Penale

Saturday 20 November 2004

Il Presidente del Senato Pera può essere processato per diffamazione nei confronti dell’ allora Procuratore della Repubblica di Palermo Caselli.

Il Presidente del Senato Pera può essere processato per diffamazione
nei confronti dell’allora Procuratore della Repubblica di
Palermo Caselli.

SENTENZA della Corte
costituzionale N.347 dell’ANNO 2004

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta
dai Signori:

– Valerio ONIDA Presidente

– Carlo MEZZANOTTE Giudice

– Fernanda CONTRI "

– Guido NEPPI MODONA "

– Annibale MARINI "

– Franco BILE "

– Giovanni Maria FLICK "

– Francesco AMIRANTE "

– Ugo DE SIERVO "

– Romano VACCARELLA "

– Paolo MADDALENA "

– Alfio FINOCCHIARO "

– Alfonso
Quaranta "

– Franco GALLO "

ha
pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nel
giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito
della deliberazione del Senato della Repubblica del 31 maggio 2000 relativa
alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione,
delle opinioni espresse dal senatore Marcello Pera nei confronti del dott.
Giancarlo Caselli ed altri, promosso con ricorso del Tribunale di Roma, IV
sezione penale, notificato il 9 agosto 2001, depositato il 21 successivo ed
iscritto al n. 28 del registro conflitti 2001.

Visto l’atto di costituzione del
Senato della Repubblica;

udito
nell’udienza pubblica del 12 ottobre 2004 il Giudice relatore Franco Bile;

udito
l’avvocato Stefano Grassi per il Senato della Repubblica.

Ritenuto in fatto

1. − Con
ordinanza-ricorso del 9 gennaio 2001, depositato il 27 gennaio 2001, il
Tribunale di Roma, IV sezione penale, in composizione monocratica,
investito del procedimento penale a carico del senatore Marcello Pera con
l’imputazione di diffamazione aggravata commessa, in concorso con altri, col
mezzo della stampa e consistente nell’attribuzione di un fatto determinato
(art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n.47 e artt. 110, 57, 595, commi 2 e 3,
596 bis del codice penale), ha sollevato conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica in relazione
alla deliberazione con la quale l’Assemblea, nella seduta del 31 maggio 2000
(documento IV-quater, n. 48), ha dichiarato che i fatti per i quali era in
corso il procedimento penale riguardavano opinioni espresse da un membro del
Parlamento nell’esercizio delle funzioni parlamentari, in quanto insindacabili
ai sensi del primo comma dell’art. 68 della Costituzione. In particolare, era
contestato al senatore Pera di essere stato l’autore dell’articolo "I PM?
Mostri a tre teste", pubblicato sul "Messaggero" del 14 gennaio
1999, articolo nel quale egli tra l’altro scriveva "… o le forze
dell’ordine fanno quello che vogliono i PM e indagano
nelle direzioni e nei modi da essi voluti, oppure sono nei guai. É così che
sono nati (…) i casi Contrada e Mori a Palermo, dove si è visto che quando i
poliziotti non si comportano come vogliono i PM, questi li fanno processare,
condannare o rimuovere dal ministro compiacente". In tal modo il senatore
Pera, secondo la contestazione, aveva offeso la reputazione del dott. Giancarlo
Caselli, Procuratore Capo della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, nonché quella del dott. Vittorio Teresi e del dott. Antonio
Ingoia, sostituti delegati alla trattazione dei procedimenti penali a carico di
Contrada Bruno nel corso dei quali veniva sentito come teste il generale Mario
Mori.

