Enti pubblici

Sunday 22 June 2003

Il nuovo piano sanitario nazionale per il triennio 2003-2005 II parte.

Il nuovo piano sanitario nazionale per il triennio 2003-2005 II parte.

3.3. Ridurre gli incidenti e le invalidita’

    Le  cause  esterne  di  morte  e  disabilita’,  che includono gli

incidenti  nell’ambiente  sociale e sul lavoro, i disastri naturali e

quelli  provocati dall’uomo, gli avvelenamenti, gli incidenti durante

le   cure  mediche  e  la  violenza,  costituiscono,  particolarmente

nell’eta’ adulta, un’importante causa di morte.

    I dati relativi agli incidenti stradali, indicano un incremento a

partire  dalla fine degli anni ’80, soprattutto nel Nord dell’Italia,

con  un  quadro  che  comporta  circa  8.000 morti, 170.000 ricoveri,

600.000 prestazioni di pronto soccorso ogni anno, cui fanno riscontro

circa  20.000  invalidi permanenti. Il fenomeno costituisce ancora la

prima  causa  di morte per i maschi sotto i 40 anni e una delle cause

maggiori  di  invalidita’  (piu’  della  meta’  dei  traumi cranici e

spinali sono attribuibili a questi eventi).

    Gli  incidenti  stradali sono pertanto un’emergenza sanitaria che

va  affrontata  in  modo  radicale  al  fine  di rovesciare l’attuale

tendenza e pervenire, secondo l’obiettivo fissato dall’OMS per l’anno

2020, ad una riduzione almeno del 50% della mortalita’ e disabilita’.

Gli interventi principali di prevenzione riguardano:

      la  utilizzazione  del casco da parte degli utenti di veicoli a

motore a due ruote;

      gli standard di sicurezza dei veicoli;

      l’uso   corretto   dei  dispositivi  di  sicurezza  (cinture  e

seggiolini);

      le  migliori  condizioni  di  viabilita’ (segnaletica stradale,

illuminazione,  condizioni  di  percorribilita)  nelle  zone  ad alto

rischio di incidenti stradali;

      la  promozione  della  guida sicura mediante campagne mirate al

rispetto dei limiti di velocita’ e della segnaletica stradale nonche’

alla riduzione della guida sotto l’influsso dell’alcool;

      il potenziamento del trasporto pubblico.

    Anche  il  fenomeno  degli incidenti domestici e del tempo libero

mostra  un  andamento  in continua crescita, con un numero di casi di

circa    4.000.000    per    anno,    che   coinvolgono   soprattutto

ultrasessantacinquenni e donne. Si stima che circa la meta’ di questi

incidenti  avvenga  in casa o nelle pertinenze (incidenti domestici).

Gli  incidenti  domestici  rappresentano dunque un fenomeno di grande

rilevanza  nell’ambito  dei temi legati alla prevenzione degli eventi

evitabili   e   particolare  attenzione  deve  essere  dedicata  agli

incidenti     che     coinvolgono     gli     anziani,     soprattutto

istituzionalizzati.  Per  quanto  riguarda  l’obiettivo di ridurre in

modo  significativo  la  mortalita’  e  la  disabilita’  da incidenti

domestici,    gli    aspetti    prioritari   sono   quelli   connessi

all’informazione e comunicazione nonche’ alla:

      incentivazione  delle misure di sicurezza domestica strutturale

ed  impiantistica  e  dei  requisiti  di sicurezza dei complementi di

arredo;

      predisposizione  di  programmi intersettoriali volti a favorire

l’adattamento  degli spazi domestici alle condizioni di disabilita’ e

di ridotta funzionalita’ dei soggetti a rischio;

      costruzione  di  un  sistema di sorveglianza epidemiologica del

fenomeno  infortunistico  e individuazione di criteri di misura degli

infortuni domestici.

    Per  gli  incidenti  negli  ambienti  esterni,  durante  il tempo

libero,  gli  uomini  sono  piu’  a rischio delle donne, anche per il

maggiore  consumo  di  alcool.  Le  piscine,  i laghi ed altri bacini

d’acqua  dolce  contribuiscono in modo significativo alle statistiche

sugli  annegamenti,  specialmente  nei  bambini,  con  500-600  morti

all’anno.

3.4. Sviluppare la riabilitazione

    La  domanda  di riabilitazione negli ultimi anni ha registrato un

incremento  in  parte  imputabile  all’aumento   dei gravi traumatismi

accidentali   e   ai  progressi  della  medicina  che  consentono  la

sopravvivenza  a  pazienti  un  tempo destinati all’exitus. In questo

contesto  particolare  rilevanza  assumono  le  lesioni  del  midollo

spinale   e  i  gravi  traumi  cranioencefalici  per  le  conseguenze

altamente  invalidanti  che possono comportare. Dati recenti indicano

l’incidenza  delle  mielolesioni pari a circa 1500 nuovi casi l’anno,

di  cui il 67% imputabile ad eventi traumatici. L’incidenza dei gravi

traumatismi  cranioencefalici, e’ di circa 4.500 nuovi casi l’anno su

tutto  il territorio nazionale. Di questi la mortalita’ in fase acuta

incide  per  il  34%,  il 40% dei pazienti presenta esiti invalidanti

modesti, il 25% e’ affetto da danni o complicanze di gravita’ tale da

richiedere   il   ricovero   in  strutture  di  terapia  intensiva  e

neuroriabilitazione  e  l’1%  (45  casi  per  anno)  permane in stato

vegetativo dopo 12 mesi dall’evento.

    La  riabilitazione  del  soggetto  gravemente  traumatizzato deve

essere  garantita  con tempestivita’ gia’ durante le fasi di ricovero

nelle  strutture  di  emergenza. Non appena cessino le condizioni che

richiedono un ricovero nell’area della terapia intensiva, deve essere

garantita  l’immediata  presa   in  carico del paziente da parte delle

Unita’  Operative di alta specialita’ riabilitativa per assicurare la

continuita’ del processo terapeutico assistenziale.

    Quale   che  sia  la  natura  dell’evento  lesivo  che  causa  la

necessita’   di   interventi  di  riabilitazione,  gli  obiettivi  da

perseguire sono la garanzia dell’unitarieta’ dell’intervento mediante

un  approccio multidisciplinare e la predisposizione ed attuazione di

un  progetto  riabilitativo  personalizzato, al fine di consentire al

paziente   il   livello  massimo  di  autonomia  fisica,  psichica  e

sensoriale.  Cio’  implica  l’attivazione  di  un  percorso in cui si

articolano  competenze  professionali  diverse, funzionamento in rete

dei  servizi e strutture a diversi livelli e con diverse modalita’ di

offerta (ospedaliera, extrospedaliera, residenziale, semiresidenziale

e domiciliare) e di integrazione tra aspetti sanitari e sociali.

3.5. Migliorare la medicina trasfusionale

    Le  attivita’ di medicina trasfusionale sono parte integrante dei

livelli  essenziali  di  assistenza  garantiti dal Servizio Sanitario

Nazionale  e si fondano sulla donazione volontaria, e non remunerata,

del sangue e dei suoi componenti.

    Considerando  che  gli attuali sistemi di coordinamento a livello

regionale  e  nazionale sono riusciti solo in parte a raggiungere gli

obiettivi  previsti dai precedenti Piani Sanitari e dai Piani Sangue,

si  pone l’urgenza di riformare la legge 4 maggio 1990, n. 107, anche

alla  luce dei cambiamenti conseguenti all’organizzazione federalista

dello  Stato.  La  nuova  legge  dovra’  razionalizzare  il sistema a

livello  regionale,  indicando i rispettivi ruoli del Ministero della

Salute,  delle  Regioni,  dei  Centri  Regionali  di  Coordinamento e

Compensazione e del Centro Nazionale Trasfusione Sangue da istituirsi

presso l’Istituto Superiore di Sanita’.

    L’introduzione  di nuovi test sierologici ed in particolare delle

tecniche di biologia molecolare ha ridotto il rischio di trasmissione

dei virus dell’epatite o dell’AIDS mediante la trasfusione del sangue

e  dei  suoi  prodotti a livelli molto bassi, inferiori al rischio di

infezione  associato  ad altre manovre invasive ospedaliere. Malgrado

questo  notevole  incremento  della  sicurezza della trasfusione, per

realizzare il quale sono necessarie ingenti risorse economiche, molto

resta  ancora da fare per assicurare l’appropriatezza della richiesta

e  della  trasfusione.  Per  diffondere  la  cultura del buon uso del

sangue  sono state emanate Linee Guida ed istituiti in tutto il Paese

Comitati  ospedalieri  per il buon uso del sangue, ma il risultato e’

stato  molto  modesto:  tra le cause di questo insuccesso vi e’ da un

lato  la  scarsa  attenzione  dei  clinici per le problematiche della

donazione  e  trasfusione  di  sangue, dall’altro l’inquadramento del

servizio   trasfusionale   in   un’area   quasi   esclusivamente   di

laboratorio.  Gli  obiettivi primari dell’autosufficienza regionale e

nazionale,  i  piu’ elevati livelli di sicurezza uniformi su tutto il

territorio  nazionale  e  la  definizione  dei  Livelli Essenziali di

Assistenza  trasfusionale possono essere ottenuti attraverso un nuovo

modello  di  sistema trasfusionale, con criteri di funzionamento e di

finanziamento definiti sulla base:

      delle  attivita’  di produzione, comprendenti la selezione ed i

controlli  periodici  del  donatore,  la raccolta, la lavorazione, la

validazione,  la  conservazione  ed  il  trasporto del sangue e degli

emocomponenti,  comprese  le cellule staminali da sangue periferico e

placentare  (sangue  da  cordone  ombelicale), nonche’ la raccolta di

plasma da destinare alla preparazione degli emoderivati;

      attivita’  di servizio, quali l’assegnazione e la distribuzione

del sangue e dei suoi prodotti, anche per l’urgenza.

    Con  l’intervento  insostituibile  delle Associazioni di Donatori

Volontari di Sangue, e delle relative Federazioni, va incrementato in

tutto  il  territorio  nazionale  il  numero  dei  donatori volontari

periodici  e non remunerati per eliminare le carenze di sangue ancora

esistenti in alcune Regioni.

    Per i prossimi anni occorre perseguire i seguenti obiettivi:

      raggiungere  l’autosufficienza regionale e nazionale del sangue

e dei suoi prodotti;

      conseguire  piu’  elevati  livelli  di sicurezza nell’ambito di

tutto il processo finalizzato alla trasfusione;

      assicurare  al  sistema trasfusionale un sistema di garanzia di

qualita’  e  sviluppare  l’emovigilanza, articolata a livello locale,

regionale e nazionale;

      stipulare  fra  le  Regioni e le Aziende ubicate sul territorio

dell’Unione  Europea  convenzioni  per  la  produzione di emoderivati

(specialita’  medicinali)  nel  rispetto  delle  norme per le gare ad

evidenza pubblica.

3.6. Promuovere i trapianti di organo

     Per quanto riguarda i trapianti di organo, e’ noto che i vantaggi

prevalgono  sulle complicanze (rigetto, infezioni e loro conseguenze)

con  una  sopravvivenza  a  cinque  anni compresa tra il 70% e l’80%,

secondo  l’organo  trapiantato. E’, comunque, necessario continuare a

perseguire  il  reperimento  degli  organi  in  tutte le Regioni. Nel

nostro  Paese,  tuttavia, i livelli di attivita’ sono disomogenei tra

le  diverse  Regioni,  sia  in termini di donazioni sia in termini di

trapianti,  e  cio’  non   contribuisce  certamente a garantire quella

parita’ di accesso alle cure cui i pazienti hanno diritto.

    Nel  corso  dell’ultimo  triennio  l’incremento  complessivo  del

numero  di  donazioni  e  della  qualita’  dei trapianti in Italia ha

portato  il nostro Paese al livello delle principali Nazioni europee,

e  il  numero  dei  donatori di organo e’ aumentato del 42,3%, con un

incremento complessivo del 27,4% del numero dei trapianti.

    Sono obiettivi strategici in questo campo:

      promuovere   la    valutazione  di  qualita’  dell’attivita’  di

trapianto di organi, tessuti e cellule staminali;

      favorire  la  migliore  utilizzazione degli organi disponibili,

attraverso  la  diffusione  di  tecniche  avanzate,  addestrando  gli

operatori e favorendo lo svolgimento di queste attivita’ in Centri di

Eccellenza;

      predisporre  un  Piano  nazionale  per prelievo, conservazione,

distribuzione e certificazione dei tessuti;

      verificare  la  possibilita’  che  nei  casi  opportuni vengano

utilizzati  organi  anche  da  donatore  vivente,  dopo  una  attenta

valutazione dell’applicazione della normativa in vigore e delle Linee

Guida,   formulate   dal  Centro  Nazionale  Trapianti.  Va  comunque

ricordato  che  la  donazione  da  vivente  non e’ scevra da pericoli

sanitari  e  sociali  ed e’ quindi da considerarsi residuale rispetto

alla  donazione  da  cadavere che deve restare l’obiettivo principale

del Servizio Sanitario Nazionale;

      attivare  algoritmi  oggettivi e trasparenti per l’assegnazione

degli  organi  da  trapiantare  e  per  il  monitoraggio dei pazienti

trapiantati, uniforme su tutto il territorio nazionale;

      prevedere  che  il  flusso  informativo  dei  dati  relativi ai

trapianti di cellule staminali emopoietiche sia integrato nell’ambito

del Sistema Informativo Trapianti, anche attraverso la collaborazione

con  il  Gruppo  Italiano per il Trapianto di Midollo Osseo (GITMO) e

l’organizzazione  GRACE  (Gruppo  di  Raccolta e Amplificazione delle

Cellule  Staminali  Emopoietiche)  che  riunisce le banche di cellule

staminali placentari;

      definire   la  Carta  dei  Servizi  dei  Centri  di  trapianto,

prevedendo aggiornamenti continui;

      estendere lo sviluppo del Sistema Informativo Trapianti;

      incrementare  l’informazione  ai  cittadini  circa le attivita’

quali-quantitative dei Centri di trapianto.

    Per il prossimo futuro, inoltre, occorre procedere a:

      ridurre  il  divario  fra le Regioni in termini di attivita’ di

reperimento donatori per raggiungere il numero delle 30 donazioni per

milione di abitanti;

      predisporre,   per  i  familiari  dei  soggetti  sottoposti  ad

accertamento di morte, un supporto psicologico e di aiuto;

      attuare   il   finanziamento  per  funzione,  come  individuato

nell’articolo  8-sexies  del  Decreto  Legislativo 19 giugno 1999, n.

229, superando il finanziamento per DRG;

      sorvegliare  il  rispetto  delle Linee Guida per i trapianti da

donatore  vivente attivando in particolare l’organismo di parte terza

ivi  previsto  per  informare  correttamente  le  parti  in causa sui

vantaggi e svantaggi delle procedure;

      monitorare  l’attivita’  delle singole Regioni circa i prelievi

di tessuti umani e la loro utilizzazione, l’attivazione di banche dei

tessuti  regionali o interregionali, il loro accreditamento e la loro

funzionalita’;

      inserire  anche  i  trapianti di cellule staminali emopoietiche

tra  i trapianti d’organo e da tessuti, raccogliendo i dati presso il

Centro Nazionale Trapianti, e collegando quest’ultimo con il registro

dei  donatori  viventi  di  midollo osseo istituito presso l’Ospedale

Galliera di Genova;

      favorire  lo  sviluppo  di  attivita’  di ricerca connesse alle

attivita’ di trapianto;

      supportare     l’attivazione    di    procedure     informatiche

standardizzate, soprattutto per la gestione delle liste di attesa;

      promuovere   adeguate   campagne  di  informazione  rivolte  ai

cittadini,  con  il  concorso  delle  Associazioni dei pazienti e dei

volontari;

      realizzare   la    selezione  dei  riceventi  il  trapianto  con

algoritmi  condivisi  e  procedure  informatizzate, documentando ogni

passaggio del processo decisionale ai fini di un controllo superiore;

      valutare  e  rendere  pubblici  i  risultati delle attivita’ di

prelievo e trapianto di organi;

      rendere  sempre  piu’  oggettivi  e  trasparenti  i  criteri di

ammissione del paziente al trapianto.

4. L’ambiente e la salute

    Sono  in molti casi ben accertate le interazioni fra i fattori di

rischio  ambientali  e la salute, anche se la ricerca delle possibili

soluzioni   resta   talvolta   problematica  particolarmente  per  le

complesse   implicazioni   socio-economiche  sottostanti.  In  questo

settore  importanti  benefici  sono prevedibili attraverso l’efficace

collaborazione fra i settori che, a livello nazionale e territoriale,

sono responsabili per la salute o per l’ambiente.

4.1. I cambiamenti climatici e le radiazioni ultraviolette

    La  difesa dalle eccessive radiazioni UV e dalle variazioni nelle

condizioni   climatiche   che   possano  colpire  particolari  gruppi

vulnerabili,   rende   prioritaria   l’attuazione   di  programmi  di

informazione ed educazione sanitaria.

    Inoltre,  vi  e’  la  forte  necessita’ di ulteriori ricerche per

valutare meglio:

      l’effetto del riscaldamento globale sui trends stagionali delle

maggiori cause di malattia e mortalita’;

      l’effetto   del   riscaldamento   globale   sulla  variabilita’

climatica  e  valutazione delle capacita’ di adattamento specialmente

tra  le  fasce  di  popolazione  particolarmente vulnerabile come gli

anziani;

      l’effetto  del  riscaldamento globale sulle patologie trasmesse

da  virus  e batteri e stima degli andamenti dell’incidenza di queste

malattie;

      l’impatto  potenziale  della  radiazione UV-B in relazione alla

deplezione  dell’ozono  in termini di aumento dell’incidenza dei casi

di cataratta, delle affezioni cutanee e del cancro della pelle;

      il  rischio  di riduzione di risposta immunitaria ai vaccini ed

alle malattie infettive a causa dell’aumento della radiazione UV-B.

    Per  quanto  riguarda  gli aspetti connessi all’«effetto-serra» e

alla  deplezione  dell’ozono stratosferico, e’ indispensabile, da una

parte,   continuare  la  politica  di  collaborazione   internazionale

dell’Italia  a sostegno degli sforzi congiunti per rimuovere le cause

di  queste  modificazioni climatiche, e dall’altra, operare a livello

territoriale  per  il  conseguimento  degli obiettivi di abbattimento

delle emissioni nocive concordati a livello internazionale.

4.2. L’inquinamento atmosferico

    L’inquinamento  atmosferico  derivante  dal  traffico  veicolare,

impianti  di riscaldamento e sistemi di produzione industriale, e’ un

noto  fattore di rischio per la salute (vedi tabella 1, pag. 99 e 100

–  tratta dal Prof. Antonio Ballarin Denti «Aggiornamenti Sociali» n.

3, 2002, pag. 209-220).

