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Tuesday 11 March 2003

Il diritto d’accesso alle cartelle cliniche da parte dei famigliari del paziente. TAR VENETO, SEZ. III – Sentenza 7 marzo 2003 n. 1674

Il diritto d’accesso alle cartelle cliniche da parte dei famigliari del paziente.

TAR VENETO, SEZ. III – Sentenza 7 marzo 2003 n. 1674 – Pres. Zuballi, Est. Franco – Sinigaglia (Avv.ti Bacci e Favaron) c. U.L.S.S. n.12 (Avv.Zimbelli) – (accoglie).

per laccesso

ai documenti amministrativi costituiti dalle cartelle cliniche relative ai ricoveri della sorella Fiamma presso lOspedale di Venezia, con conseguente condanna al rilascio di copia dei documenti richiesti, nonché per lannullamento del diniego opposto al riguardo…..

FATTO

La sig.ra Sinigaglia Giuliana, sorella di Fiamma (non coniugata e senza figli), deceduta il 10.6.2002 per patologia tumorale, chiedeva, con istanza del 22.7.2002, alla ASL 12 copia della cartella clinica relativa ai ricoveri della sorella. Seguiva un diniego, con atto in data 13.9.2002, a firma del direttore del servizio di medicina legale, motivato con lassunto che la richiedente (non compresa nel testamento), non era erede legittimaria. Interveniva il Difensore civico regionale, il quale, con nota del 7.11.2002, segnalava allAmministrazione sanitaria la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi per laccesso ai documenti richiesti al fine di verificare la presenza di malattie ereditarie, in relazione alle patologie che avevano determinato il decesso della madre e della sorella (del resto sulla scorta dellart. 21 del regolamento dellASL 12, ove si prevede il rilascio della cartella clinica ai “parenti stretti”, in caso di decesso del paziente).

In pari data veniva inoltrata unulteriore richiesta della cartella clinica formulata dal marito, a nome della sig.ra Sinigaglia, con la precisazione che lo scopo era di verificare lereditarietà della patologia. Con nota del 19 novembre veniva riscontrata la richiesta, specificandosi, con riguardo alla motivazione testé evidenziata e alle relative ragioni, che le stesse “possono essere ritenute valide alla luce della trattatistica bioetica e tali da consentire di violare& le rigide norme del segreto professionale&”, soggiungendosi che la richiedente avrebbe potuto indicare il nome di un “suo medico di fiducia che, con la collaborazione di un nostro medico, esaminerà la documentazione clinica in questione e, nellipotesi dellesistenza di una, anche minima, possibilità di patologia ereditaria, trarrà da quella documentazione tutti i dati utili per ogni tipo di ulteriore valutazione clinica, diagnostica, prognostica e preventiva”.

Contro tale provvedimento, e per laccertamento del diritto allaccesso alle cartelle cliniche richieste, con conseguente rilascio di copia delle stesse, insorge con il ricorso in epigrafe linteressata, ai sensi dellart. 25 della legge 7.8.90 n. 241.

A sostegno del gravame la ricorrente richiama in primis il menzionato art. 21, ricordando di essere sorella e unica parente di Fiamma, deceduta per patologia analoga a quella della madre, e invocando la tutela del diritto alla salute, situazione soggettiva di rilievo costituzionale, che non può essere sacrificata rispetto alla pretesa esistenza del segreto professionale. Manifestamente illegittimo appare, invero, porre sullo stesso piano il diritto alla salute e il segreto professionale, destinato a recedere nei confronti del primo, come ha chiarito la giurisprudenza. Né potrebbe invocarsi il diritto alla riservatezza, perché, se è vero che la materia sanitaria è nellinsieme coperta dal diritto alla riservatezza, laccesso non può essere negato allorquando proprio linteresse sanitario costituisca loggetto della pretesa.

Né, infine, può ritenersi soddisfacente la soluzione intermedia prospettata dallASL, non potendo la mera visione degli atti configurare quella esibizione di cui parla lart. 25 della legge n. 241/90.

Si è costituita la P.A. intimata, eccependo, con successiva memoria, in primis inammissibilità del ricorso per omessa notifica da parte della ricorrente che non è erede- allerede controinteressato, versandosi in ipotesi di attivazione di un interesse legittimo, e di ricorso impugnatorio. Inammissibile sarebbe il ricorso anche sotto il diverso profilo della omessa specificazione del titolo posto a base della richiesta di accesso: linteresse attivato viene, infatti, specificato soltanto in sede giudiziale.