Osserva il Tribunale ricorrente
che la prerogativa di cui all’art. 68, primo comma, Cost.,
non copre tutte le opinioni espresse dal parlamentare nello svolgimento della
sua attività politica, ma solo quelle legate da nesso funzionale con le
attività svolte nella qualità di membro delle Camere. Nella specie – secondo il
Tribunale ricorrente – mancherebbe il collegamento funzionale tra le
affermazioni del sen. Pera e l’esercizio dell’attività parlamentare. Sottolinea infatti il Tribunale che, né la semplice
comunanza di argomento tra la dichiarazione che si pretende lesiva e le
opinioni espresse in sede parlamentare, né la ricorrenza di un contesto
genericamente politico cui la dichiarazione inerisca, bastano a fondare
l’estensione alla prima dell’immunità che copre le seconde, richiedendosi
piuttosto la sostanziale corrispondenza di contenuti tra le dichiarazioni
oggetto di esame e l’opinione espressa in sede parlamentare. Inoltre, dovendo
tali affermazioni essere riproduttive di contenuti storici già espressi nelle
sedi istituzionali, dovrebbe richiedersi – secondo il Tribunale ricorrente –
anche una successione temporale tra le affermazioni rese in sedi istituzionali
e quelle rese in sedi diverse, dovendo le prime
precedere necessariamente le seconde.

Con riferimento al caso di
specie, poi, il Tribunale ricorrente considera che lo specifico riferimento
contenuto nell’articolo suddetto alla vicenda Contrada non risulta
aver riscontro in alcun atto parlamentare depositato dalle parti ovvero citato
dal relatore sen. Callegaro ovvero dai senatori intervenuti in sede di
dibattito parlamentare, riferendosi questi tutti ad argomenti più generali
relativi ai rapporti tra pubblico ministero ed organi di polizia ed alla
organizzazione giudiziaria in generale.

Per quanto poi riguarda il riferimento alla vicenda Mori, il Tribunale ricorrente
considera, in particolare, che nessuno degli atti depositati in udienza dalla
difesa del sen. Pera è riferibile a quest’ultimo e che la maggior parte
riguarda il trasferimento del gen. Mori nelle sue linee generali.

In particolare
il Tribunale ricorrente – che ritiene che non possa prescindersi dalla
paternità delle interrogazioni o interpellanze – si sofferma sull’unico atto
parlamentare a firma del sen. Pera (n. 2 – 00735 del 10.2.1999, 542 seduta
pomeridiana) il cui contenuto è, a suo avviso, sostanzialmente coincidente con
le affermazioni riportate nell’articolo suddetto. Non di meno, secondo
il Tribunale ricorrente, tale atto parlamentare non rileverebbe perché
successivo alla pubblicazione dell’articolo e quindi non riproduttivo di
un’opinione già espressa.

2. – Con ordinanza n. 270 del
2001 la Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto proposto dal Tribunale di
Roma.

3. – Con memoria dell’8 agosto
2001, depositata il 10 agosto 2004, il Senato della Repubblica, in persona del
suo vice-Presidente, si è costituito in giudizio, chiedendo che il ricorso del
Tribunale di Roma – poi notificato l’8 agosto 2001 e depositato il 21 agosto
2001 – sia dichiarato inammissibile o comunque infondato.

Osserva in particolare la difesa
del Senato che la relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità
parlamentari aveva evidenziato come le opinioni
espresse dal sen. Pera nell’articolo suddetto costituissero uno dei capisaldi
delle convinzioni del parlamentare e del suo gruppo politico circa i rimedi che
l’attuale situazione della giustizia richiede.

Queste opinioni erano state
discusse in aula nelle sedute del 17 ottobre 1997 (interrogazione dei senatori Pera, Scoppelliti, Pastore), del 28 ottobre
1997 (interrogazione dei senatori Centaro, La Loggia, Pera ed altri), del 7
novembre 1997 (interrogazione del sen. Pera ed altri), del 2 dicembre 1997
(interrogazione del sen. Pera ed altri), del 6 ottobre 1998 (interrogazione del
sen. Pera), del 12 gennaio 1999 (interrogazione del sen. Centaro) e del 10
febbraio 1999 (interpellanza del sen. Pera).

Di conseguenza, l’articolo
suddetto rappresenta, secondo la difesa del Senato, la divulgazione di atti tipicamente parlamentari, nei quali il pensiero del
sen. Pera aveva già avuto modo di manifestarsi.