    Secondo  una  serie di studi e valutazioni condotte dalle agenzie

ambientali  europee  e nazionale, il trasporto su strada contribuisce

mediamente in Europa al 51% delle emissioni degli ossidi di azoto, al

34%  di  quelle  composti  organici  volatili  e al 65% di quelle del

monossido di carbonio.

    I due principali inquinanti secondari, le polveri fini e l’ozono,

che  sono  prodotti,  attraverso  una  serie  complessa  di  reazioni

chimiche,  dai tre inquinanti prima citati, sono pertanto imputabili,

anch’essi in misura preponderante, al traffico su strada.

    Le  emissioni  prodotte  dagli  autoveicoli  (al  di la’ del loro

contributo  complessivo)  sono inoltre fortemente dipendenti dal tipo

di  motore. A parita’ di condizioni di manutenzione, un motore diesel

tradizionale (come quello di gran parte dei veicoli commerciali) puo’

emettere  una quantita’ di polveri fini anche dieci volte superiore a

quelle emesse da un diesel «ecologico»; e questo e’ a sua volta molto

piu’  inquinante  di  un motore a benzina. Un veicolo non catalizzato

emette fino a dieci volte piu’ di un’auto con marmitta catalitica. Un

motore a due tempi (come quello dei ciclomotori) emette molto piu’ di

un  analogo  motore  a quattro tempi: pertanto un motorino medio puo’

inquinare   piu’   di   un’auto   di  grossa  cilindrata  di  recente

omologazione.  Anche  tra  le  automobili  catalizzate  ci sono forti

differenze  (a   prescindere  da  quelle  determinate  da  una cattiva

carburazione  del  motore) dovute alle diverse classi di omologazione

dei  motori in funzione delle loro emissioni che l’Unione Europea sta

imponendo da qualche anno alle industrie automobilistiche. Ad esempio

un  veicolo  classificato  EURO  3 (del tipo cioe’ oggi in commercio)

emette  fino  a quattro volte di meno di un veicolo, pur catalizzato,

del tipo EURO 1 (cioe’ prodotto e venduto piu’ di sei anni fa).

    Asserire  quindi  che  globalmente  il   comparto del trasporto su

strada  contribuisce  in  misura  maggioritaria  all’inquinamento  e’

affermazione vera, ma, come tale, troppo generica per farne scaturire

adeguate  politiche  di  intervento,  a  meno che si entri nel merito

delle  singole  tipologie  di  motore  e  sulle  loro  condizioni  di

esercizio.

    Il  peso  del  traffico  non deve comunque far dimenticare che un

contributo  all’inquinamento  atmosferico  urbano,  minore  in valore

percentuale  ma  pur  sempre  alto  in  valore assoluto, deriva dagli

impianti  di  riscaldamento;  questo  comparto,  ora  che l’industria

pesante ha praticamente abbandonato l’ambiente urbano, resta, insieme

al  traffico,  di  fatto  l’unica sorgente di inquinamento. In questo

settore  il  diffondersi degli oli combustibili leggeri e soprattutto

del metano (che, a parte gli ossidi di azoto, non emette praticamente

altri  inquinanti)  e  il  rafforzamento delle politiche di controllo

sugli  impianti  in  esercizio da parte delle Autorita’ istituzionali

(Province  e  Comuni) hanno portato a marcati miglioramenti, anche se

molto   ancora   potrebbe   e   dovrebbe   essere   fatto   (e’  oggi

realisticamente  immaginabile,  grazie  ad  una  ulteriore estensione

dell’impiego del metano e a politiche di obblighi di manutenzione, un

dimezzamento  delle  emissioni  da impianti di riscaldamento entro un

periodo di 3-5 anni).

    Il   particolato   atmosferico,   indicato   con  il  termine  di

particolato  totale sospeso (PTS), e’ un inquinante la cui origine e’

molto    diversificata  derivando  dall’erosione  del  suolo  e  degli

edifici, dall’attivita’ umana (agricoltura, edilizia, industrie), dai

processi   di  combustione  (impianti  di  riscaldamento  e  traffico

autoveicolare) e da reazioni chimiche di processi gassosi. Nelle aree

urbane   l’aereosol  atmosferico  e’  costituito  dal  30%  circa  di

particelle   naturali   e  dal  60%  di  particelle  derivanti  dalla

combustione  delle  quali  piu’  del 50% attribuibili al traffico. La

composizione  del  particolato  e’  estremamente  variabile  in  base

all’origine  delle  particelle  (piombo, nichel, zinco, rame, cadmio,

fibre  di amianto, solfati, nitrati, idrocarburi policiclici pesanti,

polvere  di  carbone  e  cemento). La frazione di polveri considerata

piu’ pericolosa per l’uomo e’ quella in grado di superare le barriere

delle  vie  aeree  superiori  ovvero  i PM10 e i PM2,5, particelle di

polvere  con  diametro inferiore a 10 e a 2,5 micron rispettivamente.

E’  stato  dimostrato  da  vari studi che il particolato PM10 origina

soprattutto  dalla combustione, permane nell’aria qualche giorno e la

sua  concentrazione  viene  abbattuta  solo  per dilavamento da parte

della pioggia. Questo inquinante reagisce chimicamente nell’atmosfera

con altre sostanze.

    I danni addebitabili alle particelle inalate sono dovuti al fatto

che  tali  particelle, raggiungendo gli alveoli polmonari, rilasciano

sostanze  tossiche e possono ostruire gli alveoli stessi. Ne consegue

un  effetto  irritante  per  le vie respiratorie e la possibilita’ di

indurre   alterazioni   nel   sistema   immunitario,   favorendo   il

manifestarsi  di  malattie  croniche, quali maggior sensibilita’ agli

agenti  allergizzanti. L’effetto irritante e’ strettamente dipendente

dalla  composizione chimica del particolato. E’ anche ormai accertato

il diretto rapporto tra elevata concentrazione di particolato e tasso

di  mortalita’ per complicanze polmonari che si verificano nei giorni

successivi ad elevate concentrazioni: sono soprattutto gli anziani, i

bambini e le persone con malattie croniche dell’apparato respiratorio

ad  essere maggiormente colpite. Inoltre, alcuni studi epidemiologici

hanno   dimostrato  che  elevate  concentrazioni  di  PM10  non  solo

determinano  anticipi  sulla  mortalita’  (ovvero decessi in soggetti

compromessi  che  sarebbero  comunque avvenuti a breve) ma causano in

soggetti  sani patologie polmonari che possono cronicizzare e portare

a  morte  i soggetti stessi. L’aumento della morbilita’ inoltre porta

ad  un  incremento  della   spesa sanitaria (maggiore numero di visite

mediche,   di   ricoveri  ospedalieri,  di  assenze  dal  lavoro  per

malattia).

    Recenti   studi   epidemiologici   indicano   che  l’inquinamento

atmosferico nell’ambiente esterno delle 8 maggiori citta’ italiane ha

un  impatto  sanitario  rilevante  in termini di mortalita’, ricoveri

ospedalieri  per cause cardiovascolari e respiratorie e prevalenza di

malattie  respiratorie  (WHO-ECEH, 2000). I dati raccolti su numerosi

inquinanti  (monossido  di  carbonio,  biossido di azoto, biossido di

zolfo,  ozono,  benzene  e  polveri sospese) sono stati impiegati per

misurare  il  trend dell’inquinamento negli anni, mentre per la stima

dell’impatto sulla salute l’OMS si e’ avvalsa delle concentrazioni di

PM10.  Le  concentrazioni medie di PM10 misurate nelle citta’ oggetto

di studio sono superiori all’attuale obiettivo di qualita’ dell’aria,

che e’ pari a 40mu g/m3, valore attualmente in corso di revisione in

diminuzione.  Lo  studio  ha  preso in considerazione la mortalita’ a

lungo  termine ed altri effetti a medio e breve termine osservati nel

corso  di  un  anno (come i ricoveri ospedalieri, i casi di bronchite

acuta  e  gli  attacchi  d’asma  nei  bambini) ed e’ stato stimato il

carico di malattia potenzialmente prevenibile qualora si riuscisse ad

abbattere  le  concentrazioni  medie  di  PM10 a 30mu g/m3. E’ stato

stimato  che  riducendo  il  PM10  ad  una  media  di  30mu  g/m3 si

potrebbero  prevenire  circa  3.500  morti  all’anno  nelle  8 citta’

studiate.  Inoltre, riducendo le concentrazioni medie di PM10 a 30mu

g/m3,  migliaia di ricoveri per cause respiratorie e cardiovascolari,

e  decine di migliaia di casi di bronchite acuta e asma fra i bambini

al di sotto dei quindici anni, potrebbero essere evitati. In aggiunta

all’onere  legato  al  ricovero  e  cura  dei casi di malattia legati

all’inquinamento,   il   numero   stimato   di  giorni  di  attivita’

compromessa  a  causa  di  disturbi  respiratori (per persone di eta’

superiore  ai venti anni) e’ di oltre 2,7 milioni, cioe’ il 14,3% del

totale.

    Anche   la   qualita’   dell’aria  negli  ambienti  confinati  ha

ripercussioni  per  la  salute,  in  particolare  nei  bambini, negli

anziani  e  per  persone  gia’  affette da alcune patologie croniche.

Molti  materiali  da costruzione liberano nell’ambiente il gas radon,

sorgente  di  radiazioni  ionizzanti,  con  una  stima  di  possibile

riduzione  di 2-3% di casi di tumore polmonare a seguito di bonifica.

Un’indagine  campionaria  nazionale  ha stimato un valore medio nelle

abitazioni  italiane  (e  scuole) di 70-75 Bq/mc, piu’ alta che negli

USA  (46  Bq/mc)  e in Germania (50 Bq/mc). Valori di 200 e 100 Bq/mc

erano raggiunti rispettivamente nel 4% e nell’1% delle abitazioni. Si

stima  che  alle  esposizioni  a  radon  in Italia siano attribuibili

1.500-6.000  casi  annui  di cancro polmonare. Le evidenze di effetti

cancerogeni  su  altri  organi  bersaglio  sono contraddittorie e non

consentono alcuna stima.

    Oltre a cio’, in Italia sono stimati in:

      oltre 200.000 i casi prevalenti di asma bronchiale in bambini e

adolescenti,  causati  da allergeni (acari, muffe, forfore animali) e

da esposizione a fumo di tabacco ambientale;

      oltre  50.000  i  casi  incidenti  di infezioni acute delle vie

aeree (principalmente da fumo di tabacco ambientale);

      circa  un migliaio gli infarti del miocardio da fumo di tabacco

ambientale;

      oltre 200 i decessi per intossicazione acuta da CO.

    Materiali  da  arredo  e  un grande numero di prodotti di consumo

liberano  sostanze  tossiche,  come  i  composti organici volatili, e

possono  essere  causa  di  fenomeni  allergici.  Anche il microclima

caldo-umido delle abitazioni, favorisce la crescita degli acari e dei

funghi  nella  polvere  domestica.  Infine,  alcuni composti chimici,

anch’essi  presenti  negli ambienti confinati, sono noti o sospettati

quali  cause di irritazione o stimolazione dell’apparato sensoriale e

possono  dare vita ad una serie di sintomi comunemente rilevati nella

cosiddetta «Sindrome da Edificio Malato» .

    Per  quanto  riguarda  gli  aspetti  essenziali  di prevenzione e

protezione  ambientale nelle aree urbane e’ prioritario assicurare il

rispetto  delle vigenti normative in materia di livelli consentiti di

inquinanti  atmosferici  e  adoperarsi  per abbattere ulteriormente i

livelli del PM10 e degli altri inquinanti. Il conseguimento di questo

obiettivo  richiede  una serie complessa di interventi essenzialmente

relativi   al   traffico   automobilistico   e   agli   impianti   di

riscaldamento.

    In particolare, e’ importante:

      ridurre l’inquinamento atmosferico da fonti mobili, utilizzando

strumenti  legislativi  e  fiscali,  migliorando  le  caratteristiche

tecniche dei motori dei veicoli e la qualita’ dei carburanti;

      ridurre    l’inquinamento    atmosferico    da   fonti   fisse,

identificando  le  fonti inquinanti, migliorando i processi tecnici e

cambiando i combustibili.

    A causa della struttura particolare delle citta’ italiane, questi

due  tipi  di  interventi  dovrebbero  prevedere restrizioni severe e

regolamentazione   del   traffico   nelle  aree  urbane,  tenendo  in

considerazione  tutte  le  tipologie  di veicoli esistenti compresi i

ciclomotori. Questi ultimi contribuiscono significatamene all’aumento

delle concentrazioni di inquinanti pericolosi, come il benzene.

    Per  quanto  riguarda  l’inquinamento  dell’aria  negli  ambienti

confinati,  significativi  benefici  per  la  salute sono prevedibili

dall’attuazione  di  programmi di riduzione all’esposizione al radon,

basati  prioritariamente  sull’aumento del numero di edifici pubblici

sottoposti a misurazioni e a bonifica.

    Il  recente  accordo  approvato  dalla  Conferenza  Stato-Regioni

(27 settembre  2001, n. 252) indica le Linee Guida per la tutela e la

promozione  della  salute  negli  ambienti  confinati,  e rappresenta

quindi il documento di riferimento per gli obiettivi e gli interventi

in questo settore.

                                                            Tabella 1

        Gli inquinanti dell’aria: origini, sorgenti, effetti

                    sulla salute e sull’ambiente

    Benzene:  da un punto di vista tossicologico e’ classificato come

un   potente   cancerogeno.  Viene  emesso  quasi  integralmente  dal

trasporto  su  strada,  per lo piu’ direttamente (85%) e in parte per

evaporazione  durante il rifornimento di benzina o dai serbatoi delle

automobili.

    Biossido  di  zolfo: noto anche come anidride solforosa, si forma

per  reazione  tra  lo zolfo contenuto in alcuni combustibili fossili

(carbone, oli minerali pesanti) e l’ossigeno atmosferico. Le fonti di

emissione   sono   soprattutto   gli   impianti   industriali   o  di

riscaldamento.   Il   composto  irrita  e,  ad  alte  concentrazioni,

danneggia  gli epiteli delle vie respiratorie superiori predisponendo

ad episodi infettivi acuti e cronici.

    Idrocarburi non metanici (composti organici volatili): nascono da

processi  di  combustione  incompleta o sono emessi da molti prodotti

chimici  (ad  esempio  solventi  e  vernici). I contributi principali

vengono  dal  traffico  veicolare e dalle industrie. Alcune classi di

composti   hanno   marcati   effetti   cancerogeni  (ad  esempio  gli

idrocarburi policiclici aromatici).

    Monossido  di  carbonio:  si forma per combustione incompleta dei

combustibili  a  base  carboniosa  (naturali  e  fossili).  Deriva da

sorgenti  industriali,  ma  soprattutto  dal  traffico  (marmitte non

catalizzate).   E’  un  potente  agente  tossico  perche’  blocca  la

capacita’ di trasporto di ossigeno nel sangue. Ad alte concentrazioni

provoca  dapprima malessere, disorientamento e infine stato di coma e

morte.

    Ossidi  di  azoto: sono composti di azoto e ossigeno generati nei

processi  di combustione ad alta temperatura, per reazione dell’azoto

e  dell’ossigeno naturalmente presenti in atmosfera. Vengono prodotti

dagli impianti di riscaldamento, dai cicli termici industriali, dalle

centrali  termoelettriche  e,  in  misura  oggi  considerevole  dagli

autoveicoli.  Provocano  disturbi   alle  vie  respiratorie profonde e

causa   maggiore   predisposizione  alle  infezioni  soprattutto  nei

soggetti affetti da patologie polmonari.

    Ozono:  si  origina  per  processi  fotochimica (dipendenti cioe’

dalla  radiazione  solare)  partendo da ossidi di azoto e da composto

organici  volatili  (idrocarburi  non  metanici).  E’  un  inquinante

secondario  cioe’ non e’ emesso in quanto tale, ma si forma a partire

da altri inquinanti (primari). Essendo un potente ossidante attacca i

tessuti  delle   vie aree, provoca disturbi alla respirazione, aggrava

gli  episodi  di  asma.  E’ particolarmente dannoso alla vegetazione,

producendo  cali  di  rese  in  molte colture agricole e defoliazione

nelle foreste.

    Particolato  aerodisperso:  conosciuto anche come «polveri totali

sospese»  (PTS);  puo’  avere origini naturali (erosione dei suoli) o

antropiche (combustibili legneo-cellulosici o fossili, eccetto il gas

naturale).  Il  particolato  entra nelle vie respiratorie spingendosi

tanto  piu’  verso quelle profonde quanto minore e’ il diametro delle

particelle  che  lo  costituiscono.  Ha  azione  irritante  nelle vie

respiratorie superiori (faringe), ma nel sistema broncopolmonare puo’

rilasciare   composti   tossici  producendo  o  aggravando  patologie

respiratorie o svolgendo anche azione cancerogena.

    Piombo: veniva impiegato come additivo delle benzine tradizionali

sotto  forma  di  composti metallo-organici (piombo tetraetile) usati

come  anti  detonanti.  Il  piombo viene rintracciato nel particolato

aerodisperso  e proviene in prevalenza dalle vecchie benzine «rosse».

E’  un  elemento  tossico e provoca alterazioni nel sistema nervoso e

patologie neurologiche.

    PM10:   Le   cosiddette  «polveri  fini»  sono  costituite  dalle

particelle  aerodisperse  di  diametro inferiore ai 10 micrometri (10

millesimi  di  millimetro)  e  pertanto  classificate  come  PM10 (da

Particulate  Matter  <  10  micrometri).  Data  la loro piccola massa

restano piu’ a lungo sospese in atmosfera e, a causa del loro piccolo

diametro,  sono  in  grado  di  penetrare  nelle  vie  aeree profonde

(bronchi  e  polmoni) depositandovi gli elementi e i composti chimici

da  cui  sono  costituite,  quali  metalli  pesanti e idrocarburi. Il

rischio  tossicologico  associato  al  PM10 e’ percio’ elevato. Da un

recente  studio  epidemiologico  condotto  su  un  campione di citta’

statunitensi e’ emerso che un incremento di 10 microgrammi/metro cubo

nella  concentrazione  atmosferica  di  PM10 provoca un aumento dallo

0,5%  allo  0,7%  delle cause generali di morte. E’ un corrispondente

incremento  dei  decessi  dovuti  a  patologie  cardio  respiratorie.

Analoghi studi condotti su citta’ europee, hanno evidenziato dati che

se  applicati  (con  tutte  le  incertezze  e cautele del caso) a una

citta’  media  europea  di  un  milione  di abitanti che registri una

concentrazione  media  di  polveri  fini di 50 microgrammi/metro cubo

rispetto al valore limite indicato dalla recente direttiva europea di

40  microgrammi/metro  cubo  (tale   e’  il  caso  di  alcune  tra  le

principali  citta’  italiane),  implicherebbero  un incremento di 500

decessi  annui e un controvalore economico per le giornate lavorative

perdute di almeno 20 milioni di euro per anno.

