Penale

Friday 12 September 2003

Immunità parlamentare. La legge 140/2003 al vaglio della Corte Costituzionale. N. 633 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 giugno 2003.

Immunità parlamentare. La legge 140/2003 al vaglio della Corte Costituzionale

N.   633   ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 giugno 2003.

Ordinanza emessa il 30 giugno 2003 dal tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Berlusconi Silvio

Processo penale – Divieto di sottoposizione a processi penali, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge n. 140/2003, del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato, del Presidente della Camera dei deputati, del Presidente del Consiglio dei ministri, del Presidente della Corte costituzionale, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime

Derivata sospensione nei confronti di tali soggetti dei processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, fino alla cessazione della carica o della funzione

Violazione del principio di uguaglianza (derogabile soltanto con norma costituzionale), con riferimento al principio di obbligatorieta’ dell’esercizio dell’azione penale. – Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 1, comma 2, in relazione al comma 1 del medesimo articolo. – Costituzione, art. 3, in relazione agli artt. 101 e 112. Processo penale

  – Divieto di sottoposizione a processi penali, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge n. 140/2003, del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato, del Presidente della Camera dei deputati, del Presidente del Consiglio dei ministri, del Presidente della Corte costituzionale, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime – Derivata sospensione nei confronti di tali soggetti dei processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, fino alla cessazione della carica o della funzione

  – Mancanza di collegamento funzionale tra le ipotesi di reato contestate e la carica rivestita o la funzione esercitata

– Violazione del principio di uguaglianza, in relazione alle norme costituzionali che prevedono immunita’ o prerogative sempre connesse alla carica rivestita o alla funzione esercitata. – Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 1, comma 2, in relazione al comma 1 del medesimo articolo. – Costituzione, art. 3, in relazione agli artt. 68, 90 e 96. Processo penale

  – Divieto di sottoposizione a processi penali, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge n. 140/2003, del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato, del Presidente della Camera dei deputati, del Presidente del Consiglio dei ministri, del Presidente della Corte costituzionale, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime – Derivata sospensione nei confronti di tali soggetti dei processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, fino alla cessazione della carica o della funzione

– Obbligatorieta’ e non rinunciabilita’ di tale prerogativa

– Indeterminatezza del termine di durata della stessa – Impedimento all’esercizio dell’azione civile – Mancanza di una clausola che faccia salvo il compimento degli atti urgenti di natura e valenza processuale – Lesione del diritto al processo e del diritto di difesa. – Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 1, comma 2, in relazione al comma 1 del medesimo articolo. – Costituzione, artt. 24, 111 e 117 (quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali). Ordinamento giudiziario – Applicazione dei magistrati – Limite di durata – Sospensione o proroga dell’applicazione nel caso di sospensione ex lege del dibattimento, per la durata della sospensione medesima – Mancata previsione – Lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione – Violazione del principio della ragionevole durata del processo. – Regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, art. 110, comma quinto (come successivamente modificato). – Costituzione, artt. 97 e 111. (GU n. 36 del 10-9-2003)

                            IL TRIBUNALE

    Ha   pronunciato   la   seguente  ordinanza  sulle  eccezioni  di

legittimita’  costituzionale  del comma due, in relazione al comma 1,

dell’art. 1, della legge n. 140/2003 sollevate dal p.m. e dalla parte

civile CIR, come argomentate in dettaglio nelle memorie depositate in

data  24  e  25  giugno  2003;  sentita  la difesa Berlusconi, che ha

argomentato  in  contraddittorio  all’udienza  del  25  giugno  2003,

depositando   documentazione   di  dottrina  e  di  giurisprudenza  a

sostegno;

                            O s s e r v a

    Va  innanzitutto  premesso  che  questo Tribunale e’ competente a

valutare  la  manifesta  o  meno  infondatezza della questione di cui

trattasi in quanto spetta comunque al Tribunale di applicare la norma

del  comma  2, dell’art. 1, della citata legge e quindi di dichiarare

la causa di sospensione ivi prevista nel contesto del dibattimento in

corso.

