Penale

Thursday 09 June 2005

L’ impossibilità di richiedere riti alternativi nei processi avanti il Giudice di Pace è costituzionalmente legittima.

L’impossibilità di richiedere
riti alternativi nei processi avanti il Giudice di Pace è costituzionalmente
legittima.

Corte costituzionale – ordinanza
6-8 giugno 2005, n. 228

Presidente Capotosti – relatore
Neppi Modana

Ritenuto

che con
ordinanza del 9 maggio 2003 (554/03) il GdP di Pavia ha sollevato, su eccezione
della difesa, in riferimento agli articoli 3, 76 e 77, primo comma, della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2 del D.Lgs
274/00 (Disposizioni sulla competenza penale del GdP, a norma dell’articolo 14
della legge 468/99), nella parte in cui non consente il ricorso ai riti
alternativi e in particolare all’applicazione della pena su richiesta nel
procedimento davanti al GdP; che il giudice rimettente rileva che la
legge-delega 468/99, «nulla dispone circa l’applicabilità dei riti alternativi
nel processo davanti al giudice di pace e che l’esclusione dei medesimi (e, in
particolare, del patteggiamento) […] non appare ragionevolmente riconducibile
ai principi generali ispiratori della legge di riforma né chiaramente
funzionale allo scopo di massima semplificazione da questa perseguito»;

che ad
avviso del rimettente le motivazioni addotte nella Relazione al D.Lgs 274/00 a
sostegno dell’esclusione dei riti alternativi «appaiono poco persuasive, se non
addirittura inconferenti, in relazione ai reati di pericolo – tra i quali è
inquadrabile il reato di guida in stato di ebbrezza» oggetto del giudizio a quo
– visto che per detti reati, da un lato, non si pone l’esigenza di «assicurare
un’adeguata tutela delle ragioni della persona offesa» e, dall’altro, non si
può ravvisare il rischio di «un aumento del contenzioso civile» come effetto
della possibilità di ricorrere al patteggiamento;

che il
giudice a quo ritiene che la disposizione censurata violi anche l’articolo 3
Costituzione sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento di
«situazioni analoghe», in quanto solo nei procedimenti davanti al tribunale è
possibile usufruire della riduzione di pena collegata al patteggiamento;

che la
disparità di trattamento non potrebbe ritenersi «compensata» dalle peculiarità
del processo penale davanti al giudice di pace, quali la particolare tipologia
(e mitezza) delle sanzioni applicabili e le forme di definizione alternativa
del procedimento: da un lato, infatti, le pene sono sì meno afflittive, ma
caratterizzate dall’effettività, in quanto non è ammessa la sospensione
condizionale; dall’altro, l’esclusione della procedibilità nei casi di
particolare tenuità del fatto è statisticamente di portata assai marginale e
l’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie non ha un ambito di
applicazione generale;

che con
ordinanza del 30 ottobre 2003 (19/2004) il GdP di Vittorio Veneto ha sollevato,
su eccezione della difesa, in riferimento agli articoli 3 e 24 Costituzione, la
medesima questione di legittimità costituzionale;

che il
giudice rimettente rileva che l’esclusione dell’applicazione della pena su
richiesta sembra imposta dalla necessità di assicurare una adeguata tutela
delle ragioni della persona offesa e di assecondare la funzione conciliativa
del giudice di pace, ma tali esigenze non eliminano la disparità di trattamento
derivante dalla diversità della disciplina processuale rispetto a quella prevista
per i reati di competenza del giudice ordinario;

che la
disciplina censurata si porrebbe in contrasto con il principio di
ragionevolezza, in quanto l’istituto del patteggiamento risulta ammesso per i
reati di maggiore gravità attribuiti alla competenza del tribunale mentre non
lo è per i reati ‘minori’ di competenza del GdP, nonché con l’articolo 24
Costituzione, posto che «non è possibile sottrarre all’imputato il suo
fondamentale diritto alla difesa»;

che ad
avviso del rimettente l’irragionevolezza della disciplina e la lesione del
principio di eguaglianza sono particolarmente evidenti nei casi in cui reati di
competenza del giudice di pace sono giudicati dal tribunale per connessione e
risultano pertanto applicabili il patteggiamento e gli altri riti alternativi,
«con tutti i relativi benefici per l’imputato sul piano sanzionatorio»;

che con
ordinanza del 5 febbraio 2004 (324/04) il medesimo GdP di Vittorio Veneto ha
sollevato, su eccezione della difesa, in riferimento agli articoli 3 e 76
Costituzione, analoga questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2
del D.Lgs 274/00, riproponendo, quanto
all’articolo 3 Costituzione, censure sostanzialmente corrispondenti a quelle
svolte nell’ordinanza 19/2004;

