Enti pubblici

Monday 05 September 2005

Integratori alimentari, la Corte di Giustizia UE approva le linee guida delle direttive europee sul punto SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione) 12 luglio 2005

Integratori alimentari, la Corte di Giustizia UE approva le linee guida
delle direttive europee sul punto

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
12 luglio 2005 (*) «Ravvicinamento delle legislazioni –
Integratori alimentari – Direttiva 2002/46/CE – Divieto di commercializzazione
di prodotti non conformi alla direttiva – Validità – Fondamento
normativo – Art. 95 CE – Artt. 28 CE e 30 CE – Regolamento (CE) n. 3285/94 – Principi di sussidiarietà, di proporzionalità e di parità di
trattamento – Diritto alla proprietà – Libertà di svolgere un’attività
economica – Obbligo di motivazione»

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

12 luglio 2005 (*)

«Ravvicinamento
delle legislazioni – Integratori alimentari – Direttiva 2002/46/CE – Divieto di
commercializzazione di prodotti non conformi alla direttiva – Validità –
Fondamento normativo – Art. 95 CE – Artt. 28 CE e 30 CE – Regolamento (CE) n. 3285/94 – Principi di sussidiarietà, di proporzionalità e di parità di
trattamento – Diritto alla proprietà – Libertà di svolgere un’attività
economica – Obbligo di motivazione»

Nei procedimenti riuniti C-154/04 e
C-155/04,

aventi ad oggetto alcune domande di
pronuncia pregiudiziale sottoposte alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla
High Court of Justice (England
and Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court)
(Regno Unito), con ordinanze 17 marzo 2004, pervenute in cancelleria il 26
marzo 2004, nelle cause tra:

The
Queen, ex parte:

Alliance
for Natural Health (causa C-154/04),

Nutri-Link Ltd

e

Secretary
of State for Health

e tra

The Queen,
ex parte:

National
Association of Health Stores (causa C-155/04),

Health
Food Manufacturers Ltd

e

Secretary
of State for Health,

National Assembly for Wales,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dai sigg. V. Skouris,
presidente, P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas e K. Lenaerts (relatore),
presidenti di sezione, C. Gulmann, A. La Pergola, J.-P. Puissochet, R. Schintgen, J. Klučka, U. Lõhmus, E. Levits e A. Ó Caoimh, giudici,

avvocato generale: sig. L.A.
Geelhoed

cancelliere: sig.ra K. Sztranc,
amministratore,

vista la fase scritta del procedimento e
in seguito alla trattazione orale del 25 gennaio 2005,

considerate le osservazioni presentate:

– per l’Alliance for Natural
Health e Nutri-Link Ltd, dal sig. K. P. E. Lasok, QC, dalla sig.ra A. Howard e dal sig. M. Patchett-Joyce,
barristers;


per la National
Association of Health Stores e Health Food Manufacturers Ltd,
dal sig. R. Thompson, QC, e dal sig. S. Grodzinski, barrister;

– per il governo del Regno Unito, dal
sig. M. Bethell, in qualità di
agente, assistito dal sig. C. Lewis, barrister;

– per il governo ellenico, dalla
sig.ra N. Dafniou e dal sig. G. Karipsiadis,
in qualità di agenti;

– per il governo portoghese, dal sig.
L. Fernandes, in qualità di agente;

– per il Parlamento europeo, dai
sigg. M. Moore e U. Rösslein,
in qualità di agenti;

– per il Consiglio dell’Unione
europea, dalle sig.re E. Karlsson ed E. Finnegan, in
qualità di agenti;

– per la Commissione delle Comunità
europee, dai sigg. J.-P. Keppenne
e M. Shotter, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato
generale, presentate all’udienza del 5 aprile 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Le domande di pronuncia
pregiudiziale riguardano la validità degli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo
comma, lett. b), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 10
giugno 2002, 2002/46/CE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati
membri relative agli integratori alimentari (GU L 183,
pag. 51).

2 Tali domande vengono
sottoposte alla Corte a seguito della presentazione, rispettivamente, il 10
ottobre 2003 da parte della National Association of Health Stores e della Health Food Manufacturers Ltd (causa
C-155/04) ed il 13 ottobre 2003 da parte dell’Alliance
for Natural Health e della Nutri-Link Ltd (causa C‑154/04), di atti introduttivi intesi ad ottenere
l’autorizzazione a proporre un ricorso di legittimità («judicial
review») avente ad oggetto il Food Supplements (England) Regulations 2003 ed il Food Supplements
(Wales) Regulations 2003 (decreti, rispettivamente,
inglese e gallese 2003, sugli integratori alimentari; in prosieguo: i «decreti
britannici sugli integratori alimentari»). Questi due decreti recepiscono nel diritto britannico la direttiva 2002/46.

Contesto normativo

3 La direttiva 2002/46, adottata sul
fondamento dell’art. 95 CE, «si applica agli integratori alimentari
commercializzati come prodotti alimentari e presentati come tali», come risulta
dall’art. 1, n. 1, di essa.

4 Secondo il primo ‘considerando’ di
tale direttiva, «sono commercializzati in numero crescente nella
Comunità prodotti alimentari contenenti fonti concentrate di sostanze
nutritive, proposti quali supplementi delle sostanze nutritive assunte con la
normale alimentazione».

5 Ai sensi del secondo ‘considerando’
della stessa direttiva:

«Questi prodotti sono assoggettati
negli Stati membri a disposizioni nazionali eterogenee, che possono ostacolarne
la libera circolazione ed instaurare condizioni di concorrenza ineguali, con
dirette ripercussioni sul buon funzionamento del mercato interno. È pertanto
necessario disciplinare a livello comunitario i prodotti di questo tipo
commercializzati come prodotti alimentari».

6 Il quinto ‘considerando’ della direttiva 2002/46 enuncia che «per garantire ai
consumatori un elevato livello di tutela e una maggior facilità di scelta, è
necessario che i prodotti commercializzati siano sicuri e rechino opportuna e
corretta etichettatura».

7 Risulta
dal sesto, settimo e ottavo ‘considerando’ della medesima direttiva che,
dinanzi all’ampia gamma di sostanze nutritive e di altri elementi che possono
far parte della composizione degli integratori alimentari, cioè, in
particolare, vitamine, minerali, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre e
piante ed estratti vari di origine vegetale, il legislatore comunitario ha dato
la priorità all’adozione di misure riguardanti le vitamine e i minerali
utilizzati come componenti degli integratori alimentari. Si precisa che altre
norme comunitarie saranno adottate in un secondo momento, quando saranno disponibili
dati scientifici sufficienti e appropriati, per nutrienti diversi dalle
vitamine o dai minerali o per altre sostanze, aventi un effetto nutritivo o
fisiologico, utilizzate come ingredienti di integratori
alimentari e che, nell’attesa dell’adozione di tali norme comunitarie
specifiche e fatte salve le disposizioni del trattato CE, possono continuare ad
essere applicate le norme nazionali relative a tali nutrienti e sostanze.

8 Il nono, decimo, undicesimo e
dodicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46 sono
formulati nel modo seguente:

«(9) Occorre che le vitamine e i
minerali normalmente presenti nei cibi e quindi assunti con la dieta siano
consentiti negli integratori alimentari, senza peraltro renderne tassativa la
presenza. Andrebbe evitata ogni possibile controversia sull’identificazione di
tali nutrienti. Risulta quindi opportuno elaborare un
elenco che contenga nominalmente tali vitamine e minerali.

(10) Un’ampia gamma di preparati
vitaminici e sostanze minerali utilizzati per la fabbricazione di integratori
alimentari attualmente venduti negli Stati membri non sono stati ancora
valutati dal comitato scientifico dell’alimentazione
umana e pertanto non sono compresi negli elenchi nominali. Occorre pertanto
sottoporli a valutazione urgente da parte dell’Autorità europea per la
sicurezza alimentare, non appena i rispettivi fascicoli saranno presentati
dalle parti interessate.

(11) È essenziale che le sostanze
chimiche utilizzate come fonti di vitamine e minerali per la fabbricazione
degli integratori alimentari siano sicure e disponibili all’assorbimento da
parte dell’organismo. Per questo motivo occorre elaborare anche per queste
sostanze un elenco che le contenga nominalmente.
Possono inoltre essere utilizzate per la fabbricazione di integratori
alimentari anche le sostanze che, sulla base dei criteri esposti, sono già
state approvate dal comitato scientifico dell’alimentazione umana per la
fabbricazione di alimenti destinati ai lattanti, alla prima infanzia o a diete
particolari.

(12) Per tenersi al passo con il
progresso tecnico-scientifico, è importante procedere tempestivamente, se del
caso, alla modifica di tali elenchi. Tali modifiche consisterebbero in
provvedimenti di attuazione di natura tecnica, e la
loro adozione andrebbe affidata alla Commissione in modo da semplificare ed
accelerare le procedure».