    La  rilevanza  della questione posta dalle suddette parti risulta

cosi’   evidente  in  quanto  il  giudice  e’  tenuto  – qualora debba

applicare  una  norma  per  cui si ravvisino aspetti di non manifesta

infondatezza  di  questioni  di costituzionalita’ – a trasmettere gli

atti alla Corte costituzionale.

    Ad  avviso  del  Tribunale  la  prima e fondamentale questione da

affrontare   e’   quella   della   natura   del  contenuto  normativo

dell’art. 1,  legge  n. 140/2003  sia nella formulazione generale del

comma  1  che  nella  formulazione  derivata del comma 2, che sarebbe

direttamente  applicabile  nel  caso  di specie, data la pendenza del

procedimento   a   carico   dell’imputato   Berlusconi,  che  riveste

nell’attualita’ la carica di Presidente del Consiglio dei ministri.

    Ha  rilevato  la  difesa dell’imputato che si tratta di una norma

procedurale  che  instaura  una  mera sospensione del processo, cosi’

come  e’  previsto  in altri casi sia dal codice di rito che in altre

disposizioni  di legge (normative valutarie, sul contrabbando, codice

militare  di  pace,  ecc.),  tutte  assunte  in  via ordinaria, senza

necessita’  di  una  procedura  formativa di rango costituzionale. Ha

altresi’  argomentato  circa  il  fatto  che  anche  in altri casi la

sospensione  del procedimento e’ riferibile a soggetti determinati in

virtu’ delle loro qualita’ personali.

    Per   la   verita’,  tale  connotazione  specifica  si  riferisce

unicamente  all’art. 71 del c.p.p., in cui e’ prevista la sospensione

del   procedimento   nel   caso   in   cui  risulti  una  incapacita’

dell’imputato  tale  da  impedire  una  cosciente  partecipazione  al

procedimento medesimo.

    Ma  valuta  il  tribunale che tali argomentazioni siano meramente

suggestive e non colgano la sostanziale differenza tra i vari casi di

sospensione disposti per via ordinaria e la norma in esame.

    A   prescindere   dalla   considerazione   che  l’unico  caso  di

sospensione   collegato  alla  qualita’  dell’imputato  si  riferisce

unicamente  ad  un  accertato  stato  obiettivo  di  incapacita’  del

medesimo   a   stare   in   giudizio  e  nei  cui  confronti  diventa

oggettivamente  impossibile  procedere,  negli  altri  casi si tratta

sempre  di  situazioni  oggettive di carattere endoprocessuale: basti

pensare  alla sospensione del processo in caso del ricorso alla Corte

costituzionale, ovvero ad altri organi che devono rendere un giudizio

preventivo  rispetto  alla  prosecuzione del dibattimento (ad esempio

sospensione  della  decisione  in  caso  di  ricusazione o ricorso ad

organi internazionali).

    La  difesa  ha  altresi’ rilevato che l’ordinamento – a fronte di

situazioni  particolari  – ha previsto deroghe alla disciplina comune

nei  confronti di determinati soggetti, riferendosi in specifico alla

disposizione  di  cui  all’art. 205  c.p.p.,  che  prevede  modalita’

particolari per l’assunzione della testimonianza del Capo dello Stato

o,  a  richiesta,  degli  stessi soggetti a cui si riferisce l’art. 1

della legge in discussione. In verita’ – come gia’ ha avuto occasione

di  stabilire  la  Corte  costituzionale – in tale caso non vi e’ ne’

soppressione   ne’  affievolimento  della  funzione  giurisdizionale,

giacche’  la norma in questione si limita ad un contemperamento degli

interessi in gioco, ma non elimina o sospende i doveri comuni a tutti

gli altri cittadini.

