Penale

Friday 07 May 2004

Il mancato versamento degli alimenti non integra di per se stesso il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.). Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, sentenza n.14965/2004

Il mancato versamento degli alimenti non integra di per se stesso il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.)

Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, sentenza n.14965/2004

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE VI PENALE

SENTENZA

FATTO E DIRITTO

La Corte di Appello di Bologna, con sentenza 31/1/2003, confermava quella in data 3/2/1998 del Pretore di Modena, Sezione di Vignola, che aveva dichiarato O. R. colpevole del delitto di cui all’art. 570 c.p. [1], per avere fatto mancare i mezzi di sussistenza alla moglie separata, P. M. e, in concorso delle circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi quattro di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

Riteneva il giudice distrettuale che la mancata corresponsione da parte dell’imputato alla moglie dell’assegno mensile stabilito in sede di separazione tra gli stessi, avendo determinato uno stato di difficoltà economica per l’avente diritto, aveva comunque integrato il contestato reato, considerato che lo stato di bisogno dell’avente diritto va ravvisato ogni qualvolta v’è una penalizzazione della qualità della vita rispetto a quella pregressa, tenuto conto anche del livello di reddito del coniuge obbligato.

Aggiungeva che, in questa ottica interpretativa, non escludevano la configurabilità del reato la circostanza che la P., dopo la separazione, aveva svolto, dapprima saltuariamente e dopo stabilmente, attività lavorativa retribuita che le garantiva un’autonomia economica sufficiente soltanto a soddisfare le primarie esigenze di vita, nonché il fatto che l’imputato le aveva offerto in comodato un’abitazione, rifiutata dalla donna, ed aveva provveduto a pagare le rate di mutuo della casa comune, ammontanti, per la parte di competenza della P., a circa otto milioni annui.

Sottolineava che l’O., pur disponendo di un’apprezzabile capacità reddituale, ricorrendo ad operazioni di fittizie cessioni di quote societarie della propria impresa, aveva paralizzato le procedure esecutive attivate dall moglie e vanificato ogni iniziativa di costei per recuperare quanto dovutole.

Precisava, infine, che l’inadempimento dell’imputato all’obbligo impostogli in sede di separazione aveva costituito una consapevole scelta comportamentale e non aveva trovato alcuna giustificazione che ne escludesse l’illiceità.

Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, il prevenuto e ha dedotto: erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 570 c.p., per difetto dell’elemento oggettivo dello stato di bisogno dell’avente diritto: si era identificato il mero inadempimento civile con l’illecito penale, posto che dalla stessa sentenza impugnata emergeva l’autosufficienza economica della P. e, quindi, l’assenza in costei dello stato di bisogno; erronea applicazione della legge penale (art 570 c.p.) in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato: l’affermata consapevolezza dell’agente circa lo stato di bisogno dell’avente diritto era viziata dalla confusione tra tale concetto e quello di condizioni di difficoltà economica; manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo; mancanza di motivazione sull’eccepita prescrizione del reato, la cui consumazione doveva ritenersi, al massimo, esaurita nel 1994, in coincidenza cioè con la stabile occupazione lavorativa della P. e la conseguente, completa autonomia economica da costei raggiunta.

La difesa della parte civile ha depositato memoria difensiva, datata 10/2/2004, con la quale, dopo avere sottolineato il persistente inadempimento dell’O. e le difficoltà economiche in cui ella versava, ha insistito per la conferma della gravata sentenza.

Il ricorso è fondato e accolto.