9 Ai fini della direttiva 2002/46,
occorre intendere per «integratori alimentari», ai sensi dell’art. 2, lett. a),
di essa, «i prodotti alimentari destinati ad integrare
la dieta normale e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze
nutritive o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, sia monocomposti che pluricomposti,
in forme di dosaggio, vale a dire in forme di commercializzazione quali
capsule, pastiglie, compresse, pillole e simili, polveri in bustina, liquidi
contenuti in fiale, flaconi a contagocce e altre forme simili, di liquidi e
polveri destinati ad essere assunti in piccoli quantitativi unitari».

10 Per «sostanze nutritive» o
«nutrienti», si devono intendere, ai sensi dell’art. 2, lett. b), della stessa
direttiva, le vitamine e i minerali.

11 Secondo l’art. 3 della direttiva
2002/46, gli Stati membri provvedono affinché gli integratori alimentari
possano essere commercializzati nella Comunità solo se conformi al disposto
della detta direttiva.

12 L’art. 4 della medesima direttiva
prevede quanto segue:

«1. Per quanto riguarda le vitamine e
i minerali, fatto salvo il paragrafo 6, soltanto
quelli elencati nell’allegato I, nelle forme elencate nell’allegato II possono
essere usati nella fabbricazione di integratori alimentari.

(…)

5. Le modifiche
agli elenchi di cui al paragrafo 1 sono adottate secondo la procedura di cui
all’articolo 13, paragrafo 2.

6. In deroga al paragrafo 1 e fino al
31 dicembre 2009, gli Stati membri possono consentire l’uso nel loro territorio
di vitamine e di minerali non elencati nell’allegato I o nelle forme non
elencate nell’allegato II purché:

a) la sostanza in questione sia
utilizzata in uno o più integratori alimentari commercializzati nella Comunità
alla data di entrata in vigore della presente
direttiva;

b) l’Autorità europea per la
sicurezza alimentare non abbia espresso parere negativo per quanto riguarda
l’uso di tale sostanza o il suo uso in quella forma nella fabbricazione di integratori alimentari sulla base di un fascicolo a
sostegno dell’uso della sostanza in questione che lo Stato membro deve
sottoporre alla Commissione entro il 12 luglio 2005.

7. Fatto salvo il paragrafo 6, gli
Stati membri, conformemente alle norme del trattato, possono continuare ad
applicare le restrizioni o i divieti nazionali in vigore per quanto riguarda
gli scambi di integratori alimentari contenenti le
vitamine o i minerali non elencati nell’allegato I o nelle forme non elencate
nell’allegato II.

(…)».

13 L’art. 11 della direttiva 2002/46
dispone quanto segue:

«1. Fatto salvo l’articolo 4,
paragrafo 7, gli Stati membri si astengono dal vietare o dall’introdurre
restrizioni, per ragioni connesse a composizione, specifiche di fabbricazione,
presentazione o etichettatura, agli scambi di prodotti di cui all’articolo 1
che siano conformi alla presente direttiva e, se del
caso, alle disposizioni comunitarie di esecuzione della stessa.

2. Ferme restando le disposizioni del
trattato che istituisce la
Comunità europea, e in particolare gli articoli 28 e 30, il
paragrafo 1 lascia impregiudicate le normative
nazionali applicabili in assenza di disposizioni comunitarie di
esecuzione della presente direttiva».

14 L’art. 13 della stessa direttiva è
formulato nel modo seguente:

«1. La Commissione è
assistita dal comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli
animali, istituito dal regolamento (CE) n. 178/2002 (…) (in appresso denominato
“il comitato”).

2. Nei casi in cui è fatto
riferimento al presente paragrafo, si applicano gli articoli 5 e 7 della
decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell’articolo 8 della stessa.

Il periodo di cui all’articolo 5,
paragrafo 6, della decisione 1999/468/CE è fissato a
tre mesi.

3. Il comitato adotta il proprio
regolamento interno».

15 L’art. 14 della direttiva 2002/46
prevede quanto segue:

«Le disposizioni aventi implicazioni
per la salute pubblica sono adottate previa consultazione dell’Autorità europea
per la sicurezza alimentare».

16 L’art. 15 della detta direttiva
dispone che:

«Gli Stati membri adottano le
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative per conformarsi alla
presente direttiva entro il 31 luglio 2003. Essi ne informano immediatamente la
Commissione.

Dette disposizioni
sono applicate in
modo da:

a) autorizzare il commercio di
prodotti conformi alla presente direttiva al più tardi a decorrere dal 1º
agosto 2003;

b) vietare il commercio di prodotti
non conformi alla presente direttiva al più tardi a decorrere dal 1º agosto
2005.

(…)»

17 In virtù del suo art. 16, la
direttiva 2002/46 è entrata in vigore il 12 luglio 2002, giorno della sua
pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

18 La direttiva 2002/46 include due
allegati che contengono, rispettivamente, determinati elenchi relativi alle «vitamine e minerali consentiti nella
fabbricazione di integratori alimentari» ed alle «sostanze vitaminiche e
minerali consentite per la fabbricazione di integratori alimentari» (in
prosieguo: gli «elenchi nominali» o, anche, gli «elenchi dei componenti
consentiti»).

Procedimenti principali e questione pregiudiziale

19 Le ricorrenti in sede nazionale
nella causa C-154/04 sono, da un lato, un’associazione europea che riunisce
fabbricanti, grossisti, distributori, venditori al minuto
e consumatori di integratori alimentari e, dall’altro, una piccola impresa
specializzata nella distribuzione e vendita di integratori alimentari nel Regno
Unito.

20 Le ricorrenti in sede nazionale
nella causa C-155/04 sono due associazioni di categoria che rappresentano circa
580 società, per la maggior parte di piccole dimensioni, che si occupano della vendita di alimenti salutistici nel Regno
Unito.

21 Tutte le ricorrenti in sede
nazionale sostengono che è incompatibile con il diritto comunitario e deve di
conseguenza essere dichiarato invalido il combinato disposto degli artt. 3, 4,
n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46, che i decreti
britannici sugli integratori alimentari hanno recepito
nel diritto interno e che vietano, a decorrere dal 1º agosto 2005, la
commercializzazione degli integratori alimentari non conformi alla detta
direttiva.

22 La High Court
of Justice (England &
Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court)
(magistrato di secondo grado d’Inghilterra e del Galles per questioni, fra
l’altro, relative alla legittimità degli atti della P.A.), ha concesso le
autorizzazioni a proporre ricorso di legittimità ed ha deciso di sospendere il
giudizio e di sottoporre alla Corte, in termini identici nei due presenti
procedimenti, la seguente questione pregiudiziale:

«Se gli
artt. 3, 4, n. 1, e 15, lett. b), della direttiva 2002/46/CE
siano da invalidare per i seguenti motivi:

a) inadeguatezza del ricorso all’art.
95 CE come fondamento normativo;

b) violazione i) degli artt. 28 CE, e
30 CE e/o ii) degli artt. 1, n. 2, e 24, n. 2, lett.
a), del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3285, relativo al
regime comune applicabile alle importazioni e che abroga il regolamento (CE) n.
518/94 (GU L 349, pag. 53);

c) violazione del principio di sussidiarietà;

d) violazione del principio di
proporzionalità;

e) violazione del principio della
parità di trattamento;

f) violazione dell’art. 6, n. 2, UE,
interpretato alla luce dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, e dell’art. 1 del Primo
Protocollo della detta Convenzione, e del diritto fondamentale alla proprietà
e/o del diritto a esercitare un’attività economica;

g) violazione
dell’art. 253 CE e/o dell’obbligo di motivazione».

23 Con ordinanza del presidente della
Corte 7 maggio 2004, le domande del giudice del rinvio miranti a sottoporre le
presenti controversie al procedimento accelerato, previsto all’art. 104 bis,
primo comma, del regolamento di procedura, sono state
respinte. Con la medesima ordinanza, i procedimenti C-154/04 e C-155/04 sono
stati riuniti ai fini delle fasi scritta e orale e
della sentenza.

Sulla questione pregiudiziale

Sulla lett. a) della questione

24 Con la lett. a) della questione,
il giudice del rinvio chiede se le disposizioni degli artt. 3,
4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 siano
invalide per il fatto che l’art. 95 CE non fornisce loro un adeguato fondamento
normativo.

25 Le ricorrenti in sede nazionale
nella causa C-154/04 fanno valere che il divieto derivante dalle dette
disposizioni della direttiva 2002/46 non contribuisce al miglioramento delle
condizioni di instaurazione e di funzionamento del mercato
interno. Esse aggiungono che, anche supponendo che la ragione di tale divieto
risieda in considerazioni relative alla salute dei
cittadini, il ricorso all’art. 95 CE costituisce uno sviamento di potere in
quanto, in forza dell’art. 152, n. 4, lett. c), CE, la Comunità non è
competente ad armonizzare le disposizioni nazionali in materia di salute umana.