    Nel   caso  di  specie,  invece,  basta  leggere  la  norma,  per

constatare  che,  al  comma  1, e’ stabilita una non sottoposizione a

processo penale e, nel comma 2, una derivata sospensione dei processi

in  corso alla data di entrata in vigore della legge per soggetti che

rivestono  cariche  di  rilievo  costituzionale  (Il Presidente della

Repubblica,  i  Presidenti del Senato e della Camera dei deputati, il

Presidente  del Consiglio e il Presidente della Corte costituzionale)

e  che  la  non  sottoposizione  a processo, ovvero la sospensione di

quello  gia’  in  corso, e’ collegata alla «assunzione della carica o

della  funzione  fino  alla  cessazione  delle  medesime».  Atteso il

riferimento  a  tali  soggetti  particolari  e alla carica o funzione

rivestita,  deve  necessariamente  concludersi  che  si tratta di una

prerogativa  (non  processabilita)  che non ha nulla a che vedere con

cause  o motivazioni endoprocessuali che sono ravvisabili negli altri

casi di sospensione del processo.

    In  altri  termini  la motivazione della sospensione del processo

deriva  direttamente  da una prerogativa personale che si attribuisce

alle  alte  cariche dello Stato e che e’ collegata con l’assunzione e

durata  della  carica,  per  qualsiasi  reato anche riguardante fatti

antecedenti l’assunzione della medesima.

    E,  trattandosi  di  una  prerogativa  riservata  espressamente a

soggetti  che  rivestono cariche costituzionali e non potendosi certo

affermare  che  non  incidono  sull’esercizio  dell’azione penale (da

intendersi  ovviamente  non  solo  come  esplicazione di attivita’ di

indagine  ma  anche come azionabilita’ davanti ad un giudice, terzo e

imparziale,  dell’ipotesi  d’accusa ai fini della sua valutazione nel

contraddittorio   processuale),   e’   immediato   e  imprescindibile

constatare  che,  con  la  norma in esame, si incide direttamente sul

principio  di  uguaglianza,  con  una  violazione anche dell’art. 112

della Costituzione.

    Deve  rilevarsi,  infatti, che, tra i principi fondamentali della

Carta  costituzionale,  vi  e’ quello dell’art. 3 che, come la stessa

Consulta  ha  gia’  avuto  occasione  di  rilevare,  e’  un principio

fondante  dell’ordinamento, derogabile solo dalla stessa Costituzione

ovvero con modifiche costituzionali a termine dell’art. 138 Cost.

    Tale   rilievo  risulta  confermato  dal  fatto  che  prerogative

riguardanti cariche o funzioni costituzionali sono disciplinate nella

stessa  Costituzione  (art. 90  e  96) ovvero in leggi costituzionali

successive  (come  la  legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 che,

all’art. 3,  comma  2,  estende ai giudici costituzionali le garanzie

allora previste dall’art. 68 Cost. comunque come oggi modificato).

    Pare   dunque   non  manifestamente  infondata  la  questione  di

legittimita’   costituzionale   dell’art. 1,   comma   secondo,   con

riferimento al comma primo della legge qui in esame, sotto il profilo

della  violazione  dell’art. 3  in  relazione agli articoli 101 e 112

Cost.

    La  difesa  Berlusconi ha obiettato, sotto questo profilo, la non

necessita’   di  una  legge  costituzionale  per  la  prerogativa  in

questione,  in  quanto  sarebbe  stata  introdotta con l’art. 5 della

legge  ordinaria  3 gennaio  1981, n. 1, una prerogativa a tutela dei

componenti  del  CSM,  organo  anch’esso costituzionale, senza alcuna

censura da parte del giudice delle leggi.

    In  verita’,  contrariamente a quanto assunto dalla difesa, detta

norma  non ha introdotto una prerogativa o forma di immunita’, bensi’

una   speciale  causa  di  non  punibilita’,  che  ha  un  ambito  di

operativita’  si’  diverso  da  quello  delle  scriminanti di diritto

penale  comune, ma non assimilabile alle immunita’ o prerogative come

previste  dalla  Costituzione.  Afferma  testualmente la Corte, nella

Sentenza n. 148/1983, che «le formule rispettivamente adoperate nella

Costituzione  e  dalla  legge n. 1 del 1981 sono volutamente diverse.