che il
rimettente ritiene che la disposizione in esame violi anche l’articolo 76
Costituzione per eccesso di delega in relazione al criterio direttivo posto
dall’articolo 17 della legge 468/99, secondo il quale «il procedimento penale
davanti al giudice di pace è disciplinato tenendo conto delle norme del Libro
VIII del Cpp riguardanti il procedimento davanti al tribunale in composizione
monocratica, con le massime semplificazioni rese necessarie dalla competenza
dello stesso giudice», rilevando che nel Libro VIII è compreso il Titolo III,
relativo ai procedimenti speciali, e che, in particolare, il patteggiamento
consente la massima semplificazione ed economia processuale;

che nei
giudizi relativi alle ordinanze iscritte al 554/03 e ai numeri 19 e 324 del
registro ordinanze del 2004 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate;

che ad
avviso dell’Avvocatura rientrerebbe infatti nella discrezionalità del
legislatore «l’estensione o meno di una particolare disciplina, per di più
speciale, […] in una determinata area giurisdizionale»;

che, in
ogni caso, l’esclusione del patteggiamento sarebbe «immediatamente desumibile
dalla legge-delega», in quanto gli istituti individuati dall’articolo 2 del
D.Lgs 274/00, e segnatamente il patteggiamento, sono «estranei alla natura» del
procedimento davanti al GdP;

che il
rispetto del criterio della massima semplificazione, la vocazione conciliativa
del GdP, la modesta gravità dei fatti devoluti alla sua cognizione, nonché la
natura delle relative sanzioni, comunque non detentive, hanno appunto indotto
il legislatore a non prevedere riti alternativi «al di fuori dei meccanismi di
improcedibilità per tenuità del fatto, nonché di estinzione del reato
conseguente a condotte riparatorie e all’oblazione»;

che il
GdP di Conegliano, con ordinanze del 14 novembre 2003 (668/04) e del 21
novembre 2003 (669/04), ha sollevato, su eccezione della difesa, in riferimento
agli articoli 3 e 24 Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 2 del D.Lgs 274/00, sulla base di considerazioni sostanzialmente
analoghe a quelle svolte nell’ordinanza 19/2004;

che,
infine, con ordinanza del 13 febbraio 2004 (670/04) il GdP di Conegliano ha
sollevato, in riferimento all’articolo 3 Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 2 del D.Lgs 274/00, riproponendo le stesse
argomentazioni svolte nelle ordinanze numeri 668 e 669 del registro ordinanze
del 2004;

che
inoltre il giudice a quo, nel prendere in esame il reato di atti contrari alla
pubblica decenza (articolo 726 Cp), per cui procede, rileva che tra tale
fattispecie e quella di atti osceni (articolo 527 Cp) intercorre un rapporto di
genere a specie, in quanto il delitto di atti osceni «offende più intensamente
ed in modo più grave il pudore sessuale»; ciononostante, l’articolo 44 del
D.Lgs 507/99 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema
sanzionatorio), che ha depenalizzato l’ipotesi colposa disciplinata dal
capoverso dell’articolo 527 Cp, ha mantenuto la punibilità, a titolo di colpa,
per la fattispecie prevista dall’articolo 726 Cp;

che,
alla luce di tali considerazioni, il giudice a quo solleva, su eccezione della
difesa, in riferimento agli articoli 3 e 27 Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’articolo 44 del D.Lgs 507/99 e degli articoli 1
e 7, comma 1, lettera c), della legge 205/99 (Delega al Governo per la
depenalizzazione dei reati minori e modifiche del sistema penale e tributario),
in relazione all’articolo 726 Cp (Atti contrari alla pubblica decenza), nella
parte in cui non prevedono la depenalizzazione, «sotto il profilo della colpa»,
della contravvenzione descritta da tale norma;

che, in
particolare, l’articolo 3 Costituzione sarebbe violato per irragionevolezza e
per disparità di trattamento, in quanto «se un soggetto commette atti indecenti
(colposi) è punito con sanzione penale, mentre se commette atti osceni
(colposi) va esente da pena»;

che per
gli stessi motivi sarebbero violati il principio di colpevolezza e la finalità
rieducativa della pena (articolo 27 Costituzione).