4. – In prossimità dell’udienza,
la difesa del Senato ha presentato una memoria insistendo per il rigetto del
ricorso, ribadendo le argomentazioni precedentemente
svolte e producendo ulteriori atti parlamentari a sostegno della propria
richiesta.

Considerato in diritto

1. – Il conflitto sollevato dal
Tribunale ricorrente pone la questione se spetti al Senato della Repubblica
deliberare, nella seduta del 31 maggio 2000 (documento IV-quater, n. 48), che i
fatti per i quali era in corso il procedimento penale
nei confronti del senatore Marcello Pera, per il reato di diffamazione
aggravata in danno dei magistrati dottori Giancarlo Caselli, Vittorio Teresi e
Antonio Ingroia, riguardavano opinioni espresse da un membro del Parlamento
nell’esercizio delle funzioni parlamentari, in quanto tali insindacabili ai
sensi del primo comma dell’art. 68 della Costituzione. Al senatore Pera era
stato contestato di avere pubblicato sul quotidiano <<Il Messaggero>>
del 14 gennaio 1999 l’articolo <<I PM? Mostri a tre teste>>, nel
quale egli tra l’altro scriveva <<… o le forze dell’ordine fanno quello
che vogliono i PM e indagano nelle direzioni e nei
modi da essi voluti, oppure sono nei guai. È così che sono nati […] i casi
Contrada e Mori a Palermo, dove si è visto che quando i poliziotti non si
comportano come vogliono i PM, questi li fanno processare, condannare o
rimuovere dal ministro compiacente>>. Con tali parole, secondo la
contestazione, il senatore Pera aveva offeso la reputazione del dott. Giancarlo
Caselli, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, nonché quella del dott. Vittorio Teresi e del dott. Antonio
Ingroia, sostituti delegati alla trattazione dei procedimenti penali a carico
del funzionario della Polizia di Stato Bruno Contrada, nel corso dei quali era
stato sentito come teste il generale Mario Mori.

Il Tribunale
ritiene insussistenti i presupposti dell’insindacabilità di cui all’art. 68,
primo comma, della Costituzione, sotto un triplice profilo: mancanza del nesso
funzionale, richiesto dalla giurisprudenza costituzionale, tra le dichiarazioni
assunte come diffamatorie e gli atti parlamentari indicati dalla Giunta delle
elezioni e delle immunità parlamentari, tranne l’interpellanza del senatore
Pera in data 10 febbraio 1999; irrilevanza di tale atto, che, pur presentando
una sostanziale coincidenza con le dichiarazioni diffamatorie, è posteriore
alla pubblicazione dell’articolo, avvenuta il 14 gennaio 1999; irrilevanza
degli atti esibiti nel procedimento penale dalla difesa dell’imputato
(interrogazioni dei senatori Milio e Caruso del 12 gennaio 1999), che, pur
avendo anch’essi un contenuto sostanzialmente corrispondente alle affermazioni
in questione, non provengono dall’autore dell’articolo, come del resto
l’interrogazione del senatore Centaro di pari data.

2. – Deve anzitutto essere
ribadita l’ammissibilità del conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi
ed oggettivi, come già ritenuto da questa Corte nella citata ordinanza n. 270
del 2001.

3. – Nel merito il ricorso è
fondato.

Questa Corte deve verificare,
alla stregua della sua giurisprudenza, la ricorrenza in concreto del
<<nesso funzionale>> tra le dichiarazioni rese extra moenia dal
parlamentare e l’esercizio di un’attività parlamentare.