Nel  primo  caso,  cioe’,  si afferma che i membri del Parlamento non

possono  essere “perseguiti” … Nella stesura finale del disposto in

esame  si  chiarisce  invece  –  a seguito di un apposito emendamento

approvato  dalla  IV   Commissione  permanente  della  Camera –  che i

componenti  del  CSM  non  sono “punibili”, quasi per escludere che i

consiglieri  siano  stati  in alcun modo sottratti ai giudici penali,

mediante  un’immunita’  di  tipo processuale». Ha ancora affermato la

Corte  che  «l’art. 5 della legge n. 1 del 1981 ha previsto una causa

di  non  punibilita’  specifica ma rigorosamente circoscritta, avente

per oggetto le sole manistazioni di pensiero funzionali all’esercizio

dei  poteri-doveri  costituzionalmente  spettanti  ai  componenti  il

Consiglio superiore».

    Nel  censurare  gli  argomenti  dell’ordinanza  di  remissione la

Consulta  ha  ancora  precisato  che  gli argomenti addotti «hanno il

torto  di  confondere,  collocandole  sul medesimo piano, garanzie di

natura  diversissima.  La  posizione  che questa Corte ha preso nella

sentenza  n. 4  del  1965  deve  essere  riferita,  come  risulta con

chiarezza   dalla   motivazione,  ai  casi  di  deroga  al  principio

dell’obbligatorieta’  dell’azione  del  PM  …  ben altro e’ il caso

delle  cause  di non punibilita’ stabilite in vista dell’esercizio di

determinate  funzioni.  Il  legislatore ordinario puo’ ben operare in

tal  senso al di la’ delle ipotesi espressamente previste dalle fonti

sovraordinate, purche’ le scriminanti cosi’ stabilite siano il frutto

di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco».

    La  norma  di  cui  all’art.  1  della legge n. 140 del 2003 pare

pacifico  non costituisca alcuna scriminante speciale (in tal caso la

giurisdizione  si esplicherebbe infatti pienamente proprio al fine di

verificare  la  sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione

di   detta   scriminante),   stabilendo   invece  una  causa  di  non

processabilita’,  ovvero  la  sospensione  del procedimento pendente,

venendo   cosi’   ad   incidere   certamente   sulla  obbligatorieta’

dell’azione  penale,  che  di  fatto  non  puo’  essere compiutamente

esercitata.

    Valuta  il  Tribunale  che neppure possa ritenersi manifestamente

infondata  la  questione  di legittimita’ costituzionale proposta con

riferimento agli articoli 3, 68, 90 e 96 della Costituzione.

    La normativa in esame fa salva l’applicazione degli articoli 90 e

96  della  Costituzione  e cio’ conferma che la prerogativa istituita

con  tale  norma  e’  ulteriore  ed aggiuntiva rispetto a quelle gia’

costituzionalmente  stabilite,  per  di piu’ senza alcun collegamento

funzionale  con  la  carica  rivestita  e  senza un termine preciso e

determinato  per  la  cessazione  della prerogativa, essendo evidente

che, non solo ciascuna carica puo’ essere rinnovata, ma possono anche

susseguirsi cariche diverse sempre considerate dalla norma.

    In  sintesi,  il  nostro  sistema  costituzionale prevede, per un

verso  l’art. 3,  che  stabilisce  il principio che tutti i cittadini

hanno  pari  dignita’ sociale e sono eguali davanti alla legge, senza

distinzione,  tra  l’altro,  di  condizioni  personali e sociali. Per

altro  verso,  la stessa Costituzione prevede immunita’ e prerogative

che,  come  e’  noto,  si giustificano con la necessita’ di garantire

l’autonomia  e  il  libero  svolgimento  delle  proprie  funzioni dei

diversi poteri dello Stato e pare necessario concludere che in questo

quadro  soltanto,  salvo  modifiche  costituzionali,  e’  allo  stato

individuabile   il   punto   di   equilibrio   tra   esercizio  della

giurisdizione e lo svolgimento di funzioni di rilievo costituzionale.