26 Le ricorrenti in sede nazionale
nella causa C-155/04 asseriscono, da un lato, che gli artt. 3, 4, n. 1, e 15,
secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 sono in contrasto con il
principio della libera circolazione delle merci in seno alla Comunità,
principio al quale il legislatore comunitario è tenuto a conformarsi
quando esercita le sue competenze a norma dell’art. 95 CE (v. sentenza 9
agosto 1994, causa C-51/93, Meyhui, Racc. pag. I-3879, punti 10 e 11). Esse sostengono,
dall’altro, che tali disposizioni comportano restrizioni dirette ed immediate
agli scambi con gli Stati terzi e che, pertanto, esse dovevano essere adottate
sulla base dell’art. 133 CE.

27 Al riguardo, occorre ricordare
che, ai sensi dell’art. 95, n. 1, CE, il Consiglio dell’Unione europea,
deliberando in conformità alla procedura di cui all’art. 251 CE e previa
consultazione del Comitato economico e sociale europeo, adotta le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative,
regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto
l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno.

28 Secondo la
giurisprudenza della Corte, pur se la semplice constatazione di disparità tra
le normative nazionali non è sufficiente a giustificare il ricorso all’art. 95
CE (v., in tal
senso, sentenza 5 ottobre 2000, causa C-376/98, Germania/Parlamento e
Consiglio, Racc. pag. I-8419, punto
84), non può dirsi invece lo stesso in caso di divergenze tra le
disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri
tali da ostacolare le libertà fondamentali e quindi da incidere direttamente
sul funzionamento del mercato interno (sentenze 14 dicembre 2004, causa
C-434/02, Arnold André, non
ancora pubblicata nella Raccolta, punto 30, e causa C-210/03, Swedish Match, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto
29; v. anche, in questo senso, sentenze Germania/Parlamento e Consiglio,
citata, punto 95, e 10 dicembre 2002, causa C‑491/01, British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, Racc. pag. I-11453, punto 60).

29 Dalla giurisprudenza della Corte
emerge del pari che, pur se il ricorso all’art. 95 CE come fondamento normativo
è possibile al fine di prevenire futuri ostacoli agli scambi dovuti allo
sviluppo eterogeneo delle legislazioni nazionali, l’insorgere di tali ostacoli
deve apparire probabile e la misura di cui trattasi deve avere ad oggetto la
loro prevenzione (sentenze citate Arnold André, punto 31, e Swedish Match,
punto 30; v. ugualmente, in questo senso, sentenze 13
luglio 1995, causa C-350/92, Spagna/Consiglio, Racc.
pag. I-1985, punto 35; Germania/Parlamento e Consiglio,
citata, punto 86; 9 ottobre 2001, causa C-377/98, Paesi Bassi/Parlamento e
Consiglio, Racc. pag. I-7079, punto 15, nonché British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, citata, punto
61).

30 La Corte ha inoltre stabilito che,
qualora le condizioni per fare ricorso all’art. 95 CE come fondamento normativo
siano soddisfatte, non può impedirsi al legislatore comunitario di basarsi su
tale fondamento normativo per il fatto che la tutela della salute è determinante nelle scelte da operare (sentenze citate British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, punto 62; Arnold André, punto 32, e Swedish Match,
punto 31).

31 Inoltre, va rilevato al riguardo
che l’art. 152, n. 1, primo comma, CE dispone che
nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività della
Comunità è garantito un livello elevato di protezione della salute umana e
l’art. 95, n. 3, CE esige espressamente che nell’attuazione dell’armonizzazione
sia garantito un livello elevato di protezione della salute delle persone
(sentenze citate British American Tobacco
(Investments) e Imperial Tobacco, punto 62; Arnold André, punto 33, e Swedish Match,
punto 32). 32 Risulta da quanto precede che, qualora
sussistano ostacoli agli scambi, ovvero risulti probabile l’insorgere di tali
ostacoli in futuro, per il fatto che gli Stati membri hanno assunto o stanno
per assumere, con riferimento ad un prodotto o a una categoria di prodotti,
provvedimenti divergenti tali da garantire un diverso livello di protezione e
tali da ostacolare, perciò, la libera circolazione dei prodotti in questione
all’interno della Comunità, l’art. 95 CE consente al legislatore comunitario di
intervenire, assumendo le misure appropriate nel rispetto, da un lato,
dell’art. 95, n. 3 e, dall’altro, dei principi giuridici sanciti dal Trattato
ovvero elaborati dalla giurisprudenza, segnatamente del principio di
proporzionalità (sentenze citate Arnold André, punto 34, e Swedish Match,
punto 33).

33 A seconda delle
circostanze, tali misure appropriate possono consistere nell’obbligare tutti
gli Stati membri ad autorizzare la commercializzazione del prodotto o dei
prodotti interessati, nel sottoporre a talune condizioni detto obbligo di
autorizzazione, ovvero nel vietare, in via provvisoria o definitiva, la
commercializzazione di uno o più prodotti (sentenze citate Arnold
André, punto 35, e Swedish
Match, punto 34).

34 È alla luce di questi principi che
occorre verificare se, nel caso delle disposizioni di cui alla questione
presentata, ricorrano le condizioni per il ricorso
all’art. 95 CE quale fondamento normativo.

35
In
base alle indicazioni contenute nel secondo ‘considerando’ della direttiva
2002/46, gli integratori alimentari erano assoggettati, prima dell’adozione di essa, a disposizioni nazionali eterogenee, che potevano
ostacolarne la libera circolazione ed avere così dirette ripercussioni sul
funzionamento del mercato interno in questo settore.

36 Come il Parlamento europeo e il
Consiglio hanno sottolineato nelle loro osservazioni
scritte, tali indicazioni sono corroborate dal fatto che, prima dell’adozione
della direttiva 2002/46, la Corte è stata investita di numerose controversie
legate a situazioni in cui determinati operatori economici avevano incontrato
ostacoli nel commercializzare in uno Stato membro diverso da quello di
stabilimento integratori alimentari legalmente commercializzati in quest’ultimo Stato.

37 Del resto, come hanno constatato
il governo ellenico nonché il Consiglio e la
Commissione nelle loro osservazioni scritte, al punto 1 della motivazione della
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli integratori
alimentari, COM (2000) 222 def., presentata dalla
Commissione il 10 maggio 2000 (GU C 311 E, pag. 207), è esposto che, prima
della presentazione della detta proposta, ai servizi competenti della
Commissione erano pervenuti «numerosi reclami da parte degli operatori
economici» a causa di divergenze tra le discipline nazionali che «risultava
difficile sormontare con l’applicazione del principio del riconoscimento
reciproco».

38 In tali circostanze, si
giustificava in materia di integratori alimentari un
intervento del legislatore comunitario basato sull’art. 95 CE.

39 Risulta
da quanto precede che potevano essere adottate sul fondamento dell’art. 95 CE
le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15,
secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46, dalle quali deriva il
divieto, decorrente dal 1º agosto 2005 al più tardi, di commercializzare
integratori alimentari non conformi alla detta direttiva.

40 Sulla base della giurisprudenza
citata ai punti 30 e 31 della presente sentenza, il fatto che nella definizione
di queste disposizioni siano intervenute considerazioni relative
alla salute umana non è tale da confutare l’analisi che precede.

41 Quanto
all’argomento delle ricorrenti in sede nazionale nella causa C-155/04,
attinente alla necessità di fondare le disposizioni degli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma,
lett. b), della direttiva 2002/46 sull’art. 133 CE,
occorre osservare che la circostanza che queste disposizioni possano influire
in modo secondario sul commercio internazionale degli integratori alimentari
non consente di contestare validamente il fatto che il loro obiettivo primario
è quello di contribuire all’eliminazione delle divergenze tra le normative
nazionali suscettibili di condizionare il funzionamento del mercato interno in
questo settore (v., in questo senso, sentenza British
American Tobacco (Investments)
e Imperial Tobacco, citata,
punto 96).

42 Ne consegue che l’art. 95 CE costituisce l’unico fondamento normativo adatto alle
disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo
comma, lett. b), della direttiva 2002/46.

43 Ne deriva che le dette
disposizioni non sono invalide per mancanza di un adeguato fondamento
normativo.

Sulla lett. b) della questione

44 Con la lett. b) della questione il
giudice del rinvio chiede se gli artt. 3, 4, n. 1, e 15,
secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 siano invalidi per violazione
degli artt. 28 CE e 30 CE e/o degli artt. 1, n. 2, e 24, n.
2, lett. a), del regolamento n. 3285/94.

45 Nei due presenti procedimenti, le
ricorrenti in sede nazionale sostengono che il divieto derivante dalle
disposizioni considerate nella questione presentata costituisce una restrizione
al commercio intracomunitario e internazionale di integratori alimentari finora legalmente posti in
circolazione.

46 Le ricorrenti in sede nazionale
nella causa C-155/04 aggiungono che né l’art. 30 CE né l’art. 24, n. 2, lett.
a), del regolamento n. 3285/94 possono giustificare l’improvvisa introduzione
di una restrizione al commercio di prodotti la cui sicurezza non era mai stata
posta in dubbio in precedenza.