In particolare la sentenza n. 10
del 2000 ha affermato che <<la semplice comunanza di argomento
fra la dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni espresse dal deputato
o dal senatore in sede parlamentare non può bastare a fondare l’estensione alla
prima della immunità che copre le seconde. Tanto meno può bastare a tal fine la
ricorrenza di un contesto genericamente politico in
cui la dichiarazione si inserisca>>. Occorre invece
l’<<identificabilità della dichiarazione stessa quale espressione di attività parlamentare>> (così anche la sentenza n.
11 del 2000). Occorre cioè la
<<riproduzione>> all’esterno delle Camere di dichiarazioni rese in
sede parlamentare, e tale riproduzione è insindacabile solo ove <<si
riscontri l’identità sostanziale di contenuto fra l’opinione espressa in sede
parlamentare e quella manifestata nella "sede esterna">>
(sentenza n. 10 del 2000).

Tali affermazioni sono state
ripetutamente ribadite dalla giurisprudenza successiva
di questa Corte (sentenze numeri 56, 58, 82, 420 del 2000; numeri 137 e 289 del
2001; numeri 51, 52, 207, 257, 270, 283, 294, 421, 435, 448, 508, 509 e 521 del
2002), la quale ha più volte riaffermato che il <<nesso
funzionale>> tra la dichiarazione resa extra moenia dal parlamentare e
l’espletamento delle sue funzioni di membro del Parlamento esiste se ed in
quanto la dichiarazione possa essere identificata come <<divulgativa
all’esterno di attività parlamentari>>, ossia se ed in quanto esista una
sostanziale corrispondenza di significato con opinioni espresse nell’esercizio
di funzioni parlamentari, non essendo sufficiente una mera comunanza di
argomenti.

Di recente, la legge 20 giugno
2003, n. 140 (recante disposizioni per l’attuazione
dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei
confronti delle alte cariche dello Stato), ha previsto – al primo comma
dell’art. 3 – che esso <<si applica in ogni caso per la presentazione di
disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni e
risoluzioni, per le interpellanze e le interrogazioni, per gli interventi nelle
Assemblee e negli altri organi delle Camere, per qualsiasi espressione di voto
comunque formulata, per ogni altro atto parlamentare, per ogni altra attività
di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla
funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento>>.

Con la sentenza n. 120 del 2004,
questa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità
costituzionale di tale norma, sollevata in riferimento
agli artt. 3, 24, 68, primo comma, e 117 della
Costituzione, escludendo che essa abbia ampliato l’ambito dell’immunità
garantita ai parlamentari dall’art. 68, primo comma, quale risultava dalla
propria giurisprudenza. In particolare, la sentenza ha escluso che la norma abbia eliminato la necessità del <<nesso
funzionale>> fra le opinioni espresse dal parlamentare fuori dal
Parlamento, assunte come diffamatorie, e l’esercizio di funzioni parlamentari;
ed ha ribadito – richiamando in particolare le citate sentenze numeri 10 ed 11
del 2000 – che esse rientrano nell’area dell’insindacabilità solo se
costituiscano <<divulgazione e riproduzione>> di attività
parlamentari, pur non necessariamente tipiche.

Sono seguite le sentenze numeri
246 e 298 del 2004, le quali, in sede di conflitto tra poteri dello Stato,
hanno affermato che l’art. 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003 <<non
altera il contenuto dell’art. 68, primo comma, della Costituzione>>;
hanno ribadito la necessità, ai fini dell’esistenza
del <<nesso funzionale>>, che le opinioni in esame costituiscano
<<divulgazione e riproduzione>> di attività parlamentari; ed hanno
fatto concreta applicazione di tali riconfermati principi.

In particolare, la sentenza n.
298 del 2004 ha ulteriormente sottolineato la necessità
di una <<sostanziale identità di contenuti>> tra l’opinione
espressa nell’atto parlamentare e l’esternazione che siffatta opinione
divulghi.

4. – Con riguardo al caso di
specie, la difesa del Senato ritiene che le affermazioni contenute
nell’articolo del senatore Pera rientrino nell’area della garanzia di cui
all’art. 68, primo comma, della Costituzione, essendo collegate da nesso
funzionale con una serie di atti parlamentari, sia del
medesimo senatore Pera, sia di altri senatori.