Nel merito eccepisce che non è stato affatto negato laccesso alle cartelle cliniche, ma è stato disposto con garanzie consone alla natura dei dati trattati (i quali sono innegabilmente dati sensibili che, una volta divulgati, arrecherebbero danno irreversibile alla sfera giuridica dellinteressato). Invero, ai sensi dellart. 27 della legge n. 675/96, la comunicazione e la diffusione dei dati personali sono consentiti solo se una norma di legge o di regolamento lo preveda. La giurisprudenza ha, infatti, chiarito che non già linvocazione di un generico diritto di difesa possa prevalere sulla protezione di detti dati personali, ma che, nella necessaria comparazione, prevalga lesigenza di difesa di un diritto di rango almeno pari a quello dellinteressato. Il diritto di accesso prevaleva, dunque, sul diritto alla riservatezza, mediante visione ma senza estrazione di copia. Detta soluzione è stata, poi, sancita con il D.Lgs. 11.5.99 n. 135, confermando che occorre un bilanciamento fra il diritto di accesso e quello alla riservatezza. Orbene, la soluzione individuata dalla P.A. resistente sembra conforme a detto assetto normativo, essendo sufficiente un consulto di un medico autorizzato per trarre dalla cartella tutti gli elementi che potrà offrire ai colleghi per meglio tutelare la salute dellinteressata. Da ciò il superamento dellart. 21 del regolamento, che si chiede venga disapplicato per contrasto o mancato raccordo con il D.Lgs. n. 135/99.

Alludienza i difensori comparsi hanno ribadito le rispettive conclusioni, chiedendo che la causa fosse spedita in decisione.

D I R I T T O

1- La risoluzione della controversia allesame del Collegio postula la necessità di rispondere ad una serie di quaestiones juris di non scarso rilievo, tanto in rito quanto nel merito.

1.1- Lanalisi di siffatte questioni non può che iniziare da quelle che rivestono carattere pregiudiziale o preliminare, la prima delle quali concerne leccepita inammissibilità del gravame, per non essere stato notificato il medesimo a cura dellodierna ricorrente (che non è erede, come chiarito nella narrativa in fatto)- “allerede che risulta controinteressato”.

In merito a detta eccezione, bisogna dire che la stessa poggia, al tempo stesso, su un presupposto in fatto da cui si traggono conclusioni di ordine giuridico processuale- e sugli assunti di due sentenze del Consiglio di Stato, alquanto recenti, che hanno affermato la natura impugnatoria dellactio ad exhibendum disciplinata dallart. 25 della legge 7.8.90 n. 241, con la conseguente necessità di notificare il ricorso anche ai controinteressati.

Per dare una risposta corretta a tale eccezione comunque di non facile apprezzamento- basterebbe, senza invischiarsi in considerazioni in ordine alla condivisibilità o meno dellorientamento giurisprudenziale pur autorevolmente enunciato, osservare che il patrocinio che lha formulata presuppone, in maniera piuttosto ellittica (verosimilmente in ciò deviato dalla originaria risposta negativa data dalla P.A. resistente alla richiesta di accesso) che la qualità soggettiva di erede fornisca la legittimazione (una giustificazione e un titolo, cioè, alla relativa istanza) a chiedere la visione o il rilascio della cartella clinica di una persona defunta, e che tale titolo non possa, invece, riconoscersi al parente che erede non è.

Ma un siffatto iter argomentativo pare viziato in radice: ed invero, se come è stato chiarito già nella sede amministrativa (cfr., al riguardo, quanto si aggiungerà fra breve)- oggetto della pretesa erano cartelle cliniche di una persona che deve considerarsi “parente stretto” (per usare lespressione di cui al richiamato regolamento dellASL 16), quale certamente deve considerarsi la sorella del richiedente, e se linteresse addotto a motivo della richiesta di accesso è lato sensu sanitario o connesso alla tutela della salute, non si vede come possa incidere sulla soddisfazione di un siffatto interesse la circostanza se il richiedente rivesta, o meno, la qualità di erede. Se si ammette, infatti (su ciò v. infra), che la domanda di accesso alle cartelle cliniche era animata dallinteresse ad appurare a scopo di prevenzione terapeutica- se la patologia che aveva determinato il decesso della sorella (e anche della madre, in precedenza) potesse essere in qualche modo trasmissibile, non pare che la sussistenza della qualità di erede in capo al richiedente possa in alcun modo influire sul riconoscimento di tale diritto.

