Penale

Friday 12 December 2003

Il patteggiamento allargato è consentito soltanto nel giudizio di primo grado.Cassazione – Sezioni unite penali (up) – sentenza 24 settembre-10 dicembre 2003, n. 47289

Il patteggiamento allargato è consentito soltanto nel giudizio di primo grado.

Cassazione Sezioni unite penali (up) sentenza 24 settembre-10 dicembre 2003, n. 47289

Presidente Marvulli relatore Lattanzi

Pm Esposito ricorrente Petrella

Ritenuto in fatto

1. Pasquale Petrella e Carlo Petrella hanno proposto ricorso per cassazione contro la sentenza del 27 marzo 2002 con la quale la Corte di appello di Roma, riformando parzialmente la decisione di primo grado, ha revocato la confisca di alcuni beni e ha confermato la condanna pronunciata nei confronti dei ricorrenti per i reati previsti dagli articoli 633 e 644bis Cp e per il reato previsto dagli articoli 4 e 6 decreto legge 143/91 e dagli articoli 106 e 132 decreto legge 385/93 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), unificati per la continuazione.

Pasquale e Carlo Petrella, padre e figlio, erano stati accusati, oltre che del reato di abusiva erogazione di finanziamenti (di cui agli articoli 4 e 6 decreto legge 143/91 e agli articoli 106 e 132 decreto legge 385/93), di vari reati di usura, per avere effettuato prestiti a diverse persone lungo un arco di tempo compreso tra il 1990 e il gennaio del 1996, esigendo e ottenendo interessi di carattere usurario. Il Pm aveva evocato nelle imputazioni sia larticolo 644 sia larticolo 644bis Cp, relativo ai fatti successivi al 7 agosto 1992 e concernente la c.d. usura impropria (introdotta dallarticolo 11quinquies legge 356/92 e abrogata dallarticolo 1 legge 108/96, in occasione della radicale riforma del trattamento dellusura, segnata tra laltro dalla modificazione dellarticolo 644 Cp), ma il Pretore di Roma con la sentenza del 20 luglio 2000, dopo aver indicato gli elementi differenziali tra le due fattispecie in questione, aveva ritenuto che in un solo caso (quello relativo a Gregorio Gentile) fosse provato lo stato di bisogno, caratterizzante la previsione dellarticolo 644 Cp, nel testo anteriore alla riforma dellusura, mentre negli altri casi aveva escluso la rilevanza di condotte antecedenti allagosto 1992, e aveva ritenuto che quelle successive integrassero il reato dellarticolo 644bis Cp. Il pretore inoltre aveva giudicato insufficiente la prova della responsabilità di Carlo Petrella per una parte dei reati contestati e quindi, unificati tutti i reati per la continuazione, aveva condannato Pasquale Petrella alla pena di cinque anni di reclusione e di lire cinque milioni di multa per i reati dei capi a), b), c), d), e), f), g), h) (relativi il capo b allarticolo 644, il capo h allarticolo 132 decreto legge 385/93 e tutti gli altri capi allarticolo 644bis Cp) e Carlo Petrella alla pena di tre anni di reclusione e di lire tre milioni di multa per i reati dei capi a, b, d, f, h e aveva disposto la confisca di immobili, autovetture e saldi attivi dei conti correnti bancari.

La decisione, impugnata da entrambi gli imputati, è stata sostanzialmente condivisa dalla Corte di appello, che ha solo riformato parzialmente il capo relativo alla confisca.

Nei ricorsi sono stati enunciati numerosi motivi, che vengono sinteticamente riportati nellordine seguito dai ricorrenti

Il difensore di Pasquale Petrella ha dedotto:

a1) la violazione degli articoli 544 e segg. Cpp, in quanto la sentenza impugnata sarebbe «illeggibile e scritta a mano da una grafia incomprensibile»;

b1) la mancanza di motivazione sul motivo con il quale era stata eccepita la prescrizione;

c1) il vizio di motivazione sullesistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dei reati contestati, desunti principalmente dalle dichiarazioni delle persone offese senza una adeguata verifica della loro attendibilità;

d1) la violazione dellarticolo 157 perché i reati in questione, o almeno quelli più risalenti nel tempo, erano estinti per prescrizione, considerato che lusura è un «reato istantaneo con effetti eventualmente permanenti che si perfeziona e si consuma nella stipulazione del patto usurario»;

e1) la violazione dellarticolo 132 decreto legge 385/93 in quanto nella specie non si poteva ravvisare lo svolgimento di abusiva attività finanziaria o «al più, a tutto voler concedere allaccusa, poteva essere ritenuta lipotesi contravvenzionale»;

f1) la violazione degli articoli 62bis, 81 e 133 Cp e il vizio di motivazione con riferimento al diniego delle attenuatiti generiche e alla determinazione della pena;

g1) la violazione dellarticolo 240 Cp con riferimento alla confisca dellimmobile sito in Ardea, località S. Lorenzo, n. 25, ritenuto profitto del reato di usura;

h1) la violazione dellarticolo 12sexies decreto legge 306/92 (inserito dallarticolo 2 decreto legge 339/94) con riferimento agli altri beni confiscati.