Tra gli atti compiuti dal
senatore Pera – menzionati nella relazione della Giunta delle elezioni e delle
immunità parlamentari e risalenti agli anni tra il 1997 e il 1999 – quelli del
1997 sono estranei all’argomento trattato nell’articolo, perché riguardano il
diverso tema della <<gestione>> – da parte di taluni uffici del
pubblico ministero, fra cui anche la Procura della Repubblica di Palermo – dei
<<pentiti>> Di Maggio, Siino e Brusca (interrogazioni del 16 e del
28 ottobre, del 7 novembre e del 2 dicembre 1997). Parimenti estraneo è l’unico
atto del 1998 (interrogazione del 6 ottobre), relativo ad un intervento che il magistrato Caselli avrebbe svolto nei confronti del
direttore di un telegiornale perché non fosse trasmessa un’intervista al
senatore Andreotti, alla vigilia di un processo a suo carico avanti al
Tribunale di Palermo.

Rimane l’interpellanza presentata
dal senatore Pera il 10 febbraio 1999, a proposito di un’indagine
svolta dal generale Mori nel 1991 sugli appalti pubblici in Sicilia,
conclusa con la consegna di un’informativa
alla Procura di Palermo. Questa interpellanza, secondo il Tribunale ricorrente,
ha un contenuto <<sostanzialmente coincidente>> con le opinioni
espresse nell’articolo del senatore Pera, ed è tuttavia ininfluente ai fini
dell’insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma,
della Costituzione, perché successiva di quasi un mese alla pubblicazione
dell’articolo. Si pone quindi il problema della rilevanza, a tali fini, di atti parlamentari posteriori alle dichiarazioni
considerate diffamatorie.

In proposito questa Corte, nella
sentenza n. 289 del 1998, ha ritenuto irrilevante un’interrogazione
parlamentare intervenuta <<in epoca successiva [..]
al ricevimento dell’avviso di garanzia all’origine
delle dichiarazioni diffamatorie contestate al deputato>> ed ha affermato
– in termini generali – che, <<diversamente opinando, qualsiasi
affermazione, anche ritenuta gravemente diffamatoria e [..] estranea
alla funzione od all’attività parlamentare, potrebbe diventare insindacabile a
seguito della semplice presentazione in data successiva al fatto di
un’interrogazione ad hoc>>. La sentenza ha accolto quindi un criterio
rigoroso, secondo cui le dichiarazioni rese dal parlamentare extra moenia, in
tanto possono essere coperte dalla garanzia di insindacabilità
in quanto siano collegate da nesso funzionale ad un’attività parlamentare
precedentemente svolta, restando invece irrilevante quella successiva.

Nella stessa prospettiva si è
collocata la giurisprudenza posteriore che ha precisato la nozione di nesso funzionale,
esigendo, per l’insindacabilità delle opinioni manifestate all’esterno degli
organi parlamentari, che esse riproducano il contenuto di dichiarazioni
<<già rese>> nell’esercizio di funzioni parlamentari (sentenza n.
11 del 2000), ovvero siano <<sostanzialmente riproduttive di un’opinione
espressa in sede parlamentare>> (sentenza n. 10 del 2000). Analogamente
la sentenza n. 521 del 2002, nel ribadire la necessità del nesso funzionale, ha
precisato che esso deve intercorrere tra l’attività divulgativa all’esterno e
le opinioni <<già espresse, o contestualmente espresse>>,
nell’esercizio di funzioni parlamentari, così enunciando l’irrilevanza di opinioni manifestate successivamente.

Del resto, la stessa formulazione
del primo comma dell’art. 68 della Costituzione – sancendo la non
perseguibilità dei membri del Parlamento per le opinioni
<<espresse>> e i voti <<dati>> nell’esercizio delle
loro funzioni – rende inconfigurabile un’iniziale perseguibilità del
parlamentare, cui possa eventualmente sovrapporsi un
successivo atto parlamentare che la escluda.