    Innanzitutto,  l’art. 68  della  Costituzione  stabilisce,  per i

membri  del  Parlamento, una immunita’ strettamente funzionale per le

«opinioni  espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni»

e   stabilisce,   inoltre,   una   autorizzazione   della  Camera  di

appartenenza     limitatamente    all’esecuzione    di    determinati

provvedimenti.

    L’art. 90  stabilisce  una  immunita’  per  il  Presidente  della

Repubblica per quanto riguarda gli atti compiuti nell’esercizio delle

sue  funzioni,  tranne  che  per  alto  tradimento  o  attentato alla

Costituzione.  In  tal  caso  un’ulteriore  prerogativa e’ costituita

dalla  «messa  in  stato di accusa» da parte del Parlamento stesso in

seduta  comune.  Anche in questo caso si tratta di forma di immunita’

assolutamente funzionale. L’art. 96 Cost., che riguarda il Presidente

del  Consiglio ed i ministri, prevede – dopo aver precisato che per i

reati  commessi  nell’esercizio  delle  loro funzioni gli stessi sono

sottoposti   alla   giurisdizione   ordinaria   –  una  condizione  di

procedibilita’ (autorizzazione della Camera o del Senato) con riserva

di legge costituzionale.

    Puo’  dunque constatarsi che la Costituzione non prevede in alcun

modo  forme  di  immunita’  o  prerogative riferibili a reati che non

hanno alcun collegamento con le funzioni esercitate; e cio’ mentre la

normativa in esame risulta doppiamente scollegata con la funzione per

cui  e’  ragionevole derogare al principio di uguaglianza, atteso che

si   riferisce   espressamente   a  qualsiasi  tipo  di  reato  anche

riguardante  fatti  antecedenti  l’assunzione  della  carica  e della

funzione.

    Inoltre,  con  riguardo  alla norma in esame, valuta il Tribunale

che  non  sia  manifestamente  infondata  la  proposta  questione  di

legittimita’  costituzionale  con  riferimento agli articoli 24 e 111

Cost,  atteso  che  la  prevista  non  sottoposizione a processo e la

derivata  sospensione  dello  stesso  gia’  in corso, oltre ad essere

obbligatoria  e  non  rinunciabile  e’ anche a tempo indeterminato in

quanto  la  carica – alla cui cessazione e’ collegata la durata della

prerogativa  –  puo’  essere  ricoperta  ripetutamente  senza che sia

prevista alcuna limitazione.

    Cio’  comporta  una  lesione al principio del diritto alla difesa

che e’ stabilito indistintamente per tutti i cittadini e che viene ad

essere  indebitamente  sottratto  ai  soggetti  previsti dalla norma.

Contemporaneamente  la  indeterminatezza  del termine di durata della

prerogativa   appare  in  contrasto  con  l’art   111,  che  e’  norma

ulteriormente  affermativa e rafforzativa del piu’ generale principio

del diritto al processo e del diritto di difesa.

    E  deve  anche  rilevarsi  che,  a  maggior  ragione,  appare  la

pregnanza della violazione del diritto di difesa, nel caso specifico,

considerato  che  il  Presidente  del Consiglio dei ministri non puo’

essere  sottoposto  a  processo  per  i  reati comuni, mentre, previa

autorizzazione   della  Camera  o  del  Senato,  e’  sottoposto  alla

giurisdizione ordinaria per i reati funzionali, il che pare essere di

per se’ irragionevole.

    Ma comunque, anche qualora le argomentazioni di cui sopra fossero

ritenute  non decisive, gli articoli 24 e 111 della Costituzione sono

certamente  richiamabili  con riferimento alla violazione dei diritti

della  parte offesa costituitasi parte civile nel procedimento penale

sospeso  per  effetto  della  norma  in  esame,  e  cio’ a tacere del

riferimento  di  incostituzionalita’  anche con riguardo all’art. 117

della  Costituzione in relazione all’art. 6 della Convenzione europea

per   la   salvaguardia   dei  diritti  dell’uomo  e  delle  liberta’

fondamentali,  firmata  a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in

Italia  con  legge n. 848 del 1955. Pare significativo considerare in

proposito  che,  con  sentenza  30  gennaio  2003 (affaire Cordova c.