In effetti, il collegamento istituito dalla P.A. resistente fra qualità di erede (che, si potrebbe dire, è uno status che ricomprende rapporti pressoché esclusivamente a contenuto patrimoniale) e diritto di accesso al rilascio della cartella clinica deve considerarsi del tutto estemporaneo, e sfornito di una sia pur minima base giustificatrice di ordine giuridico, alla luce della disciplina del diritto di accesso e delle relative deroghe ed eccezioni di cui alla legge n. 241/90. Ed invero, deve ritenersi che la richiesta di accesso alla documentazione sanitaria costituita dalla cartella clinica relativa a persona deceduta, cui i relativi dati e informazioni facevano capo, avanzata da un parente del paziente defunto, debba essere esaminata alla luce dei motivi addotti a sostegno della medesima, avendo riguardo al nesso fra le motivazioni addotte a sostegno dellistanza (idest natura della posizione giuridica del richiedente) e alle finalità addotte. Sotto questo profilo, pertanto, lassunto del patrocinio resistente deve ritenersi privo di fondamento.

Chiarito quanto sopra, occorre dire della giurisprudenza invocata a sostegno della dedotta inammissibilità per omessa notifica al controinteressato. Orbene, nonostante lautorevolezza del Collegio che ha emesso le due pronunce richiamate, si ritiene di non poterne condividere gli assunti, e ciò sulla scorta del dato normativo testuale. La legge, invero, nellintrodurre nellordinamento (con lart. 25) questo nuovo tipo di ricorso instaurabile davanti al giudice amministrativo, ha sicuramente dato luogo a una tipologia di azione e ad un rito che si muovono in una logica tuttaffatto diversa dagli stilemi tipici della tradizionale azione di annullamento e del giudizio impugnatorio, dal quale si differenzia nettamente (come pure, del resto, dalla classica azione di accertamento di diritti attivabile allinterno del giudizio su rapporto ovvero della giurisdizione esclusiva del G.A.). Ciò è testimoniato tra laltro- dal tipo di sentenza relativa a detto rito, la quale non è costitutiva (in quanto non pronuncia lannullamento di un atto, se non in via eventuale e incidentale, nel caso di diniego), né di condanna in senso stretto, poiché si sostanzia nel riconoscimento del diritto di accesso ad atti e documenti, nonché nellordine di un facere specifico impartito allamministrazione, sul presupposto -implicito o esplicito- del menzionato riconoscimento.

Ed invero, a tacere del fatto che la norma qualifica espressamente la posizione giuridica fatta valere in giudizio come diritto di accesso, la norma prevede che il giudice, una volta che abbia riconosciuto lesistenza di un siffatto diritto in capo al ricorrente, ordini senzaltro alla P.A. il rilascio dei documenti e atti inutilmente richiesti allAmministrazione. La sentenza, cioè, al tempo stesso si configura come un accertamento e una condanna a un facere specifico a carico della P.A. che dovesse risultare soccombente in un simile giudizio. Con ciò non si vuol dire che non assumano rilievo processuale le posizioni giuridiche e gli interessi di altri soggetti di senso contrario a quello del ricorrente. Al contrario, certamente situazioni siffatte emergono in molteplici fattispecie, in particolare nelle ipotesi di conflitto con il diritto alla riservatezza, nelle varie e articolate previsioni regolate dallart. 24 della L. n. 241/90, e successivamente dalla legge n. 675/96 in ordine alla protezione dei dati personali. Tuttavia, allorquando, ai fini della risoluzione della controversia relativa al diritto di accesso sottoposta al G.A., emerga lesigenza di accertare la consistenza di siffatti interessi e di confrontarli con la posizione giuridica del ricorrente (sulla scorta, per lo più, della motivazione del diniego fornita dallamministrazione), sarà il giudice a ordinare, eventualmente, lintegrazione del contraddittorio ove alla notifica ai controinteressati non abbia provveduto il ricorrente, senza che lomessa notifica assurga a elemento dirimente ai fini dellammissibilità del ricorso, non versandosi in ipotesi di giudizio impugnatorio.