I difensori Carlo Petrella hanno presentato due distinti atti di ricorso; il primo ha dedotto:

a2) lasserita adozione di un errato criterio di valutazione delle prove, in quanto erroneamente sarebbe stata data rilevanza alla convergenza delle dichiarazioni accusatorie di più persone offese e alle dichiarazioni rese da alcune persone offese alla polizia giudiziaria e non interamente corrispondenti a quelle rese nel dibattimento;

b2) la mancanza di prove dei reati di usura e lillogicità della motivazione relativa ai vari fatti contestati;

c2) linsussistenza nei fatti in questione dellelemento oggettivo e di quello soggettivo dei reati di usura;

d2) la violazione degli articoli 110, 644 e 644bis Cp per la mancanza delle condizioni per ravvisare nella condotta del ricorrente un concorso nei reati commessi dal padre Pasquale Petrella;

e2) la mancanza delle condizioni giustificative della confisca.

Il secondo difensore di Carlo Petrella ha dedotto:

a3) il vizio di motivazione relativo alla sussistenza dei reati di usura e in particolare alla sussistenza dellelemento soggettivo;

b3) linosservanza e lerronea applicazione degli articoli 644 e 644bis Cp, affermando che non sussistono le condizioni per ritenere che il ricorrente abbia concorso nei reati addebitati al padre;

c3) la violazione dellarticolo 132 decreto legge 385/93, in quanto la disposizione sarebbe stata applicata anche con riferimento a condotte antecedenti alla sua introduzione nellordinamento e inoltre sarebbe stato erroneamente ravvisato il reato di cui al primo comma dellarticolo 132 cit. e non quello contravvenzionale, meno grave, del secondo comma;

d3) inosservanza o erronea applicazione dellarticolo 62bis Cp per il diniego delle attenuanti generiche;

e3) inosservanza o erronea applicazione dellarticolo 81 Cp: la violazione più grave sarebbe stata erroneamente individuata nel reato del capo b) della imputazione, cioè in un fatto del 1991, epoca nella quale la pena edittale giungeva fino solo fino a due anni per la reclusione e a lire 800.000 per la multa, e sarebbe stata violata per la multa (determinata complessivamente in lire 5.000.000 di multa) la regola dellaumento sino triplo;

f3) la violazione degli articoli 132 e 133 Cp e il vizio di motivazione con riferimento alla pena determinata per la violazione più grave in misura assai elevata per la reclusione e superiore al massimo edittale per la multa;

g3) linosservanza dellarticolo 330 Cpp perché con riferimento ai reati dei capi b) e d) è stata esercitata lazione penale in mancanza della notizia di reato.

Nelle more delludienza, fissata davanti alla quinta sezione penale di questa Corte per il 2 luglio 2003, è stata depositata una memoria nellinteresse delle parti civili costituite (Gentile Gregorio e Gentile Roberto), con la quale si invoca una dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi (che porrebbero mere questioni di fatti) e comunque si chiede che i ricorsi stessi vengano respinti in quanto infondati.

2. Nel corso delludienza del 2 luglio 2003, dopo la verifica della regolarità del contraddittorio, la difesa ha sollecitato un provvedimento di sospensione del dibattimento a norma dellarticolo 5 comma 2 legge 134/03. La seconda sezione, ritenendo la norma invocata non applicabile nel giudizio in cassazione, e considerato che però altri collegi (anche nellambito della stessa sezione) avevano adottato la soluzione contraria (sezione seconda, 4023/03, ric. Zizzari; sezione seconda, 1° luglio 2003, n. 1926/93, ric. Bini e Lo Prete; sezione terza, 1° luglio 2003, n. 3348/93, ric. Cerciello Parisi), ha rimesso il ricorso alle Sezioni unite, in applicazione dellarticolo 618 Cpp.

Lordinanza in primo luogo ricorda la distinzione tra norme di diritto intertemporale e norme di diritto transitorio: le prime sono semplicemente chiamate a dirimere il conflitto tra disposizioni succedutesi nel tempo, e sono suscettibili di generalizzazione ed estensione analogica, nella prospettiva di un pari trattamento per le situazioni assimilabili; le seconde danno vita a una disciplina a efficacia temporanea, diversa da quella originaria e da quella sopravvenuta, che risulta inidonea a fungere da tertium comparationis agli effetti di un ipotetico scrutinio di eguaglianza, e insuscettibile, in quanto eccezionale, di estensioni che circa la loro portata trascendano i dati di stretta interpretazione. Poste queste premesse, la disposizione del comma 2 dellarticolo 5 legge 134/03 viene ritenuta norma transitoria e se ne deduce che la sospensione del dibattimento è di carattere eccezionale, da applicare solo nei casi in cui univocamente lo dispone la lettera della legge.