Italie,  n. 1,  ricorso  n. 40877/98),  la  Corte  di  Strasburgo  ha

rilevato  che  «occorre  ricordare  che  la  Convenzione  europea dei

diritti dell’uomo ha lo scopo di proteggere dei diritti non teorici o

illusori,  ma  concreti  ed effettivi. Il rilievo vale in particolare

per  il  diritto  di accesso ai tribunali vista la posizione eminente

che   il   diritto  ad  un  processo  equo   occupa  in  una  societa’

democratica.  Sarebbe  incompatibile con la preminenza del diritto in

una societa’ democratica e con il principio fondamentale che sottende

l’art  6  –  che  sancisce che le rivendicazioni civili devono essere

portate  davanti ad un giudice – che uno Stato possa, senza riserve o

senza  il  controllo  degli  organi della Convenzione, sottrarre alla

competenza dei tribunali tutta una serie di azioni civili o esonerare

da  responsabilita’  delle categorie di persone. E cio’ nonostante la

Corte  abbia  riconosciuto  che  siano  giustificate  prerogative nei

confronti dei parlamentari.

    Peraltro  la  violazione  degli articoli 24 e 111 Cost. consiste,

nel  caso  di  specie,  nell’impedimento indeterminato dell’esercizio

dell’azione   civile,   per   effetto   della   disposizione  di  cui

all’art. 75, terzo comma, c.p.p.

    Tale  norma, infatti, stabilisce (e cio’ in applicazione del noto

principio della separazione delle giurisdizioni che informa l’attuale

codice   di  rito)  che:  «se  l’azione e’ proposta in sede civile nei

confronti  dell’imputato  dopo  la  costituzione  di parte civile nel

processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo

civile  e’ sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non piu’

soggetta  ad  impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge».

Cio’  comporta  all’evidenza, nel caso di specie, che la parte civile

costituita  non  potrebbe  trasferire l’azione in sede civile, stante

l’assenza,  nella  norma  dell’art  1,  comma  secondo,  della  legge

n. 140/2003,  di  una  espressa  eccezione  sul  punto. Ne’ risultano

conferenti,  al contrario, le argomentazioni della difesa Berlusconi.

La  stessa  ha  infatti  rilevato  che la parte civile costituita nel

processo   penale,  ai  sensi  dell’art. 82,  quarto  comma,  c.p.p.,

revocando  la  propria  costituzione, potrebbe ben accedere alla sede

civile.

    Un  tale  argomento  ignora del tutto che, ove fosse applicata la

norma  di  cui all’art. 1, secondo comma, legge n. 140/2003, la secca

sospensione del processo impedirebbe qualunque attivita’ processuale,

ivi  compresa la revoca della costituzione di parte civile. Singolare

e  priva  di pregio risulta poi l’argomentazione secondo cui la parte

civile,  per  tutelare i propri diritti costituzionalmente garantiti,

dovrebbe  eccepire  ex  parte sua l’incostituzionalita’ dell’art. 295

del  c.p.c.  che stabilisce appunto la sospensione necessaria in caso

di pendenza del procedimento penale.

    Norma, quest’ultima, a proposito della quale sarebbero rilevabili

aspetti  di  incostituzionalita’  solo ed esclusivamente per le parti

offese  da  reati commessi dalle cinque alte cariche di cui trattasi,

mentre  in  tutti  gli altri casi non sono assolutamente ipotizzabili

profili di incostituzionalita’.