Leccezione, per quanto fin qui detto, deve essere rigettata, siccome infondata.

1.2- Un secondo profilo di inammissibilità prospetta il patrocinio resistente, sul rilievo che lodierna ricorrente non avrebbe specificato il titolo giustificativo della sua richiesta di accesso, e che la posizione giuridica alla base dela stessa sarebbe emerso soltanto nella sede giudiziale.

Al riguardo si osserva che, effettivamente, la richiesta rivolta originariamente alla P.A. resistente appariva alquanto generica, e sfornita di idoneo supporto motivazionale a sostegno dellistanza (così come richiesto dalla legge n. 241/90 e dal regolamento approvato con D.P.R. n. 352/92). Senonché tale circostanza perde di rilievo alla luce delle vicende che hanno preceduto il diniego qui impugnato. Infatti, dopo lintervento del difensore civico regionale del 7 novembre ove si chiarivano e sostenevano diffusamente le reali motivazioni allorigine della richiesta di rilascio delle cartelle cliniche- lodierna ricorrente, per il tramite del coniuge, rilasciava, in pari data, una dichiarazione a sostegno della richiesta della documentazione clinica de qua “per verificare lereditarietà della patologia, della quale era affetta anche la Sig.ra Cossato Annina, madre delle signore Fiamma e Giuliana Sinigaglia”.

Quanto appena riportato mostra che anche leccezione in esame si rivela infondata.

2.1- Passando ad esaminare il merito della controversia, occorre chiarire preliminarmente due aspetti. Il primo riguarda la valutazione e gli effetti della risposta fornita allinteressata alla stregua del contenuto testuale della medesima. La seconda concerne la sovrapposizione, ed anzi lincrocio fra due ordini motivazionali (luno presente nella menzionata risposta dellASL 12 e laltra nelle difese svolte in giudizio), e i necessari chiarimenti.

Quanto alla prima questione, si pone il quesito se la risposta data alla ricorrente (e qui dalla medesima contestata) configuri un sostanziale diniego. In tal senso, in effetti, lo ha inteso linteressata, e da ciò si è originato il ricorso. In realtà si tratta di un éscamotage individuato dalla P.A. resistente, come una sorta di soluzione intermedia, dal momento che non si denega tout-court laccesso alla documentazione clinica richiesta, ma se ne consente la visione mediante un filtro, costituito da un medico di fiducia dellinteressata. Questi soltanto, in collaborazione con un medico dellASL, potrebbe compulsare detta documentazione, e, nellipotesi che riscontri dati ed elementi “di una, anche minima, possibilità di patologia ereditaria”, trarne “tutti i dati utili per ogni tipo di ulteriore valutazione clinica, diagnostica, prognostica e preventiva”.

Ora, affatto singolare (e nuova, per quanto ne risulta) appare linterposizione di un altro soggetto, che dovrebbe fare da tramite fra lente pubblico e il cittadino nel rapporto che si instaura fra costoro allorquando il secondo intenda esercitare il diritto di accesso ad atti e documenti detenuti dalla P.A. Una siffatta intermediazione, in verità, qualunque sia la giustificazione che ne fornisca lamministrazione cui si rivolta la richiesta, deve recisamente escludersi, dovendosi configurare come squisitamente personale il diritto di accesso, per questo attivabile in via diretta. Del resto, lattribuzione a un simile intermediario di un potere di valutazione e di scelta dei dati desunti dai documenti visionati acuisce vieppiù la violazione del diritto di accesso nel caso di specie.

Vero è che il richiamato regolamento governativo (D.P.R. 27.6.92 n. 352, art. 5, comma 6°) consente che lesame dei documenti possa essere effettuato, oltre che dal richiedente, anche da persona incaricata dal medesimo, con leventuale accompagnamento di altra persona. Ma, come ognun vede, nella prima ipotesi si tratta di persona espressamente incaricata autonomamente dal richiedente (evidentemente per ragioni che possono riguardare egli soltanto); per quanto concerne la seconda (la possibilità di accompagnamento di altra persona), palesemente si tratta di previsione normativa orientata ad agevolare la visione e la valutazione dei documenti. Entrambe le previsioni, insomma, suonano come affatto estranee allipotesi di una intermediazione nellesercizio del diritto di accesso.