    4.2.1. L’amianto

    Ogni  anno circa 1000 italiani muoiono per mesotelioma pleurico o

peritoneale  causati  prevalentemente  dall’esposizione  ad amianto e

altri  1000  per  cancro  polmonare  attribuibile  all’amianto. Nello

stesso periodo di tempo si verificano circa 250 casi di asbestosi. E’

documentata anche la comparsa di mesoteliomi a seguito di esposizione

ambientale  non  lavorativa in residenti in aree prossime a pregressi

impianti  di  lavorazione  dell’amianto  o a cave in soggetti che non

sono  mai  stati addetti alla lavorazione dell’amianto. Dati i lunghi

periodi  di  latenza,  gli  effetti  dell’amianto, in misura simile a

quella  riscontrata  negli anni ’90, sono destinati a prolungarsi nel

tempo  anche  se,  per  effetto della legge 27 marzo 1992, n. 257, in

Italia   non   sono   piu’   consentite   attivita’   di  estrazione,

importazione,   commercio  e  esportazione  di  amianto  e  materiali

contenenti amianto.

    Vi  e’,  poi,  un  numero  difficilmente  stimabile di lavoratori

esposti per la presenza di amianto come isolante in una molteplicita’

di  luoghi  di  lavoro  (quali ad esempio industria chimica, bellica,

raffineria, metallurgia, edilizia, trasporti, produzione di energia),

ed  un numero anch’esso difficilmente stimabile di soggetti residenti

in prossimita’ di stabilimenti nei quali e’ stato lavorato l’amianto.

Il  censimento  di queste situazioni, previsto dalla citata legge del

1992,  procede  con lentezza, ed in assenza di dati attendibili sulla

mappa delle esposizioni, anche le attivita’ di risanamento ambientale

procedono in modo relativamente frammentario ed episodico.

    E’  quindi  prioritaria una piu’ idonea strategia per la bonifica

dei  siti  dove  si lavorava amianto e una verifica della presenza di

residui di amianto nelle vicinanze degli stessi.

    E’  necessario,  poi,  elaborare  ed  adottare  d’intesa  con  le

Regioni,  Linee  Guida  che  indirizzino  l’attivita’ delle strutture

sanitarie  a  fini di prevenzione secondaria e sostegno psico-sociale

delle  persone  esposte  in  passato  ad  amianto.  Presentano  anche

carattere  prioritario  l’aggiornamento  e  l’estensione  degli studi

epidemiologici  che, insieme alla mappatura delle esposizioni attuali

e  pregresse,  possano  fornire  basi  piu’ solide agli interventi di

risanamento   ambientale  e  criteri  per  il  sostegno  sanitario  e

psicologico alle popolazioni esposte.

    4.2.2. Il benzene

    Per  quanto  riguarda  il  benzene, nota sostanza cancerogena per

l’uomo,  l’esposizione  avviene  principalmente nell’ambiente esterno

urbano  a causa degli scarichi dei motori a combustione a benzina. Il

benzene  puo’  essere emesso sia come prodotto di combustione (che si

forma   a  partire  dai  componenti  della  benzina,  in  particolare

idrocarburi  aromatici),  sia  in  forma  di sostanza incombusta, per

evaporazione  dal  carburatore,  dal  serbatoio  e da altre parti dei

veicoli.

    Un’altra  sorgente  di  rilievo in ambito urbano e’ rappresentata

dalla  distribuzione,  dall’immagazzinamento e dalla manipolazione di

carburanti contenenti benzene.

    Per  quanto  concerne  specificamente  gli ambienti interni degli

edifici,  le  sorgenti  di  maggior  rilievo  risultano essere alcuni

prodotti  di  consumo,  come  adesivi,  materiali  di  costruzione  e

vernici.  L’emissione  di tali prodotti e’ funzione della temperatura

e, in particolare nel caso delle vernici, decresce con il tempo.

    Inoltre,  il  fumo  di sigaretta contiene quantitativi di benzene

significativi e considerevolmente variabili.

    L’evaporazione    del    benzene   ha   anche   influenza   sulle

concentrazioni indoor attribuibili a parcheggi interni agli edifici e

sull’esposizione  all’interno  delle  auto.  Uno  dei problemi tipici

degli  ambienti urbani italiani e’ quello della elevatissima densita’

di  auto parcheggiate in quasi tutte le strade, a cui corrisponde una

considerevole  emissione evaporativa dai serbatoi e altre parti delle

auto.

    Ulteriori condizioni nelle quali si puo’ realizzare l’esposizione

al  benzene  sono  quelle  particolari  di  alcuni ambienti di lavoro

quali, ad esempio, l’industria della gomma.

    L’obiettivo   di   ridurre  l’esposizione  al  benzene  e’  stato

perseguito  con  successo  attraverso  la riduzione del benzene nella

benzina,  ma  e’  indispensabile  continuare  con  determinazione gli

sforzi  intrapresi.  I  dati  disponibili non indicano in modo chiaro

quanto  la  catalizzazione  delle  auto  abbia  contribuito a ridurre

l’emissione  di  benzene,  anche  se  certamente  vi  sono  stati dei

significativi  benefici.  Una valutazione appropriata della possibile

riduzione futura delle emissioni in rapporto al cambiamento del parco

auto  e’ essenziale a fini strategici per comprendere quali obiettivi

siano  effettivamente  conseguibili  in  tal  modo. Appare, comunque,

importante   prevedere   un   qualche   sistema  di  controllo  della

funzionalita’  dei  dispositivi di abbattimento. In base ai dati oggi

forniti  dai sistemi di monitoraggio, non sembra al momento possibile

prescindere  da  una  riduzione  e  razionalizzazione  del  traffico,

quantomeno nelle aree critiche.

    Le  concentrazioni  indoor, oltre che dall’ovvia eliminazione del

fumo di tabacco dagli ambienti di vita e di lavoro, potrebbero essere

prevedibilmente   ridotte   da   un’ottimizzazione   dei  sistemi  di

parcheggio  delle  auto  all’interno  degli  edifici,  con sistemi di

ventilazione   ed  aerazione  e  altri  metodi  utili  a  ridurre  la

penetrazione del benzene nelle abitazioni a partire dai luoghi in cui

sono posteggiate le auto.

    E’,  infine, indispensabile realizzare idonee reti di rilevazione

per il benzene con particolare riferimento alle aree urbane.

4.3. La carenza dell’acqua potabile e l’inquinamento

    In  Italia  solo  i  due terzi della popolazione riceve quantita’

sufficienti  di  acqua  per tutto l’anno, circa il 13% degli Italiani

non  riceve  sufficienti quantita’ di acqua per un quarto dell’anno e

circa il 20% per due/tre quarti dell’anno.

    Inoltre,  in  molte  parti  d’Italia,  per  le quali vi sono dati

disponibili,  i  caratteri  organolettici dell’acqua come torbidita’,

colore,  odore  o sapore sono di bassa qualita’. La proporzione della

popolazione  che  non  beve  o  beve  raramente acqua di rubinetto e’

elevata in tutte le aree, soprattutto nelle Isole e nel Nord-Ovest.

     Per  quanto  riguarda  l’inquinamento,  sono  quasi  scomparse le

epidemie  idriche causate dai tradizionali patogeni quali Salmonella,

Shigella e Vibrio, ma permane problematica la valutazione del rischio

microbiologico   di   altri  agenti  biologici  patogeni  diffusibili

attraverso  l’acqua  potabile. Inoltre, la popolazione italiana resta

esposta,  attraverso  l’acqua  potabile,  a bassi livelli di numerosi

composti  chimici,  fra  i  quali  vi  sono  i  residui  dei prodotti

fitosanitari,  i  nitrati,  i  sottoprodotti della disinfezione delle

acque a fini di potabilizzazione e le cessioni da parte dei materiali

con  i quali sono state realizzate le reti di captazione, adduzione e

distribuzione dell’acqua all’utenza.

    Problemi  di  miglioramento  delle caratteristiche delle acque si

pongono,  inoltre,  per il parametro boro e per il parametro arsenico

poiche’  in  alcune  situazioni,  peraltro limitate e localizzate, e’

accertata la presenza di dette sostanze nelle acque in concentrazioni

superiori alle concentrazioni massime ammissibili, per cause connesse

alla natura geologica dei suoli.

    Per il prossimo futuro occorrera’ promuovere le seguenti azioni:

      riduzione  della quantita’ di prodotti impiegati in agricoltura

e   autorizzazione   dei   preparati  fitosanitari  a  minor  impatto

sull’ambiente e sulla salute umana;

      adozione  di  norme  per  la buona pratica agricola, al fine di

ottimizzare l’impiego dei fertilizzanti e minimizzare il loro impatto

sull’ambiente;

      promozione  di  un adeguato monitoraggio ambientale ed indagini

epidemiologiche  mirate,  con  particolare  riferimento ai potenziali

effetti  dei  contaminanti chimici dell’acqua potabile sulle funzioni

riproduttive umane;

      miglioramento delle tecnologie acquedottistiche;

      ottimizzazione della gestione e incentivazione della ricerca di

disinfettanti integrativi/alternativi del cloro e suoi composti;

      incremento   della   tutela   delle   acque   dai  processi  di

contaminazione urbana, agricola o industriale;

      intensificazione  dell’attivita’  di controllo dei contaminanti

chimici,  fisici  e  biologici  delle acque potabili con l’esclusione

dell’erogazione delle acque non conformi.

4.4. Le acque di balneazione

    La  normativa  italiana  relativa   al  controllo  delle  acque di

balneazione   ha   fissato,  per  gli  indicatori  microbiologici  di

contaminazione  fecale,  valori limite piu’ restrittivi rispetto alla

direttiva  europea  attualmente  in  vigore.  Inoltre,  la  normativa

italiana  considera  «acque  di  balneazione» le acque nelle quali la

balneazione  e’  espressamente  autorizzata  dalle  Autorita’  e  non

vietata,  mentre  la  direttiva  europea  stabilisce  che  «acque  di

balneazione»  sono  da  considerarsi  quelle  dove  la balneazione e’

praticata  da «un congruo numero di bagnanti». Questo comporta che in

Italia,    tranne   le   zone   non   idonee   per   motivi   diversi

dall’inquinamento  e  quelle  verificate non idonee per inquinamento,

tutte le acque siano considerate «acque di balneazione».

    A  causa  di  cio’  il  nostro  Paese  ha  un  numero di punti di

campionamento  controllati  di gran lunga superiore a qualsiasi altro

Paese dell’Unione Europea.

    L’osservazione  dei  dati  raccolti negli ultimi anni, durante le

campagne  di controllo svolte in base al Decreto del Presidente della

Repubblica  8 giugno  1982,  n.  470, porta a riconoscere un generale

miglioramento   della   qualita’  delle  acque  delle  zone  costiere

italiane, valutato in funzione dei chilometri di costa controllata.

    L’ulteriore   miglioramento   della   qualita’   delle  acque  di

balneazione   passa  attraverso  la  riduzione  della  contaminazione

ambientale, un opportuno ed idoneo trattamento di tutti gli scarichi,

urbani   e   non,   un’adeguata   progettazione   degli  impianti  di

depurazione, ed il censimento regolare e continuativo degli scarichi.

4.5. L’inquinamento acustico

    L’inquinamento  acustico  causato  dal traffico, dalle industrie,

dalle  attivita’  ricreative interessa circa il 25% della popolazione

europea,  provocando sia disagi che danni alla salute. Infatti, anche

se  le conseguenze dell’esposizione al rumore a bassi livelli variano

da  individuo  ad individuo, un’esposizione prolungata nel tempo, che

raggiunge  determinati valori di pressione sonora, e’ causa, in tutta

la   popolazione,   di   effetti   nocivi  sull’organo  dell’udito  e

sull’intero   organismo.   Per  un’esposizione  ad  elevati  livelli,

protratta  per  anni,  quale  puo’ riscontrarsi in alcuni ambienti di

lavoro,  si  registra  un  abbassamento  irreversibile  della  soglia

uditiva.  Anche  in  relazione  a esposizione a piu’ bassi livelli di

rumore  si  registrano  nell’intero  organismo,  secondo il perdurare

dello  stimolo, una serie di modificazioni a carico di vari organi ed

apparati.

    Numerose indagini dimostrano che nella maggior parte delle citta’

italiane  esaminate  i  livelli  di  rumore sono superiori ai livelli

massimi  previsti dalle norme vigenti sia di giorno che di notte. Per

quanto  riguarda l’esposizione al rumore negli ambienti di lavoro, si

puo’  stimare,  in  maniera  conservativa,  che  la  popolazione  dei

lavoratori  esposti a piu’ di 90 dB(A) di Leq (Livello Equivalente di

pressione sonora) sia pari almeno alle 100.000 unita’, e le ipoacusie

professionali  rimangono di gran lunga la prima tecnopatia in Italia,

contribuendo  con piu’ del 50% al totale delle malattie professionali

indennizzate.

    Da  quanto  esposto  scaturisce  con  urgenza  la  necessita’  di

interventi,  sia negli ambienti di lavoro che negli ambienti di vita,

finalizzati alla riduzione dell’esposizione al rumore.

    Per  quanto  riguarda  gli  ambienti  di vita, la limitazione del

traffico  veicolare e’ soltanto uno degli strumenti per migliorare la

qualita’  ambientale,  e  deve  essere  integrata  con  altre  azioni

individuabili   a   livello  locale,  nazionale,  comunitario:  dalla

pianificazione    urbanistica,    alla   viabilita’   e   conseguente

regolamentazione   dei   flussi   di   traffico,   al   potenziamento

dell’attivita’   di   controllo   e   repressione  dei  comportamenti

eccessivi, agli incentivi economici per lo svecchiamento dei mezzi di

trasporto  pubblici  e  privati,  al  finanziamento dell’attivita’ di

ricerca  per  lo sviluppo di veicoli a basse emissioni di inquinanti,

alla  zonizzazione  acustica (classificazione del territorio comunale

in  6  classi  in base ai livelli di rumore), al piano di risanamento

acustico comunale.

    Per  quanto  riguarda  l’esposizione  negli  ambienti  di lavoro,

quattro  sono  i  livelli  di  azione  da  intraprendere  per ridurre

l’incidenza sulla salute di questo fattore di rischio:

      migliorare gli standard di sicurezza e tutela aziendali tramite

una piu’ corretta e puntuale applicazione della vigente legislazione;

      incrementare l’azione di vigilanza a livello territoriale sulla

corretta applicazione della vigente legislazione in materia;

      completare  l’emanazione  dei  decreti  attuativi  previsti dal

Decreto Legislativo 15 agosto 1991, n. 277;

      attuare  una  politica  di  incentivazione  e  di sostegno alle

aziende   che   vogliono   attuare   interventi  di  riduzione  della

rumorosita’ negli ambienti di lavoro.

    I  macrosettori produttivi ai quali dovrebbero essere indirizzati

i  maggiori  sforzi sono quello metalmeccanico, quello edile e quello

estrattivo.

4.6. I campi elettromagnetici

    Negli  ultimi  anni  si e’ verificato un aumento senza precedenti

del numero e della varieta’ di sorgenti di campi elettrici, magnetici

ed  elettromagnetici  utilizzate  a  scopo individuale, industriale e

commerciale. Tali sorgenti comprendono, oltre le linee di trasposto e

distribuzione   dell’energia   elettrica,   apparecchiature  per  uso

domestico,   personal  computers  (dispositivi  operanti  tutti  alla

frequenza  di  50  Hz),  telefoni  cellulari con le relative stazioni

radio  base,  forni  a  microonde,  radar  per  uso civile e militare

(sorgenti   a   radio   frequenza   e   microonde),   nonche’   altre

apparecchiature  usate  in  medicina, nell’industria e nel commercio.

Tali   tecnologie,   pur   di   grande  utilita’,  generano  continue

preoccupazioni per i possibili rischi sanitari della popolazione.

    Per quanto riguarda i campi a frequenza estremamente bassa (ELF),

l’esposizione  dell’uomo e’ principalmente collegata alla produzione,

alla  distribuzione  ed all’utilizzazione dell’energia elettrica. Nel

1998,  il  gruppo di esperti internazionali del National Institute of

Environmental  Health  Sciences  (USA)  ha  affermato  che,  usando i

criteri  stabiliti  dalla  Agenzia  Internazionale per la Ricerca sul

Cancro  (IARC),  i  campi  ELF  dovrebbero  essere  considerati  come

«possibili  cancerogeni».  Possibile cancerogeno per l’uomo significa

che  esistono  limitate  evidenze scientifiche sulla possibilita’ che

l’esposizione  a  campi ELF possa essere associata all’insorgenza dei

tumori. Sulla base di queste valutazioni di esposizioni e della stima

del livello di rischio di leucemia per l’infanzia, e’ stato calcolato

che  ogni  anno  si  potrebbero  verificare  1,3  (95%  intervallo di

certezza:  0 – 4,1) casi aggiuntivi di leucemia infantile collegabili

alla vicinanza delle abitazioni a linee elettriche ad alta tensione e

26,7  casi  (95%  intervallo  di  certezza:  3,9  – 57,3) collegabili

all’esposizione    nelle    case.    Tali   dati   corrisponderebbero

rispettivamente  a  valori  che variano da 0,3% a 6,1% del totale dei

432 casi di leucemia infantile che si verificano ogni anno in Italia.

Restano, tuttavia, ovvie incertezze sul rapporto causa-effetto.

4.7. Lo smaltimento dei rifiuti

    Il  rischio  per  la  salute  si manifesta anche quando risultano

assenti  o  inadeguati i processi di raccolta, trasporto, stoccaggio,

trattamento  o  smaltimento   finale  dei  rifiuti,  nonche’ quando lo

smaltimento  avviene senza il rispetto delle norme sanitarie rigorose

previste  dalle  norme  vigenti.  La  mancata  raccolta  dei  rifiuti

costituisce  una  causa  importante di deterioramento del benessere e

dell’ambiente  di  vita. I rifiuti, qualora non vengano adeguatamente

smaltiti,  possono  contaminare  il  suolo  e le acque di superficie.

L’esalazione   di   metano   dai  siti  di  interramento  non  idonei

rappresenta  un  rischio  di  incendio  ed  esplosioni.  Tuttavia, se

trattati  adeguatamente,  i  rifiuti  possono  costituire  una  fonte

combustibile.  Le  emissioni  in  atmosfera  in  strutture  atte alla

produzione  di compost e negli impianti di incenerimento dei rifiuti,

qualora  non  opportunamente abbattute, sono state identificate quali

fattori di rischio per la salute dei lavoratori addetti.

    La  discarica  rimane  il sistema piu’ diffuso di smaltimento dei

rifiuti,  sia perche’ i costi sono ancora oggi competitivi con quelli

degli  altri  sistemi sia perche’ l’esercizio e’ molto piu’ semplice.

La  discarica  controllata, se ben condotta, non presenta particolari

inconvenienti,  purche’  sia  ubicata  in un idoneo sito e sia dotata

degli  accorgimenti  atti ad evitare i pericoli di inquinamento che i

rifiuti possono provocare in via diretta ed indiretta.