    Gli articoli 24 e 111 Cost. appaiono peraltro violati anche sotto

il  profilo  della mancata previsione, nella norma in discussione, di

una  clausola  che  faccia salvo il compimento degli atti urgenti che

abbiano  natura  e  valenza  processuale,  come, per esempio, sarebbe

l’assunzione  urgente  di una prova in sede di incidente probatorio e

che,  diversamente,  sarebbe  dispersa in via definitiva. Ne’ vale, a

contrario,  l’argomentazione  spesa  dalla difesa Berlusconi, secondo

cui  il  problema  non  sussisterebbe,  perche’ in caso di prova – in

specifico   esame   testimoniale   non  piu’  rinnovabile  per  causa

sopravvenuta    –   opererebbe   l’art. 512   c.p.p.:   ma,   invero,

l’acquisizione in dibattimento ex art. 512 c.p.p., puo’ avvenire solo

nel  caso  in  cui  non  fosse  prevedibile,  in sede di indagine, la

sopravvenienza  della  non  rinnovabilita’  dell’atto.  Al contrario,

l’incidente  probatorio  dispone per il caso in cui vi sia il fondato

timore  che,  per vari motivi, non si possa piu’ acquisire nella sede

propria  dibattimentale  la prova necessaria. Si tratta dunque di due

situazioni completamente differenti.

    Valuta  inoltre  il  Tribunale  doveroso  sottoporre  alla  Corte

costituzionale, d’ufficio, altra questione relativa alla valutata non

manifesta  infondatezza  dell’art. 110  R.D.  30  gennaio 1941, n. 12

(come  successivamente  modificato dall’art. 1 della legge 16 ottobre

1991  n. 321  «Interventi  straordinari  per  la  funzionalita’ degli

uffici»).

    La  rilevanza  e  attualita’  della  questione e’ intrinsecamente

collegata  e  si manifesta in diretta correlazione con la sollevabile

questione  di  legittimita’  costituzionale  dell’art. 1  della legge

n. 140/2003,  che  comporta,  ai  sensi  dell’art. 23, comma 2, della

legge  11 marzo  1953,  n. 87,  la sospensione del procedimento e che

comporta  altresi’ tempi tecnici che incidano considerevolmente sulla

durata  della  applicazione  del dott. Brambilla al collegio titolare

del dibattimento sospeso.

    Tale  situazione, assolutamente anomala, di scadenza del collegio

giudicante,  non  per  effetto  di indisponibilita’ o incapacita’ del

giudice,  ma  per  effetto  di  norma  dell’ordinamento  giudiziario,

renderebbe  priva dei relativi effetti, nel contesto del dibattimento

in  corso,  una  pronuncia,  da  parte  della  Consulta, di eventuale

incostituzionalita’ della norma di cui all’art. 1, legge n. 140/2003.

    Pare  opportuno  premettere che, con decreto del Presidente della

Corte  d’appello  di  Milano  in  data  10  gennaio  2002,  il  dott.

Brambilla,  giudice  di  sorveglianza, veniva applicato a tempo pieno

alla  prima  sezione penale del Tribunale ordinario per la necessita’

imprescindibile  di  continuare a far parte del collegio titolare del

processo  a carico in allora di Silvio Berlusconi ed altri, di cui il

predetto    magistrato   era   originariamente   componente,   avendo

partecipato alla trattazione del medesimo per circa due anni.

    L’applicazione  in  questione,  disposta  ai  sensi dell’art. 110

dell’ordinamento  giudiziario,  e’  stata  disposta per un anno, come

prevede  detta  norma,  ed  e’  stata  successivamente rinnovata, con

decreti  in  data 16, 28 ottobre 2002 e 7 gennaio 2003, per la durata

di  un  altro  anno  a  partire dal 9 gennaio 2003 e dunque sino al 9

gennaio 2004.

    Tale  ultima  data, pertanto, ai sensi del comma quinto dell’art.

110  dell’ordinamento giudiziario, rappresenta il termine ultimo, non

piu’ prorogabile o rinnovabile, di scadenza dell’applicazione.

    Valuta  il  Tribunale  che  la  norma  in  questione,  per quanto

stabilisce   al   comma  quinto  prima  parte,  presenti  profili  di

incostituzionalita’  non  manifestamente  infondati,  con riferimento

agli articoli 97 e 111 della Costituzione.