Per le ragioni testé esposte, latto conclusivo del procedimento di accesso ai documenti de quibus deve qualificarsi al di là del suo contenuto, allapparenza conciliativo e non impeditivo della visione della documentazione richiesta- come un sostanziale diniego, siccome fortemente ostativo alla realizzazione dei diritto di accesso vantato dalla ricorrente.

2.2- Il secondo chiarimento attiene alla constatazione che, mentre nel menzionato diniego si fa riferimento quale ragione ispiratrice della forte limitazione allesercizio di tale diritto, che si consente soltanto per il tramite del “filtro” poco addietro menzionato- al segreto professionale, sia in parte- i motivi del ricorso allesame, sia le nutrite eccezioni sollevate dal patrocinio resistente, si svolgono con riguardo al diritto alla riservatezza, ovvero alla protezione di dati personali “sensibili”, coperti dalla tutela predisposta dalla legge n. 675/96.

Al riguardo va detto, preliminarmente, che, trattandosi di due tipi di diritti che “per natura” si contrappongono alla comunicazione ad altri o alla diffusione al pubblico del loro contenuto, in buona misura possono valere ai fini del necessario raffronto e bilanciamento con il contrapposto diritto di accesso- considerazioni analoghe, salvo le necessarie specificazioni, cosicché non assume grande rilievo la rilevata discrasia.

3-Il merito in senso stretto della lite attiene alla vexata quaestio del conflitto fra due diritti, che entrambi ricevono tutela dallordinamento, e che entrano spesso, per così dire, “in rotta di collisione”. Il problema vero punto critico delle disciplina del diritto di accesso e di quella inerente alla protezione dei dati personali- non certo nuovo, ed è stato affrontato più volte dalla giurisprudenza (anche di questo Tribunale Amministrativo), che ha assunto un orientamento sufficientemente univoco e consolidato.

Si premette che il richiamo, fatto nel provvedimento impugnato, alla tutela del segreto professionale del resto in maniera non molto convinta- pare del tutto fuori luogo. Data la maniera generica e apodittica dellassunto, se si dovesse seguire il medesimo, se ne dovrebbe inferire che qualsiasi manifestazione di congnizioni specifiche inerenti allesercizio di una professione (nella specie, quella medica) debba prevalere comunque sullinteresse a prendere visione del portato di dette manifestazioni il che palesemente sarebbe quanto meno eccessivo.

Nella fattispecie non si tratta, peraltro, di carpire, attraverso la visione della documentazione clinica, elementi e dati inerenti a un professionista determinato (data la completa assenza di riferimenti nominativi), né può ragionevolmente sostenersi che la conoscenza di una cartella clinica e dei suoi contenuti possa ledere in qualche modo tale segreto. Per maggiori indicazioni al riguardo, ove si volesse inquadrare il segreto professionale nellambito del diritto alla riservatezza, valgano, comunque, le osservazioni che seguono inerenti alla tutela di questultimo.

Come accennato, la questione specifica del raffronto del diritto di accesso e il contrapposto diritto alla riservatezza è stata affrontata da questa Sezione con la sentenza 25.5 6.7.2000 n. 1294. Di tale pronuncia conviene riportare integralmente un passo:

“3 Fatta questa breve premessa, appare evidente che si pongono problemi circa i rapporti e il delicato equilibrio fra tali due leggi orientate a finalità antitetiche, che qui debbono essere affrontati, anche concisamente, nonostante che la complessa tematica non traspaia in tutta la sua sostanza dagli scritti difensivi delle parti, ognuna delle quali sembra dare per scontato, nellottica delle rispettive tesi difensive, quod demonstrandum.

Al riguardo è bene subito chiarire che, mentre alcune delle regole da seguire per la risoluzione dei casi di conflitto (almeno apparente) fra le due leggi sono rinvenibili nelle stesse (art. 24.1 L. n. 241/90 e regolamento approvato con D.P.R. n. 352/92, cit; art. 22, 23, 29, 43.3 e 27.3 L. n. 675/96), occorre, a tal fine, tenere presenti anche il più recente D.Lgs 11.5.99 n. 135 (“disposizioni integrative della L. 31.12.96 n. 675 sul trattamento dei dati sensibili da parte dei soggetti pubblici”). In particolare, decisiva, – ai fini della risoluzione della controversia appare, ad avviso del Collegio, la disposizione dellart. 16, comma 2° di tale decreto.