Con riferimento agli artt. 28 CE e 30
CE

47 Occorre ricordare che, secondo
costante giurisprudenza, il divieto delle restrizioni quantitative, come pure
delle misure di effetto equivalente, previsto
dall’art. 28 CE, vale non solo per i provvedimenti nazionali, ma anche per
quelli adottati dalle istituzioni comunitarie (v. sentenze 17 maggio 1984,
causa 15/83, Denkavit Nederland,
Racc. pag. 2171, punto 15; Meyhui, citata, punto 11; 25 giugno 1997, causa C-114/96, Kieffer e Thill, Racc. pag. I-3629, punto 27, nonché
Arnold André, citata, punto
57).

48 Tuttavia, come previsto dall’art.
30 CE, l’art. 28 CE lascia impregiudicati
i divieti o le restrizioni giustificati, in particolare, da motivi di tutela
della salute e della vita delle persone (v. sentenze citate Arnold
André, punto 58, e Swedish
Match, punto 60).

49 Il combinato disposto degli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva
2002/46 costituisce una restrizione del tipo contemplato all’art. 28 CE.
Infatti, vietando la commercializzazione nella Comunità degli integratori
alimentari contenenti vitamine, minerali o sostanze vitaminiche o minerali che
non compaiono sugli elenchi dei componenti consentiti,
tali disposizioni sono atte a restringere la libera circolazione degli
integratori alimentari all’interno della Comunità.

50 Come ha osservato l’avvocato
generale al paragrafo 40 delle sue conclusioni, risulta
da diversi ‘considerando’ della direttiva 2002/46, e in particolare dal quinto,
dal nono, dal decimo e dall’undicesimo, che il legislatore comunitario motiva
tale misura di divieto con considerazioni legate alla protezione della salute
umana.

51 È necessario ancora verificare se
la detta misura sia necessaria e proporzionata rispetto all’obiettivo di
protezione della salute delle persone.

52 Per quanto riguarda il controllo
giurisdizionale di tali condizioni, si deve riconoscere al legislatore
comunitario un ampio potere discrezionale in un settore come quello del caso di
specie, che richiede da parte sua scelte di natura politica, economica e
sociale e rispetto al quale esso è chiamato ad effettuare
valutazioni complesse. Di conseguenza, solo la manifesta inidoneità di una
misura adottata in tale ambito, in relazione allo
scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la
legittimità di tale misura (v. sentenza British
American Tobacco (Investments)
e Imperial Tobacco, citata,
punto 123).

53 Nei due presenti procedimenti, le
ricorrenti in sede nazionale sostengono che il divieto in questione non è
necessario né proporzionato rispetto all’obiettivo addotto.

54
In
primo luogo, esse contestano la necessità di tale divieto. Esse fanno valere a
questo scopo che gli artt. 4, n. 7, e 11, n. 2, della direttiva 2002/46
riconoscono agli Stati membri la possibilità di restringere il commercio degli
integratori alimentari non conformi alla direttiva. Un divieto comunitario è
pertanto, a loro avviso, superfluo.

55 Per quanto riguarda, in primo
luogo, l’art. 4, n. 7, della direttiva 2002/46, occorre osservare che, come risulta dai termini stessi di questa disposizione e dai
lavori preparatori che hanno condotto all’adozione della direttiva, la detta
disposizione è intrinsecamente legata all’art. 4, n. 6, della stessa direttiva,
il che è stato confermato in udienza tanto dal Parlamento, quanto dal Consiglio
e dalla Commissione.

56 Ne deriva che la facoltà
riconosciuta agli Stati membri dall’art. 4, n. 7, della direttiva 2002/46, di
continuare ad applicare, nel rispetto delle norme del trattato, le restrizioni
o i divieti nazionali esistenti in materia di commercio degli integratori
alimentari contenenti vitamine, minerali o sostanze vitaminiche o minerali che
non compaiono sugli elenchi dei componenti consentiti
costituisce il mero corollario della possibilità per uno Stato membro, in virtù
del n. 6 del medesimo art. 4, di autorizzare nel suo territorio, fino al 31
dicembre 2009, l’uso di tali componenti alle condizioni enunciate da quest’ultima disposizione.

57 Come l’avvocato generale ha sottolineato al paragrafo 22 delle sue conclusioni,
l’oggetto dell’art. 4, n. 7, della direttiva 2002/46 consiste esclusivamente
nel prevedere che gli Stati membri diversi da quello che abbia autorizzato nel
suo territorio, nei limiti e nel rispetto delle condizioni enunciate al n. 6
delle stesso art. 4, l’utilizzo, nella fabbricazione degli integratori
alimentari, di vitamine, di minerali o di sostanze vitaminiche o minerali non
riportate sugli elenchi dei componenti consentiti, non sono tenuti a consentire
l’importazione nel loro territorio di integratori alimentari contenenti tali
ingredienti.

58 L’argomento delle ricorrenti in
sede nazionale basato sull’art. 4, n. 7, della direttiva 2002/46 non permette
pertanto di escludere il carattere necessario del divieto in causa.

59 Per quanto riguarda poi l’art. 11,
n. 2, della direttiva 2002/46, dalla lettura combinata di questa disposizione e
dell’ottavo ‘considerando’ della medesima direttiva risulta
che lo scopo della disposizione è quello di preservare, nell’attesa di una
disciplina comunitaria specifica, l’applicazione, nel rispetto del trattato,
delle norme nazionali relative ai nutrienti diversi dalle vitamine e dai
minerali o ad altre sostanze dotate di un effetto nutritivo o fisiologico,
utilizzate come ingredienti negli integratori alimentari.

60 L’art. 11, n. 2, della direttiva
2002/46 riguarda così unicamente gli integratori alimentari che contengono
nutrienti o sostanze che non rientrano nell’ambito d’applicazione materiale di essa. Tale norma è, conseguentemente, priva di rilievo nella
valutazione del carattere necessario del divieto
contenuto negli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett.
b), della direttiva.

61 In secondo luogo, le ricorrenti in
sede nazionale sostengono che tale divieto viola il principio di
proporzionalità.

62 Esse fanno valere in proposito che
il contenuto degli elenchi dei componenti consentiti è
insufficiente. A loro avviso, ciò dipende dal fatto che l’elenco delle sostanze
che compaiono all’allegato II della direttiva 2002/46 è stato redatto sulla
base non dei criteri di sicurezza e di biodisponibilità
esposti all’undicesimo ‘considerando’ della direttiva, ma di elenchi
intesi ad individuare gli ingredienti autorizzati nella fabbricazione di
alimenti destinati ad usi nutrizionali particolari. Ne deriverebbe che il
divieto colpirebbe un gran numero di componenti
nutritivi che sarebbero tuttavia adatti ad un regime alimentare normale e che
sarebbero attualmente fabbricati e commercializzati in taluni Stati membri, e
dei quali non sarebbe stato finora dimostrato che siano pericolosi per la
salute delle persone. La direttiva 2002/46 metterebbe inoltre al bando, in modo
ingiustificato e sproporzionato, le vitamine e i minerali di origine
naturale, sebbene essi siano abitualmente presenti nel regime alimentare
normale e siano meglio tollerati dall’organismo delle vitamine e dei minerali di
origine non naturale.

63 In proposito, occorre osservare,
in primo luogo, che la lettura combinata dei diversi ‘considerando’ della
direttiva 2002/46 indica che essa riguarda gli integratori alimentari
contenenti vitamine e/o minerali derivanti da un processo di fabbricazione
basato sull’uso di «sostanze chimiche» (undicesimo ‘considerando’), e non gli
integratori alimentari alla composizione dei quali appartengono ingredienti
quali «aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre e piante ed estratti di origine vegetale» (sesto ‘considerando’), le cui
condizioni di utilizzo rientrano, di conseguenza, «fino all’adozione di tali
norme comunitarie specifiche», nell’ambito di applicazione delle «norme
nazionali», «fatte salve le disposizioni del trattato» (ottavo ‘considerando’).

64 Occorre inoltre osservare che il
contenuto degli elenchi dei componenti consentiti
corrisponde, come hanno posto in evidenza le ricorrenti in sede nazionale nella
causa C-155/04, all’elenco delle sostanze classificate nelle categorie delle
vitamine e dei minerali incluse nell’allegato alla direttiva della Commissione
15 febbraio 2001, 2001/15/CE, sulle sostanze che possono essere aggiunte a
scopi nutrizionali specifici ai prodotti alimentari destinati ad
un’alimentazione particolare (GU L 52, pag. 19).

65 Come viene
esposto al quarto ‘considerando’ della direttiva 2001/15, le sostanze
individuate nell’allegato ad essa sono state selezionate tenendo conto dei
criteri di sicurezza e di biodisponibilità previsti
all’undicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46.