    I principali obiettivi in questo settore sono:

      l’adozione  di  un  regime di smaltimento dei rifiuti urbani ed

industriali,  che  minimizzi  i  rischi  per  la  salute dell’uomo ed

elimini i danni ambientali;

      l’attivazione di azioni educative per ridurre la produzione dei

rifiuti;

      l’incentivazione della gestione ecocompatibile dei rifiuti, con

particolare riferimento al riciclaggio;

      l’incremento   delle   attivita’    di   tutela  ambientale  per

l’individuazione  delle  discariche  abusive  e  delle altre forme di

smaltimento non idonee;

      il  monitoraggio  accurato  delle  emissioni  inquinanti  degli

impianti di incenerimento.

4.8. Pianificazione   e   risposta    sanitaria   in  caso  di  eventi

terroristici ed emergenze di altra natura

    Negli  ultimi  anni,  ed in particolare nel corso del 2001, si e’

presentato  in forme nuove la minaccia del terrorismo con uso di armi

non  convenzionali.  Gli  episodi  di bioterrorismo sono diventati un

rischio  piu’  plausibile  per  molti  Paesi occidentali, ivi inclusa

l’Italia.

    Risposte  rapide  ed  efficaci  a  questo tipo di emergenze, come

d’altra  parte  ad  altre  emergenze  associate,  ad esempio, a gravi

incidenti   chimici   o  a  disastri  naturali,  non  possono  essere

assicurate  se  non  esiste  un’attivita’  di preparazione continua a

monte  dell’evento.  Questo  e’  particolarmente vero per il Servizio

Sanitario, specie nelle grandi citta’ ove e’ piu’ elevato il rischio,

e  dove  i  servizi sono, di norma, gia’ saturi di richieste e spesso

troppo rigidi per adattarsi in tempi brevi alle emergenze.

    Anche  se  la  risposta  ad  eventuali attacchi terroristici e ad

altre  emergenze  non e’ solo di competenza del settore sanitario, e’

ovvia  la necessita’ di preparare e, quando necessario, mobilitare il

servizio  sanitario  alla  cooperazione  con le forze di soccorso, di

difesa e di ordine interno, a seconda del caso.

    Il   sistema   di  emergenza  118,  gli  Ospedali  e  le  ASL,  i

dipartimenti  di  prevenzione,  i  laboratori  diagnostici,  i Centri

anti-veleni e le Agenzie regionali per l’ambiente, unitamente all’ISS

ed  all’ISPESL,  sono  alcuni dei soggetti che devono collaborare per

sviluppare un’adeguata rete di difesa e protezione sanitaria. In sede

locale, un piano di interventi sanitari contro il terrorismo ed altri

gravi  eventi non puo’ pertanto che risultare dalla progettualita’ di

ciascuna  Regione  e dall’efficacia e dall’efficienza delle attivita’

svolte dalle diverse articolazioni in ciascuna Azienda Sanitaria.

    Per garantire una pronta risposta sanitaria di fronte a possibili

aggressioni  terroristiche  di  natura chimica, fisica e biologica ai

danni  del  nostro Paese sono state gia’ assunte iniziative a livello

centrale  e locale, che hanno consentito di superare il primo momento

dell’emergenza.

    Fra  le  iniziative  piu’  importanti  assunte  immediatamente  a

ridosso dei tragici eventi dell’11 settembre 2001:

      e’ stata costituita, con Decreto Ministeriale 24 settembre 2001

un’apposita  Unita’  di  crisi  che,  fra  l’altro,  ha  elaborato il

protocollo  operativo  per  la  gestione  della minaccia terroristica

derivante da un eventuale uso del bacillo dell’antrace;

      sono  stati  individuati,  d’intesa  con  le  Regioni,  l’ISS e

l’ISPESL,  come Centri di consulenza e supporto, rispettivamente, per

gli eventi di natura biologica e chimico-fisica e per gli ambienti di

lavoro;  l’Ospedale  L.  Sacco  di  Milano, l’IRCSS L. Spallanzani di

Roma,  il  Policlinico  di  Bari  e  il  Presidio Ascoli Tomaselli di

Catania,  quali  Centri  nosocomiali  di  riferimento per il supporto

clinico  nonche’  l’Istituto  Zooprofilattico  Sperimentale di Foggia

quale  centro di riferimento per il controllo analitico del materiale

sospetto  (alla  data del 15 febbraio 2002 sono stati analizzati 1876

campioni di materiale sospetto);

      e’  stato  istituito  un numero telefonico verde dedicato tanto

agli  operatori  sanitari  quanto ai singoli cittadini che, alla data

del 15 febbraio 2001, ha dato riscontro a 4.239 richieste pervenute;

      si  e’ provveduto al reperimento dei vaccini e altri medicinali

ritenuti essenziali;

      si  e’  fattivamente  collaborato in sede UE e G8 al necessario

coordinamento per la costruzione di una elevata capacita’ di risposta

sanitaria.

    Contestualmente,  si  e’ reso necessario predisporre altre misure

sanitarie  utili  per  far  fronte  ad altre situazioni ipotizzabili,

stabilendo l’idonea pianificazione degli interventi.

    In   linea   con   il  Piano  nazionale  di  difesa  da  attacchi

terroristici  di tipo biologico, chimico e radiologico, emanato dalla

Presidenza  del Consiglio dei Ministri, e’ stato, percio’, redatto un

documento di Piano che si articola in due parti: nella prima e’ presa

in  considerazione  la minaccia biologica; nella seconda, e’ trattata

la  minaccia chimica e radiologica. Ognuna di dette parti puo’, a sua

volta,  essere  considerata  come  sostanzialmente  suddivisa  in due

capitoli.   Nel   primo,   di   tipo   divulgativo,  vengono  fornite

informazioni  sui  criteri essenziali per l’identificazione di eventi

dannosi  a  seguito  di  atto terroristico, sui siti bersaglio, sugli

aggressivi   presumibilmente  utilizzabili  in  tali  scenari,  sulle

modalita’  patogenetiche di detti aggressivi, ipotizzando, in ultimo,

una  scala  di  gravita’  riferita alle caratteristiche specifiche di

ciascun   aggressivo  e  rapportata  alle  varie  tipologie  di  siti

bersaglio ed al numero di individui colpiti; nel secondo, a carattere

eminentemente  operativo, vengono enunciate considerazioni di massima

di tipo organizzativo in base alle quali possono essere sviluppate in

sede  locale  le  procedure  di intervento piu’ idonee. Nell’allegato

sono  riportate  le  schede  tecniche  relative  ad agenti biologici,

chimici   e   fisici   nonche’   approfondimenti   su   alcuni   temi

particolarmente  critici,  che  riprendono,  sviluppano  ed integrano

argomenti  ed  informazioni  gia’ esposti nella prima e nella seconda

parte del Piano.

    Il   documento   di   Piano,   redatto  con  l’apporto  dell’ISS,

dell’ISPESL  e della Direzione generale della Sanita’ Militare, tiene

conto  della  linea organizzativa prevista dalle vigenti disposizioni

in  materia  di  gestione delle crisi, che individuano nel Presidente

del Consiglio dei Ministri, nel Consiglio dei Ministri e nel Comitato

Politico  Strategico  gli organismi decisionali nazionali, nel Nucleo

Politico Militare il massimo organo di coordinamento nazionale, nella

Commissione  Interministeriale  Tecnica per la Difesa Civile l’organo

di  coordinamento tecnico delle attivita’ di difesa civile al momento

dell’emergenza  e  nel  Prefetto  l’autorita’  di coordinamento della

difesa  civile  a  livello   periferico.  Nel  rispetto dell’autonomia

organizzativa  e gestionale delle Istituzioni centrali e territoriali

che  potrebbero essere chiamate ad attivare operazioni di soccorso ai

cittadini,  il  documento  di  Piano  vuole offrirsi come un punto di

riferimento  per  le  successive fasi di pianificazione e di messa in

atto,  a  livello  territoriale, delle azioni volte alla tutela della

salute.

    Gli  obiettivi  strategici in questo settore sono sostanzialmente

riconducibili a:

      programmare le misure preventive;

      definire   le   misure   di   sorveglianza,   ovvero   attivare

preventivamente  le  funzioni  specifiche  e modellarle rispetto alla

minaccia;

      pianificare  le  misure  di  soccorso e trattamento, al fine di

ripristinare  le  condizioni  di  salute  dei  soggetti eventualmente

colpiti,  bonificare gli ambienti colpiti e/o i materiali contaminati

nonche’ contenere e/o inattivare il rischio residuo;

      diffondere  la cultura dell’emergenza e migliorare la capacita’

degli operatori a risposte pronte ed adeguate;

      incrementare   la   capacita’   informativa   a   favore  della

popolazione  (anche attraverso l’accesso al numero telefonico verde),

al  fine  di  accrescere la fiducia del cittadino e la conoscenza dei

comportamenti piu’ opportuni da adottare.

    Conseguentemente, le principali azioni da realizzare sono:

      predisporre  piani  operativi regionali, articolati in ciascuna

Azienda   Sanitaria,   che   individuino  le  funzioni  da  esperire,

specifichino  le  modalita’ di svolgimento ed identifichino i diversi

livelli di responsabilita’;

      approntare  adeguate  attrezzature,  risorse  e  protocolli per

affrontare i diversi scenari di emergenza;

      adottare  procedure  operative standard per la risposta a falsi

allarmi;

      intensificare  l’aggiornamento  e  la  formazione  di operatori

sanitari;

      sviluppare   le   indagini   epidemiologiche  e  potenziare  il

collegamento e l’integrazione tra diversi sistemi informativi.

4.9 Salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro

    Una profonda trasformazione delle condizioni di lavoro e’ in atto

in   tutti  i  settori  lavorativi  a  causa  dell’impiego  di  nuove

tecnologie  e  del conseguente cambiamento dei modelli di produzione.

Inoltre  la  competitivita’  del  mercato  ha determinato la graduale

introduzione di nuovi modelli organizzativi e operativi.

    Nel settore della sicurezza e della salute occupazionale cio’ sta

determinando  la  comparsa  di  nuovi rischi e induce una progressiva

modificazione dei modelli tradizionali di esposizione al rischio.

    La     mutata     organizzazione    del    lavoro    (telelavoro,

esternalizzazione   della   produzione),  la  comparsa  e  il  rapido

incremento  di  nuove tipologie di lavoro flessibile (lavori atipici,

lavoro  interinale)  e le diverse caratteristiche della forza lavoro,

introducono  modifiche  nella  distribuzione e diffusione dei rischi.

Nel  frattempo  permangono  in  numerosi  settori lavorativi i rischi

tradizionali, non sempre e non diffusamente risolti.

    Negli  ultimi  anni  si  e’  inoltre  profondamente modificata la

normativa  di  riferimento, con l’avvento delle direttive comunitarie

ed  in  particolare  con  il  decreto legislativo n. 626 e successive

modifiche  che hanno introdotto varie innovazioni nell’organizzazione

della  sicurezza  e  della  salute  nei  luoghi  di  lavoro ma la cui

applicabilita’  non  sempre  e’  risultata agevole, soprattutto nella

Piccola  e  Media  Impresa  (PMI).  Ciononostante  il  ruolo centrale

dell’impresa   nei   processi   di   valutazione   dei  rischi  e  di

organizzazione e gestione della sicurezza e’ risultato rafforzato.

    Cio’  comporta  quindi  nuove dinamiche anche nei rapporti tra il

sistema  delle  imprese  e  quello  dello  Stato e delle Regioni. Per

quanto  concerne  il  primo,  e’  necessario  che  sia  completato il

processo  di  adeguamento alle norme e siano potenziati gli strumenti

della partecipazione previsti dal decreto legislativo n. 626.

    Per  quanto concerne il sistema pubblico, cui compete il ruolo di

promozione,  regolazione, verifica e controllo, si pone l’esigenza di

una  strategia  di  pianificazione e intervento in ordine a una reale

promozione  della  sicurezza  e  della  salute  nelle Piccole e Medie

Imprese.  Altrettanto  significativa e’ la necessita’ di una migliore

integrazione con l’attivita’ delle Agenzie Regionali per l’ambiente.

Gli infortuni

    Il  fenomeno  infortunistico,  nonostante  mostri una complessiva

affermazione  se osservato sul lungo periodo, appare ancora rilevante

in  termini  sia  di  numero  di eventi sia di gravita’ degli effetti

conseguenti.  L’andamento  infortunistico  dell’anno  2000 mostra una

modesta  crescita del numero degli infortuni nell’Industria e Servizi

(+1,2%),  con  riduzione  peraltro  degli  infortuni  mortali,  e una

diminuzione in Agricoltura (-7,4%). Tale andamento e’ in linea con la

crescita occupazionale registrata nell’ultimo periodo.

    I  settori  a maggior incidenza infortunistica (tenendo conto sia

della  frequenza  sia  della  gravita’  delle  conseguenze),  pur con

andamenti non costanti in tutte le regioni, rimangono l’industria del

legno,  quella  dei  metalli,  l’industria della trasformazione ed il

settore delle costruzioni.

    A  conferma  di  una  tendenza degli ultimi anni, una parte assai

rilevante  (piu’  del  50%)  dei  1.354  infortuni  mortali  e  degli

infortuni  particolarmente gravi e’ stata legata a mezzi di trasporto

e ad incidenti stradali.

    Per  quel  che  riguarda  il  2001,  i  dati  relativi  al  primo

trimestre,   mostrano   un   ulteriore   crescita   degli   infortuni

nell’industria   e  nei  servizi,  in  prevalenza  nella  popolazione

femminile. Permane il decremento generalizzato in agricoltura.

    Altro  aspetto  rilevante  e’  quello relativo alla sicurezza dei

lavoratori  in  «nero».  Applicando  gli  indici infortunistici della

popolazione  regolarmente occupata ai dati ISTAT sull’occupazione non

regolare  (anno  ’97)  e’ stato stimato che il numero degli infortuni

nel   «sommerso»   sia    pari  a  165.000  casi.  Tale  stima  appare

conservativa  in  quanto e’ presumibile che le attivita’ non regolari

vengano svolte senza alcuna applicazione delle norme di prevenzione.

    I  dati  relativi  agli  infortuni, su base regionale mostrano il

seguente andamento (Tab. 2):

                                                            Tabella 2

       Frequenze relative di infortunio (x 1.000 addetti) per

      regione e tipo di conseguenza (media triennio 1997-1999)

=====================================================================

                                 Tipo di conseguenza

=====================================================================

                    |     Inabilita’     |                     |

      Regioni       |     temporanea     |Inabilita’ permanente|Morte

=====================================================================

Industria e Servizi |                    |                     |

———————————————————————

Umbria               |       52.92        |        3.82         |0.08

———————————————————————

Emilia              |       49.63        |        2.21         |0.09

———————————————————————

Marche              |       48.81        |        3.01         |0.10

———————————————————————

Friuli-Venezia      |                    |                     |

Giulia              |       49.12         |        2.10         |0.09

———————————————————————

Basilicata          |       46.94        |        2.80         |0.14

———————————————————————

Veneto               |       47.90        |        1.60         |0.09

———————————————————————

Abruzzo             |       43.83        |        2.55         |0.12

———————————————————————

Liguria             |       42.57        |        2.69         |0.06

———————————————————————

Puglia              |       42.27        |        2.83         |0.15

———————————————————————

Toscana             |       41.53        |        2.44         |0.08

———————————————————————

Trentino-Alto Adige |       41.36        |        1.74         |0.07

———————————————————————

Molise              |       37.83        |        2.43         |0.15

———————————————————————

Sardegna            |       34.81        |        2.21         |0.12

———————————————————————

Valle d’Aosta       |       33.92        |        1.51         |0.11

———————————————————————

Piemonte            |       33.69        |         1.44         |0.07

———————————————————————

Lombardia           |       33.07        |        1.40         |0.06

———————————————————————

Calabria            |        28.89        |        2.38         |0.14

———————————————————————

Sicilia             |       26.64        |        1.92         |0.10

———————————————————————

Campania            |       25.12        |        2.55         |0.13

———————————————————————

Lazio               |       25.45        |        1.41         |0.07

———————————————————————

Italia              |       37.99        |        1.90         |0.09

Le malattie professionali

    Per   quanto   riguarda   le   malattie  professionali,  la  loro

valutazione  include  un  rapporto  stretto  tra lo studio dei rischi

attuali  e  pregressi e le tendenze in atto nelle patologie legate al

lavoro.

    Accanto   alle  patologie  da  rischi  noti  (prevalentemente  in

attenuazione),  acquistano  sempre  maggior  rilievo  le patologie da

rischi emergenti, non necessariamente legate a rischi nuovi, rispetto

alle  quali  sono  iniziati  approfondimenti soprattutto negli ultimi

anni.  Tra  queste  si  segnalano le patologie dell’arto superiore da

sovraccarico   meccanico,   le  patologie  da  fattori  psico-sociali

associate  a  stress  e  la  cancerogenesi professionale Tab. 3). Per

quanto riguarda quest’ultima, il recente studio multicentrico europeo

CAREX  stima  che  i  lavoratori  potenzialmente  esposti in Italia a

sostanze  cancerogene siano pari al 24% degli occupati, ed e’ stimato

in  160.000 il numero di morti per anno dovute a cancro e correlabili

a esposizioni lavorative.

                                                           Tabella 3a

                      Patologie da rischi noti

=====================================================================

            Industria             |           Agricoltura

=====================================================================

Ipoacusie da rumore               |Broncopneumopatie

Malattie cutanee                  |Asma bronchiale

Pneumoconiosi                     |Alveoliti allergiche

                                                           Tabella 3b

                    Patologie da rischi emergenti

Patologie dell’arto superiore da sovraccarico meccanico

Patologie  da  fattori  psico-sociali  associate  a stress (burn-out,

mobbing,   alterazioni   delle   difese   immunitarie   e   patologie

cardiovascolari)

Patologie da sensibilizzazione

Patologie da agenti biologici

Patologie da composti chimici (effetti riproduttivi e cancerogeni)

Tumori di origine professionale

Effetti sulla salute dei fattori organizzativi del lavoro

Obiettivi:

      riduzione  dei  rischi  per la sicurezza in particolare in quei

settori  contrassegnati da un maggior numero di eventi infortunistici

e da una maggiore gravita’ degli effetti;

      riduzione  dei rischi per la salute e progressivo miglioramento

delle condizioni di lavoro;

      riduzione  dei  costi  umani  ed economici conseguenti ai danni

alla salute dei lavoratori;

      riordino,  coordinamento  e  semplificazione  in un testo unico

delle  norme  vigenti in materia di igiene e la sicurezza del lavoro,

nel   rispetto   delle  normative  comunitarie  e  delle  prerogative

regionali, al fine dello snellimento delle procedure di applicazione;

      promozione di linee guida per l’applicazione della normativa in

settori specifici (PMI, agricoltura, lavori atipici);

      potenziamento  e coordinamento delle attivita’ di prevenzione e

vigilanza  rispetto  ai  processi  ed  alle procedure di lavoro anche

attraverso  il monitoraggio dell’applicazione del decreto legislativo

n. 626;

      programmazione  delle priorita’ d’intervento nei settori piu’ a

rischio in funzione degli studi epidemiologici e dei dati provenienti

da un adeguato sistema informativo;

      attuazione  di programmi per il contrasto del lavoro sommerso e

la  tutela  della sicurezza e la salute sul lavoro degli impiegati in

lavori atipici;

      azioni  per la specificita’ di genere sul lavoro a tutela delle

lavoratrici;

      azioni   per   l’inserimento   o  reinserimento  lavorativo  di

particolari  tipologie  di  lavoratori  come  i minori, i disabili, i

tossicodipendenti, gli immigrati;

      integrazione dei sistemi informativi;

      azioni  per la formazione dei soggetti deputati alla attuazione

della  sicurezza nei luoghi di lavoro (datori di lavoro, addetti alla

sicurezza,  medici  competenti  rappresentanti  dei  lavoratori)  ivi

compreso  il  personale del Servizio Sanitario Nazionale addetto alla

prevenzione e vigilanza nei luoghi di lavoro;

      promozione di programmi di formazione nella scuola;

      miglioramento   progressivo  dei  processi  di  verifica  della

qualita’   e   dell’efficacia  delle  azioni  di  prevenzione  basata

sull’evidenza;

      miglioramento  dell’accertamento  e  dell’evidenziazione  delle

malattie professionali;

      individuazione  di strumenti adeguati di carattere informativo,

tecnico ed economico per la corretta implementazione delle norme.