La sospensione -argomenta lordinanza – ha senso solo nella misura in cui la legge riconosce allinteressato la possibilità di sollecitare lapplicazione della pena, possibilità regolata dal comma 1 dello stesso articolo 5 con riguardo ai procedimenti in corso di dibattimento alla data di entrata in vigore della legge. Ebbene, per quanto sia previsto un dibattimento sia nel giudizio di appello (articolo 602 Cpp) che in quello di cassazione (articolo 614 Cpp), lespressione non avrebbe per i giudizi di impugnazione lo stesso significato che riveste per il giudizio di primo grado, e in ogni caso non potrebbe parificare moduli procedimentali disegnati, quanto ai contenuti, sulle diverse funzioni di ciascuna fase.

Rispetto al giudizio di legittimità – nota lordinanza – la legge non regola il caso della pluralità di udienze (mentre la norma transitoria, avendo riguardo alla «prima udienza utile», la presuppone). Inoltre lufficio del Pm presso la Corte di cassazione, a livello ordinamentale (articolo 76 ord. giud.), come a livello processuale, è privo delle funzioni sulle quali tipicamente si fonda il potere negoziale da esercitare nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti. Quel potere potrebbe essergli attribuito dalla legge in via eccezionale, ma la disciplina in esame manca di ogni riferimento in tal senso.

Per questa via alcuni precedenti citati dalla giurisprudenza di segno opposto, e relativi a decisioni di merito transitoriamente innestate sul giudizio di legittimità, divengono, secondo lordinanza, conferme del carattere eccezionale di siffatta evenienza, da escludere nellassenza di norme mirate a concretarla.

Se la riforma del c.d. concordato sui motivi di appello (commi 4 e 5 dellarticolo 599 Cpp, come modificati dallarticolo 1 legge 14/1999) aveva comportato che laccordo potesse transitoriamente intervenire anche nei procedimenti pendenti in Cassazione, ciò era appunto dovuto allespressa previsione dellarticolo 3 della citata legge 14/1999, che aveva regolato sia la funzione del Procuratore generale presso la Corte che i poteri di questultima nel caso di accoglimento dellaccordo. Una conferma della necessità di specifiche norma di copertura della eccezionale funzione di merito viene dallo stesso articolo 5 legge 134/03, che nel terzo comma autorizza la Cassazione a fare diretta applicazione delle sanzioni sostitutive come modificate dallarticolo 4 della stessa legge. Il punto dunque non è se il giudice di legittimità possa o meno deliberare su questioni di merito, ma quali siano i presupposti normativi idonei a fondare una siffatta eccezionale deliberazione.

Un ulteriore argomento che lordinanza ritiene privo di fondamento è quello relativo alle pretese discriminazioni tra posizioni assimilabili: la Consulta ha chiarito (sentenza 381/01) come la funzione tipica di una disciplina transitoria sia proprio quella di regolare difformemente le fattispecie processuali, sulla base di una linea di demarcazione individuata dalla legge, e come sia necessario solo che tale linea si ancori ad un dato pertinente e di sicura identificazione, così da evitare leventualità di applicazioni arbitrarie.

Infine lordinanza esamina i lavori preparatori per individuare la volontà del legislatore: cita a tal fine affermazioni del relatore che chiariscono come questi avesse escluso espressamente la pertinenza della disciplina al giudizio di cassazione, salva la sola ed espressa eccezione delle sanzioni sostitutive.

Considerato in diritto

1. Questione pregiudiziale è quella relativa allammissibilità nel giudizio di cassazione della richiesta di sospensione prevista dal comma 2 dellarticolo 5 legge 134/03, o più esattamente, come ha chiarito la stessa ordinanza di rimessione, relativa allammissibilità nel giudizio di cassazione della richiesta di applicazione della pena prevista dal comma 1 dello stesso articolo, posto che la richiesta di sospensione è solo funzionale alla richiesta di applicazione della pena.

La risposta affermativa si basa essenzialmente sullargomento che secondo il comma 1 dellarticolo 5 cit. la richiesta di applicazione della pena può essere formulata «anche nei processi penali in corso di dibattimento nei quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, risulti decorso il termine previsto dallarticolo 446, comma 1, del Cpp» e che nel giudizio di cassazione, quando si svolge in pubblica udienza, cè un segmento processuale denominato dibattimento (articolo 614 Cpp).

È opinione delle Sezioni unite che questo argomento sia efficacemente contrastato da quelli esposti nellordinanza di rimessione, in quanto una decisione sulla richiesta di applicazione della pena è una decisione di merito, che non rientra nei poteri istituzionali della Corte di cassazione e avrebbe perciò richiesto unapposita previsione, analoga a quella che nello stesso articolo 5 legge 134/03 è stata dettata per le sanzioni sostitutive con al disposizione del comma 3. Ed è certamente significativo il fatto che quando con la legge 14/1999 è stata modificata la disciplina del c.d. patteggiamento in appello, contenuta negli articoli 599 e 602 Cpp, il legislatore ha avvertito la necessità di intervenire con larticolo 3 di tale legge per consentire e regolare in via transitoria nel giudizio di cassazione la richiesta concordata di accoglimento dei motivi di impugnazione. Con larticolo 3 legge 14/1999 il legislatore, tra laltro, si è dato carico di stabilire il termine entro il quale le parti avrebbero dovuto formulare la richiesta, individuandolo in quello di quindici giorni prima della udienza, previsto dallarticolo 585 comma 4 Cpp per la presentazione di motivi nuovi, mentre per la richiesta a norma dellarticolo 5 legge 134/03 non sarebbe fissato alcun termine, in quanto la stessa dovrebbe avvenire nel corso del dibattimento e cioè, nel giudizio di cassazione, nel corso della stessa udienza di trattazione del ricorso.