66 Come risulta
dalla lettura combinata del decimo e dell’undicesimo ‘considerando’ della
direttiva 2002/46, il fatto che un certo numero di sostanze chimiche che
entrano nella composizione degli integratori alimentari commercializzati in
taluni Stati membri non sia attualmente ammesso a livello europeo si spiega con
la circostanza che le sostanze in esame nell’ambito dei procedimenti
principali, al momento dell’adozione della detta direttiva, non avevano
costituito oggetto di valutazione favorevole, con riferimento ai criteri di
sicurezza e di biodisponibilità, da parte delle
competenti autorità scientifiche europee.

67 Le indicazioni fornite dalle
ricorrenti in sede nazionale nelle loro osservazioni scritte, a proposito di
talune sostanze vitaminiche o minerali che non compaiono sull’elenco dei componenti consentiti contenuto nell’allegato II della
direttiva 2002/46, non sono tali da porre in dubbio la fondatezza di questa
spiegazione. Ne deriva infatti che, al momento dell’adozione
della detta direttiva, tali sostanze non avevano ancora costituito oggetto di
valutazione da parte del comitato scientifico dell’alimentazione umana o che,
quanto meno, il detto comitato continuava a nutrire seri dubbi, in mancanza di
dati scientifici sufficienti ed appropriati, quanto alla loro sicurezza e/o
alla loro biodisponibilità.

68 Alla luce di
ciò, e considerata la necessità che il legislatore comunitario rispetti il
principio di precauzione all’atto di adottare, nell’ambito della politica del
mercato interno, provvedimenti intesi a proteggere la salute umana (v., in questo senso, sentenze 5 maggio
1998, causa C-157/96, National Farmers’
Union e a., Racc. pag.
I-2211, punto 64, e causa C-180/96, Regno Unito/Commissione, Racc. pag. I‑2265, punto 100, nonché sentenza 2
dicembre 2004, causa C-41/02, Commissione/Paesi Bassi, non ancora pubblicata
nella Raccolta, punto 45), gli autori della direttiva 2002/46 hanno potuto
ragionevolmente ritenere che il modo appropriato di conciliare l’obiettivo del
mercato interno, da un lato, e quello relativo alla protezione della salute
umana, dall’altro, consistesse nel riservare il beneficio della libera
circolazione agli integratori alimentari contenenti sostanze per le quali, al
momento dell’adozione della detta direttiva, le autorità scientifiche europee
competenti disponessero di dati scientifici sufficienti ed appropriati in grado
di confortare il loro parere favorevole. Essi hanno previsto tuttavia, all’art.
4, n. 5, della detta direttiva, la possibilità di ottenere la modifica del
contenuto degli elenchi dei componenti consentiti in
funzione dell’evoluzione della scienza e della tecnologia.

69 Al riguardo, occorre per altro
verso osservare che, in conformità all’art. 7 del regolamento (CE) del Parlamento
europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178, che stabilisce i principi e i
requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea
per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza
alimentare (GU L 31, pag. 1), il legislatore
comunitario ha il pieno diritto di adottare i provvedimenti provvisori di
gestione del rischio che sono necessari per assicurare un elevato livello di
protezione della salute umana, nell’attesa di altre informazioni scientifiche
finalizzate ad una valutazione più completa del rischio, come è indicato al
decimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46.

70 Contrariamente a quanto sostengono
le ricorrenti in sede nazionale nella causa C-154/04, un sistema basato su un
elenco dei componenti vietati, consistente nel
circoscrivere l’ambito del divieto alle sole sostanze individuate nell’elenco,
potrebbe non essere sufficiente per perseguire l’obiettivo di protezione della
salute umana. Infatti, il ricorso nella fattispecie ad un simile sistema
significherebbe che, per tutto il tempo in cui non è iscritta
sul detto elenco, una sostanza potrebbe liberamente entrare nella preparazione
degli integratori alimentari pur non essendo stata oggetto, a causa, ad
esempio, della sua novità, di una valutazione scientifica in grado di garantire
la sua piena innocuità per la salute umana.

71 Le ricorrenti in sede nazionale
fanno valere che le procedure contemplate all’art. 4, nn.
5 e 6, della direttiva 2002/46 mancano di trasparenza, a causa dell’imprecisione
dei criteri applicati dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare in
occasione dell’esame dei fascicoli miranti ad ottenere l’autorizzazione ad
utilizzare una sostanza non menzionata negli elenchi dei componenti
consentiti. Le dette procedure rappresenterebbero anche vincoli finanziari e
amministrativi particolarmente pesanti.

72
In
proposito, un provvedimento che, come quello in esame nei procedimenti
principali, comporta il divieto di commercializzare prodotti contenenti
sostanze che non compaiono su determinati elenchi dei componenti
consentiti, definiti nella legislazione applicabile, deve essere corredato di
una procedura destinata a permettere l’iscrizione di una data sostanza sui
detti elenchi, che sia conforme ai principi generali del diritto comunitario e,
in particolare, ai principi di buon andamento dell’amministrazione e di
certezza del diritto.

73 Tale procedura deve essere accessibile, nel senso
che essa deve essere espressamente menzionata in un atto di portata generale
che vincoli le autorità interessate. Essa deve potersi concludere
in termini ragionevoli. La domanda mirante ad ottenere l’iscrizione di una
sostanza sull’elenco delle sostanze autorizzate può essere respinta dalle
autorità competenti soltanto sulla base di una
valutazione approfondita del rischio che il suo utilizzo rappresenti per la
salute delle persone, valutazione basata sui più affidabili dati scientifici
disponibili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale. Se la procedura ha esito in una decisione di diniego, questa
deve poter formare oggetto di un ricorso esperibile in via giurisdizionale (v.,
per analogia, sentenze 5 febbraio 2004, causa C-24/00, Commissione/Francia, Racc. pag. I-1277, punti 26, 27 e 36, nonché
causa C‑95/01, Greenham
e Abel, Racc. pag. I-1333,
punti 35, 36 e 50).

74 Nel contesto
della direttiva 2002/46, la procedura, di cui il divieto in causa è
corredato ai fini dell’iscrizione di una vitamina, di un minerale o di una
sostanza vitaminica o minerale sugli elenchi dei componenti consentiti, è
contemplata all’art. 4, n. 5, di questa direttiva, concernente la modifica
degli elenchi.

75 Ne deriva che, per valutare la
validità del divieto derivante dagli artt. 3, 4, n. 1, e 15,
secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46, il giudizio della Corte deve
riguardare esclusivamente la legittimità della procedura di cui all’art. 4, n.
5, della detta direttiva. Un esame della validità della procedura di cui al n. 6 dello stesso art. 4, che di per sé mira al
conseguimento di un’autorizzazione temporanea di portata nazionale e persegue
dunque una finalità diversa da quella della procedura prevista all’art. 4, n.
5, esula, per contro, dall’ambito dell’analisi inerente ai procedimenti in
esame.

76 L’art. 4, n. 5, della direttiva
2002/46 rinvia all’art. 13, n. 2, della stessa, che dispone, al primo comma,
che, «nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano
gli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle
disposizioni dell’articolo 8 della stessa».

77 Come è
indicato al dodicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46, il rinvio alla
procedura prevista agli artt. 5 e 7 della decisione del Consiglio 28 giugno
1999, 1999/468/CE, recante modalità per l’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (GU L 184, pag.
23), risponde all’intento di poter fare ricorso, qualora sia necessario
rivedere gli elenchi dei componenti consentiti in funzione del progresso
tecnico-scientifico, ad una procedura semplificata ed accelerata consistente in
provvedimenti di attuazione di natura tecnica la cui adozione va affidata alla
Commissione.

78 Come risulta
dal settimo e dal nono ‘considerando’ della decisione 1999/468, tale procedura,
detta di «comitologia», intende conciliare gli imperativi
di efficacia e di flessibilità imposti dalla necessità di adattare e di
aggiornare regolarmente determinati elementi della normativa comunitaria alla
luce dell’evoluzione delle teorie scientifiche in materia di protezione della
salute o della sicurezza delle persone, da un lato, con la salvaguardia delle
competenze rispettive delle istituzioni comunitarie, dall’altro.

79 Nel contesto di
tale procedura di comitologia è previsto, in
applicazione dell’art. 5 della decisione 1999/468, che la Commissione sottoponga
al comitato di cui all’art. 13, n. 1, della direttiva 2002/46, un progetto
delle misure da adottare, sul quale il detto comitato esprime il suo parere
«entro un termine che il suo presidente può fissare in funzione dell’urgenza
della questione in esame» (art. 5, n. 2). Quando il detto comitato ha emesso il
suo parere, spetta alla Commissione adottare le misure previste qualora esse siano conformi a tale parere (art. 5, n. 3). In caso
contrario, o in assenza di parere, la Commissione è tenuta a sottoporre «senza indugio»
al Consiglio una proposta in merito alle misure da prendere e ad informarne il
Parlamento europeo (art. 5, n. 4) e il Consiglio può statuire nel termine di
tre mesi (art. 5, n. 6, primo comma; art. 13, n. 2, secondo comma,
della direttiva 2002/46). Se entro tale termine il
Consiglio ha manifestato la sua opposizione alla proposta della Commissione, quest’ultima è tenuta a riesaminare la sua proposta e può
ripresentare al Consiglio la stessa proposta o una proposta modificata ovvero
presentare una proposta legislativa in base al trattato (art. 5, n. 6, secondo
comma). Per contro, se allo scadere di tale termine il Consiglio non ha
adottato l’atto di esecuzione proposto ovvero non ha
manifestato la sua opposizione alla proposta relativa alle misure di
esecuzione, la Commissione
adotta il detto atto di esecuzione (art. 5, n. 6, terzo comma).