Considerato

che
tutti i rimettenti sollevano questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 2 del D.Lgs 274/00 (Disposizioni sulla competenza penale del GdP,
a norma dell’articolo 14 della legge 468/99), nella parte in cui non consente
il ricorso ai riti alternativi e, in particolare, all’applicazione della pena
su richiesta delle parti nel procedimento davanti al GdP;

che deve
pertanto essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

che le
questioni sono sollevate in riferimento
all’articolo 3 della Costituzione da tutti i rimettenti, in riferimento anche
all’articolo 24 Costituzione nelle ordinanze numeri 19, 668 e 669 del registro
ordinanze del 2004, e in riferimento altresì agli articoli 76 e 77 Costituzione
nelle ordinanze n. 554 del registro ordinanze del 2003 e n. 324 del registro
ordinanze del 2004;

che,
quanto alla violazione dell’articolo 3 Costituzione, i rimettenti in sostanza
lamentano l’ingiustificata disparità di trattamento riservata agli autori dei
reati di competenza del GdP, per i quali soltanto è esclusa la possibilità di
accedere al patteggiamento, nonché l’irragionevolezza di una disciplina che consente
l’applicazione della pena su richiesta in relazione a reati di maggiore
gravità, attribuiti alla competenza del tribunale o della corte d’assise, e la
preclude, invece, per violazioni di minore gravità, di competenza del GdP;

che la
lesione del principio di eguaglianza e l’irragionevolezza della disciplina
sarebbero particolarmente evidenti quando, verificandosi ipotesi di connessione
ai sensi dell’articolo 6 del D.Lgs 274/00, reati di competenza del GdP vengono
ad essere giudicati dal giudice ordinario, con conseguente possibilità per
l’imputato di patteggiare anche con riferimento a tali reati;

che ad
avviso del GdP di Vittorio Veneto e del Giudice di pace di Conegliano
l’impossibilità di fruire del patteggiamento violerebbe altresì il diritto di
difesa dell’imputato;

che, in
riferimento agli articoli 76 e 77 Costituzione, i GdP di Pavia e di Vittorio
Veneto (554/03 e 324/04) lamentano che, in assenza di un’espressa esclusione
dei riti alternativi nella legge-delega, la scelta operata dal legislatore delegato
non appare conforme ai principî ispiratori del procedimento davanti al giudice
di pace e, soprattutto, al principio della massima semplificazione, posto che
proprio il ricorso al patteggiamento contribuirebbe ad assicurare tale
obiettivo;

che,
quanto alle censure mosse in riferimento all’articolo 3 Costituzione, si deve
tenere presente, da un punto di vista generale, che il procedimento davanti al
giudice di pace presenta caratteri assolutamente peculiari, di per sé non
comparabili con la struttura del procedimento davanti al tribunale e comunque
tali da giustificare sensibili deviazioni rispetto al modello ordinario (per
analoghe considerazioni, rispetto a vari istituti non previsti nel procedimento
davanti al GdP, v. da ultimo ordinanze numeri 349 e 201 del 2004, numeri 290 e
231 del 2003);

che il
D.Lgs 274/00 contempla forme alternative di definizione, non previste dal
codice di procedura penale, che si innestano in un procedimento che concerne
reati di minore gravità, con un apparato sanzionatorio del tutto autonomo, in
cui il giudice deve favorire la conciliazione tra le parti (articoli 2, comma
2, e 29, commi 4 e 5) e in cui la citazione a giudizio può avvenire anche su
ricorso della persona offesa (articolo 21);

che, in
particolare, l’istituto del patteggiamento, così come delineato nel codice di
procedura penale, mal si concilierebbe con il costante coinvolgimento della
persona offesa nel procedimento davanti al giudice di pace, anche con
riferimento alle forme alternative di definizione del procedimento;

che,
infatti, il giudice, da un lato, può escludere la procedibilità per la
particolare tenuità del fatto, ex articolo 34, comma 2, solo se non risulta un
interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento e,
dall’altro, può pronunciare l’estinzione del reato conseguente a condotte
riparatorie, ex articolo 35, commi 1 e 5, solo dopo aver sentito la persona
offesa;

che le
caratteristiche del procedimento davanti al giudice di pace consentono di
ritenere che l’esclusione dell’applicabilità dei riti alternativi sia frutto di
una scelta non irragionevole del legislatore delegato, comunque tale da non
determinare una ingiustificata disparità di trattamento;

che tali
conclusioni non sono inficiate dal dato che in caso di connessione – peraltro
circoscritta dall’articolo 6 del D.Lgs 274/00 alla sola ipotesi di concorso
formale di reati – è consentito il ricorso al patteggiamento anche in relazione
ai reati attratti nella competenza del giudice ‘superiore’;

che,
infatti, le situazioni addotte dai rimettenti a sostegno della supposta
disparità di trattamento sono tra loro affatto diverse e non possono essere
oggetto di comparazione al fine del giudizio di costituzionalità;