Una prima conclusione dunque è possibile: lapplicazione della pena su richiesta delle parti è istituto che richiede una decisione di merito, estranea ai poteri della Corte di cassazione, e mancano dati legislativi dai quali argomentare che il potere in questione sia stato specificamente conferito alla Corte con la norma dellarticolo 5 legge 134/03.

Anche i lavori preparatori sono privi di indicazioni in tal senso e fanno piuttosto ritenere che il legislatore abbia inteso escludere il patteggiamento nel giudizio di cassazione.

Sono significative in proposito alcune parole pronunciate dai relatori, sia al Senato che alla Camera. Al Senato, nella seduta del 17 settembre 2002, il senatore Ziccone, riferendosi allarticolo 4, che conteneva allepoca la disposizione transitoria, si è soffermato – come riferisce il resoconto – «in particolare sullespressione in corso di dibattimento, sottolineando che essa dovrebbe essere interpretata nel senso di limitare loperatività della norma transitoria ai soli processi di primo grado». Alla Camera, nella seduta del 28 aprile 2003, lonorevole Ghedini, ha replicato così a unosservazione dellonorevole Siniscalchi: «Inoltre, per quanto riguarda la Cassazione – onorevole Siniscalchi – lesi sa perfettamente che nel 1999, con legge 14/1999, si è attribuita alla Cassazione la possibilità di interloquire sul patteggiamento, cosa che invece in questo caso non facciamo».

Ma un argomento che induce con più sicurezza ad escludere lapplicabilità delle norme degli articoli 444 e segg. nel giudizio di cassazione è di carattere sistematico e riguarda i connotati del procedimento speciale, ancor prima di quelli del ricorso per cassazione.

È da considerare infatti che larticolo 5 comma 1 legge 134/03 non regola un generico patteggiamento, un accordo di qualunque genere sullesito del processo, ma si riferisce specificamente alla richiesta di cui allarticolo 444 del Cpp, e questa richiesta per sua natura non può che essere anteriore alla sentenza di primo grado.

Già la denominazione legislativa dellistituto (applicazione della pena su richiesta delle parti) ne scandisce le caratteristiche: si tratta di un procedimento speciale, alternativo al giudizio, in cui limputato accetta la pena concordata con il Pm e applicata dal giudice, senza che la stessa risulti sorretta da un formale accertamento di responsabilità e da una pronuncia di condanna. La sentenza non è appellabile e limputato, per laccettazione della pena e la correlativa rinuncia alle garanzie del giudizio e dellappello ottiene un trattamento per vari aspetti più vantaggioso di quello che prevedibilmente conseguirebbe al giudizio.

Comè noto, il patteggiamento costituisce un accordo sia sul rito sua sul merito, sicché laccordo sul merito non si giustificherebbe senza quello sul rito, e dunque laccoglimento della richiesta di merito dellimputato non si giustificherebbero se non ci fosse contestualmente laccettazione del rito semplificato.

Larticolo 5 comma 1 legge 134/03, in considerazione dellavvenuto ampliamento delle possibilità di patteggiamento, ha reso possibile, in via transitoria, «la richiesta di cui allarticolo 444 Cpp … anche nei processi penali in corso di dibattimento nei quali … risulti decorso il termine previsto dallarticolo 446, comma 1, Cpp». Questa disposizione in qualche modo modifica i termini tipici dellaccorto sul rito, perché una parte più o meno ampia dellistruzione dibattimentale si è svolta e quindi non può formare oggetto di rinuncia; rimangono però applicabili nel corso del giudizio di primo grado disposizioni significative degli articoli 444 e seg. Cpp, perché il giudice può ancora seguire le regole di decisione stabilite dallarticolo 444 comma 2 Cpp (verifica relativa allinsussistenza delle condizioni per lapplicazione dellarticolo 129 Cpp, alla qualificazione giuridica del fatto, allapplicazione delle circostanze e alla congruità della sanzione richiesta) e pronunciare una sentenza di applicazione della pena (anziché di condanna), con gli effetti previsti dagli articoli 444 e 445 Cpp e non suscettibile di impugnazione con il mezzo dellappello.

Dopo il giudizio di primo grado lapplicazione della pena su richiesta, a norma degli articoli 444 e seg. Cpp, sarebbe priva di senso. In presenza di un accertamento di responsabilità non vi sarebbe alcuna base normativa per trasformare la sentenza di condanna in una sentenza di applicazione della pena, con leventuale diminuzione della sanzione applicata e con gli altri vantaggi previsti per il patteggiamento. Una trasformazione del genere nel giudizio di impugnazione sarebbe inoltre ingiustificata perché avverrebbe in mancanza della corrispettività tipica dellistituto.