5. La sicurezza alimentare e la sanita’ veterinaria

    L’impatto  della  globalizzazione dei mercati sia sulla sicurezza

degli  alimenti  sia  sulla salute delle popolazioni animali e’ stato

considerevole.  Il  sistema Italia ha registrato notevoli difficolta’

di adattamento rispetto agli scenari che si sono venuti delineando in

seguito   alla   stipula   dell’Accordo   sulle  misure  sanitarie  e

fitosanitarie  (Accordo SPS) nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale

del  Commercio.  Questi  accordi  hanno  modificato  de facto in modo

radicale  una serie di impostazioni tradizionali nella gestione della

sicurezza   igienico-sanitaria.  Tali  difficolta’  sono,  per  certi

aspetti,  comuni a tutta l’Unione europea, ma in Italia l’adattamento

e’ risultato, sotto diversi aspetti, piu’ difficile.

    Molte  energie  sono  state assorbite dalla necessita’ di gestire

una  serie  di  emergenze  che  si  sono succedute negli ultimi anni.

Zoonosi causate da nuovi patogeni ed, in particolare, l’encefalopatia

spongiforme  bovina  (BSE)  hanno  costituito un serio problema negli

ultimi  anni  in  Italia  e  in  numerosi  altri Stati europei. Altre

recenti     crisi    sanitarie    hanno    investito    il    sistema

agrozootecnico-alimentare, quali la contaminazione da PCB, diossina e

altre  sostanze chimiche, nonche’ la febbre catarrale degli ovini, la

peste suina classica e l’influenza aviaria.

    Nonostante i successi registrati nel fronteggiare questi ed altri

problemi, la realizzazione di una rete di sorveglianza epidemiologica

nazionale  (come  componente primaria di una politica di gestione del

rischio  adeguata  alla  sfida  posta dall’internazionalizzazione dei

mercati),  malgrado  l’impegno profuso da parte di diverse componenti

del  sistema di Sanita’ pubblica veterinaria nazionale, non e’ ancora

sufficientemente sviluppata.

    Una  politica  di  sicurezza  degli  alimenti, soprattutto per un

Paese  come  l’Italia,  che  e’  membro  della Unione Europea e forte

importatore  sia  di animali e loro derivati sia di vegetali da tutto

il  mondo,  deve assumere come riferimento imprescindibile la realta’

del  mercato  globale delle materie prime e dei prodotti trasformati.

Inoltre,  le  grandi  trasformazioni  dei  sistemi  di  produzione  e

distribuzione  degli  alimenti richiedono anche sul piano nazionale e

locale  che  i metodi e l’organizzazione dei controlli si rinnovino e

si adeguino continuamente.

    Il controllo igienico-sanitario degli alimenti, in un contesto di

questo  tipo,  assume  connotati  completamente diversi rispetto alla

realta’  esistente  fino alla meta’ degli anni ’90. In particolare, i

controlli non sono piu’ concentrati sul prodotto, ma sono distribuiti

lungo  tutto  il  processo di produzione «dall’aratro al piatto» e le

garanzie  date dal produttore sono parte non esclusiva, ma certamente

determinante del sistema della sicurezza.

    In  questo senso deve essere inquadrato il recente accordo tra il

Ministro  della  Salute e la Federazione Italiana Pubblici Esercizi –

Confcommercio, che ha portato alla elaborazione di Linee Guida per la

Certificazione  delle  imprese  di  somministrazione  di  alimenti  e

bevande,  con  l’obiettivo  di  garantire una maggiore e piu’ diffusa

sicurezza   alimentare.   L’accordo   prevede   che   le  aziende  di

ristorazione   commerciale   e  collettiva  si  sottopongano  ad  una

periodica  verifica di conformita’ da parte di organismi accreditati,

al  cui  superamento  consegue  il rilascio di un marchio, denominato

«Bollino   Blu»:  questo  certifica  il  rispetto  dei  requisiti  di

sicurezza  alimentare  e  di  igiene  sanciti  dall’accordo,  nonche’

l’attivazione  della  Carta  dei  Servizi  nel  cui  contesto rientra

l’informazione  puntale  sugli  alimenti nonche’ la disponibilita’ ad

adattare  le preparazioni a corretti stili di vita per la prevenzione

delle malattie metaboliche e delle intolleranze alimentari.

    La  sicurezza  degli  alimenti,  pertanto, assume in concreto una

dimensione  internazionale  e  puo’ essere assicurata solo attraverso

un’azione  che  non  solo  si  basi  su  accordi  commerciali  bi-  o

multi-laterali,  ma  sia capace di influire sulle istanze comunitarie

ed  internazionali  dove  si  discutono  e  si approvano le norme che

regolano la sicurezza e la tutela igienico-sanitaria, degli scambi di

animali,  vegetali  e prodotti derivati. Paradossalmente, a fronte di

una  sempre  piu’  marcata  domanda  di  autonomia  istituzionale dei

livelli  locali dei sistemi di controllo, la sicurezza degli alimenti

diventa  sempre  piu’  dipendente dalla capacita’ di azione a livello

internazionale.

    Per  l’Italia  che  fonda parte importante del successo economico

delle  proprie imprese agro-alimentari sulla capacita’ di trasformare

materie  prime nazionali e di importazione in prodotti di alto pregio

qualitativo  da  collocare  sul  mercato  dei Paesi piu’ avanzati, la

capacita’  di  assicurare  alti  livelli  di  sicurezza delle filiere

produttive  diventa  non  solo elemento determinante per la sicurezza

dei  propri  consumatori,  ma  anche  per  lo  sviluppo economico. La

mancanza  o la percezione di mancanza di sicurezza igienico-sanitaria

degli  alimenti  puo’  indurre,  infatti, sconvolgimenti profondi del

mercato  agro-alimentare. La mancanza di fiducia dei consumatori, nel

contesto   di   una   forte  competizione,  puo’  portare  a  perdite

significative di quote di mercato.

    Il  sistema  dei  controlli  deve  assicurare  nel concreto delle

azioni  quotidiane  la  qualita’ dei processi, dalla produzione delle

materie   prime  alla  somministrazione,  per  consentire  la  libera

circolazione   delle   merci   e   la  concorrenza  sui  mercati.  In

particolare,  i  pericoli  insiti  nei  sistemi  di produzione devono

essere  individuati  e  eliminati  o  minimizzati  mediante  processi

trasparenti  e  documentati di analisi e gestione del rischio secondo

le  norme  internazionali  e  comunitarie  che regolano in modo molto

puntuale  il controllo della sicurezza degli alimenti, della salute e

del benessere degli animali.

    La  strategia  e  gli  obiettivi  da  perseguire,   in  materia di

sicurezza  degli alimenti e delle popolazioni animali, dunque, devono

necessariamente  tener conto del contesto internazionale, comunitario

e  nazionale.  Essi,  pertanto,  da  un  lato  devono  essere tali da

garantire  che  i  fornitori comunitari ed internazionali di animali,

materie  prime  e  prodotti,  operino  secondo  criteri  di sicurezza

equivalenti  a  quelli  attesi dai produttori e consumatori italiani.

Dall’altro, l’Italia deve essere in grado di garantire ai consumatori

nazionali  ed  a quelli dei Paesi che importano le derrate alimentari

prodotte  in  Italia  livelli  di  sicurezza  omogenei  del piu’ alto

tenore, su tutto il territorio nazionale.

    La  sicurezza  degli  alimenti  oggi  puo’ essere assicurata solo

attraverso  azioni  di  prevenzione,  eliminazione  e mitigazione del

rischio che iniziano nella fase di produzione agricola e si estendono

in  modo  integrato  nelle  fasi  di  trasformazione,  distribuzione,

conservazione  e  somministrazione. Livelli di sicurezza adeguati non

sono  raggiungibili  se  non  si  adottano misure operative integrate

concertate   e  verificate  a  livello  internazionale,  comunitario,

nazionale e locale.

    Gli obiettivi prioritari sono i seguenti:

      definire  una  politica  della sicurezza degli alimenti e della

salute  e  del  benessere degli animali basata sulla valutazione e la

gestione del rischio che consenta di uscire gradualmente dalla logica

dell’emergenza,  realizzando  una  politica  fondata su obbiettivi di

sicurezza e di salute misurabili e verificati;

      ridurre  i  rischi  connessi  al consumo degli alimenti ed alle

zoonosi,  assicurando  alti  livelli  di sicurezza igienico-sanitaria

degli alimenti ai consumatori italiani;

      ridurre  l’incidenza  delle  zoonosi e delle malattie diffusive

nelle   popolazioni   degli   animali   domestici,   con  particolare

riferimento  alle  infezioni  della lista A dell’OIE, alla brucellosi

bovina,  ovi-caprina  e  bufalina  ed  alla tubercolosi, nonche’ alle

encefalopatie spongiformi trasmissibili.

    Il perseguimento degli obiettivi posti richiede l’attenzione agli

strumenti   organizzativi   e   l’attuazione  di  numerosi  programmi

operativi. In particolare, e’ necessario garantire un sistema che:

      fornisca la consulenza ed il supporto tecnico e scientifico per

le  attivita’  di pianificazione e legislazione nei settori che hanno

un  impatto  diretto  o  indiretto  sulla  sicurezza  degli  alimenti

destinati  all’uomo  ed  agli  animali,  nonche’  sulla  salute ed il

benessere degli animali;

      rappresenti  l’interfaccia  operativa  nazionale dell’Autorita’

europea degli alimenti, che ha visto l’avvio con l’inizio del 2002, e

costituisce  un importante modello di coordinamento istituzionale dei

diversi  soggetti  tenuti  a  collaborare in vista del raggiungimento

dell’obiettivo   di   sicurezza   alimentare   nell’Unione   Europea.

All’Autorita’  europea,  soggetto  indipendente che agisce secondo il

principio  dell’elevata  qualita’ scientifica e della trasparenza, e’

attribuito  il  compito  fondamentale  dell’analisi  scientifica  del

rischio  su  cui  fondare  le  decisioni  politiche e amministrative.

L’Autorita’  Europea  cura  in particolare l’analisi scientifica e la

valutazione  del rischio, la comunicazione del rischio per consentire

una chiara comprensione dello stesso e delle implicazioni sottostanti

e il sistema di allerta;

      raccolga  e analizzi i dati che permettono la caratterizzazione

ed  il  monitoraggio dei rischi per la sicurezza alimentare che hanno

un  impatto  diretto  o  indiretto  sulla  sicurezza  degli  alimenti

destinati  all’uomo ed agli animali e sulla salute ed il benessere di

questi ultimi;

      assicuri le analisi e valutazioni scientifiche che servono come

base  scientifica  per l’azione legislativa e regolamentare nei campi

della  sicurezza  degli  alimenti, della salute e del benessere degli

animali;

      realizzi  un sistema di auditing per la verifica dell’efficacia

del  sistema nazionale del controllo ufficiale degli alimenti e delle

popolazioni  animali,  conformemente  ai requisiti stabiliti da norme

riconosciute  a  livello  internazionale  (OIE,  Codex,  ISO  EN) che

permettono di misurare la qualita’ del servizio/prodotto;

      organizzi   un   sistema   per   la  gestione  delle  emergenze

veterinarie,  soprattutto  per  quelle  ad  andamento prevalentemente

diffusivo,  coordinato  a livello nazionale ed in grado di mobilitare

le  risorse  necessarie  ove occorrano, nei tempi e nei modi adeguati

alle  esigenze.  Particolare  attenzione  dovra’  essere rivolta agli

strumenti  di  mobilitazione  delle  risorse  umane ed al reperimento

delle attrezzature necessarie, anche, ove indispensabile, mediante la

mobilitazione della protezione civile ed ai sistemi di abbattimento e

distruzione delle carcasse animali;

      migliori  in  modo  significativo  il  sistema  di sorveglianza

epidemiologica  nazionale nel settore della sicurezza degli alimenti,

della salute e del benessere degli animali e delle zoonosi,

      attui  concretamente  un  programma di formazione straordinario

per favorire la realizzazione di sistemi di gestione ed assicurazione

della   qualita’  nell’ambito  del  Servizio  Sanitario  Nazionale  e

assumere  comportamenti  che assicurino omogeneita’ di prestazioni su

tutto  il territorio nazionale. In particolare deve essere assicurato

l’accreditamento  dei  servizi  di  Sanita’ pubblica secondo norme di

assicurazione della qualita’ riconosciute a livello internazionale.

    L’accreditamento  e’  indispensabile  per  poter  continuare  nel

medio-lungo  termine  le  attivita’ di certificazione, indispensabili

per  la  libera circolazione degli animali e degli alimenti in ambito

internazionale.  Le  attivita’  di formazione devono, inoltre, essere

indirizzate   all’introduzione  e  utilizzazione  della  sorveglianza

epidemiologica e dell’analisi del rischio.

    Nel  settore  della sicurezza alimentare, piu’ che in molti altri

settori,  il  raggiungimento  degli  obbiettivi  posti  e’ fortemente

condizionato   dal   contesto   internazionale   e   comunitario.  E’

indispensabile,   pertanto,  creare  le  condizioni,  sia  a  livello

nazionale che a livello comunitario ed internazionale, che consentano

il  perseguimento  degli  obbiettivi  e delle azioni identificate. In

particolare:

      gli  obiettivi  di  sicurezza  degli  alimenti  e  di  salute e

benessere degli animali devono essere individuati in modo esplicito e

trasparente  e  verificati  sistematicamente,  assicurando l’efficace

integrazione  del  controllo pubblico con l’effettiva attribuzione di

responsabilita’  agli  operatori economici della produzione primaria,

della trasformazione, e del commercio degli alimenti;

      l’attuale   revisione   delle   politiche  di  sicurezza  degli

alimenti,  in  ambito  dell’Unione  Europea  deve  tenere conto delle

peculiarita’ del sistema di produzione agro-alimentare dell’Italia;

      la    partecipazione    dell’Italia    alle   attivita’   delle

Organizzazioni  internazionali  che operano nel campo della sicurezza

degli  alimenti  e  della  salute  e  al benessere degli animali deve

essere rafforzata;

      la  collaborazione dell’Italia con i Paesi dai quali il sistema

agro-industriale  italiano  si approvvigiona, deve essere rafforzata,

dando  alla  cooperazione  internazionale un ruolo piu’ importante ed

organico.

6. La salute e il sociale

    Nessun  sistema sanitario, per quanto tecnicamente avanzato, puo’

soddisfare  a  pieno  la  propria  missione  se non e’ rispettoso dei

principi  fondamentali  di  solidarieta’  sociale  e  di integrazione

socio-sanitaria.

6.1. Le fasce di poverta’ e di emarginazione

    Numerosi  studi  hanno  documentato  che la mortalita’ in Italia,

come in altri Stati, cresce con il crescere dello svantaggio sociale.

Alcuni  studi  mostrano che le diseguaglianze nella mortalita’ non si

riducono  nel  tempo,  anzi sembrano ampliarsi, almeno tra gli uomini

adulti.

    Effetti   diretti   della   poverta’  e  dell’emarginazione  sono

misurabili  sulla mortalita’ delle persone e delle famiglie assistite

dai  servizi  sociali  per  problemi di esclusione (malattie mentali,

dipendenze,  poverta’, disoccupazione), che in alcune zone presentano

uno  svantaggio nella aspettativa di vita di 13 anni per gli uomini e

7 per le donne, rispetto al resto della popolazione.

    Le  cause  di  morte  e di malattia piu’ frequentemente associate

alle  differenze  sociali  sono quelle correlate alle dipendenze e al

disagio  sociale  (droga,  alcool  e fumo), quelle legate a storie di

vita  particolarmente  svantaggiate  (malattie  respiratorie e tumori

allo  stomaco),  quelle  che  hanno a che fare con la prevenzione nei

luoghi  di lavoro o sulla strada (incidenti), quelle correlate con la

scarsa  qualita’  dell’assistenza  sanitaria  (morti evitabili) e, in

minore misura, quelle ischemiche del cuore.

    Un’associazione  con  la  condizione socio-economica, misurata in

base  al  livello  d’istruzione della madre, e’ stata osservata anche

per  il  peso  alla  nascita;  la probabilita’ di mettere al mondo un

bambino  sotto  peso  risulta  1,5 volte maggiore per le madri con un

basso  livello di istruzione (scuola elementare), rispetto alle madri

con un livello di studi universitari.

    Per   quanto   riguarda  il  ruolo  del  sistema  sanitario  sono

documentati  svantaggi  sociali  sia  nell’accesso  alla  prevenzione

primaria  e alla diagnosi precoce, sia nell’accesso a cure tempestive

ed  appropriate.  Per  quanto  riguarda  la  prevenzione  primaria si

possono  citare le diseguaglianze fra il Nord e il Sud d’Italia nella

prevenzione  della  carie dentaria e nella pratica delle vaccinazioni

obbligatorie nei bambini tra i 12 e i 24 mesi.

    Nel  campo  della  prevenzione  secondaria  occorre  ricordare il

minore  ricorso  allo screening dei tumori femminili delle donne meno

istruite.

    Rispetto    all’accesso    alle   cure,   merita   ricordare   le

diseguaglianze nella sopravvivenza per tumori a favore delle sedi che

dispongono  di  strutture  sanitarie  in grado di erogare trattamenti

piu’ efficaci.

    Altri   indizi  di  discriminazione  sono  ricavabili  dall’esame

dell’accesso  al  by-pass  coronarico  o  alle cure per l’AIDS, o del

ricorso  ad  una  ospedalizzazione  inappropriata,  che  risultano  a

vantaggio delle persone di piu’ alto stato sociale.