che le
considerazioni esposte valgono anche per i profili di illegittimità riferiti
all’articolo 24 Costituzione, posto che le ragioni che giustificano l’omessa
previsione del patteggiamento a loro volta escludono che sia ravvisabile una
violazione del diritto di difesa;

che,
quanto alle censure mosse in relazione agli articoli 76 e 77, primo comma,
Costituzione, per costante giurisprudenza di questa Corte i principî e i
criteri direttivi della legge di delegazione devono essere interpretati sia
tenendo conto delle finalità ispiratrici della delega, sia verificando, nel silenzio
del legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte operate dal
legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della
stessa legge-delega (v., ex plurimis, ordinanza 248/04, nonché sentenze 308/02,
96/2001 e 230/91);

che,
nella specie, l’articolo 17, comma 1, della legge 468/99 si limita a
raccomandare al legislatore delegato di «tenere conto», quale modello di
riferimento, del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica,
nonché a prevedere lo svolgimento del giudizio in forma semplificata (lettera
l), la introduzione di forme di definizione del procedimento nei casi di
particolare tenuità del fatto e di occasionalità della condotta e di ipotesi di
estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie o risarcitorie, nonché
l’obbligo del giudice di procedere al tentativo di conciliazione (lettere f, g e h);

che in
attuazione di tali principî il legislatore delegato ha delineato un
procedimento già di per sé caratterizzato da una accentuata semplificazione
rispetto al procedimento davanti al giudice monocratico;

che è
proprio la struttura complessiva del procedimento davanti al GdP, accompagnata
da specifiche forme di definizione alternativa, che consente di escludere che
la omessa previsione del patteggiamento integri una violazione della
legge-delega;

che le
questioni devono pertanto essere dichiarate manifestamente infondate
in relazione a tutti i parametri costituzionali evocati dai rimettenti;

che
nell’ordinanza n. 670 del registro ordinanze del 2004 il GdP di Conegliano ha
anche sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 44 del
D.Lgs 507/99 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema
sanzionatorio), e degli articoli 1 e 7, comma 1, lettera c), della legge 205/99
(Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche del
sistema penale e tributario), in relazione all’articolo 726 del Cp (Atti
contrari alla pubblica decenza), nella parte in cui non prevedono la
depenalizzazione della contravvenzione descritta da tale norma, limitatamente
all’ipotesi di condotta colposa;

che il
rimettente lamenta che la disciplina censurata abbia depenalizzato la forma
colposa del più grave delitto di atti osceni, prevista dall’articolo 527,
secondo comma, Cp, mentre continua a costituire reato la meno grave ipotesi
contravvenzionale, attribuita alla competenza del giudice di pace, degli atti
contrari alla pubblica decenza, punita anche a titolo di colpa;

che
pertanto la disciplina censurata violerebbe l’articolo 3 Costituzione sotto il
duplice profilo della irragionevolezza e della disparità di trattamento, nonché
l’articolo 27 Costituzione per contrasto con la funzione rieducativa della
pena;

che il
rimettente, pur avendo espressamente enunciato nella parte motiva la questione
di legittimità costituzionale e indicato i relativi parametri di riferimento,
nel dispositivo ha sollevato questione di legittimità solo in relazione
all’articolo 2 del D.Lgs 274/00;

che
inoltre il giudice a quo richiede alla Corte un intervento volto a eliminare la
sola ipotesi colposa della contravvenzione prevista dalla norma incriminatrice,
ma non fornisce alcuna indicazione da cui desumere la natura meramente colposa
della fattispecie sottoposta al suo esame, così omettendo di motivare in ordine
alla rilevanza della questione;

che
sotto entrambi i profili la questione va pertanto dichiarata manifestamente
inammissibile.

Visti gli articoli 26, secondo
comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2,
delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PQM

La Corte costituzionale, riuniti
i giudizi,

dichiara
la manifesta infondatezza delle questioni di
legittimità costituzionale dell’articolo 2 del D.Lgs 274/00 (Disposizioni sulla competenza penale del
GdP, a norma dell’articolo 14 della legge 468/99), sollevate, in riferimento
agli articoli 3, 24, 76 e 77, primo comma, della Costituzione, dal GdP di
Pavia, dal GdP di Vittorio Veneto e dal GdP di Conegliano, con le ordinanze in
epigrafe;

dichiara
la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 44 del D.Lgs 507/99 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma
del sistema sanzionatorio), e degli articoli 1 e 7, comma 1, lettera c), della
legge 205/99 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e
modifiche del sistema penale e tributario), in relazione all’articolo 726 Cp,
sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 27 della Costituzione, dal GdP di
Conegliano, con l’ordinanza in epigrafe.