Può essere utile paragonare larticolo 5 comma 1 legge 134/03 con larticolo 4ter commi 2 e 3 decreto legge 82/2000, che, da un lato, aveva consentito in via transitoria il giudizio abbreviato «nei processi penali per reati puniti con lergastolo, in corso…», senza aggiungere, come ha fatto larticolo 5 comma 1 legge 134 cit., le parole «di dibattimento», e dallaltro aveva regolato specificamente la richiesta del rito abbreviato, in primo grado, in appello o nel giudizio di rinvio, richiedendo in questi ultimi due casi che fosse stata disposta la rinnovazione dellistruzione dibattimentale e che la richiesta fosse stata presentata «prima della conclusione dellistruzione stessa». Se si pone a confronto la disposizione della legge 82/2000 con quella della legge 134/03 emergono dei dati significativi; nella prima infatti il legislatore aveva espressamente previsto la possibilità di presentare la richiesta anche nei giudizi di impugnazione, ma aveva escluso il rito speciale nel giudizio di cassazione, mente in quello di appello lo aveva ammesso solo se era stata disposta la rinnovazione dellistruzione dibattimentale, solo cioè nel caso in cui il trattamento penale più vantaggioso riconosciuto allimputato poteva trovare nella rinuncia allistruzione dibattimentale e nella utilizzabilità degli atti delle indagini una giustificazione coerente con il procedimento speciale.

Né varrebbe obiettare che larticolo 448 Cpp prevede la possibilità di accogliere la richiesta di applicazione della pena anche nel giudizio di impugnazione perché questa possibilità si collega a una richiesta (e a una correlativa rinuncia) fatta a suo tempo dallimputato, che, se fondata, non può rimanere non accolta per la mancanza del consenso del p.m. o per una valutazione errata del giudice.

È da considerare che per quanto riguarda il dissenso del Pm la previsione dellarticolo 448 Cpp si collega a una pronuncia interpretativa di rigetto della Corte costituzionale (sentenza 120/84) relativa allarticolo 77 legge 689/81 (che è la disposizione sul cui ceppo si è sviluppato il patteggiamento: v. Relazione al progetto preliminare del Cpp, p. 106 e 107), la quale aveva ritenuto che il consenso del Pm fosse vincolante per il rito ma non anche per il merito, e che quindi nel caso di dissenso fosse precluso lepilogo anticipato del procedimento ma non laccoglimento della richiesta dellimputato da parte del giudice, una volta completato regolarmente il dibattimento.

Anche in seguito la Corte costituzionale con più decisioni (da ultimo v. la sentenza 169/03) ha avuto occasione di chiarire che nel patteggiamento e nel giudizio abbreviato occorre tenere distinti gli aspetti relativi al rito da quelli relativi al merito (cioè ai vantaggi in termini di trattamento sanzionatorio che per limputato comporta la richiesta di uno di questi procedimenti speciali) e che perciò nel caso in cui per qualche ragione il procedimento speciale non abbia avuto luogo resta il diritto dellimputato al trattamento più vantaggioso, se il giudice, allesito del giudizio di primo grado o di quello di impugnazione, riconosce che la richiesta era fondata. Ma occorre appunto che la richiesta di applicazione della pena o di giudizio abbreviato, con la correlativa rinuncia alle forme del giudizio ordinario, sia stata formulata tempestivamente, dato che è sulla sua ritualità, oltre che sulla sua fondatezza, che si esercita il sindacato del giudice del dibattimento, eventualmente anche nei giudizi di impugnazione.

Lunica nuova richiesta concordata nei giudizi di impugnazione che sia coerente con il sistema è quella relativa ai motivi. Sono i motivi infatti che delimitano il tema sottoposto al giudice dellimpugnazione e consentono lespressione di un consenso da parte del Pm e una valutazione del giudice, come appunto prevedono, nel giudizio di appello, gli articoli 599 comma 4 e 602 comma 2 Cpp. Al di là dei motivi un accordo tra le parti sarebbe privo di senso e non si comprende quale giustificazione potrebbe avere un patteggiamento ex articolo 444 Cpp nel caso in cui la responsabilità non fosse più in discussione e limpugnazione concernesse, ad esempio, solo le circostanze, la pena o la mancata concessione della sospensione condizionale. Né in assenza di qualunque precisione in tal senso si potrebbe sostenere che nei giudizi di impugnazione la richiesta prevista dallarticolo 5 comma 1 legge 134 cit. risulterebbe ammissibile solo in presenza di motivi volti a contestare laffermazione di responsabilità; daltro canto però in casi come quelli ipotizzati sarebbe fuori luogo sostituire la condanna con unapplicazione della pena su richiesta.

In conclusione è da ritenere che larticolo 5 comma 1 legge 133 cit., nel consentire «nella prima udienza utile… la richiesta di cui allarticolo 444… anche nei processi penali in corso di dibattimento… nei quali risulti decorso il termine previsto dallarticolo 446, comma 1», si riferisca al giudizio di primo grado e che un patteggiamento nei giudizi di impugnazione, necessariamente diverso da quello degli articoli 444 e seg. Cpp, avrebbe richiesto una previsione espressa e una disciplina specifica che nella legge in esame mancano.