80 Il combinato disposto degli artt.
13, n. 2, secondo comma, della direttiva 2002/46, e 5 della decisione 1999/468,
al quale rinvia l’art. 4, n. 5, della detta direttiva, garantisce che, a
partire dalla proposta rivolta al comitato da parte della Commissione sulla
base dell’art. 5, n. 2, della detta decisione, la procedura di modifica del
contenuto degli elenchi dei componenti consentiti si
svolga entro termini ragionevoli.

81 Sarebbe stato certamente
auspicabile che, con riferimento alla fase compresa tra il deposito di un
fascicolo mirante alla modifica del contenuto degli elenchi dei componenti consentiti e la proposta rivolta al detto comitato,
fase che comprende in particolare la consultazione dell’Autorità europea per la
sicurezza alimentare prevista tanto all’art. 14 quanto al decimo ‘considerando’
della direttiva 2002/46, tale direttiva includesse disposizioni in grado di
garantire da sole lo svolgersi di tale fase in condizioni di trasparenza ed
entro termini ragionevoli.

82 L’assenza di tali disposizioni non
può tuttavia essere considerata atta a compromettere il corretto svolgimento
della procedura di modifica del contenuto degli elenchi dei componenti
consentiti entro termini ragionevoli. Spetta tuttavia alla Commissione, in
ragione delle competenze di esecuzione che le sono
conferite dalla direttiva 2002/46 per quanto riguarda, in particolare,
l’applicazione della detta procedura, adottare e rendere accessibili agli
interessati, in conformità al principio di buon andamento dell’amministrazione,
le misure necessarie per assicurare in via generale la trasparenza e la
ragionevolezza della durata della fase di consultazione dell’Autorità europea
per la sicurezza alimentare.

83 Prevedendo l’applicazione della
procedura istituita con l’art. 5 della decisione 1999/468, l’art. 4, n. 5,
della direttiva 2002/46 garantisce inoltre che la domanda intesa ad ottenere
l’iscrizione di una vitamina, di un minerale o di una sostanza vitaminica o
minerale sugli elenchi dei componenti consentiti possa
essere respinta soltanto attraverso un atto giuridico obbligatorio, soggetto a
controllo giurisdizionale.

84 È importante aggiungere, al
riguardo, che la direttiva 2002/46 non contiene alcun elemento in grado di
costringere o indurre le autorità europee competenti a tenere conto,
nell’ambito della procedura di cui all’art. 4, n. 5, della detta direttiva, di
criteri estranei all’obiettivo di protezione della
salute delle persone.

85 Al contrario, risulta
dal nono ‘considerando’ della direttiva 2002/46 che il criterio legato al fatto
che la vitamina o il minerale siano normalmente presenti nel regime alimentare
e consumati in tale contesto è l’unico criterio pertinente nell’ambito
dell’elenco che compare all’allegato I di tale direttiva. Come hanno fatto
osservare le ricorrenti in sede nazionale nella causa C-154/04, mentre la
proposta di direttiva menzionata al punto 37 della presente sentenza prevedeva
un secondo criterio, cioè il fatto che le vitamine e i
minerali in causa dovessero essere «considerati nutrienti essenziali», come
risulta dal settimo ‘considerando’ di tale proposta, il detto criterio non
compare più nel nono ‘considerando’ della direttiva 2002/46. Per quanto
riguarda l’elenco che compare all’allegato II della detta direttiva, deriva
dall’undicesimo ‘considerando’ di essa che gli unici
criteri pertinenti sono quelli relativi alla sicurezza e alla biodisponibilità della sostanza chimica in causa.

86 Simili indicazioni evidenziano
che, nelle intenzioni del legislatore comunitario, i criteri pertinenti nel contesto degli elenchi dei componenti consentiti e
nell’applicazione della procedura intesa alla modifica del contenuto di essi
possono attenere soltanto a motivi di protezione della salute delle persone,
con esclusione di considerazioni relative ad esigenze nutrizionali.

87 È peraltro significativo
constatare che le critiche formulate dalle ricorrenti in sede nazionale con
riferimento alla procedura di modifica del contenuto degli elenchi dei
componenti consentiti riguardano in sostanza i vincoli amministrativi e
finanziari legati al deposito di un fascicolo mirante ad ottenere una simile
modifica, oltre che il modo in cui i criteri di sicurezza e biodisponibilità
esposti all’undicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46 vengono applicati
dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare all’atto dell’esame dei
fascicoli individuali.

88 Tuttavia, benché simili elementi
possano, all’occorrenza, essere invocati a sostegno di un ricorso di annullamento proposto contro una decisione definitiva che
respinga una domanda di modifica del contenuto degli elenchi dei componenti
consentiti, o di un’azione di responsabilità diretta contro l’Autorità europea
per la sicurezza alimentare sulla base dell’art. 47, n. 2, del regolamento n.
178/2002, essi non sono, di per sé, tali da infirmare la legittimità della
procedura di modifica del contenuto degli elenchi dei componenti consentiti,
come il governo ellenico ha sottolineato nelle sue osservazioni scritte.

89 Si deve
pertanto concludere che l’analisi svolta ai punti 76-88 della presente sentenza
non ha rivelato elementi tali da infirmare la legittimità della procedura
prevista all’art. 4, n. 5, della direttiva 2002/46 ai fini della modifica del
contenuto degli elenchi dei componenti consentiti.

90 Infine, occorre sottolineare
che, nei casi in cui il legislatore comunitario intende delegare il suo potere
di revisione di taluni elementi dell’atto legislativo in causa, è suo onere
garantire che tale potere sia chiaramente definito e che l’uso che ne venga
fatto sia soggetto ad un controllo rigoroso con riferimento a criteri obiettivi
da esso stabiliti (v., in questo senso, sentenza 13 giugno 1958, causa 9/56, Meroni/Alta Autorità, Racc. pag.
9, in particolare pag. 41), a meno di non voler conferire alle autorità
delegate un potere discrezionale che, nell’ambito di una normativa relativa al funzionamento del mercato interno dei prodotti,
sia di natura tale da ostacolare in modo eccessivo e non trasparente la libera
circolazione dei prodotti in questione.

91 Nel caso specifico, come si è
osservato ai punti 85 e 86 della presente sentenza, il nono e l’undicesimo
‘considerando’ della direttiva 2002/46 precisano che
gli unici criteri pertinenti per quanto riguarda il contenuto degli elenchi dei
componenti consentiti, con riferimento alle vitamine ed ai minerali, attengono
al fatto che essi siano normalmente presenti nel regime alimentare e che
vengano consumati in tale contesto e, con riferimento alle sostanze chimiche
utilizzate come fonti di vitamine o minerali, alla sicurezza ed alla biodisponibilità delle sostanze in questione.

92 Correlate all’applicazione in
concreto dei detti criteri realizzata attraverso gli elenchi dei componenti consentiti che compaiono nel testo della
direttiva 2002/46, simili precisazioni, che sarebbero dovute preferibilmente
comparire tra le disposizioni stesse della detta direttiva (v., in questo
senso, accordo interistituzionale del Parlamento europeo, del Consiglio e della
Commissione 22 dicembre 1998, sugli orientamenti comuni relativi alla qualità
redazionale della legislazione comunitaria (GU 1999, C 73, pag. 1),
circoscrivono l’esercizio da parte della Commissione del potere di modifica del
contenuto dei detti elenchi facendo riferimento a criteri obiettivi,
esclusivamente legati a considerazioni relative alla sanità pubblica. Esse
permettono di ritenere che, nel caso concreto, il legislatore comunitario abbia
emanato gli elementi essenziali della materia da disciplinare ai fini
dell’esercizio dei poteri così delegati (v., in questo
senso, sentenza 17 dicembre 1970, causa 25/70, Köster,
Racc. pag. 1161, punto 6).

93 Ne deriva che le disposizioni di
cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett.
b), della direttiva 2002/46 non sono invalide per violazione degli artt. 28 CE
e 30 CE.

Con riferimento agli artt. 1, n. 2, e 24, n. 2, lett. a), del regolamento n. 3285/94

94 Occorre sottolineare
che il regolamento n. 3285/94 è stato adottato nel contesto della politica
commerciale comune, come risulta dal suo fondamento normativo che è l’art. 113
del trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 133 CE).