    In   generale,   i   gruppi  di  popolazione  che  meritano  piu’

attenzione,  per  gli svantaggi sociali che li caratterizzano sono: i

bambini  e  i ragazzi poveri (0-18 anni), gli anziani poveri (piu’ di

65  anni),  le  madri sole con figli a carico, i disoccupati di lunga

durata  (piu’  di  un  anno), i disoccupati giovani (15-24 anni), gli

stranieri  immigrati  da Paesi poveri a forte pressione migratoria, i

tossicodipendenti, gli alcoolisti e i senza fissa dimora, cioe’ da un

lato  i  gruppi  che  sono piu’ esposti alla marginalita’ sociale (si

tratta  di  bambini,  adulti  e anziani in difficolta’ e in poverta),

dall’altro gli emarginati estremi (i senza fissa dimora), e nel mezzo

le categorie come quelle delle persone affette da una dipendenza (gli

alcoolisti  o i tossicodipendenti) e quelle degli stranieri immigrati

che  cercano  di  inserirsi  nella  societa’  italiana  con  un nuovo

progetto di vita.

    Secondo  gli  obiettivi  adottati  dall’OMS  nel 1999, il divario

nella  salute  tra  diversi  gruppi  socio-economici  dovrebbe essere

ridotto,  entro  l’anno  2020, di almeno un quarto. In particolare il

divario  in  termini  di  aspettativa  di  vita  tra  i  vari  gruppi

socio-economici  dovrebbe essere ridotto di almeno il 25%, e i valori

dei principali indicatori di morbilita’, disabilita’ e mortalita’ nei

diversi  gruppi  socio-economici  dovrebbero  essere distribuiti piu’

uniformemente.  Inoltre,  dovrebbero  essere migliorate le condizioni

socio-economiche  che possono produrre effetti dannosi per la salute,

quali  il  basso  reddito,  bassi  livelli  di  istruzione e limitato

accesso  al  mondo  del  lavoro,  cosi’  da ridurre la percentuale di

persone  che vivono in poverta’. Infine, i soggetti che hanno bisogni

speciali,  in  ragione delle proprie condizioni di salute, dovrebbero

essere protetti dall’esclusione e fruire di un agevole accesso a cure

appropriate.

    Le  azioni prioritarie per conseguire questi obiettivi riguardano

in   primo   luogo   gli  interventi  sulle  cause  che  generano   le

disuguaglianze nella salute soprattutto per quanto riguarda i bambini

in  poverta’  e  le madri sole con figli a carico, i disoccupati, gli

stranieri immigrati ed altri gruppi.

    E’  ben  noto  che  la lotta alla poverta’ e’ uno degli strumenti

piu’   efficaci  per migliorare lo stato di salute. Si tratta, quindi,

di  misure di carattere sociale tipiche dello Stato assistenziale per

contrastare  la  poverta’  le  quali non rientrano direttamente nella

competenza  del  Servizio  Sanitario  Nazionale.  E’,  quindi,  molto

importante  l’efficace  collegamento delle politiche finalizzate alla

riduzione  delle disuguaglianze nello stato di salute derivanti dalla

poverta’ con le politiche di sviluppo economico e sociale.

    Nell’ambito   piu’   specificamente   sanitario   si  tratta,  in

particolare,  di  assicurare l’accesso ai servizi sanitari superando,

attraverso  idonee  modifiche  organizzative ed appositi programmi di

attivita’, le barriere di conoscenza ed, in alcuni casi, linguistiche

che  si  frappongono alla fruibilita’ dei servizi sanitari. Specifici

programmi  di  formazione  e  obiettivi  di qualita’ per il personale

addetto sono auspicabili.

    Un’altra  serie  di  interventi  di  carattere  piu’ strettamente

sanitario riguarda quelli finalizzati al contenimento dei danni delle

disuguaglianze (specie per gli anziani poveri e i soggetti dipendenti

da  sostanze  o  alcool),  nonche’  ad  interrompere  i  processi  di

esclusione    che    nascono    da    problemi   di   salute,   quali

l’istituzionalizzazione  degli  anziani  poveri e la segregazione dei

malati poveri.

    Si  richiamano qui, in quanto rilevanti, integralmente le analisi

e le proposte sviluppate nel presente Piano in materia di: (i) malati

cronici,  anziani  e  disabili  (Parte I, Sezione 2.2); (ii) stili di

vita  salutari,  prevenzione  e  comunicazione  pubblica sulla salute

(Parte I, Sezione 2.9); (iii) salute mentale (Parte II, Sezione 6.3);

(iv)  tossicodipendenze  (Parte  II, Sezione 6.4); e (v) salute degli

immigrati  (Parte  II,  Sezione  6.6).  Prezioso  in  tale  ambito  e

specialmente   per   l’assistenza  dei  senza  fissa  dimora,  e’  la

collaborazione tra le strutture del Servizio Sanitario Nazionale e le

Organizzazioni  del  volontariato  che  dispongono  di  una  maggiore

flessibilita’  e  capacita’  di  integrazione  con  questo  gruppo di

emarginati.  La  messa a punto di incentivi a carattere settoriale ed

intersettoriale   per   facilitare  azioni  congiunte  e’  fortemente

auspicabile.

    Infine,  e’  molto  importante  continuare  l’approfondimento dei

determinanti  sociali,  economici  ed  ambientali  piu’  direttamente

collegati  con i problemi della salute, associati alla poverta’, e la

sistematica  valutazione delle diverse iniziative ed opportunita’ per

alleviare o rimuovere le difficolta’ esistenti.

6.2. La salute del neonato, del bambino e dell’adolescente

    Premesso  che  il  Progetto  Obiettivo  Materno-Infantile del PSN

1998-2000  ancora non ha avuto piena applicazione, pur conservando in

linea  di  massima  la  sua  validita’, vengono focalizzati in questo

capitolo solo alcuni aspetti che riguardano la salute del bambino.

    Dal 1975 ad oggi il tasso di mortalita’ infantile (morti entro il

primo  anno  di  vita per 1.000 nati vivi) in Italia e’ sceso di piu’

del  76%,  dal  20,5 del 1975 al 4,9/1.000 del 1999. Si tratta di uno

dei   piu’   significativi   miglioramenti   registrati   nell’Europa

occidentale  durante questo periodo. Tuttavia vi sono ancora notevoli

differenze  tra  le  Regioni  italiane: in alcune Regioni meridionali

(Puglia,  Sicilia,  Basilicata)  il tasso di mortalita’ infantile nel

1999  era  di 7,33/1.000 nati vivi, rispetto al 3,0 delle Regioni con

il  tasso  di  mortalita’ piu’ basso (Friuli-Venezia Giulia, Liguria,

Lombardia). La mortalita’ neonatale (entro le prime quattro settimane

di vita, ed in particolare entro la prima) piu’ elevata nelle Regioni

del   Centro-Sud,   e’  responsabile  della  maggior  parte  di  tale

mortalita’.

    Obiettivo   fondamentale   e’   quindi  innanzitutto  ridurre  le

disparita’  regionali  nei tassi di mortalita’ neonatale, avvicinando

la  media  nazionale  a quella della regione con indice di mortalita’

piu’ basso. Per quanto riguarda la mortalita’ nel primo anno di vita,

le  malformazioni congenite rappresentano, insieme alla prematurita’,

l’83%  di  tutte  le  cause.  Confronti sulla base dei registri della

popolazione in alcune aree d’Italia che partecipano alla rete EUROCAT

(«European  Registration  of  Congenital Anomalies»), indicano che il

tasso  di  malformazioni  congenite  in  Italia e’ simile a quello di

altre aree d’Europa.

    Nella   valutazione  dello  stato  di  salute  della  popolazione

infantile  un  importante  indicatore  e’  il  peso  alla nascita dei

neonati a termine. Esso e’ influenzato dallo stato sociale e da altri

fattori  come  il fumo. In Italia il tasso di basso peso alla nascita

nel  1995  era  del  4,7%  (4,1%  maschi e 5,3% femmine, dati ISTAT).

L’incidenza  di  basso  peso  alla nascita non e’ cambiata in maniera

significativa nel corso degli ultimi 15 anni.

    Per raggiungere l’obiettivo adottato dall’OMS per l’anno 2020, la

prevalenza  dei  bambini sottopeso alla nascita dovrebbe diminuire al

valore globale di 3,8% (3,3% per i maschi e 4,2% per le femmine).

     La  tutela  della  salute  del  prodotto  del  concepimento  deve

iniziare gia’ in epoca preconcezionale e deve realizzarsi gia’ con il

coinvolgimento dei medici di famiglia, dei pediatri di libera scelta,

della  scuola,  dei  centri  di  aggregazione  sociale e dei mezzi di

comunicazione di massa.

    La   promozione   della   salute   consiste   nel  dare  corrette

informazioni  sul  possibile  rischio genetico, sulla contraccezione,

sulla  necessita’  di  abolire  il  fumo, l’alcool e le droghe, sulle

problematiche  della  nutrizione,  sulla necessita’ di profilassi con

acido folico e di un supporto sociale ed emozionale tempestivo. Vanno

inoltre  date  precise  informazioni sull’esistenza nel territorio di

reparti  e  centri ostetrici-neonatologici specificamente indirizzati

all’assistenza delle gravidanze normali e ad alto rischio.

    Infatti,  un  fattore molto importante per prevenire le patologie

del   prodotto   del   concepimento   e’   certamente  la  promozione

dell’assistenza  preconcezionale  al  fine  di  ridurre  i fattori di

rischio   ed   in   particolare   la   prematurita’.  L’educazione  a

comportamenti corretti in gravidanza, soprattutto per quanto riguarda

il  fumo,  e’  a  tal  riguardo di fondamentale importanza. Esistono,

inoltre,  molte  disuguaglianze  sul piano organizzativo e gestionale

nelle  strutture  dove avviene la nascita e questo pesa negativamente

sulla mortalita’ perinatale e sugli esiti a distanza (handicap).

    Occorre  anche  ridurre le morti improvvise in culla, prima causa

di  mortalita’  infantile dopo la prima settimana di vita, attraverso

campagne informative atte a ridurre i fattori di rischio.

    Per  quanto  riguarda il gruppo di eta’ tra 1 e 14 anni, il tasso

di mortalita’ ha mostrato un importante declino negli ultimi 25 anni,

da  49,9/100.000  all’attuale  19,7.  Le  maggiori  cause di morte in

questo  gruppo  di  eta’  sono  gli incidenti (5/100.000) e il cancro

(5/100.000). Le differenze geografiche riscontrate in Italia nel 1997

indicano una mortalita’ piu’ elevata (+14% circa) al Sud che al Nord.

L’obiettivo  della  riduzione  della  mortalita’  per  incidenti, sia

domestici   che  stradali,  deve  prevedere  misure  legislative,  di

controllo,  ed  una  forte  campagna  di  prevenzione  con  misure di

educazione stradale e di sicurezza in casa e nelle scuole.

    Le  condizioni  morbose  croniche  prevalenti nei bambini e negli

adolescenti sia in Italia che nel resto dell’Europa, con un andamento

in  continua crescita, sono l’asma e l’obesita’. E’ significativo che

le due condizioni morbose piu’ frequenti siano legate a problematiche

ambientali  e  a comportamenti alimentari errati, rispettivamente: la

prevenzione,   in  termini  di  salvaguardia  ambientale  (con  lotta

all’inquinamento  e al fumo passivo) e di educazione alimentare nella

popolazione,  deve  essere  l’obiettivo  fondamentale  della politica

sanitaria per l’immediato futuro.

    In  Italia  si  riscontra  una bassa percentuale di gravidanze in

eta’ adolescenziale (2,25%), paragonabile ai tassi osservati in altri

Paesi europei quali Germania, Danimarca, Finlandia, Svezia e Francia.

I  dati  riguardanti  le  Regioni  italiane relativi al 1995 mostrano

marcate differenze geografiche: nelle Regioni meridionali si registra

una  percentuale piu’ elevata di gravidanze in eta’ adolescenziale in

confronto  alle Regioni del Nord anche se questo avviene nel contesto

di unioni legali.

    Obiettivo di questo settore dovra’ essere la prevenzione primaria

delle  gravidanze  non  desiderate  in  eta’  adolescenziale  con una

appropriata  educazione sessuale, che deve vedere coinvolti tutti gli

educatori  e  il  personale  sociosanitario,  accanto  alle famiglie,

nell’ambito  di  un  progetto  di  educazione volto alla procreazione

responsabile  e alla prevenzione delle malattie trasmissibili per via

sessuale.

    La   rete   ospedaliera   pediatrica,  malgrado  i  tentativi  di

razionalizzazione,  appare ancora decisamente ipertrofica rispetto ad

altri  Paesi europei, con un numero di strutture pari a 504 nell’anno

1999,  mentre  la  presenza  del pediatra dove nasce e si ricovera un

bambino  e’  garantita  nel 50% degli Ospedali, l’attivita’ di pronto

soccorso  pediatrico  e’  presente  solo  nel  30% degli Ospedali. La

guardia medico-ostetrica 24 ore su 24 nelle strutture dove avviene il

parto  e’  garantita  solo  nel 45% dei reparti. Inoltre, malgrado la

forte  diminuzione  della  natalita’,  il numero dei punti nascita e’

ancora   molto   elevato,   605  in  strutture  pubbliche  o  private

accreditate:  tra  queste  poco meno della meta’ ha meno di 500 parti

all’anno, soprattutto nelle Regioni del Sud del Paese.

    L’attuale  organizzazione  ospedaliera,  insieme alla mancanza di

una  continuita’  assistenziale  sul  territorio, ha determinato, nel

1999    un   tasso   di   ospedalizzazione   del   119 %,   un  valore

significativamente  piu’ elevato rispetto a quello dei Paesi europei,

quali  ad  esempio  il  Regno  Unito  (51 %)  e  la Spagna (60 %). E’

necessario   aggiungere  che  i  fattori  sopra  indicati  hanno  una

distribuzione  geografica  diversa,  e  sono  tra  i  piu’ importanti

determinanti  delle differenze interregionali nei tassi di mortalita’

infantile  e  neonatale  a sfavore delle Regioni del Sud, anche sulla

base  di  differenti  sistemi organizzativi e gestionali delle unita’

operative pediatriche.

    Gli  stessi  fattori condizionano anche l’elevato numero di parti

per  taglio  cesareo  nel  nostro  Paese,  ben  il 33% nel 1999, piu’

frequenti nelle strutture del Centro-Sud con un basso numero di nati,

fino  a  raggiungere  in  Campania il 51%, mentre le Regioni Trentino

Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia hanno una percentuale di parti per

taglio  cesareo  pari  al  20%,  valori  di  poco  superiori a quelli

riportati  dalla maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea. Fattori

economici  relativi  al  sistema  di  rimborso delle prestazioni come

anche  fattori  organizzativi del sistema sanitario hanno contribuito

in questi anni ad incrementare il ricorso al parto cesareo, a scapito

di quello per via naturale.

    Peraltro,  va notato che la pratica del parto indolore ancora non

e’  garantita  in  Italia  dal  Servizio  Sanitario Nazionale, e cio’

induce  alcune  gravide  ad  effettuare  parto  cesareo  o  a recarsi

all’estero per partorire.

    Malgrado  la  Convenzione  Internazionale  di New York e la Carta

Europea  dei  bambini  degenti  in  ospedale  (con la risoluzione del

Parlamento  Europeo  del  1986),  ancora piu’ del 30% dei pazienti in

eta’  evolutiva  viene ricoverato in reparti per adulti e non in area

pediatrica.  L’area  pediatrica  e’  «l’ambiente  in  cui il Servizio

Sanitario  Nazionale  si  prende  cura della salute dell’infanzia con

caratteristiche    peculiari   per   il   neonato,   il   bambino   e

l’adolescente».

Gli obiettivi strategici:

    attivare i programmi specifici per la protezione della maternita’

e  migliorare  l’assistenza  ostetrica e pediatrico/neonatologica nel

periodo perinatale;

    educare  alla  salute  e  all’igiene i giovani e le famiglie, col

contributo  essenziale  della  scuola e degli enti territoriali e dei

servizi  socio-assistenziali competenti con particolare riguardo alla

prevenzione   dei  maltrattamenti,  abusi  e  sfruttamento  minorile,

dell’obesita’, delle malattie sessualmente trasmesse, con particolare

riguardo  alla prevenzione della tossicodipendenza, e degli infortuni

ed incidenti;

    valorizzare la centralita’ di ruolo del pediatra di libera scelta

e    del    medico    di   base   nella   definizione   di   percorsi

diagnostico-terapeutici  e  la  sua  funzione di educazione sanitaria

individuale;

    attivare  in  ogni  Regione il Servizio di trasporto di emergenza

dei neonati e delle gestanti a rischio;

    ridurre  il  tasso di ospedalizzazione con l’obiettivo di ridurlo

del 10% per anno;

    elaborare   Linee   Guida   e   percorsi  diagnostico-terapeutici

condivisi  anche  in  ambito  locale  con particolare attenzione alle

patologie  che  comportano  il  maggior  numero  di  ricoveri in eta’

pediatrica  e alle patologie chirurgiche piu’ a rischio di interventi

inappropriati;

    diminuire la frequenza dei parti per taglio cesareo, e ridurre le

forti  differenze regionali attualmente esistenti, arrivando entro il

triennio  ad  un  valore nazionale pari al 20%, in linea con i valori

medi  degli  altri Paesi europei, anche tramite una revisione dei DRG

relativi;

    ottimizzare il numero dei punti nascita;

      riqualificare   i   consultori-ambulatori   che   operino   sul

territorio  ed  in  ospedale  gia’  in  epoca preconcezionale per una

promozione  attiva  di  tutte  le  iniziative atte a ridurre i rischi

durante la gravidanza;

    promuovere  campagne  informative  rivolte  alle  gestanti e alle

puerpere   sulle   norme  comportamentali  di  prevenzione  quali  la

promozione    dell’allattamento    al    seno,   l’estensione   delle

vaccinazioni,  il  corretto trasporto in auto del bambino, ricordando

l’importanza  della  prevenzione  della  morte in culla del lattante:

posizione   nel   sonno  supina,  evitare  il  fumo  di  sigaretta  e

temperature ambientali elevate.

6.3. La salute mentale

    I  problemi  relativi  alla  salute mentale rivestono, in tutti i

Paesi  industrializzati,  un’importanza  crescente,  perche’  la loro

prevalenza mostra un trend in aumento e perche’ ad essi si associa un

elevato  carico  di  disabilita’  e di costi economici e sociali, che

pesa sui pazienti, sui loro familiari e sulla collettivita’.

    Numerose    evidenze   tratte   dalla   letteratura   scientifica

internazionale  segnalano che nell’arco di un anno il 20% circa della

popolazione  adulta presenta uno o piu’ dei disturbi mentali elencati

nella      Classificazione      Internazionale     delle     Malattie

dell’Organizzazione Mondiale della Sanita’.

    Tra i disturbi mentali piu’ frequenti vi sono i disturbi d’ansia,

il  cui  tasso  di  prevalenza supera il 15%, con un incremento degli

attacchi di panico e delle forme ossessivo-compulsive.