2. Restano da esaminare i motivi di ricorso.

Con il primo motivo, come si è detto, Pasquale Petrella ha sostenuto che «la sentenza è nulla o quanto meno si deve riportare in cancelleria del giudice a quo» per essere scritta con gli strumenti appositi perchè «è scritta a mano da una grafia incomprensibile».

Il motivo è manifestamente infondato perché la grafia dellestensore della sentenza impugnata è di lettura non agevole ma non è incomprensibile ed è stata ben compresa dai ricorrenti, come si desume dei motivi di ricorso.

Con numerosi motivi entrambi i ricorrenti hanno contestato laffermazione di responsabilità per i reati degli articoli 644 e 644bis Cp criticando sia laccertamento probatorio compiuto dalla Corte di appello, sia il giudizio sulla esistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dei reati in questione.

Si tratta di motivi che svolgono considerazioni merito, non consentite per giustificare un ricorso per cassazione, o che sostengono le censure mosse alla sentenza impugnata con argomenti manifestamente infondati, quando non risultano generici. È da aggiungere che il motivo di Pasquale Petrella riportato sub c1) costituisce la riproposizione anche testuale del corrispondente motivo contenuto nellatto di appello. Lo stesso non può dirsi per i motivi di Carlo Petrella riportati sub a2), b2), c2) e a3), i quali non costituiscono una riproduzione testuale dei motivi di appello ma si risolvono in asserzioni e in considerazioni di merito che quando contestano in generale il valore probatorio delle testimonianze e degli altri elementi utilizzati dalla Corte di appello per pervenire al convincimento di responsabilità non tengono conto degli argomenti e delle indicazioni probatorie contenuti nellampia motivazione della sentenza impugnata e quando contestano che nei fatti ricorressero gli elementi dei reati previsti dagli articoli 644 e 644bis Cp risultano generici e manifestamente infondati.

La sentenza impugnata contiene una parte iniziale assai diffusa in cui, prima di passare in esame i vari fatti di usura, la Corte di appello ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto sicuramente attendibili le accuse confermate nel dibattimento da numerose persone offese e quelle formulate nella fase delle indagini e non confermate nel dibattimento da altre persone offese, che secondo la Corte appello erano state minacciate e intimorite. Alle testimonianze si aggiungono gli accertamenti documentali, che hanno consentito di individuare vari assegni relativi alle persone offese, hanno fatto emergere ingenti movimenti di denaro sui conti correnti anche di vari congiunti degli imputati e hanno indotto la Corte di appello a dire che era stata costituita «una vera e propria impresa familiare finanziaria gestita da diversi anni da Petrella Pasquale con la consapevolezza e fattiva collaborazione del figlio Carlo».

Ricorda la sentenza impugnata che Pasquale Petrella dava disposizioni sulla gestione dei rispettivi conti correnti bancari alla moglie, ai figli, Maurizio, Danilo e Giuseppina, al fratello Andrea e alla moglie di questo, la quale era «titolare di ben otto conti correnti». Andrea Petrella, «titolare del c/c n. 180 presso la Banca di Roma, con una movimentazione di somme di denaro pari a circa un miliardo e cinquecento milioni, ha dichiarato che la gestione effettiva del conto era in realtà operata di fatto dal fratello Petrella Pasquale». Questo del resto aveva «sostenuto di aver concesso numerosi prestiti a diverse persone, ma soltanto a scopo di amicizia e senza fini di lucro».

Su questa prima parte della sentenza i ricorrenti non si soffermano se non con critiche generiche, relative per lo più al valore probatorio riconosciuto alle dichiarazioni accusatorie delle persone offese.

I motivi di ricorso riguardano soprattutto i singoli fatti e discutono le valutazioni operate dalla sentenza impugnata circa lesistenza degli elementi dei reati previsti dagli articoli 644 e 644bis Cp, svolgendo in proposito inammissibili considerazioni di merito.

Come è noto lindagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare lesistenza di un logico apparato argomentativo, senza la possibilità di verificarne la rispondenza alle acquisizioni processuali. È da aggiungere che lillogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi (Sezioni unite, 24 novembre 1999, Spina, in Cass. Pen., 2000, p. 862). Ciò posto, nessun vizio del genere è riscontrabile neppure nella parte della sentenza impugnata relativa ai singoli fatti di usura, che, come è stato precedentemente ricordato, è pervenuta allaccertamento degli elementi dei reati in questione attraverso la considerazione delle varie prove acquisite e la corretta indicazione del significato dimostrativo loro attribuito dal giudice.

È da aggiungere che i motivi di ricorso tendono a contestare in genere lo stato di bisogno delle persone offese, senza considerare che, come si è inizialmente ricordato, solo per il fatto relativo a Gregorio Gentile gli imputati sono stati ritenuti responsabili del reato previsto dallarticolo 644 Cp, mentre per gli altri fatti sono stati ritenuti responsabili del reato previsto dallabrogato articolo 644bis Cp, relativo alla usura impropria, che non richiedeva lo stato di bisogno ma lesistenza di «condizioni di difficoltà economica o finanziaria di persona che svolge una attività imprenditoriale o professionale».