95 Tale regolamento ha per obiettivo la liberalizzazione
delle importazioni di prodotti provenienti da Stati terzi. Per
contro, esso non ha l’obiettivo di liberalizzare l’immissione sul mercato di
tali prodotti, che costituisce una fase posteriore all’importazione (v.
sentenza 30 maggio 2002, causa C-296/00, Expo Casa Manta, Racc.
pag. I-4657, punti 30 e 31).

96 Ne deriva che, come hanno
giustamente fatto valere il Parlamento, il Consiglio e la Commissione e come ha
sottolineato l’avvocato generale ai paragrafi 57 e 58
delle sue conclusioni, il regolamento n. 3285/94 è irrilevante al fine di
valutare la legittimità delle misure comunitarie intese a vietare l’immissione
sul mercato comunitario di prodotti importati da Stati terzi che non soddisfino
le condizioni stabilite per tale immissione sul mercato per ragioni attinenti alla
protezione della salute umana.

97 Inoltre, anche qualora esistesse
un conflitto tra gli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma,
lett. b), della direttiva 2002/46 e gli artt. 1, n. 2, e 24, n. 2, lett.
a), del regolamento n. 3285/94, sarebbe necessario osservare allora che la
detta direttiva è stata adottata sul fondamento dell’art. 95 CE e non
costituisce, pertanto, un provvedimento di esecuzione
del detto regolamento.

98 Ne deriva che non occorre
esaminare la validità delle disposizioni della direttiva 2002/46 in causa sotto
il profilo del regolamento n. 3285/94.

Sulla lett. c) della questione

99 Con la lett. c) della questione il
giudice del rinvio chiede se le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva
2002/46 siano invalide per violazione del principio di sussidiarietà.

100 Nelle due controversie in esame,
le ricorrenti in sede nazionale fanno valere che le dette disposizioni invadono
in modo ingiustificato la competenza degli Stati membri in un campo delicato
sul piano sanitario, sociale ed economico. Le ricorrenti in sede nazionale
nella causa C-154/04 aggiungono che sono gli Stati membri a trovarsi nella
posizione migliore per determinare, sui loro rispettivi mercati, le esigenze di
sanità pubblica tali da giustificare ostacoli alla libera commercializzazione
degli integratori alimentari nel territorio nazionale.

101 Al riguardo, occorre ricordare
che, secondo il principio di sussidiarietà, enunciato
all’art. 5, secondo comma, CE, la
Comunità, nei settori che non sono di sua esclusiva
competenza, interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione
prevista non possano essere sufficientemente
realizzati dagli Stati membri e dunque, a motivo delle dimensioni o degli
effetti dell’azione prospettata, possano essere realizzati meglio a livello
comunitario.

102 Il Protocollo
sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di
proporzionalità, allegato al Trattato, precisa, al punto 3, che il principio di
sussidiarietà non rimette in questione le competenze
conferite alla Comunità dal trattato, come interpretato dalla Corte.

103 Come la Corte ha già giudicato,
il principio di sussidiarietà si applica
quando il legislatore comunitario ricorre all’art. 95 CE, in quanto tale
disposizione non attribuisce ad esso una competenza esclusiva a regolamentare
le attività economiche nel mercato interno, ma solo la competenza a migliorare
le condizioni di realizzazione e di funzionamento di quest’ultimo,
attraverso l’eliminazione di ostacoli alla libera circolazione delle merci e
alla libera prestazione dei servizi o l’eliminazione di distorsioni della
concorrenza (sentenza British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, citata, punto
179).

104 Con riferimento alla questione se
le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15,
secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 siano conformi al principio di
sussidiarietà, occorre esaminare se l’obiettivo
perseguito da queste disposizioni potesse essere realizzato meglio a livello
comunitario.

105 Al riguardo, occorre osservare
che il divieto, derivante da queste disposizioni, di commercializzare
integratori alimentari non conformi alla direttiva 2002/46, completato
dall’obbligo che incombe agli Stati membri, in conformità all’art. 15, secondo comma,
lett. a), della direttiva, di autorizzare il commercio degli integratori
alimentari conformi ad essa (v. al riguardo, per
analogia, sentenza British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, citata, punto
126), ha l’obiettivo di eliminare gli ostacoli derivanti dalle divergenze tra
le norme nazionali relative alle vitamine, ai minerali ed alle sostanze
vitaminiche o minerali autorizzate o vietate nella fabbricazione degli
integratori alimentari, garantendo nel contempo, in conformità all’art. 95, n.
3, CE, un elevato livello di protezione della salute delle persone.

106 Lasciare agli Stati membri il
compito di disciplinare il commercio degli integratori alimentari non conformi
alla direttiva 2002/46 provocherebbe il perpetuarsi dello sviluppo divergente
delle normative nazionali e, pertanto, degli ostacoli agli scambi tra Stati
membri e delle distorsioni di concorrenza relative a
questi prodotti.

107 Ne deriva che l’obiettivo al
quale contribuiscono le disposizioni di cui agli artt. 3, 4,
n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 non poteva
essere realizzato in modo soddisfacente attraverso un’azione intrapresa al
livello dei soli Stati membri e presupponeva un’azione a livello comunitario.
Tale obiettivo poteva conseguentemente essere realizzato meglio a quest’ultimo livello.

108 Risulta
da quanto precede che le disposizioni di cui agli artt. 3, 4,
n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 non sono
invalide per violazione del principio di sussidiarietà.

Sulla lett. d) della questione

109 Con la lett. d) della questione,
il giudice del rinvio chiede se le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva
2002/46 siano invalide per violazione del principio di proporzionalità.

110 Le ricorrenti in sede nazionale
sostengono che le dette disposizioni costituiscono un mezzo sproporzionato per
pervenire all’obiettivo prefissato. Gli argomenti sviluppati a sostegno di tale
asserto sono quelli esposti ai punti 54, 62, 70 e 71 della presente sentenza.

111 Tuttavia, risulta
dall’analisi esposta ai punti 55-60, 63-70 e 72-92 della presente sentenza che
le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15,
secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 costituiscono misure idonee a
realizzare l’obiettivo cui esse mirano e che, tenuto conto dell’obbligo
incombente al legislatore comunitario di garantire un livello elevato di
protezione della salute delle persone, le dette disposizioni non eccedono
quanto necessario al conseguimento di tale obiettivo.

112 Ne deriva che le disposizioni di
cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett.
b), della direttiva 2002/46 non sono invalide per violazione del principio di
proporzionalità.

Sulla lett. e) della questione

113 Con la lett. e) della questione,
il giudice del rinvio chiede se le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva
2002/46 siano invalide per violazione del principio della parità di
trattamento.

114 Le ricorrenti in sede nazionale
sostengono che le dette disposizioni violano tale principio, dato che
determinate sostanze che non soddisfano i criteri enunciati all’undicesimo
‘considerando’ della direttiva 2002/46 sarebbero state iscritte sugli elenchi
dei componenti consentiti senza essere state
sottoposte a prove complementari, mentre pesanti requisiti verrebbero imposti
ai produttori di integratori alimentari contenenti sostanze non autorizzate
allo scopo di provare il ricorrere dei criteri in questione. Esse aggiungono
che tale differenza di trattamento non si fonderebbe su alcuna giustificazione
obiettiva, in quanto gli elenchi non sarebbero stati redatti sulla base dei
detti criteri.

115 Al riguardo occorre ricordare
che, secondo una giurisprudenza costante, il divieto di discriminazione vuole
che situazioni analoghe non siano trattate in modo differente e situazioni differenti non siano trattate in modo identico, salvo che
ciò non risulti obiettivamente giustificato (v. sentenza 9 settembre 2004,
cause riunite C-184/02 e C-223/02, Spagna e Finlandia/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. I‑7789, punto 64; nonché sentenze
citate Arnold André, punto
68, e Swedish Match, punto 70).

116 Orbene, come hanno sottolineato il governo del Regno Unito, il Parlamento e la
Commissione nelle loro osservazioni scritte, le sostanze vitaminiche o minerali
che non compaiono sull’elenco dei componenti consentiti contenuto nell’allegato
II della direttiva 2002/46 non si trovano nella stessa situazione delle
sostanze in esso menzionate. Infatti, a differenza di
queste ultime, le prime, al momento dell’adozione della detta direttiva, non
avevano costituito oggetto, da parte delle autorità europee competenti, di una
valutazione scientifica intesa a garantire la loro conformità ai criteri di sicurezza
e di biodisponibilità enunciati all’undicesimo
‘considerando’ della detta direttiva.

117 Poiché ciascuna sostanza presenta caratteristiche proprie, come si è indicato nelle
medesime osservazioni, era del resto esclusa l’assimilazione di una sostanza
non ancora esaminata alla stregua di questi criteri ad una sostanza inclusa
negli elenchi dei componenti consentiti.