La memoria del Senato, a sostegno
della possibile rilevanza dell’atto parlamentare posteriore, richiama la
sentenza n. 246 del 2004, che ha ritenuto ininfluente, ai fini
dell’insindacabilità, alcune interrogazioni parlamentari presentate in un
momento <<di molto successivo>> per desumerne, a contrario, la
rilevanza degli atti parlamentari <<di poco>> posteriori. Ma la
sentenza non ha affatto operato una tale distinzione diacronica: essa ha
ritenuto irrilevanti quelle interrogazioni perché si trattava di <<atti
successivi>>, aggiungendo <<e di molto>> in chiave
evidentemente rafforzativa, così nella sostanza negando la rilevanza, ai fini
della garanzia di insindacabilità, di eventuali
collegamenti fra dichiarazioni rese fuori del Parlamento ed atti parlamentari
posteriori.

5. – La difesa del Senato fa
anche riferimento ad una serie di interrogazioni
discusse nella seduta del 12 gennaio 1999, due giorni prima della pubblicazione
dell’articolo in questione, sui temi dell’assetto organizzativo dei ROS
(reparti operazioni speciali) dell’Arma dei carabinieri e dell’eventuale
incidenza di talune ventilate modifiche sull’efficienza da essi dimostrata
nella lotta alla criminalità organizzata: in questo quadro alcune
interrogazioni inserivano anche l’allontanamento del generale Mori dal vertice
dei ROS e definivano <<conflittuali>> i suoi rapporti con la
Procura della Repubblica di Palermo. Fra tali interrogazioni, quella presentata
dal senatore Centaro è menzionata nella relazione della Giunta delle elezioni e
delle immunità parlamentari, approvata in Aula dal Senato; e quelle presentate dai senatori Milio e Caruso sono indicate nel
ricorso del Tribunale e richiamate nella memoria depositata dalla difesa del
Senato in prossimità dell’udienza.

Nessuna di queste interrogazioni
è stata però presentata dal senatore Pera, del quale
nemmeno risulta la partecipazione al relativo dibattito. Si pone così il
quesito se le dichiarazioni rese da un senatore o
deputato fuori dell’ambito parlamentare, e ritenute da un cittadino lesive
della propria reputazione, possano considerarsi coperte dalla garanzia prevista
dall’art. 68, primo comma, della Costituzione, qualora divulghino e riproducano
atti posti, nell’esercizio di funzioni parlamentari, da membri del Parlamento
diversi dal loro autore.

La questione – rilevante ai fini
della decisione del presente conflitto di attribuzione
– deve essere risolta in senso negativo.

Se l’immunità garantita dall’art.
68, primo comma, della Costituzione mira alla salvaguardia
del libero esercizio della funzione del Parlamento (infatti la tutela delle
prerogative di ogni Camera spetta ad essa e non al singolo senatore o deputato:
sentenza n. 225 del 2001, ordinanza n. 101 del 2000), questa salvaguardia è
ottenuta assicurando a ciascun parlamentare il diritto di esercitare
liberamente la sua funzione: nel Parlamento, ponendo senza ostacoli o remore
gli atti di esercizio di tale funzione; fuori di quella sede, riproducendo e
divulgando gli atti medesimi.

Invero, la norma costituzionale –
proclamando che <<i membri del Parlamento non possono essere chiamati a
rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati
nell’esercizio delle loro funzioni>> – esplicitamente collega l’immunità
del singolo parlamentare alle opinioni da lui espresse ed ai voti da lui dati
esplicando le sue funzioni, e così evoca la natura personale della
responsabilità cui altrimenti egli sarebbe esposto, secondo una correlazione
soggettiva che è indefettibile per la responsabilità penale e costituisce la
regola generale per quella civile e amministrativa. Coerentemente, anche
l’estensione dell’immunità (operata dalla giurisprudenza della Corte) alle
dichiarazioni rese all’esterno della sede parlamentare, riproduttive e
divulgative di atti costituenti esercizio di funzioni
parlamentari, non può che riferirsi agli atti che il medesimo parlamentare
riproduce e divulga, con la conseguente irrilevanza di quelli posti non da lui,
ma da altri membri del Parlamento.

