Lavoro e Previdenza

Thursday 06 October 2005

Illegittimo il licenziamento di chi critica aspramente, anche sotto forma di satira, le scelte aziendali Cassazione – Sezione lavoro – sentenza 19 maggio-21 settembre 2005, n. 18570

Illegittimo il licenziamento di chi critica aspramente, anche sotto forma
di satira, le scelte aziendali

Cassazione – Sezione lavoro – sentenza 19 maggio-21 settembre 2005, n. 18570

Presidente Mattone – relatore Di Cerbo – Ricorrente Italcementi Spa

Svolgimento del processo

Con separati ricorsi al Pretore di
Bergamo Licínio Grandi, Piernicola
Giulietti e Maria Pia Rota, rappresentanti sindacali
aziendali dipendenti il primo dalla Italcementi Spa e gli altri due dalla CTG Spa,
impugnavano i licenziamenti per giusta causa loro intimati in data 18 aprile 1997, a seguito di
procedimento disciplinare, per avere elaborato e distribuito
volantini ritenuti dalle società datrici di lavoro gravemente lesivi
dell’immagine delle stesse società nonché dell’onorabilità e del decoro del
consigliere delegato dell’Italcementi Spa.

Il Pretore adito accoglieva la
domanda e ordinava la reintegrazione dei lavoratori avendo ritenuto non violati
i doveri di fedeltà e subordinazione. In particolare escludeva che il contenuto
dei volantini fosse lesivo dell’onore e dell’immagine delle società e
dell’amministratore delegato.

Decidendo in sede d’appello il
Tribunale di Bergamo confermava la decisione.

Le società datrici di lavoro
proponevano ricorso per cassazione e la Corte, con sentenza
7091/01 annullava con rinvio la decisione suddetta avendo ritenuto la
motivazione insufficiente e contraddittoria sotto vari profili.

La causa veniva
riassunta dai lavoratori dinanzi alla Corte d’Appello di Brescia. Costituitosi
il contraddittorio, la Corte,
con sentenza depositata in data 13 febbraio 2003, rigettava il gravame avverso
la sentenza del Pretore di Bergamo. Premesso che l’oggetto del giudizio di
rinvio era circoscritto alla valutazione della capacità offensiva di uno dei
volantini nei confronti dell’onore e del decoro dell’amministratore delegato o
del gruppo societario sotto il profilo dell’eventuale superamento dei limiti di
continenza formale, nel contesto della modalità
espressiva, la satira, adottata dagli estensori del volantino stesso, la Corte escludeva da un lato
il carattere offensivo del contenuto del volantino in relazione al suo
significato e, dall’altro, riteneva che nello stesso non fossero state usate
espressioni o immagini volgari e offensive. In ogni caso, anche a voler
ammettere una qualche potenzialità offensiva del volantino, ciò non poteva
giustificare un licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo.

Per la cassazione di questa sentenza
propongono ricorso l’Italcementi Spa
e la CTG Spa, affidato a un
unico, complesso motivo. Resistono con controricorso
i lavoratori. Le società ricorrenti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo
le società ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli
articoli 2, 21 e 39 Costituzione; 1, 14, 15, 19 e 23 della legge 300/70; 1 e 3
della legge 604/66; 2043, 2118 e 2119 Cc; 112, 115,
116, 389 e 394 Cpc, nonché omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Sotto un primo profilo deducono che la sentenza impugnata contiene affermazioni che
contraddicono circostanze di fatto, quali la riferibilità della figura di
imprenditore contenuta nel volantino all’amministratore delegato della Spa Italcementi e la volgarità ed
offensività delle espressioni usate, già riconosciute
dai giudici sia di primo che di secondo grado.

Sotto altro profilo deducono che la Corte d’Appello di Brescia
non si sarebbe attenuta ai limiti imposti dalla
sentenza della Suprema Corte, in base ai quali l’esame demandato al giudice di
rinvio doveva essere circoscritto alla verifica del rispetto, o meno, del
limite della c.d. continenza formale nell’esercizio del diritto di critica da
parte dei lavoratori licenziati e, nello specifico, all’accertamento se la forma
espositiva utilizzata fosse tale da recare pregiudizio all’onore, alla
reputazione e al decoro di chi ne era destinatario, e cioè del consigliere
delegato della società, della madre dell’imprenditore e/o della dirigenza del
gruppo.