3. Carlo Petrella inoltre, denunciando la violazione degli articoli 644 e 644bis Cpp e vizi di motivazione, ha sostenuto che non ricorrevano le condizioni per ritenerlo responsabile di tali reati in concorso con il padre (motivi sub d2 e b3) e che la condotta indicata nella sentenza avrebbe dovuto piuttosto far ravvisare i reati «di minacce di estorsione oppure di favoreggiamento personale o reale».

Il motivo è privo di fondamento perché è vero che secondo laccertamento dei giudici di merito Carlo Petrella aveva avuto soprattutto il ruolo di esattore e in alcune circostanze era intervenuto minacciando le persone offese ma questa era solo una parte della complessiva attività usuraia in cui Carlo Petrella affiancava il padre con piena consapevolezza della stessa. Infatti i giudici di merito hanno, tra laltro, accertato la presenza di Carlo Petrella in occasione della definizione delle condizioni contrattuali con Gregorio Gentile e soprattutto hanno accertato lerogazione da parte sua di varie somme di denaro, anche mediante assegni emessi dalla moglie su conti correnti a lei intestati. Lesazione dei rimborsi insomma costituiva una parte dellattività criminosa, e non la sola, che Pasquale Petrella, quando ne era il caso, faceva svolgere al figlio.

Con un altro motivo (sub g3) il ricorrente ha eccepito che per i reati dei capi b) e d) lazione penale è stata esercitata in violazione dellarticolo 330 Cpp perché mancava una notizia di reato.

Il ricorrente ha rilevato che si è proceduto nei suoi confronti per il reato del capo b) «in assenza della presentazione di una denuncia da parte di Gentile Gregorio» e che, con riferimento al capo d), «lo stesso ragionamento va fatto per Gentile Roberto il quale nelle sue sit dinanzi alla GdF in data 4 gennaio 1996, riferisce di aver subito soltanto minacce da Petrella Carlo, ma nessun elemento concreto ha saputo indicare in ordine al reato di usura». In una situazione siffatta secondo il ricorrente «lazione penale non doveva essere promossa o proseguita».

Il motivo è manifestamente infondato perché lo stesso articolo 330 Cpp, richiamato dal ricorrente, stabilisce che compito del Pm e della polizia giudiziaria non è solo quello di ricevere le denunce ma anche, e in primo luogo, quello di prendere notizia dei reati di propria iniziativa. Perciò sotto nessun aspetto la rilevata mancanza delle denunce nei confronti del ricorrente per i reati dei capi b) e d) poteva essere di ostacolo allesercizio dellazione penale.

4. Entrambi i ricorrenti, con i motivi sub e1) e c3), hanno contestato la condanna per il c.d. abusivismo finanziario sostenendo che larticolo 132 decreto legge 385/93, era stato illegittimamente applicato anche rispetto a fatti anteriori alla sua entrata in vigore e che nel caso in esame non erano ravvisabili gli estremi della fattispecie prevista da tale articolo o «al più, a tutto voler concedere allaccusa, poteva essere ritenuta lipotesi contravvenzionale».

Anche questi motivi sono privi di fondamento.

Il c.d. abusivismo finanziario prima che dallarticolo 132 decreto legge 385 cit. era stato previsto dallarticolo 6 decreto legge 143/91, convertito nella legge 197/91, e la contestazione, contenuta nel capo h), aveva fatto riferimento a tutte e due le disposizioni, perciò legittimamente i giudici di merito hanno considerato anche lattività finanziaria anteriore allentrata in vigore delle decreto legge 385. È da aggiungere che la sentenza impugnata in conformità con la giurisprudenza di questa Corte , ha individuato puntualmente gli elementi costituitivi del reato in questione, chiarendo il significato dellespressione nei confronti del pubblico, e che in proposito mancano nei motivi dei ricorrenti consistenti rilievi critici, sicché risultano prive di fondamento sia la generica contestazione relativa allesistenza dellabusiva attività finanziaria, sia laffermazione che sarebbe eventualmente configurabile la contravvenzione del comma 2 dellarticolo 132 cit., in quanto lattività non sarebbe stata svolta nei confronti del pubblico. Secondo la sentenza impugnata infatti «lo spaccato di vita finanziario rappresentato in giudizio ha mostrato che si è trattato non di sporadici episodi isolati nel tempo ma di una organizzata e continuativa attività svolta dai prevenuti nei confronti del pubblico con evidente scopo di lucro illecito».

5. Pasquale Petrella ha lamentato la mancanza di motivazione della sentenza impugnata rispetto alla eccepita prescrizione e ha sostenuto che questa Corte deve «comunque& in ordine quantomeno, alle contestazioni mosse in relazione agli episodi Sabatini Maurizio, Gentile Gregorio, Gentile Roberto, Tessera Marcello e Braconcini Luciano, Bolli Leo, De Marchi Nazareno, dichiarare non doversi procedere& per essere i reati estinti per prescrizione».