In precedenza, rilevata la difficile conciliabilità delle contrapposte posizioni e pretese fra chi insta per ottenere documenti al fine di difendere un suo diritto o interesse nella sede giudiziale o anche amministrativa e chi, invece, mira a tenere riservati e non diffondere dati personali protetti dal diritto alla riservatezza, la giurisprudenza si era affidata al criterio di prevalenza nel bilanciamento fra i due contrapposti diritti, regola del resto già rinvenibile (come si è osservato retro) nellart. 24 della L. n. 241/90, scritto, peraltro, prima che intervenisse la legge sulla protezione dei dati personali, e dunque quasi per forza di cose orientato nel senso della prevalenza del diritto di accesso.

Intervenuta la legge n. 675/96, la prospettiva era cambiata, inducendo la giurisprudenza successiva concernente il diritto di accesso ad orientarsi sempre più nel senso della prevalenza del diritto alla riservatezza, specie in tema di dati inerenti allo stato di salute delle persone.

Per quanto concerne le norme (anteriori al D.Lgs. n. 135/99 cit.), rilevante appariva il criterio indicato nellart. 273 della L. n. 675/96, là dove si dice: “la comunicazione e la diffusione dei dati personali da parte di soggetti pubblici a privati… sono ammesse solo se previste da norme di legge o di regolamento”. Per incidens si osserva che, a volere leggere in qualche misura unilateralmente o affrettatamente tale disposizione, si poteva interpretare la stessa nel senso che comunque fosse assicurato il diritto di accesso al fine di difendere un proprio interesse in giudizio o anche nelle sedi amministrative, secondo quanto disposto dallart. 24.1, lett. d) della L. n. 241/90 (che è, appunto, una norma di legge). Deponeva nel senso di tale interpretazione, ad abundantiam, anche la disposizione “di salvaguardia” dellart. 43 della L. n. 675/96 in forza della quale “restano ferme…. le vigenti norme in materia di accesso ai documenti amministrativi”.

Tuttavia, stante la perplessità e lincompletezza o quanto meno parziale contraddittorietà fra le disposizioni appena riportate, sembrava doveroso adottare linee ermeneutiche più caute circa la valutazione della prevalenza di uno dei due diritti in discorso sullaltro.

Quanto alla giurisprudenza, – dopo lincertezza (o mancata presa di posizione circa la prevalenza di uno dei due diritti sullaltro) palesata da Cons. di Stato, Sez. V^ 2.12.98 n. 1725 le più recenti pronunce (successive allemanazione della L. n. 675/96) si andavano orientando nel senso della prevalenza del diritto alla riservatezza sul diritto (qualificato sempre più frequentemente interesse legittimo: cfr. sentenza appena citata Ad. Pl. 24.6.99 n. 16) di accesso. Al riguardo si veda, segnatamente Cons. di Stato Sez. VI^ 26.1.99 n. 59, ove si afferma che il diritto di accesso prevale sul diritto alla riservatezza soltanto in presenza di una norma che ciò espressamente preveda (in queste come in altre sentenze si giustifica tale prevalenza anche con largomento che, una volta rivelati i dati personali inerenti alla salute, il diritto alla riservatezza è irriversibilmente leso, né è configurabile una reintegrazione del medesimo (cfr. anche Cons. di Stato, Sez. IV^, 29.1.98 n. 15).

4 Peraltro, a parte pronunce pressoché coeve di segno contrario (cfr., ad es., Cons. di Stato, Sez. VI^, 27.1.99 n. 65, ove la prevalenza è assegnata ad diritto di accesso), la soluzione nel senso della prevalenza della riservatezza sullaccesso non sembrava appagante, in fin dei conti sulla scorta dei dati normativi (retro richiamati) desunti dalla stessa L. n. 675/96.

Tuttavia sembra, ora che il dato normativo testuale apportato dallart. 16 del D.Lgs. n. 135/99 fornisca, alfine, un criterio normativo decisivo, pur lasciando un margine di apprezzamento alla P.A. investita della domanda di accesso, e, a maggior ragione, al giudice chiamato a risolvere la controversia nata dal diniego di accesso.

Dice, infatti, il co. 1°: “Si considerano di rilevante interesse pubblico i trattamenti di dati: … b) necessari per far valere il diritto di difesa in sede amministrativa o giudiziaria, anche da parte di un terzo…”; il co. 2° poi soggiunge: “Quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute…, il trattamento è consentito se il diritto da far valere o difendere, di cui alla lettera b) del co. 1, è di rango almeno pari a quello dellinteressato”.