Le due sentenze di merito, che, in quanto conformi, si integrano tra loro, hanno accertato le seguenti circostanze di fatto: i coniugi O.- P., in data 18/1/1993, furono autorizzati dal Presidente del Tribunale di Modena a vivere separati; in quella sede, all’O. fu imposto l’obbligo di versare alla moglie, a titolo di contributo di mantenimento, l’assegno mensile di £ 450.000, obbligo assolto sino al maggio 1993 e non più onorato dal giugno 1993 fino al dicembre 1996; dopo la separazione, la P. aveva, dapprima, svolto lavori saltuari regolarmente retribuiti e aveva abitato in casa della sorella (avendo rifiutato l’alloggio offertole dal marito) e, poi, a partire dal 1994, aveva trovato una stabile occupazione, retribuita con £ 1.500.000 mensili, tanto che si era potuta permettere di rilevare in fitto un alloggio tutto per se; il reddito percepito, pur avendo consentito alla P. di fronteggiare le primarie esigenze, ma non le aveva garantito lo stesso tenore di vita pregresso; l’O. si era fatto carico di pagare la quota di mutuo gravante sulla casa coniugale (regime di comunione) e di competenza della moglie in ragione di £ 8.000.000 annui.

Ciò posto, è indubbio, per quanto accertato dal giudice a quo, l’inadempimento dell’imputato all’obbligo impostegli in sede di separazione personale.

Il predetto, infatti, illegittimamente omise, a partire dal maggio 1993, di versare al coniuge separato l’assegno di mantenimento stabilito, sia pure in via provvisoria, dal giudice civile e parametrato alla posizione economico- sociale dei coniugi, sulla base di un giudizio relazionale tra il contesto nel quale gli stessi avevano vissuto prima della separazione e la consistenza reddituale dell’odierno prevenuto.

Tale inadempimento, però, di fronte al quale l’avente diritto al mantenimento può tutelare i propri interessi dinanzi al competente giudice civile, non integra gli estremi della violazione degli obblighi di assistenza familiare nella previsione di cui al 2° comma n. 2 dell’art. 570 c.p..

Ed invero, non sussiste alcuna interdipendenza tra tale reato e l’assegno liquidato dal giudice civile, sia che tale assegno venga corrisposto nella misura stabilita, sia che venga corrisposto in misura ridotta, sia che non venga corrisposto affatto all’avente diritto.

L’illecito in questione, infatti, è rapportato unicamente alla sussistenza dello stato di bisogno dell’avente diritto alla somministrazione dei mezzi indispensabili per vivere, nonché al mancato apprestamento di tali mezzi da parte di chi, per legge, vi è obbligato.

L’ipotesi delittuosa in esame, sostanzialmente, pur avendo come presupposto l’esistenza di un’obbligazione assimilabile a quella alimentare, non ha carattere sanzionatorio dell’inadempimento del provvedimento del giudice civile che fissa l’entità dell’obbligazione, con la conseguenza che l’operatività o meno di tale provvedimento non assume alcun rilievo ai fini della configurabilità del reato, il quale, come si è detto, va visto soltanto in relazione alla situazione fattuale oggettiva, che deve evidenziare la violazione dell’obbligo legale di non fare mancare i mezzi di sussistenza a chi può pretenderli dal soggetto obbligato.

Ciò è tanto vero che il provvedimento del giudice civile non fa stato nel giudizio penale ne in ordine alle condizioni economiche del coniuge obbligato, ne per ciò che riguarda lo stato di bisogno dell’avente diritto ai mezzi di sussistenza, circostanze queste che devono essere accertate in concreto.

Il concetto di mezzi di sussistenza va tenuto distinto da quelli civilistici di mantenimento e di alimenti.

È solo il primo che entra in gioco nella struttura del reato di cui all’art. 570/2° n. 2 c.p. e va identificato in ciò che è esattamente indispensabile, a prescindere dalle condizioni sociali o di vita pregressa dell’avente diritto, alla vita, come il vitto, l’abitazione, i canoni per le utenze indispensabili, l’assistenza sanitaria, le spese per l’istruzione, il vestiario.

La nozione di mantenimento, di portata molto più ampia, comprende, invece, tutto quanto sia richiesto per un tenore di vita adeguato alla posizione economico- sociale dei coniugi (soddisfacimento di tutte le esigenze di vita del mantenuto indipendentemente dal suo stato di bisogno).