La mancanza di motivazione relativamente alla prescrizione non può di per sé comportare lannullamento della sentenza impugnata; ciò che invece rileva, e che in questa sede occorre accertare, è se, prima della pronuncia della sentenza impugnata o anche successivamente si è o meno verificata la prescrizione, e si tratta di un accertamento che deve concludersi con un esito negativo.

Innanzi tutto va chiarito che, essendo stati unificati per la continuazione tutti i reati, per determinare la decorrenza del termine di prescrizione non deve considerarsi, come vorrebbe il ricorrente, il momento in cui i singoli reati sono stati consumati ma, secondo la disposizione dellarticolo 158 comma 1 ultima parte Cp, occorre fare riferimento al giorno in cui è cessata la continuazione, cosa che è avvenuta nel gennaio 1996. Ciò posto, il termine di prescrizione di sette anni e sei mesi ancora non è interamente decorso, dato che è rimasto sospeso per un periodo complessivo di 309 giorni, in seguito a tre rinvii disposti per impedimento su richiesta dellimputato o del difensore (dall11 luglio al 20 luglio 2000, dal 30 maggio 2001 al 28 novembre 2001 e dal 28 novembre 2001 al 27 marzo 2002).

6. Con vari motivi (f1, d3, e3, f3) i ricorrenti hanno denunciato vizi di motivazione ed erronea applicazione della legge penale con riferimento allesclusione delle attenuanti generiche e alla determinazione della pena.

Gli asseriti vizi di motivazione sono insussistenti perché la sentenza impugnata ha indicato in modo corretto le ragioni che hanno fatto ritenere giustificata la decisione adottata in proposito dal giudice di primo grado, confermata dalla Corte di appello con una valutazione che non è sindacabile in questa sede.

Gli errori nellapplicazione dellarticolo 81 Cp denunciati riguardano lindividuazione della violazione più grave e la determinazione dellaumento per la continuazione.

È stata ritenuta più grave la violazione dellarticolo 644 Cp, nonostante che la pena comminata dalla disposizione applicabile nel caso in esame (quella originaria, anteriore alle modificazioni apportate dal decreto legge 306/92 e della sostituzione operata dallarticolo 1 legge 108/96) fosse inferiore a quella prevista dallarticolo 644bis Cp, ma la questione relativa ai criteri adottati per individuare la violazione più grave (determinata in concreto anziché in astratto) risulta inammissibile, sia perché non è stata dedotta con i motivi di appello (articolo 606 comma 3 Cpp), sia perché gli imputati non hanno interesse allindividuazione della violazione più grave in uno dei reati previsti dallarticolo 644bis Cp anziché in quello riconducibile alla previsione dellarticolo 644 Cp

È invece fondato il motivo con il quale si è fatto rilevare che laumento operato per effetto della continuazione ha dato luogo a una pena complessiva superiore al triplo di quella stabilita per la violazione più grave, in contrasto con la norma dellarticolo 81 comma 1 Cp

Sia per Pasquale Petrella, sia per Carlo Petrella la multa per la violazione più grave è stata determinata in lire 1.000.000 (correttamente perché la pena massima edittale allepoca era di lire 4.000.000 e non di lire 800.000, come sostiene Carlo Petrella) e per la continuazione è stata aumentata a lire 10.000.000, per Pasquale Petrella, e a lire 5.000.000, per Carlo Petrella, mentre a norma dellarticolo 81 comma 1 Cp non avrebbe potuto superare, per luno e per laltro, limporto di lire 3.000.000

Pertanto sul punto la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, rideterminando la pena complessiva della multa in lire 3.000.000.

7. Restano infine i motivi relativi alla confisca dellappartamento sito in Ardea, S. Lorenzo, disposta a norma dellarticolo 240 Cp, e alla confisca di altri numerosi beni, disposta a norma dellarticolo 12sexies decreto legge 306/92. La sentenza impugnata ha ricordato che lappartamento sito in Ardea era stato trasferito a Carlo Petrella da Gregorio Gentile, una delle vittime dellusura, e ha esaminato analiticamente le giustificazioni date relativamente allacquisto degli altri beni, che solo per due immobili ha ritenuto fondate, nella convinzione che non fossero state «acquisite sufficienti prove che i mezzi finanziari occorrenti per lacquisto& non provenissero da legittime fonti di reddito». A fronte di una diffusa e corretta motivazione sullesistenza delle condizioni che hanno legittimato la confisca i motivi di ricorso risultano inammissibili perché contengono critiche generiche, basate esclusivamente su affermazioni e considerazioni in punto di fatto.

8. In conclusione, per le ragioni indicate, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nel punto relativo alla misura complessiva della multa mentre per il resto i ricorsi sono da rigettare.

PQM

La Corte di cassazione dichiara inammissibile la richiesta di sospensione del procedimento, ai sensi dellarticolo 5 legge 134/03; annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di entrambi i ricorrenti limitatamente alla misura complessiva della multa, che ridetermina, per ciascuno, in lire tre milioni; rigetta nel resto i ricorsi.