    Pare  invero pacifico che si tratti di norma di amministrazione e

che  quindi ricade sotto la previsione dell’art. 97 Cost. secondo cui

i  pubblici  uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in

modo  che  innanzitutto sia assicurato il buon andamento dell’ufficio

medesimo: buon andamento che la rigidita’ dei termini di applicazione

non  pare  affatto  assicurare  nella  misura in cui il comma quinto,

dell’art. 110  ord. giud. non prevede una sospensione (o comunque una

proroga)  del  periodo di applicazione nel caso in cui sia sospeso ex

lege  il  dibattimento  e  per  il  periodo di effettiva durata della

sospensione.

    D’altro  canto,  come evidenzia il caso di specie, la continuita’

del   dibattimento  in  corso,  in  stato  avanzato  di  trattazione,

costituiva  l’esigenza  imprescindibile per cui l’applicazione stessa

e’   stata   disposta,   cosicche’   appare   anche   intrinsecamente

irragionevole  che  il  dibattimento in questione, pervenuto ora alle

battute  finali  e’  sospeso  ex  lege non possa essere eventualmente

definito per la scadenza secca del termine di applicazione.

    Cio’, sotto altro profilo, integra, ad avviso del Collegio, anche

una  violazione  dell’art. 111  della  Costituzione,  producendo  una

irragionevole  durata  del  dibattimento,  giacche’  il  fatto che un

magistrato  non  possa  piu’ far parte del collegio giudicante (con i

necessari   effetti  di  cui  all’art. 525,  secondo  comma,  c.p.p.)

comporta   inevitabilmente   che   sia  rinnovata  tutta  l’attivita’

dibattimentale: il che, nel caso di dibattimenti complessi, anche per

il numero dei testimoni da riassumere, finirebbe col rendere concreto

l’intervento della prescrizione.

    Per quanto infine attiene alla richiesta del p.m. di acquisizione

(rectius  di  allegazione  al  verbale) di una memoria ai sensi degli

articoli  482 e 121 c.p.p., esplicativa della modalita’ di conduzione

delle  indagini  da  parte  dell’ufficio  inquirente,  e’  necessario

precisare quanto segue.

    Le  parti,  in  ogni  stato  e  grado  del  procedimento, possono

presentare  al  giudice  memorie, depositandole nella cancelleria del

giudice   senza   bisogno   di  autorizzazione  alcuna  da  parte  di

quest’ultimo  ed hanno diritto di fare allegare al verbale di udienza

memorie  contenenti dichiarazioni a cui abbiano interesse, cosi’ come

hanno  diritto  a  far inserire nel verbale dichiarazioni orali della

stessa natura.

    Ma  tutto  cio’ sul presupposto che sia in corso il dibattimento:

nel  caso di specie, la richiesta del p.m. e’ intervenuta all’udienza

del  25 u.s., ovvero in un contesto in cui – per effetto dell’entrata

in  vigore,  fin  dal  giorno 21 giugno 2003, dell’art. 1 della legge

n. 140/2003  –  l’attivita’  dell’udienza era limitata necessanamente

alla  dichiarazione  di  sospensione  in  applicazione  di tale legge

ovvero a valutazioni circa la non manifesta infondatezza di questioni

di  legittimita’  costituzionale della legge stessa, nel qual caso il

giudice, prima di applicarla, deve rimettere la questione al giudizio

della Corte costituzionale.

    In  altri  termini,  all’udienza del giorno 25 giugno 2003, primo

momento utile per le valutazioni di cui sopra, era gia’ preclusa ogni

attivita’  tipicamente  dibattimentale e quindi anche la possibilita’

di invocare l’applicazione dell’art. 482 c.p.p.

    Si  sarebbe  invece  potuto depositare la memoria in questione in

cancelleria  prima  dell’entrata  in  vigore  dell’articolo  di legge

oggetto del vaglio di legittimita’ costituzionale.