205002). Ma esse sono corrette perché riguardano la contravvenzione prevista dall’art. 734 c.p., che è reato di danno e di evento (o materiale).

Come tali, non possono essere applicate a un reato di pericolo e di pura condotta (o formale) come è quello ambientale. In questo reato, infatti, la gestione del vincolo da parte dell’autorità tutoria resta estranea alla fattispecie tipica, e quindi penalmente irrilevante; mentre nel reato di danno essa rileva penalmente proprio perché influisce nella valutazione del danno stesso.

5 – Per le considerazioni sopra esposte vanno disattesi il primo ed il terzo motivo di ricorso, laddove escludono il reato ambientale nella considerazione che l’intervento edilizio abusivo aveva ottenuto ex post il nulla-osta dell’autorità preposta al vincolo, perché ritenuto non dannoso per l’ambiente.

Altrettanto infondata è la censura per motivazione contraddittoria sviluppata nel terzo motivo, laddove rileva un contrasto nella sentenza impugnata quando richiama la giurisprudenza che qualifica il reato ambientale come reato di pericolo presunto (una volta ritenuta costante e un’altra “pressoché” costante). L’asserita contraddizione è irrilevante nell’impianto motivazionale che sorregge il giudizio di responsabilità, atteso che – per le ragioni sopra sviluppate – la natura giuridica del reato ambientale come reato formale e di pericolo astratto non può essere messa in discussione.

È appena il caso di aggiungere che nella fattispecie di causa gli imputati avevano costruito due edifici parzialmente interrati, la cui volumetria fuori terra raggiungeva rispettivamente mc. 114,14 e mc. 103,07. Si trattava quindi di due manufatti con indubbio impatto ambientale, e che recavano pregiudizio a quell’esteriore aspetto del luogo che è protetto dalla legge vincolistica, e che quindi necessitavano della previa autorizzazione dell’autorità tutoria, anche se questa l’ha poi rilasciata a costituzione ultimata.

6 – Il secondo motivo di ricorso (n. 2.2) è infine inammissibile, perché generico e manifestamente infondato.

E’ generico perché i ricorrenti non specificano le ragioni di diritto su cui fondano l’asserzione secondo cui il rilascio della sanatoria edilizia ex art. 13 e 22 legge 47/1985 estingue non solo il reato urbanistico ma anche quello ambientale.

E’ manifestamente infondato giacchè la tesi è esplicitamente contraddetta dalla formulazione testuale della norma di cui al terzo comma del succitato art. 22, rispetto alla quale la fattispecie estintiva di cui all’ottavo comma dell’art. 39 legge 23 dicembre 1994 n. 724 si pone come norma derogatoria non suscettibile di estensione analogica.

7 – Il ricorso va quindi respinto. Consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Considerato il contenuto del ricorso, non si ritiene di dover irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.

(Omissis)