    La  depressione  nelle sue varie forme cliniche colpisce tutte le

fasce  d’eta’  e  il  tasso  di  prevalenza  supera  il  10%.  Spesso

depressione  e  disturbi  d’ansia  coesistono. Significativa anche la

prevalenza   dei   disturbi   della   personalita’   e  dei  disturbi

dell’alimentazione  (anoressia  e  bulimia).  Il  tasso di prevalenza

delle  psicosi schizofreniche, che rappresentano senza dubbio uno dei

piu’ gravi disturbi mentali, e’ pari a circa lo 0,5%.

    Occorre  considerare,  inoltre, i disturbi mentali che affliggono

la  popolazione  anziana,  soprattutto  le demenze nelle loro diverse

espressioni. Va segnalata, infine, la complessa problematica relativa

alle  condizioni di comorbidita’ tra disturbi psichiatrici e disturbi

da  abuso  di  sostanze  e  tra  disturbi  psichiatrici  e  patologie

organiche     (con    particolare    riferimento    alle    patologie

cronico-degenerative:   neoplasie,   infezione   da   HIV,   malattie

degenerative del Sistema Nervoso Centrale).

    Recenti  studi  hanno  documentato  che  molti  disturbi  mentali

dell’eta’    adulta    sono    preceduti    da   disturbi   dell’eta’

evolutiva-adolescenziale.  In  particolare,  l’8% circa dei bambini e

degli  adolescenti presenta un disturbo mentale, che puo’ determinare

difficolta’  interpersonali  e disadattamento; non va dimenticato che

il   suicidio   rappresenta   la  seconda  causa  di  morte  tra  gli

adolescenti.

    Le  condizioni cliniche citate presentano un differente indice di

disabilita’:  i  disturbi  ansioso-depressivi, pur numerosi, possono,

quando  appropriatamente  trattati,  presentare una durata e gradi di

disabilita’   non   marcati,   anche   se  alcuni  casi  di  sindrome

ossessivo-compulsiva o di agorafobia sono seriamente invalidanti.

    D’altro   canto   le  psicosi  (schizofreniche,  affettive  e  le

depressioni  maggiori  ricorrenti)  impegnano  i  servizi  sanitari e

sociali  in maniera massiccia, per via della gravita’, del rischio di

suicidio,  della  lunga  durata  e  delle  disabilita’ marcate che le

caratterizzano.

    Nel  nostro  Paese,  il  processo  di adeguamento dell’assistenza

psichiatrica  alle  necessita’  reali dei malati ed agli orientamenti

piu’ attuali della sanita’ pubblica, avviato con la legge 23 dicembre

1978,   n.   833,   ha   determinato  l’integrazione  dell’assistenza

psichiatrica   nel   Servizio    Sanitario  Nazionale,  l’orientamento

comunitario  dell’assistenza  alle  persone  con disturbi mentali, il

superamento  del  modello custodialistico rappresentato dall’Ospedale

Psichiatrico.

    Le  aree  critiche  che  si  rilevano  nella  tutela della salute

mentale, al momento attuale, sono:

      la   disomogenea   distribuzione  dei  Servizi  sul  territorio

nazionale,  con  particolare  riferimento  ai Servizi Psichiatrici di

Diagnosi  e  Cura  ospedalieri,  ai  Centri  Diurni ed alle Strutture

Residenziali  per attivita’ riabilitative, insieme ad una mancanza di

coordinamento  fra i servizi sociali e sanitari per l’eta’ evolutiva,

i servizi per gli adulti ed i servizi per i soggetti anziani;

      la mancanza di un numero adeguato di Strutture residenziali per

le condizioni psichiatriche che prevedono una piu’ elevata intensita’

e durata dell’intervento riabilitativo;

      la  carenza di sistemi informativi nazionali e regionali per il

monitoraggio  quali-quantitativo  delle  prestazioni  erogate  e  dei

bisogni di salute della popolazione;

      la  scarsa  diffusione delle conoscenze scientifiche in materia

di  interventi basati su prove di efficacia e la relativa adozione di

Linee   Guida   da  parte  dei  servizi,  nonche’  di  parametri  per

l’accreditamento delle strutture assistenziali pubbliche e private;

      la  presenza  di  pregiudizi  ed  atteggiamenti  di  esclusione

sociale nella popolazione;

      la scarsa attenzione alla prevenzione primaria e secondaria, ai

problemi  della  salute  mentale  in  eta’  evolutiva e nell’eta’ «di

confine»,  che  si concretizza in un’offerta di servizi insufficiente

ed  alla quale e’ utile rispondere anche con il contributo, almeno in

fase  sperimentale,  di  strutture accreditate del privato sociale ed

imprenditoriale;

      la  carente  gestione  delle  condizioni  di  comorbidita’  tra

disturbi psichiatrici e disturbi da abuso di sostanze, e tra disturbi

psichiatrici e patologie organiche;

      la  scarsa  attenzione  alla presenza di disturbi mentali nelle

carceri.  Tale evidenza segnala l’importanza della sperimentazione in

corso  in  alcune  Regioni  sulla base di quanto previsto dal Decreto

Legislativo   22 giugno   1999,  n.  230,  e  dal  relativo  progetto

obiettivo,  anche  ai  fini  della  valutazione della rispondenza del

modello organizzativo ivi delineato.

    Gli obiettivi strategici da realizzare sono rappresentati da:

      la  riduzione  dei  comportamenti  suicidari,  con  particolare

attenzione all’eta’ adolescenziale e a quella anziana;

      la  riduzione delle interruzioni non concordate di trattamento,

mediante    attuazione    di    programmi   terapeutico-riabilitativi

multidisciplinari  integrati in risposta ai bisogni di salute mentale

dei pazienti e delle famiglie;

      la  riduzione  dei tempi d’attesa per l’accesso ai trattamenti,

ivi compresi quelli psicoterapici;

      il  miglioramento  delle conoscenze epidemiologiche sui bisogni

di   salute   mentale   nella   popolazione  e  sull’efficacia  degli

interventi;

      la  promozione  della  salute  mentale  nell’intero ciclo della

vita,  garantendo  l’integrazione  tra  servizi  sanitari e sociali –

pubblici  e  del privato sociale ed imprenditoriale – con particolare

riferimento  agli  interventi  a  favore  dei soggetti maggiormente a

rischio;

      la  cooperazione dei servizi di salute mentale con soggetti non

istituzionali    (Associazioni    dei    familiari,   dei   pazienti,

volontariato,  Associazioni  di  Advocacy),  il  privato  sociale  ed

imprenditoriale;

      la   promozione  dell’informazione  e  della  conoscenza  sulle

malattie mentali nella popolazione, al fine di:

        1) realizzare interventi di prevenzione primaria e secondaria

(informazione  sui disturbi mentali, sui servizi, collegamenti tra le

strutture sanitarie, i servizi sociali, le scuole, le associazioni di

volontariato);

        2) incrementare  la  lotta  allo  stigma  verso  la  malattia

mentale  e  la  promozione di una maggiore solidarieta’ nei confronti

delle persone affette da disturbi mentali gravi;

        3) diffondere  e  sviluppare  la  cultura  del  volontariato,

dell’associazionismo, dell’auto-aiuto, per uno sforzo congiunto nella

cura delle malattie mentali.

    Inoltre e’ necessario pianificare azioni volte a:

      ridurre  le  disomogeneita’  nella  distribuzione  dei  servizi

all’interno   del   territorio  nazionale  superando  le  discrepanze

esistenti tra il nord e il sud del Paese ed all’interno delle singole

realta’ regionali;

      concludere  il  processo di superamento dei manicomi pubblici e

privati superando, finalmente, qualunque approccio custodialistico;

      pianificare  interventi  di  prevenzione,  diagnosi  precoce  e

terapia  dei  disturbi  mentali  in  eta’ infantile ed adolescenziale

attivando  stretti  collegamenti funzionali tra strutture a carattere

sanitario       (neuropsichiatria       infantile,       dipartimento

materno-infantile,  pediatria  di  base), ed altri servizi sociali ed

Istituzioni a carattere educativo, scolastico e giudiziario;

      assicurare  la presa in carico e la continuita’ terapeutica dei

problemi  di  salute  mentale del paziente, qualunque sia il punto di

accesso;

      promuovere la formazione e l’aggiornamento continuo di tutto il

personale operante nel campo della salute mentale;

      attuare  interventi  di  sostegno  ai  gruppi  di auto-aiuto di

familiari e di pazienti;

      attivare  interventi  per  la  prevenzione  e  cura del disagio

psichico   nelle   carceri,   secondo  quanto  previsto  dal  Decreto

Legislativo 22 giugno 1999, n. 230;

      aumentare  l’accessibilita’  dei  servizi,  superando procedure

farraginose   e   burocratiche,  per  garantire  tempestivita’  nelle

risposte;

      migliorare   l’assetto   del   DSM  ai  fini  di  una  maggiore

flessibilita’ nell’attuazione dei percorsi di cura, soprattutto per i

pazienti affetti da disturbi mentali gravi;

      rinforzare   la   rete  di  interventi  domiciliari,  anche  in

situazioni   di   urgenza,   e   sviluppare   una  forte  continuita’

terapeutico-assistenziale;

      incrementare  la  dotazione  di  strutture  semiresidenziali  e

residenziali,  a  differente  gradiente di intensita’ riabilitativa e

assistenziale,  finalizzate  agli  interventi  sulle  disabilita’  ed

all’integrazione familiare e sociale;

      sviluppare  strategie di intervento precoce, al fine di ridurre

il  tempo  che intercorre tra l’esordio della patologia e la presa in

carico, migliorando cosi’ sensibilmente le prospettive di guarigione;

      definire   in  modo  piu’  appropriato   le  procedure  per  gli

accertamenti  ed  i trattamenti sanitari obbligatori, specificando le

responsabilita’  e  le titolarita’ dell’intervento, senza abbassare i

livelli  di garanzia per il paziente ma rinforzandoli in relazione al

diritto all’accesso ad una cura tempestiva ed efficace;

      mettere  in  atto  programmi  adeguati  per  il  sostegno  alle

famiglie  ai  fini  di  non  disperdere  risorse e relazioni che sono

fondamentali nei processi di cura;

      coniugare  gli aspetti organizzativi con la possibilita’ che il

paziente  sia  partecipe  ad ogni livello del programma d’intervento,

anche  attraverso  la  scelta  consapevole  del  luogo  di cura e del

curante per migliorare la adesione al trattamento;

      mettere  in  campo nuovi strumenti per l’integrazione sociale e

lavorativa  del  paziente,  nel contesto del tessuto sociale e non in

surrogati  di  esso, superando barriere e stigmatizzazioni che ancora

oggi riducono le opportunita’ per pazienti e familiari;

      migliorare  il  funzionamento  in  rete dei servizi, pubblici e

privati,  puntando  all’integrazione  e all’incremento della qualita’

dell’assistenza erogata;

      favorire  il  coinvolgimento  dei pazienti e delle associazioni

dei  familiari  nella individuazione delle priorita’ e nella verifica

di efficienza dei servizi;

      sviluppare  adeguate iniziative di formazione ed aggiornamento,

per  migliorare  costantemente  la  competenza e la motivazione degli

operatori.

6.4. Le tossicodipendenze

    In  un  tessuto sociale, educativo e culturale fortemente segnato

dalla  crisi  della  famiglia e dai modelli di deresponsabilizzazione

individuale  e  talora  istituzionale, nonche’ di solitudine subita e

talora  ricercata, la diffusione dei vari tipi di droghe interessa un

numero  considerevole  di  giovani  e  di  giovanissimi troppo spesso

inconsapevoli  dei  pericoli  cui  vanno  incontro, ma anche privi di

stimoli ed orientamenti positivi per la propria vita.

    Adeguate  strategie  pubbliche  contro la droga richiedono che le

Amministrazioni  dello  Stato  promuovano  una  cultura istituzionale

idonea a contrastare l’idea della sostanziale innocuita’ delle droghe

e  l’atmosfera  di  «normalita»  in  cui il loro uso, non di rado, si

diffonde   determinando   un   pericoloso  abbassamento  dell’allarme

sociale, fattori questi che contribuiscono a determinare un oggettivo

vantaggio per il mercato criminale nell’offerta di droghe.

    Asse portante della nuova linea di politica sociale in materia di

droghe   dovra’   essere,   pertanto,   la   considerazione   che  la

tossicodipendenza  e l’uso delle sostanze illecite non possono essere

fronteggiati  con scelte tecnico-politiche fondate sul puro controllo

farmacologico del problema. Si correrebbe in tal caso, e purtroppo si

e’   corso,  il  rischio  di  contribuire  al  rafforzamento  di  una

condizione   invalidante  e  di  dipendenza  cronica,  rinunciando  a

perseguire  l’obiettivo  del pieno recupero personale e sociale della

persona.

    Nel  corso  del  mese  di novembre  2001,  di  fronte al Comitato

Interministeriale   di   Coordinamento   per   l’azione   anti-droga,

costituito  ai  sensi  del decreto del Presidente della Repubblica n.

309  del  1990,  si  e’  insediato  il  Commissario  straordinario di

Governo,  in  qualita’ di responsabile del Dipartimento Nazionale per

le  Politiche  Antidroga,  che  avra’  il  compito  di  coordinare le

politiche  e  le  competenze  oggi  distribuite in diversi Ministeri,

cosi’ da progettare un Piano Nazionale piu’ incisivo ed efficace.

    Le  azioni  e  gli  interventi  indicati  di  seguito sono quelli

contenuti   nel   Piano   predisposto  e  approvato  dal  Governo  il

14 febbraio  2002,  che  avranno  attuazione con il coinvolgimento di

tutte le componenti istituzionali direttamente interessate.

    Alla  luce  dei  dati  piu’ recenti e’ possibile affermare che il

fenomeno  della tossicodipendenza riguarda oggi, in misura largamente

prevalente,  l’uso  contemporaneo  di piu’ sostanze, dalle cosiddette

droghe leggere, alle amfetamine, all’eroina e alla cocaina.

    E’  anche  accertato  come  l’eta’  del  primo  approccio  con le

sostanze  sia in continua e progressiva diminuzione: recenti ricerche

hanno  posto in evidenza come essa sia collocabile, per la stragrande

maggioranza dei consumatori di droghe, fra gli 11 e i 17 anni, con la

media  della «prima esperienza» stabilizzata ormai al di sotto dei 13

anni.

    Dai dati ufficiali risulta inoltre che:

      il  consumo  di  eroina, nonostante in alcune zone del Paese il

trend  dei  nuovi consumatori di tale sostanza sia in contrazione, e’

in  aumento,  specialmente  attraverso  nuove modalita’ di assunzione

(fumo, inalazione);

      continua  il  progressivo  aumento, peraltro gia’ rilevato, del

consumo  di  cocaina,  che  da  droga  di  «elite»  si e’ trasformata

rapidamente  in  una  droga  di  massa.  L’assunzione  della sostanza

riguarda,  infatti,  fasce  sempre  piu’  diversificate  e giovani di

utilizzatori;

      si  evidenzia un costante aumento dei consumi di «ecstasy» e di

amfetamine,  come indirettamente confermato dall’aumento esponenziale

dei sequestri di questo tipo di droghe;

      il   consumo   di  cannabinoidi  coinvolge  ormai,  secondo  le

statistiche  piu’ attendibili, oltre un terzo degli adolescenti ed e’

un  comportamento  considerato  «normale»  da  una  parte consistente

dell’opinione pubblica, dei mezzi di informazione e perfino da alcuni

soggetti istituzionali.

Panorama internazionale.

    L’andamento  del  fenomeno  negli altri Paesi dell’Unione Europea

non  si  discosta  significativamente  dalla  situazione italiana con

punte  di forte diffusione del consumo di sostanze sintetiche in Gran

Bretagna  e  nei  Paesi  Bassi,  di cannabis in Francia e Spagna e di

eroina in Germania.

    Al  fine  di  contrastare tale situazione, e facendo seguito agli

impegni  sottoscritti  in  occasione dell’Assemblea generale dell’ONU

(giugno 1998), il Consiglio Europeo ha adottato ufficialmente (giugno

2000)  un  Piano  d’Azione  sulle  droghe  per  gli  anni  2000-2004,

indicando  con  precisione  i  seguenti  sei  obiettivi strategici ed

impegnando i Paesi aderenti al loro integrale recepimento:

      ridurre  in  misura  rilevante,  nell’arco  di  cinque anni, il

consumo  di  droghe  illecite  e  il  numero  di  nuovi  consumatori,

soprattutto tra i giovani di eta’ inferiore ai diciotto anni;

      abbassare  in  misura sostanziale l’incidenza dei danni causati

alla    salute    dall’uso    di   sostanze   stupefacenti   nonche’,

conseguentemente,  anche  il  numero  di decessi correlati all’uso di

droghe;

      aumentare  in  misura rilevante il numero dei tossicodipendenti

sottoposti con successo a trattamento;

      diminuire   considerevolmente   la   reperibilita’   di  droghe

illecite;

      ridurre  in  misura  significativa il numero di reati correlati

alla droga;

      contrastare  in  maniera sempre piu’ efficace il riciclaggio di

denaro  sporco  ed  il  traffico  illecito  delle  sostanze  chimiche

impiegate nella produzione di droghe.

Il contesto nazionale.

    Nel  nostro  Paese  risultano  attivi  555  SerT  (Servizi per le

Tossicodipendenze),    che   hanno   in   carico   150.400   soggetti

tossicodipendenti;  tale  dato  presenta  un aumento di circa il 2,2%

rispetto  all’anno  precedente.  La maggioranza degli utenti dei SerT

(81,4  %)  e’  dipendente principalmente da eroina, mentre i soggetti

che  fanno uso solamente di cannabis, ecstasy e cocaina costituiscono

una percentuale del tutto irrilevante.

    Nelle     strutture     socio-riabilitative     residenziali     e

semi-residenziali, gestite nella maggioranza dei casi da soggetti del

privato  sociale,  risultano  invece  assistiti 19.465 soggetti; tale

valore  manifesta  una  diminuzione  di  circa l’1% rispetto all’anno

precedente.

    Per  quanto  riguarda  gli   utenti  dei  SerT i dati mostrano una

costante   crescita   dei  trattamenti  farmacologici  con  metadone,

trattamenti  che  superano  ormai  la  meta’  dei casi seguiti (51,2%

rispetto  al  49,5%  del  1999  e  al  43% del 1995). All’interno dei

trattamenti  metadonici aumentano inoltre i casi di «terapia di lunga

durata»  (30,9% nel 2001 rispetto al 27 del 1999) a scapito di quelli

a breve termine (8,5% nel 2001 rispetto al 10,2% del 1999).

    I  dati sopra riferiti evidenziano, in sostanza, come l’approccio

farmacologico   alla   tossicodipendenza  rappresenti  la  principale

attivita’ svolta dai SerT.

Le nuove politiche del Governo in materia di tossicodipendenza.