Come si vede, la regola è fornita dal “rango” del diritto che si intende difendere attraverso la conoscenza degli atti cui si chiede laccesso (per incidens si rileva la scelta legislativa, ancora una volta a favore del diritto di accesso, salva la parità, almeno, di rango). Qui, chiaramente, gioca quel margine di apprezzamento di cui si diceva pocanzi.”

Le considerazioni fatte in detta pronuncia giudiziale (sulla stessa scia, in buona sostanza, si collocano Cons. Stato, Sez. VI, 30.3.2001 n. 1882; TAR Milano, Sez. II, 23.6.2000 n. 4615; TAR Bologna, sez. I, 6.12.2001 n. 1207; TAR Bari, Sez. I, 14.11.2002 n. 4954) si attagliano al caso di specie, dove si tratta, appunto di porre a confronto due contrapposti interessi, peraltro con la differenza, rispetto al caso ivi deciso, che, a ben riflettere (e tralasciando il riferimento testuale al segreto professionale, per le ragioni poco addietro accennate), entrambi gli interessi in campo hanno in comune il substrato del carattere sanitario ovvero connesso alla protezione della salute. Anzi, più specificamente, nella specie si contrappongono un diritto di accesso a documentazione sanitaria altrui, motivato con lesigenza di approntare terapie preventive, o meno (a seconda del contenuto della documentazione medesima), e un diritto a mantenere riservati dati inerenti allo stato di salute (per meglio dire, anzi, patologico) di un parente defunto.

In tute le fattispecie sottostanti alle sentenze menzionate (ivi compresa la sentenza Bighignoli), invece, si contrapponevano il diritto di accesso motivato con lesigenza di difendere in giudizio propri interessi, e il diritto alla riservatezza di dati personali di carattere sanitario. Senonché, elemento comune anche al caso ora in esame è costituito dallesigenza di sciogliere il nodo della prevalenza fra il diritto a prendere visione di documenti e dati concernenti persona diversa dal richiedente e quello inerente all a riservatezza di dati inerenti a persona deceduta (dunque piuttosto astratta). La particolarità del caso di specie è data dal fatto che laccesso alla documentazione sanitaria altrui occorre al richiedente non per difendere propri interessi nella sede giudiziale o altrove, bensì a fini di protezione della sua salute.

Ma, se così è, pare non potere essere diversa la soluzione da quella seguita nelle proununce menzionate. Ed invero, nessuno vorrà negare che linteresse ad approntare eventuali terapie preventive a protezione del proprio stato di salute stia alla base di un diritto che certamente deve considerarsi primario e, di conseguenza nel confronto con quello alla riservatezza di dati sanitari afferenti a un parente stretto defunto- di rango superiore rispetto a questultimo, non fosse altro perché linteressata non potrebbe in altro modo acquisire dati e informazioni rilevanti a tal fine.

In conclusione, per le considerazioni su esposte, il ricorso deve ritenersi fondato e va accolto. Per leffetto, previo annullamento del provvedimento impugnato, si ordina alla P.A. resistente di consentire alla ricorrente eventualmente con la presenza da un medico o di altra persona di fiducia- di prendere visione delle cartelle cliniche richieste, e di rilasciargliene copia integrale, ovvero limitatamente alle parti oggetto di specifica richiesta, entro il termine di giorni 20 dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione a cura di parte, se più tempestiva- della presente sentenza.

Le spese ed onorari di giudizio seguono la soccombenza, e sono liquidate come da dispositivo.

P. Q. M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione terza, definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie. Per leffetto: 1) annulla il provvedimento impugnato; 2) ordina alla ASL 12 di Venezia di consentire alla ricorrente la visione della documentazione richiesta e di rilasciargliene copia, nei sensi ed entro il termine specificati in motivazione.

Condanna la medesima A.S.L. 12 al pagamento delle spese e onorari di giudizio, che liquida forfetariamente in ¬. 2.500 (euro duemilacinquecento), oltre agli oneri di legge (IVA e CAP).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, in camera di consiglio, addì 30 gennaio 2003.

Il Presidente l’Estensore

Depositata in segreteria in data 7 marzo 2003.