118 Tale diversità di situazione
autorizzava pertanto un trattamento differente senza che si potesse
validamente invocare la violazione del divieto di discriminazione.

119 Risulta
da quanto precede che le disposizioni di cui agli artt. 3, 4,
n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 non sono
invalide per violazione del principio della parità di trattamento.

Sulla lett. f) della questione

120 Con la lett. f) della questione,
il giudice del rinvio chiede se le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e
15, secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 siano invalide per
violazione dell’art. 6, n. 2, UE, letto alla luce dell’art. 8 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la
«CEDU»), e dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla detta Convenzione, nonché del diritto fondamentale alla proprietà e/o del
diritto all’esercizio di un’attività economica.

121 Nelle due controversie, le
ricorrenti in sede nazionale asseriscono che tale violazione sussiste. Esse
sostengono che la direttiva 2002/46 compromette in modo ingiustificato e
sproporzionato la capacità dei produttori di integratori
alimentari di svolgere la loro attività, finora esercitata in piena legalità,
nonché il diritto individuale alla libera scelta dei prodotti alimentari.

122 Al riguardo, occorre in primo
luogo ricordare che, ai sensi dell’art. 6, n. 2, UE, «l’Unione rispetta i
diritti fondamentali quali sono garantiti dalla CEDU e quali risultano
dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi
generali del diritto comunitario».

123 L’art. 8 della CEDU, intitolato
«Diritto al rispetto della vita privata e familiare», dispone, al n. 1, che
«ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del
suo domicilio e della sua corrispondenza» e, al n. 2, che «non può esservi
ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in
quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in
quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per
la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la
prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la
protezione dei diritti e delle libertà altrui».

124 Orbene non si può ritenere che il
fatto che le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15,
secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 possano privare talune persone
del diritto a consumare integratori alimentari non conformi alla detta
direttiva possa pregiudicare il rispetto della vita privata e familiare delle
dette persone.

125 L’art. 1 del protocollo
addizionale alla CEDU, intitolato «Protezione della proprietà», enuncia quanto
segue:

«Ogni persona fisica o giuridica ha
diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua
proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle
condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto
internazionale.

Le disposizioni precedenti non
portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in
modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle
imposte o di altri contributi o delle ammende».

126 Deriva da costante giurisprudenza
che sia il diritto di proprietà, cui si riferiscono le
disposizioni riportate al punto precedente, che la libertà di esercizio delle
attività economiche fanno parte dei principi generali del diritto comunitario.
Detti principi non costituiscono tuttavia prerogative assolute, ma vanno
considerati alla luce della loro funzione sociale. Ne consegue che possono
essere apportate restrizioni all’uso del diritto di proprietà e al libero
esercizio di un’attività economica, a condizione che tali restrizioni
rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse
generale perseguiti dalla Comunità e non costituiscano, rispetto allo scopo
perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la
sostanza stessa dei diritti così garantiti (v., in particolare, sentenze 11
luglio 1989, causa 265/87, Schräder, Racc. pag. 2237, punto 15, e 28
aprile 1998, causa C‑200/96,
Metronome Musik, Racc. pag. I-1953, punto 21).

127 Nel caso specifico, è vero che il
divieto di commercializzare e di immettere sul mercato comunitario integratori
alimentari non conformi alla direttiva 2002/46 può
restringere il libero esercizio dell’attività economica dei fabbricanti di
questi prodotti.

128 Tuttavia, il diritto di proprietà
degli operatori non è messo in discussione dall’introduzione di una siffatta
misura. Infatti, nessun operatore economico può rivendicare un diritto di
proprietà su una quota di mercato, anche se da esso
detenuta in un momento precedente l’introduzione di una misura relativa al
mercato in parola, dato che tale quota di mercato costituisce soltanto una
posizione economica temporanea, esposta all’alea di un mutamento di circostanze
(sentenze 5 ottobre 1994, causa C-280/93, Germania/Consiglio, Racc. pag. I-4973, punto 79, e Swedish Match, citata, punto 73). Né
un operatore economico può vantare un diritto quesito o anche solo un legittimo
affidamento sulla conservazione di una situazione in atto che può essere
modificata da decisioni adottate dalle istituzioni comunitarie nell’ambito del
loro potere discrezionale (v. sentenza 28 ottobre 1982, causa 52/81, Faust/Commissione, Racc. pag. 3745, punto 27, e Swedish Match,
citata, punto 73).

129 Come si è detto
in precedenza, il divieto derivante dalle disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15,
secondo comma, lett. b), della direttiva 2002/46 mira alla protezione della
salute delle persone, che è obiettivo d’interesse generale. Orbene, non sembra
che simile divieto presenti un carattere inadeguato al detto obiettivo. Ciò
posto, non si può ritenere che l’ostacolo al libero esercizio di un’attività
economica che la detta misura comporta pregiudichi in modo sproporzionato
rispetto allo scopo perseguito il diritto
all’esercizio di tale libertà o il diritto di proprietà.

130 Ne deriva che le disposizioni di
cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett.
b), della direttiva 2002/46 non sono invalide per violazione dell’art. 6, n. 2,
UE, letto alla luce dell’art. 8 della CEDU e dell’art. 1 del Protocollo
addizionale alla detta convenzione, del diritto fondamentale di proprietà e del
diritto ad esercitare un’attività economica.

Sulla lett. g) della questione

131 Con la lett. g) della questione
il giudice del rinvio chiede se le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b), della direttiva
2002/46 siano invalide per violazione dell’obbligo di motivazione previsto
all’art. 253 CE.

132 Le ricorrenti in sede nazionale
nella causa C-154/04 sostengono che il divieto derivante da queste disposizioni
non è motivato, il che costituisce, a loro avviso, una violazione dell’art. 253
CE.

133 Al riguardo, occorre ricordare
che, benché sia vero che la motivazione richiesta dall’art. 253 CE deve far apparire in maniera chiara e inequivocabile
l’iter logico seguito dall’istituzione comunitaria da cui promana l’atto
controverso, onde consentire agli interessati di conoscere le ragioni del
provvedimento adottato e onde permettere alla Corte di esercitare il proprio
controllo, tuttavia non si richiede che la motivazione contenga tutti gli
elementi di fatto e di diritto pertinenti (v., in particolare, sentenza 29
febbraio 1996, causa C-122/94, Commissione/Consiglio, Racc.
pag. I-881, punto 29).

134 L’adempimento dell’obbligo di
motivazione va peraltro valutato con riferimento non solo al testo dell’atto
criticato, ma anche al contesto di quest’ultimo
e all’insieme delle norme giuridiche che disciplinano in concreto la materia.
Se l’atto contestato fa emergere, nelle linee essenziali, lo scopo perseguito dall’istituzione, è superfluo esigere una
motivazione specifica per ciascuna delle scelte tecniche da essa operate (v.,
in particolare, sentenza 5 luglio 2001, causa C‑100/99, Italia/Consiglio e Commissione, Racc.
pag. I-5217, punto 64).

135 Nel caso specifico, il nono
‘considerando’ della direttiva 2002/46 permette di comprendere che le vitamine
e i minerali colpiti dal divieto sono quelli che non sono normalmente presenti
nella dieta e che non vengono consumati in tale
contesto.

136 Con riferimento alle sostanze
vitaminiche o minerali esistenti colpite dal divieto,
risulta chiaramente dal decimo e dall’undicesimo ‘considerando’ della direttiva
2002/46 che tale misura è legata all’intento generale, espresso al quinto
‘considerando’ della medesima direttiva, di assicurare un elevato livello di
protezione dei consumatori autorizzando l’immissione sul mercato dei soli prodotti
che non presentino rischi per la salute delle persone, e che essa si spiega con
il fatto che le sostanze in questione, al momento dell’adozione della detta
direttiva, non avevano costituito oggetto di una valutazione da parte del
comitato scientifico per l’alimentazione umana alla stregua dei criteri di
sicurezza e di biodisponibilità in base ai quali è
stato definito il contenuto dell’elenco dei componenti consentiti di cui
all’allegato II della direttiva.

137 Ne consegue che le disposizioni
di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma,
lett. b), della direttiva 2002/46 non sono invalide per violazione dell’obbligo
di motivazione previsto all’art. 253 CE.

138 Visto l’insieme delle
considerazioni che precedono, occorre risolvere la questione sollevata
dichiarando che l’analisi di quest’ultima non ha
rivelato alcun elemento tale da pregiudicare la validità delle disposizioni di
cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15, secondo comma, lett. b),
della direttiva 2002/46.

Sulle spese

139 Nei confronti
delle parti nella causa principale, il presente procedimento costituisce un
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire
sulle spese. Le
spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non
possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione)
dichiara:

L’analisi della questione sollevata
non ha rivelato alcun elemento tale da pregiudicare la validità delle
disposizioni di cui agli artt. 3, 4, n. 1, e 15,
secondo comma, lett. b), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
10 giugno 2002, 2002/46/CE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri relative agli integratori alimentari.

Firme