    Il  Governo  italiano  intende  dare piena attuazione al piano di

azione  comunitario  e  degli  indirizzi  ONU in materia di riduzione

della  domanda  e dell’offerta di droga, potenziando, in coerenza con

quanto  affermato  nel  DPEF  2002-2006, le iniziative orientate alla

prevenzione  della  tossicodipendenza,  al  recupero del valore della

persona  nella  sua  interezza  e al suo reinserimento a pieno titolo

nella societa’ e nel mondo del lavoro.

Prevenzione del disagio giovanile e delle dipendenze.

    Gli  interventi  di  prevenzione  debbono  rappresentare il punto

centrale delle politiche sociali.

    Occorre, in particolare, ampliare e diversificare le tipologie di

intervento  e rivolgerle in modo efficace ad una piu’ vasta platea di

soggetti  destinatari,  considerato  che  il  disagio  giovanile  non

riguarda  ormai  piu’  «categorie  a  rischio»,  ma  puo’ prodursi in

maniera  del  tutto asintomatica e poi esplodere in forme di devianza

imprevedibile,  tra le quali, appunto, l’uso di sostanze stupefacenti

e/o psicotrope.

    In  tale  ottica  risulta,  quindi,  indispensabile  definire  un

sistema  coordinato  ed  integrato  di interventi, che coinvolgano la

societa’  civile  nel  suo  insieme  e, in particolare, le principali

agenzie educative: famiglia e scuola.

    Gli  interventi  debbono  pertanto  essere  orientati,  pur nelle

differenti  specificita’  e  contesti di riferimento, sia al sostegno

della  progettualita’ e dell’autonomia dei giovani (in alternativa al

modello massificante della droga) e alla realizzazione di un patto di

intenti tra famiglia e scuola, nell’interesse del futuro dei giovani,

libero dall’uso di qualunque sostanza.

    I progetti dovranno essere orientati a:

      promuovere lo sviluppo integrale della persona;

      offrire    occasioni   di   miglioramento   dei   processi   di

partecipazione attiva e di riconoscimento della propria identita’;

      contribuire  a creare consapevolezza e capacita’ decisionali ed

imprenditoriali nei giovani;

      offrire  concrete  occasioni  di  inserimento  nel  mondo della

formazione e del lavoro;

      qualificare   la  vita  in  termini  complessivi,  come  valore

insostituibile.

    Per  quanto  riguarda,  poi,  le campagne informative, si intende

fare  riferimento  a  dati  e  ricerche  autorevoli, scientificamente

credibili  e  facilmente «acquisibili» dai giovani, evitando messaggi

approssimativi e contraddittori. Una campagna di prevenzione non puo’

ovviamente  basarsi sulla sola informazione. Non ci si puo’, infatti,

limitare  a  spiegare  la  formula  chimica  di  una  droga ed i suoi

effetti,   ma   occorre   promuovere   e  illustrare  stili  di  vita

responsabili e rispettosi di se’ e degli altri.

    Gli obiettivi della campagna informativa nazionale di prevenzione

devono  pertanto  essere  quelli  di  ridurre  il  consumo di droghe,

promuovere  stili  di  vita  responsabili, valorizzare tra i giovani,

coloro   che   non   praticano  comportamenti  a  rischio  e  fornire

intelligente e valido sostegno a tutte le agenzie educative.

Strutture socio-riabilitative.

    Le   Istituzioni   intendono  assicurare   la  disponibilita’  dei

principali  trattamenti  relativi  alla  cura  e  alla riabilitazione

dall’uso  di  sostanze stupefacenti e garantire la liberta’ di scelta

del cittadino/tossicodipendente e della sua famiglia di intraprendere

i  programmi  riabilitativi presso qualunque struttura autorizzata su

tutto  il  territorio  nazionale,  sia  essa pubblica che del privato

sociale.

I tossicodipendenti in carcere.

    Un  problema  prioritario  e’  rappresentato  dalle  migliaia  di

detenuti  tossicodipendenti  ai quali occorre garantire il diritto di

accedere,  se  ne  fanno  richiesta e secondo le normative vigenti, a

percorsi  riabilitativi  alternativi  alla  detenzione.  Si dovranno,

pertanto,  snellire  le  procedure  amministrative  e  potenziare  le

presenze   di  educatori  e  volontari  all’interno  delle  strutture

penitenziarie, per motivare il maggior numero di tossicomani detenuti

a  scegliere  la  strada  del  cambiamento e della riabilitazione. Si

rende, infine, necessaria la realizzazione di specifiche strutture «a

custodia   attenuata»,   inserite  nel  quadro  del  Dipartimento  di

Amministrazione  Penitenziaria,  gestite  in  collaborazione  con  le

realta’ del privato sociale e propedeutiche al successivo inserimento

delle  persone  in programmi riabilitativi «drug-free», sia presso il

carcere che in comunita’ vigilate.

Reinserimento lavorativo.

    Un  Piano di azione efficace e completo contro le dipendenze deve

necessariamente  prevedere  la  fase  fondamentale  del reinserimento

lavorativo  di coloro che hanno concluso con successo un programma di

riabilitazione dalla tossicodipendenza. A tal fine il Governo intende

incentivare  i  programmi  riabilitativi che prevedano e/o includano,

fra  le  finalita’,  azioni  di  formazione professionale orientate a

facilitare    l’inserimento    nel    mondo    del    lavoro    degli

ex-tossicodipendenti.

    Sono stati, in proposito, prioritariamente individuati i seguenti

interventi:

      applicazione  dell’Atto  di  Intesa Stato-Regioni, laddove esso

prevede   «programmi  di  formazione  ed  avviamento  al  lavoro  dei

tossicodipendenti  tramite  l’inserimento  in  attivita’ interne alle

comunita’ o in realta’ esterne nell’ambito di accordi predefiniti»;

      inclusione   degli   ex-tossicodipendenti   tra  le  «categorie

svantaggiate»   previste   dal  comma  1,  dell’art.  4  della  legge

8 novembre 1991, n. 381, in materia di Cooperative Sociali;

      incentivazione  all’avviamento  di attivita’ imprenditoriali da

parte di ex-tossicodipendenti;

      ampliamento e miglioramento della normativa che prevede congrui

periodi  di  aspettativa  per  i lavoratori che si sottopongono ad un

programma  riabilitativo in una struttura riconosciuta, eliminando la

disparita’ di trattamento tra i diversi contratti pubblici e privati.

    In  sintesi  quindi l’azione in questo campo deve tenere conto di

due direttrici strategiche:

      la  prima  direttrice si snoda sulla valorizzazione delle buone

esperienze  gia’  in  atto nel sistema pubblico e nel privato sociale

accreditato  in  materia di prevenzione, trattamento, cura e recupero

del tossicodipendente;

      la  seconda  direttrice  prevede,  da parte del Ministero della

Salute:

        1) l’assunzione   –   nell’ambito   delle  linee  strategiche

definite   dal  «Programma  triennale  del  Governo  per la lotta alla

produzione,  al  traffico,  allo  spaccio  ed  al consumo di sostanze

stupefacenti  e psicotrope 2002-2004», e degli indirizzi definiti dal

Dipartimento  nazionale  per le politiche anti-droga istituito presso

la   Presidenza   del  Consiglio  dei  Ministri  –  di  un  ruolo  di

coordinamento  del  settore  rispetto  agli altri Ministeri coinvolti

(Lavoro    e   Politiche   Sociali,   Istruzione,   Beni   Culturali,

Comunicazioni, Giustizia, Interno);

        2) la  creazione del necessario raccordo programmatico con le

Regioni,   in   quanto   titolari   di   competenza   in  materia  di

tossicodipendenze;   cio’   dovra’   aver   luogo   nel   rispetto  e

valorizzazione  dei  legami  specifici con il territorio che ciascuna

Regione   ha  gia’  in  atto  con  il  servizio  pubblico  e  privato

accreditato;

        3) l’attivazione   di  momenti  di  verifica,  valutazione  e

coordinamento  delle  informazioni  inerenti  i  dati, gli indicatori

sanitari e sociali, i risultati, le azioni svolte, sia dal sistema di

risposta pubblico sia da parte di tutto il privato sociale.

    In  conclusione  si  possono  identificare  i  seguenti obiettivi

prioritari:

      promuovere  la partecipazione delle associazioni delle famiglie

sin  dal momento programmatorio, prevedendone il coinvolgimento nella

logica dell’integrazione interistituzionale;

      inserire  nel  programma di abbattimento dell’uso e dell’abuso,

oltreche’  le  sostanze illegali, anche la tematica della prevenzione

dell’alcoolismo  (soprattutto  giovanile) e del tabagismo e estendere

l’azione  anche a settori innovativi di intervento come le dipendenze

comportamentali (es.: gioco d’azzardo);

      attivare programmi di prevenzione e informazione nella scuola;

      promuovere  e  attivare  sperimentazioni e ricerche su effetti,

danni e patologie derivati da uso e abuso di sostanze stupefacenti;

      produrre   Linee   Guida   e  protocolli  terapeutici  per  gli

interventi in campo sociale e sanitario;

      attivare   sinergie   con   le   Forze  dell’Ordine  sia  sulla

repressione   del   fenomeno   sia,   soprattutto,   sul  loro  ruolo

fondamentale  di prevenzione attraverso le informazioni, le analisi e

i collegamenti internazionali;

      concordare  con le Regioni le modalita’ per il recupero globale

della  persona  evitando  quando  possibile il ricorso esclusivo alla

terapia farmacologica di lunga durata;

      attivare   il   monitoraggio   delle   informazioni   e   della

comunicazione    dei   mass   media  e  delle  campagne  della  stampa

quotidiana.

6.5. La sanita’ penitenziaria

    Nell’anno  2000 le persone detenute erano 53.340 (51.074 uomini e

2.266    donne),    nonostante   le   infrastrutture   avessero   una

disponibilita’   di   35.000   posti  distribuiti  nei  200  istituti

esistenti.    Dei    suddetti    detenuti   13.668   (25,63%)   erano

extracomunitari,  14.602  (27,38%)  tossicodipendenti,  di  cui 1.548

(2,9%  dei detenuti) sieropositivi per HIV (9,8% dei sieropositivi in

AIDS  conclamata), oltre 4.000 (7,5%) sofferenti di turbe psichiche e

695 (1,3%) alcooldipendenti.

    Nel   1999   la   sanita’   penitenziaria   ha   subito  profonde

modificazioni  a  seguito  dell’emanazione  del  Decreto  Legislativo

22 giugno  1999,  n. 230, che stabilisce il trasferimento al Servizio

Sanitario  Nazionale delle competenze in tema di assistenza sanitaria

ai detenuti e agli internati.

    Le  funzioni  sanitarie svolte dall’amministrazione penitenziaria

con  riferimento  ai soli settori della prevenzione e dall’assistenza

ai  detenuti  e  agli  internati  tossicodipendenti  sono  gia’ state

trasferite al Servizio Sanitario Nazionale.

    Tra  le  problematiche  sanitarie di piu’ vasto impatto in ambito

penitenziario,  individuate  anche dal Progetto Obiettivo, vi sono le

malattie  infettive  (specialmente  epatiti virali, HIV, tubercolosi,

scabbia  e  dermatofitosi), le tossicodipendenze e la salute mentale.

E’   indispensabile  prevedere  misure  di  prevenzione,  sistemi  di

sorveglianza   e  modalita’  di  trattamento.  Per  contrastare  tali

patologie  e’  di  primaria importanza migliorare la formazione degli

operatori   sanitari  e  degli  agenti  di  polizia  penitenziaria  e

l’informazione dei detenuti.

    La  crescente  presenza nelle carceri di cittadini provenienti da

altri  Paesi  rende  opportuno  prevedere  la  presenza  di mediatori

culturali, persone qualificate non soltanto sul piano linguistico, ma

anche  culturale,  che  consentano  di  superare  le  difficolta’ nei

rapporti con i detenuti.

    Obiettivi prioritari in questo campo sono i seguenti:

      attivare programmi di prevenzione primaria per la riduzione del

disagio  ambientale e rendere disponibili programmi di riabilitazione

globale della persona;

      attivare   programmi  per  la  riduzione  dell’incidenza  delle

malattie infettive fra i detenuti;

      migliorare  la  qualita’  delle prestazioni di diagnosi, cura e

riabilitazione a favore dei detenuti.

6.6. La salute degli immigrati

    Al  1° gennaio  2001  gli  stranieri ufficialmente registrati dal

Ministero dell’Interno erano in Italia 1.338.153. Se si aggiungono ad

essi i richiedenti il permesso di soggiorno, il numero complessivo di

stranieri  regolarmente  presenti sul territorio risulta di 1.686.606

persone,  pari  a  circa il 2,9% dell’intera popolazione italiana (la

media europea e’ del 5,1%). Il 27% degli immigrati proviene dai Paesi

dell’Europa centro-orientale, il 29,1% dall’Africa settentrionale, il

7,3%  dall’Asia  centro meridionale, il 10,5% dall’Asia orientale. Il

67% circa ha una eta’ compresa tra 19 e 40 anni; il numero dei minori

e’  stimato  intorno al 15% e gli ultrasessantenni sono circa il 10%.

Meno  del  45%  degli  stranieri  e’  di sesso femminile. La presenza

irregolare  e’  stata  stimata ufficialmente dal Governo pari a circa

400.000  unita’  sulla base del numero di domande di regolarizzazione

presentate  entro  il  termine  del 15 dicembre 1998 sulla base della

legge n. 40 del 1998.

    Negli  ultimi  anni i flussi dall’Europa dell’Est, in particolare

ex-Yugoslavia,   Polonia   e   Albania,  sono  fortemente  cresciuti,

superando quelli del Nord Africa, prevalenti fino a poco tempo fa. Il

fenomeno    dei    «ricongiungimenti   familiari»   sta   rapidamente

riequilibrando  la   composizione  per  eta’  e genere degli stranieri

immigrati,  che  ancora agli inizi degli anni ’90 era prevalentemente

rappresentata da giovani adulti maschi.

    Il  tempo  intercorso  dal  momento  della  migrazione  configura

esperienze    di    svantaggio    molto   diverse.   In   prossimita’

dell’immigrazione  prevalgono il trauma del distacco dalla casa e dal

Paese  di origine e le condizioni di estremo disagio nella ricerca di

un  tetto  e  di un lavoro, di relazioni sociali, di affetti, e di un

riconoscimento  giuridico.  In questa fase, gli immigrati condividono

con gli italiani senza fissa dimora condizioni di svantaggio estremo.

    In  un  secondo momento, diventano piu’ importanti le difficolta’

di integrazione o di interazione e convivenza con la cultura ospite e

con  il  sistema dei servizi e le difficolta’ di apprendere la lingua

accrescono   le   barriere   alla   fruizione  dei  servizi  ed  alla

soddisfazione delle necessita’ quotidiane.

    Osservando  il  flusso  di utilizzo di alcuni servizi sanitari da

parte  degli  stranieri,  si  evidenzia  una  sostanziale mancanza di

elasticita’  dell’offerta  di servizi, a fronte dei nuovi problemi di

salute di questi nuovi gruppi di clienti.

    Tra  i  25.000  bambini nati da almeno un genitore straniero sono

piu’  frequenti  la  prematurita’,  il  basso  peso  alla nascita, la

mortalita’  neonatale  e  i  calendari  vaccinali  sono effettuati in

ritardo o in modo incompleto specie nelle popolazioni nomadi.

    Per  quanto riguarda la salute della donna, i temi emergenti sono

l’alto  tasso di abortivita’, la scarsa informazione (con conseguente

ridotta  domanda  di  assistenza  alla  gravidanza),  la  presenza di

mutilazioni  genitali femminili. Un’indagine coordinata dall’Istituto

Superiore di Sanita’ ha evidenziato che le I.V.G. effettuate da donne

straniere  sono  passate  da 4.500 nel 1980 a 20.500 nel 1998, con un

trend fortemente decrescente dalle eta’ piu’ giovani a quelle in eta’

piu’ avanzate.

    Anche  la  percentuale  dei  casi  di  tubercolosi  in  cittadini

stranieri  e’  in  costante  aumento;  secondo  i  dati dell’Istituto

Superiore  di Sanita’ essa e’ passata dall’8,1% nel 1992 al 16,6% nel

1998.   Questa   tendenza   e’   confermata   anche  da  altri  studi

epidemiologici   europei  effettuati  dall’International  Centre  for

Migration  and  Health  dell’OMS.  Questa patologia colpisce pazienti

irregolari  che  vivono in condizioni igienico-abitative peggiori sia

rispetto  alla  popolazione  generale sia rispetto agli stranieri con

regolare permesso di soggiorno.

    Una  maggiore  frequenza, in confronto alla popolazione italiana,

dei ricoveri causati da traumatismi (5,7% negli stranieri, 4,8% negli

italiani), segnalata dalle schede di dimissione ospedaliera, potrebbe

essere  la spia di un maggior numero di incidenti sul lavoro ai quali

vanno  incontro  i  lavoratori  immigrati.  L’analisi delle schede di

dimissione  ospedaliera  mostra, inoltre, tra le cause piu’ frequenti

di  ricovero  quelle legate alla patologia della gravidanza (7,3% dei

ricoveri  nelle straniere, 3,2% nelle italiane), alle infezioni delle

vie  aeree  (3,1%  negli  stranieri di cui 0,8% per tubercolosi, 1,8%

negli  italiani,  di  cui  0,1% per tubercolosi), agli aborti indotti

(1,7% nelle straniere, 0,5% nelle italiane).

    Nel  quadro  dei  molteplici  interventi  necessari  per superare

l’emarginazione  degli  immigrati bisognosi, un importante aspetto e’

quello   di  assicurare  l’accesso  delle  popolazioni  immigrate  al

Servizio   Sanitario  Nazionale  adeguando  l’offerta  di  assistenza

pubblica  in  modo  da  renderla  visibile,  facilmente  accessibile,

attivamente  disponibile  e in sintonia con i bisogni di questi nuovi

gruppi  di  popolazione,  in  conformita’ a quanto previsto dal testo

unico  sulla immigrazione che ha sancito il diritto alle cure urgenti

ed  essenziali  e alla continuita’ della cura anche per gli immigrati

irregolari.  In  tale  contesto,  sono  necessari,  fra  l’altro, sia

interventi di tipo informativo dell’utenza immigrata sull’offerta dei

servizi  da  parte  delle  ASL  che  l’individuazione  all’interno di

ciascuna  ASL di unita’ di personale esperte e particolarmente idonee

per questo tipo di rapporti.

    Altre azioni prioritarie riguardano i seguenti aspetti:

      migliorare  l’assistenza  alle  donne  straniere  in  stato  di

gravidanza e ridurre il ricorso alle I.V.G.;

      ridurre   l’incidenza  dell’HIV,  delle  malattie  sessualmente

trasmesse  e  delle  tubercolosi  tramite  interventi  di prevenzione

mirata a questa fascia di popolazione;

      raggiungere una copertura vaccinale della popolazione infantile

immigrata pari a quella ottenuta per la popolazione italiana;

      ridurre  gli  infortuni  sul lavoro tra i lavoratori immigrati,

tramite gli interventi previsti a tal fine per i lavoratori italiani.