In particolare è viziata la
motivazione per quanto concerne la conclusione secondo la quale il significato
attribuito alle ossessioni del paziente dello psìcoterapeuta
non poteva ritenersi lesivo dell’onore del gruppo Italcementi.
E’ viziata altresì la motivazione nella parte in cui esclude un significato
offensivo alla “storiella” concernente il “manager di mezz’età”. In particolare
la sentenza afferma, in contrasto con quanto accertato nei precedenti giudizi,
che tale espressione non identifica una persona
determinata. Analogamente è viziata la motivazione nella parte in cui esclude
la riferibilità di alcune espressioni contenute nel
volantino alla madre dell’amministratore delegato e nella parte in cui comunque
esclude la valenza offensiva di tali espressioni. La carenza
e contraddittorietà della motivazione è altresì riscontrabile anche nella parte
in cui la stessa attribuisce valore meramente simbolico a fatti e giudizi
riportati nel volantino ed esclude conseguentemente che gli stessi possano
avere carattere offensivo. In particolare non è chiaro e comunque
non è stato motivato adeguatamente il perché il carattere asseritamene
simbolico delle affermazioni di cui al volantino farebbe venir meno l’offensività delle espressioni utilizzate.

In definitiva, ad avviso dei ricorrenti,
l’interpretazione che l’impugnata sentenza ha dato del volantino è
assolutamente insostenibile in quanto cozza irrimediabilmente con il testo del
volantino stesso il cui fine era quella di colpire personalmente
l’amministratore delegato o comunque il Gruppo Italcementi con epiteti gratuiti, gratuitamente ingiuriosi
e denigratori.

Con riferimento, infine, all’ultima
parte della motivazione della sentenza impugnata, nella quale la Corte di
merito ha affermato che, anche se si volesse ravvisare nel volantino in
questione un contenuto offensivo, difetterebbero comunque
i presupposti di un licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo
per mancanza del requisito della gravità della condotta sotto il profilo
soggettivo (attesa la mancanza di una volontà di diffamazione e la modestia
della colpa sotto forma di imperizia dirigenza) le ricorrenti osservano che
tale profilo esorbita dai limiti del giudizio di rinvio cosi come delineati
dalla sentenza della Suprema Corte ed anzi esorbita addirittura dalla causa petendi, atteso che i lavoratori non avevano in realtà mai
dedotto questo profilo. La suddetta affermazione inoltre è erronea e priva di
motivazione.

Il ricorso è infondato.

Deve premettersi in linea di
principio che il sindacato della Corte dì Cassazione sulla sentenza del giudice
di rinvio, gravata di ricorso per infedele esecuzione dei compiti affidati con
la precedente pronunzia di annullamento, si risolve
nel controllo dell’esercizio dei poteri propri di detto giudice per effetto di
tale affidamento, e dell’osservanza dei relativi limiti.

In particolare, se l’annullamento è
avvenuto per vizi di motivazione in ordine a punti
decisivi della

controversia, la sentenza rescindente, indicando
i punti specifici di carenza o di contraddittorietà, conserva al giudice stesso
tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito
nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento, anche se, nel
rinnovare il giudizio, egli è tenuto a giustificare il proprio convincimento
secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di
annullamento, in sede di esame della coerenza logica del discorso
giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del
provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei
casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi
riscontrati (Cassazione 7635/03).

La sentenza rescindente ha fissato i
seguenti punti fermi, ai quali il giudice di rinvio doveva attenersi: a)
l’attività di volantinaggio de qua aveva natura sindacale, attesa la qualità
dei soggetti agenti, membri di R.S.A.,
e considerate altresì le finalità perseguite, di tutela dei dipendenti e di
critica alle scelte ristrutturazione aziendale

aventi pesanti ricadute sul piano
occupazionale; b) l’esercizio del diritto del sindacalista a manifestare il
proprio dissenso rispetto a scelte imprenditoriali non condivise e la critica
verso decisioni e strategie aziendali che incidono nell’ambito della sfera di operatività
della tutela sindacale è sottoposto a limiti posti dalla legge e dalla
Costituzione; c) la condotta del rappresentante sindacale può costituire, in
relazione alle norme costituzionali di tutela della dignità della persona, un
illecito civile ai sensi dell’articolo 2043 Cc per la
cui configurabilità è sufficiente anche un comportamento meramente colposo; non
è pertanto rilevante, come invece erroneamente affermato dal Tribunale, la
configurabilità, o meno, di una violazione dell’articolo 595 Cp; d) con riferimento all’ipotesi in cui il diritto di
critica sia esercitato attraverso la satira, questa non si sottrae al limite
della continenza formale, ossia non può essere sganciato da ogni limite di
forma espositiva; in particolare la satira non può recare pregiudizio
all’onore, alla reputazione e al decoro di chi ne è oggetto; e) l’esistenza di
tale pregiudizio deve essere verificata alla luce e nel contesto del linguaggio
usato dalla satira il quale, essendo inteso, con accento caricaturale, alla dissacrazione
e allo smascheramento di errori e di vizi di una o Più persone, è
essenzialmente simbolico e paradossale; f) la censura di vizio di motivazione è
fondata unicamente con riferimento al secondo volantino; g) il suddetto vizio
di motivazione è configurabíle con riferimento ai
profili sotto indicati: g1) la sentenza non spiega le ragioni per cui pur
avendo definito grasso e volgare il riferimento contenuto nel volantino al
“simbolo del c…” (usato per definire il nuovo logo
aziendale in forma di spirale), inserito in una frase ritenuta scurrile ed
inopportuna, ha concluso ritenendo che esso non avesse efficacia offensiva
dell’onore e del decoro del Gruppo Italcementí; g2)
la sentenza è contraddittoria laddove, da un lato, riconosce che nel
riferimento al manager italiano di mezz’età, con una calvizie incipiente, deve
essere pacificamente riconosciuto l’amministratore delegato dell’Italcementi e, dall’altro, rileva che l’esame del testo
consente di escludere il riferimento a persone fisiche reali; g3) la sentenza
ha omesso di valutare l’esistenza, o meno, di effetti offensivi derivanti sia
dall’accostamento, comunque fatto e riconosciuto dal tribunale,
dell’amministratore o comunque della dirigenza del gruppo ad un soggetto
psicopatico che si esprime nella maniera sconnessa riportata nel volantino, sia
dall’accostamento della madre dell’imprenditore psicoanalizzato ad una donna di
facili costumi.

Ciò premesso osserva il Collegio che
la Corte d’Appello di Brescia ha risolto la contraddizione indicata sub g2) nel
senso di escludere che il riferimento al “manager italiano di mezz’età…”
identifichi una persona fisica determinata e precisamente l’Amministratore
Delegato dell’Italcementi Spa”
A tale conclusione la Corte di merito è pervenuta osservando, da un lato, che
la sentenza rescindente non aveva censurato “l’accertamento di
esclusione della identificazione del Tribunale di Bergamo”, e,
dall’altro, che la figura del “manager italiano di mezz’età e con incipiente
calvizie” non identifica una persona fisica determinata (e cioè, come assumono
le odierne ricorrenti l’amministratore delegato della Italcementi
Spa) in quanto le caratteristiche suddette sono da un
lato troppo generiche per suggerire un’attribuzione soggettiva e dall’altro
sono vagamente evocative dello stereotipo dell’imprenditore 40/50enne.

Tali conclusioni, basate su una
motivazione adeguata e priva di vizi logici, resistono alla censura di vizio di motivazione proposta dalle ricorrenti.

Il vizio di motivazione, denunciabile
con ricorso per Cassazione ai sensi dell’articolo 360, n. 5, Cpc,

sussiste infatti solo quando nel ragionamento
del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabìle
il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati
dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista un insanabile
contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non
consentire l’identificazione del procedimento logico‑giuridíco
posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e
significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito,
agli elementi dallo stesso vagliati, ed il valore e significato diversi che,
agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed in genere dalle parti
(cfr., ex multis, Cassazione 16063/03).

Nella specie il vizio di motivazione,
nei termini sopra indicati, non è riscontrabìle. Deve
in particolare osservarsi che la sentenza rescindens,
nel rilevare il contrasto, nella decisione annullata, fra due affermazioni
antitetiche, laddove, da un lato, riconosceva che nel riferimento al Manager
italiano …. “ doveva essere pacificamente
riconosciuto l’amministratore delegato della Italcementi
s.p.a., e, dall’altro, affermava che l’esame del
testo consentiva di escludere il riferimento a persone fisiche reali, aveva
lasciato aperto, demandandolo al giudice di rinvio, il problema della idoneità,
o meno, delle espressioni usate nel volantino ad identificare l’amministratore
delegato della Italcementi s.p.a. il contrario
assunto delle odierne ricorrenti, secondo cui la riferibilità delle espressioni
usate nel volantino al suddetto amministratore delegato era un dato ormai
acquisito al processo, oltre che essere privo di prova, si pone in insanabile
contrasto con quanto stabilito dalla sentenza rescindente, di cui è pacifico il
valore vincolante (cfr., da ultimo, Cassazione, 19307/04).

Per quanto riguarda le ulteriori argomentazioni a sostegno dell’erroneità delle
conclusioni alle quali sarebbe pervenuto il giudice di rinvio, esse
ripropongono inammissibilmente a questa Corte di
legittimità una valutazione demandata al giudice del merito, e cioè, nella
specie, al giudice di rinvio, valutazioni che sono state fatte e che, in quanto
basate su adeguata e logica motivazione, devono ritenersi incensurabili in
questa sede.

Con riferimento al vizio di
motivazione rilevato dalla sentenza rescindente con riferimento alla
valutazione dell’efficacia offensiva dell’espressione “sìmbolo
del c…” (usato per definire
il nuovo logo aziendale in forma di spirale) e della frase nel quale essa era
inserita (cfr.91) come pure alla valutazione
dell’esistenza, o meno, di effetti offensivi derivanti sia dall’accostamento,
dunque fatto e riconosciuto dal tribunale, dell’ amministratore o comunque
della dirigenza del gruppo ad un soggetto psicopatico, sia dall’accostamento
della madre dell’imprenditore psicoanalizzato ad una donna di facili costumi
(cfr. g3), la sentenza impugnata, premesso che il
termine volgare, peraltro non esplicitato, ma lasciato all’intuizione del lettore
attraverso i puntini di sospensione, è ormai usato diffusamente, anche in
programmi televisivi e sui giornali, osserva che nel contesto in esame esso è
usato in un significato traslato, diretto ad indicare le scarse qualità di un
determinato oggetto. Ha escluso pertanto che il termine suddetto e la frase che
lo contiene, tenuto conto del carattere satirico dello
scritto in cui la stessa è inserita, abbiano una reale capacità
offensiva o lesiva della dignità o dell’immagine della società, del suo legale
rappresentante o dei suoi vertici. Per quanto riguarda l’accostamento del
manager ad un soggetto psicopatico la sentenza impugnata
ha ritenuto in particolare che le condotte e le vicende riportate nella
narrazione del volantino sono palesemente finalizzate ad esprimere simboli e
non fatti che possano essere considerati reali e comunque non sono tali da
suscitare sentimenti di ripugnanza, disprezzo o dileggio. In sostanza, sulla
corretta premessa che, trattandosi di un unico testo di natura satirica, non è
consentito estrapolare singole espressioni dal contesto
limitandosi ad evidenziarne il significato letterale, la Corte dì merito ha concluso
affermando che gli autori del volantino sono rimasti ampiamente nell’ambito di
un lecito diritto di critica, sia pure severa, delle scelte di politica
aziendale. Tale conclusione è adeguatamente e logicamente
motivata. In particolare la
Corte di merito ha osservato che le “ossessioni” non sono
rappresentate come manifestazioni dì follia, ma sono giustificate da una situazione
preoccupante, il manager non è descritto come delirante, atteso che le parole
“in libertà” sono pronunciate per assecondare una richiesta del terapeuta, la
relazione extraconiugale è delineata in modo da poter
identificare la vicenda attraverso la nazionalità francese del partner, la
natura omosessuale di tale relazione, espressa in modo implicito, è strumentale
per sottolineare la “buggeratura” subita a seguito dell’accordo col nuovo
partner industriale; l’identificazione della spirale/chíocciola
con un simbolo fallico è satirica ma non è in sé
volgare né suggerisce alcuna volgarità. Per quanto riguarda infine il
riferimento alla madre, la Corte
di merito ha osservato che, una volta ritenuto che il riferimento al manager
non identifichi alcuna persona fisica, neanche il riferimento alla madre
possiede idoneità identificativa. Ciò senza considerare, fra l’altro, la
circostanza che l’intera frase è inserita nella citazione “letteraria” di un
vecchio fìlm il che la rende ancor più palesemente
estranea ad una volontà valutativa.

Ad avviso del Collegio anche la
suddetta motivazione resiste alle critiche mosse dalle odierne ricorrenti, le
quali si risolvono ancora una volta nel tentativo di riproporre
valutazioni di fatto, escluse in questa sede di legittimità. In particolare la
sentenza del giudice di rinvio ha correttamente applicato i principi fissati
dalla sentenza rescindente. In particolare essa, nell’escludere il carattere
offensivo delle espressioni usate nel volantino e nell’escludere altresì la diretta
riferibilità delle stesse a persone specificamente ìndìviduabili,
è pienamente rispettosa del principio secondo cui, anche nel caso in cui, come
nella specie, il diritto di critica sia esercitato a mezzo
della satira, questa non può recare pregiudizio all’onore, alla
reputazione e al decoro di chi ne è oggetto. La stessa sentenza ha inoltre
correttamente tenuto conto dell’ulteriore principio
espresso dalla sentenza rescindente secondo cui ‑ l’esistenza del pregiudizio deve
essere verificata alla luce e nel contesto del linguaggio usato dalla satira il
quale è essenzialmente simbolico e paradossale.

L’ulteriore
profilo del ricorso, concernente l’affermazione contenuta nella sentenza
impugnata secondo cui, anche a voler ritenere l’esistenza di una qualche
potenzialità offensiva dello scritto, mancherebbero comunque gli estremi della
giusta causa o del giustificato motivo, deve ritenersi assorbito.

Il ricorso deve essere in definitiva
rigettato.

In applicazione del criterio della
soccombenza le ricorrenti vengono condannate al
pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in
dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna
le società ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio liquidate in Euro
28,00, oltre euro 3.500,00 per onorari, e oltre spese generali e accessori di
legge.