Famiglia

Friday 08 April 2005

Il termine annuale di decadenza per il disconoscimento di paternità decorre sempre (per il padre) dalla nascita. SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE I CIVILE – SENTENZA 25 febbraio 2005, n. 4090

Il termine annuale di decadenza per il disconoscimento di paternità
decorre sempre (per il padre) dalla nascita.

SUPREMA CORTE DI
CASSAZIONE – SEZIONE I CIVILE – SENTENZA 25 febbraio 2005, n. 4090

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. (omissis)
ha impugnato per Cassazione la sentenza in data 13 febbraio 2004, con la quale la Corte di appello di Brescia
ha confermato la pronunzia di primo grado, che ha respinto, per intervenuta
decadenza ex art. 244 c.c., l’azione, da lui
proposta, per il disconoscimento di paternità della piccola (omissis) per la
causale prevista dal precedente art. 235 n. 3 (adulterio della moglie,
(omissis)).

Resiste con controricorso
la (omissis) mentre la curatrice della minore ha
concluso per l’accoglimento del ricorso in ragione dell’acquisita certezza
dall’adulterio dalla moglie e della inopportunità di attribuire uno status
fittizio alla piccola (omissis) in contrasto con il suo già realizzato
inserimento in un nuovo nucleo familiare.

2. L’odierna impugnazione (di cui non
rileva la mancata notificazione al P.G. presso la Corte di appello,
evidenziata dalla (omissis) atteso che, nel presente giudizio, la necessità
dell’intervento del P.M., ex art. 71 c.p.c., resta assicurata dalla partecipazione allo stesso
del P.G. presso questa Corte di Cassazione) si articola in tre motivi. Con i
quali il ricorrente sostiene che la
Corte bresciana – nel ritenerlo
decaduto dalla azione di disconoscimento per averla
egli proposta oltre il termine di decadenza annuale di cui all’art. 244 c.c., fatto nella specie decorrere dal giorno della nascita
della piccola (omissis) in ragione della conoscenza da lui anteriormente
acquisita del tradimento della moglie – avrebbe triplicemente errato.

Secondo il (omissis) quei giudici:

a) non avrebbero, infatti,
adeguatamente considerato che – in ragione di rapporti sessuali da lui avuti
con la moglie anche dopo la confessione del di lei
tradimento e prima del suo allontanamento dall’abitazione coniugale – egli, al
momento della nascita della piccola (omissis) non aveva ancora "la
certezza" di non esserne il padre biologico, acquisita solo a seguito di
successiva indagine ematologica, in coincidenza con
la quale avrebbe dovuto, quindi, farsi decorrere il termine per la proposizione
dell’azione di disconoscimento;

b) non avrebbero, inoltre, tenuto
conto del periodo di sospensione del suddetto termine, a suo avviso costituito
dall’intervallo temporale tra il deposito della istanza
di nomina e la successiva nomina presidenziale di curatore speciale alla
minore, preliminare all’esercizio della azione stessa;

c) non avrebbero, comunque,
"nemmeno preso in considerazione la possibilità che la pronuncia adottata
potesse rivelarsi in contrasto con l’interesse della minore a non essere
annoverata quale figlia di chi non è il suo vero padre". 3. La sentenza
impugnata resiste, però, ad ognuna delle così formulate censure.

3.1. Ed, invero, in punto di diritto,
i giudici dell’appello, in conformità alla confermata statuizione di primo
grado, hanno correttamente individuato, nel momento di nascita della figlia, il
dies a quo decorrenza del termine per la proposizione
della domandadi disconoscimento della medesima,
atteso che – nell’ipotesi, pacificamente nella specie ricorrente, di conoscenza
del tradimento della moglie acquisita anteriormente
alla nascita del figlio – è appunto da tale ultima data, e non da quella di
raggiunta "certezza" negativa sulla paternità biologica, che inizia a
decorrere l’anno entro il quale va introdotto il giudizio di disconoscimento da
parte del padre ai sensi dell’art. 235, co. 1 n. 3 e
dell’art. 244, co. 2, cod. cod. civ., come additivamente
emendato con sentenza n. 134/1985 della Corte costituzionale. Anche perchè una
diversa esegesi del suddetto art. 244 – che, come sostanzialmente preteso dal
ricorrente, differisse a tempo indeterminato l’azione di disconoscimento,
facendone decorrere il termine di proponibilità dai risultati di una indagine (stragiudiziale) cui non è dato a priori sapere
se e quando i genitori possano addivenire – sacrificherebbe in misura
irragionevole i valori di certezza e stabilità degli statua e deirapporti familiari, a garanzia dei quali la norma è
viceversa predisposta.

3.2. Del pari correttamente poi la
stessa Corte di Brescia ha negato effetto sospensivo all’istanza
di nomina di curatore speciale alla minore, atteso che il termine decadenziale di cui al riferito art. 244, non è, come tale,
suscettibile di sospensione, salvo che nell’ipotesi, eccezionale, di stato di
interdizione della parte interessata, di cui al successivo art. 245 cod. civ.
3.3. Nè è addebitabile quella Corte – che pur si è
mostrata ben consapevole della peculiarietà della
vicenda portata al suo esame – di non aver conformato la sua decisione
"all’effettivo interesse della minore".

Una siffatta censura non ha, infatti,
consistenza sul piano giuridico, poichè la verifica
(quale era pregiudizialmente nella specie, agli stessi giudici demandata), sulla intervenuta decadenza, o meno, del genitore,
dall’esercizio dell’azione di disconoscimento, non lascia spazio ad una
valutazione in concreto dell’interesse del minore (che non potrebbe
evidentemente vanificare la consumazione dell’azione eventualmente già
realizzatasi), restando viceversa cristallizzata nella norma la valutazione in
estratto di sussistenza di un interesse, anche del minore, a contenere in un
predefinito e circoscritto ambito temporale l’iniziativa del genitore volta al
disconoscimento di paternità.

Il che non esclude che, in casi
particolari come quello per cui è causa, sia poi lo
stesso figlio ad agire per il disconoscimento della paternità legittima una
volta raggiunta la maggiore età o già al compimento del sedicesimo anno (a
mezzo di curatore speciale), ovvero ancora che, nell’interesse del minore
stesso, anche infrasedicenne,l’azione possa proporsi
dal P.M. ( art. 244, comma 3 e 4 c.c.).

Realizzandosi così, all’interno
dell’esaminato contesto normativo, un non
irragionevole bilanciamento tra il favor veritatis
(che è valore costituzionale preminente ma non assoluto) ed il favor legitimitatis quale appunto il Costituente ha demandato al
legislatore ordinario di attuare, stabilendo (sub, art. 30 Cost.) che la legge
detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità. 4. il ricorso va
integralmente pertanto respinto.

5. Sussistono giusti motivi per
compensare tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e
compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio
2005.

Depositato in Cancelleria il 25
febbraio 2005