Nella nozione di alimenti, che si pone a metà strada tra le altre due, rientra, oltre a ciò che è indispensabile per le primarie esigenze di vita, anche ciò che è soltanto utile o che è conforme alla condizione dell’alimentando proporzionale alle sostanze dell’obbligato.

La sanzione penale, quindi, è circoscritta alla mancata corresponsione da parte dell’obbligato dei soli mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore ovvero inabili al lavoro, gli ascendenti o al coniuge al quale non sia addebitabile la separazione, categoria di persone, com’è agevole rilevare, non perfettamente sovrapponibile a quella avente diritto al mantenimento o agli alimenti (si pensi ai figli maggiorenni, al coniuge separato per sua colpa, ai fratelli, al donante: artt. 147, 433, 437 c.c.), il che conferma la volontà del legislatore di circoscrivere il campo di intervento del giudice penale a quelle sole situazioni di particolare allarme che compromettono il bene della coesione familiare, sia sotto il profilo morale ed affettivo (1° comma dell’art. 570) che sotto quello dell’assistenza materiale (2° comma dell’art. 570).

In conclusione, la mancanza dei mezzi di sussistenza non è correlata necessariamente all’inosservanza delle statuizioni di natura economica adottate dal giudice della separazione, potendo, in ipotesi , verificarsi diverse situazioni: l’obbligato non versa l’assegno o lo versa in misura inferiore a quella stabilita, si da non garantire il soddisfacimento delle esigenze vitali del beneficiario (caso di coincidenza tra l’inadempimento dell’obbligo e il reato); l’obbligato, pur non versando l’assegno o versandolo per un importo inferiore, non va, in concreto, ad incidere negativamente sui bisogni primari del beneficiario, ai quali il medesimo è in grado di fare fronte con i suoi averi (caso di chiaro inadempimento civilistico, con esclusione del reato); l’obbligato versa integralmente l’assegno, il cui importo non è adeguato per fronteggiare esigenze fondamentali anche di carattere straordinario, quali, per esempio, spese sanitarie per malattia (caso in cui difetta, soltanto apparentemente, l’inadempimento e sussiste il reato con le connesse responsabilità anche di natura civilistica).

Alla luce dei principi esposti e della ricostruzione dei fatti operata in sede di merito, deve escludersi, nella condotta tenuta dall’imputato, la materialità del delitto addebitatogli, nel senso che l’agente, pur essendosi pacificamente reso inadempiente all’obbligo giuridico impostogli dal giudice civile, non andò, per ciò solo, ad incidere negativamente sui bisogni primari della beneficiaria, la quale, disponendo, nell’arco temporale preso in considerazione, di un dignitoso reddito da attività lavorativa, versava in condizioni economiche tali da poter soddisfare da se quelle esigenze vitali.

Lo stato di bisogno dell’avente diritto alla somministrazione dei mezzi di sussistenza è requisito imprescindibile per la configurabilità del reato in esame e tale requisito, per quanto accertato dal giudice di merito (il reddito della P. le garantiva ciò che era sufficiente per le necessità più stringenti), difetta nella specie.

La diversa e opposta conclusione alla quale è pervenuta la Corte territoriale disvela, quale vizio genetico del ragionamento che la sorregge, la ritenuta, ma non corretta, coincidenza dei concetti di mantenimento e di mezzi di sussistenza, considerato che è stata ancorata alla mancata corresponsione dell’assegno fissato dal giudice della separazione la materialità del reato, essendosi sottolineato che l’avente diritto a tale assegno, abituata, prima della separazione, ad un determinato tenore di vita, era venuta a trovarsi, dopo, in difficoltà economiche, perché non in grado di mantenere lo stesso pregresso tenore di vita.

Ciò, però, esula dalla nozione di mezzi di sussistenza, quale sopra precisata, e può avere valenza non sul piano della responsabilità penale, ma ai soli fini di un’azione civile per danni.

L’impugnata sentenza, per le assorbenti ragioni esposte, deve, pertanto, essere annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste.

PQM

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio, perché il fatto non sussiste.

Roma, 12/2/2004.

Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2004.