In tale prospettiva si colloca
anche il citato art. 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003, il quale –
rendendo esplicito che la garanzia dell’insindacabilità si riferisce sia
all’attività parlamentare, sia a quella espletata
fuori del Parlamento – richiede per quest’ultima la connessione con la funzione
<<di parlamentare>>, e così pone l’accento sul carattere soggettivo
delle condizioni che consentono l’estensione della garanzia.

Del resto, la tesi secondo cui le
dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare
sarebbero coperte dalla garanzia dell’art. 68, primo comma, della Costituzione,
anche se riproduttive o divulgative di atti posti da altri parlamentari
nell’esercizio delle loro funzioni, finisce, in sostanza, per conferire rilievo
ad un dato – la semplice comunanza di argomento o la riferibilità ad un
medesimo <<contesto politico>> – che questa Corte, nelle pronunce
sopra indicate, ha sempre ritenuto di per sé irrilevante.

6. – Pertanto, le dichiarazioni rese da un senatore o da un deputato fuori della sede
parlamentare, ritenute da un cittadino lesive della propria reputazione, in
tanto sono coperte dalla garanzia di insindacabilità di cui al primo comma
dell’art. 68 della Costituzione, in quanto un <<nesso funzionale>>
le colleghi ad atti già posti dal loro autore nell’esercizio delle sue funzioni
di membro del Parlamento, mentre sono irrilevanti gli atti di altri
parlamentari e quelli compiuti bensì dall’autore delle dichiarazioni, ma in
epoca ad esse posteriore.

Ciò non toglie però che questi
atti – pur irrilevanti nel giudizio per conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato, in quanto inidonei a rendere operante la garanzia di
insindacabilità e quindi a impedire che il membro del Parlamento sia chiamato a
rispondere dinanzi all’autorità giudiziaria delle dichiarazioni fatte fuori
della sede parlamentare – ben possano rilevare in tale diverso giudizio, nel
quale il giudice deve, tra l’altro, accertare se le dichiarazioni del
parlamentare siano state eventualmente ispirate da intento politico e non
diffamatorio. A questo fine può non essere privo di rilievo il fatto che il
parlamentare (come nella specie ammette lo stesso Tribunale ricorrente) abbia
nel suo scritto, in relazione al quale è tratto a
giudizio, riecheggiato opinioni emerse, sia pure ad opera di altri, in un
dibattito parlamentare avente ad oggetto la stessa vicenda.

Siffatte conclusioni si
rinvengono già nella giurisprudenza di questa Corte, la quale ha precisato che
esula dai suoi compiti – e spetta invece al giudice – decidere se le
dichiarazioni ascritte al parlamentare integrino gli estremi del reato, ovvero
concretino la manifestazione del diritto di critica politica, di cui egli, al
pari di qualsiasi altro soggetto, fruisce ai sensi dell’art. 21 della
Costituzione, ed in cui è certamente compresa anche la critica nei confronti
dell’operato della magistratura (sentenza n. 10 del
2000; cfr. anche sentenze n. 11 e n. 56 del 2000, n.
508 del 2002).

7. – In conclusione, l’impugnata
delibera del Senato, per le ragioni sopra esposte, ha violato l’art. 68, primo
comma, della Costituzione, ledendo le attribuzioni dell’autorità giudiziaria
ricorrente, e pertanto deve essere annullata.

per
questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara
che non spetta al Senato della Repubblica deliberare che i fatti per i quali
era in corso il procedimento penale nei confronti del senatore Marcello Pera,
di cui al ricorso in epigrafe, riguardano opinioni espresse da un membro del
Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari ai sensi del primo
comma dell’art. 68 della Costituzione;

annulla,
per l’effetto, la deliberazione di insindacabilità adottata dal Senato della
Repubblica nella seduta del 31 maggio 2000 (documento IV-quater, n. 48).

Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15
novembre 2004.

F.to:

Valerio ONIDA, Presidente

Franco BILE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19
novembre 2004.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA