Lavoro e Previdenza

Thursday 27 October 2005

I permessi studio previsti dai CCNL devono essere concessi anche per le lauree brevi.

I permessi studio previsti dai CCNL devono essere concessi anche per le lauree brevi.

Cassazione Sezione lavoro sentenza 23 giugno-25 ottobre 2005, n. 20658

Presidente Mileo Relatore Nobile

Pm Nardi conforme ricorrente Amicosante controricorrente Enel Distribuzione Spa

Svolgimento del processo

Con sentenza del 21 dicembre 1999 il Giudice del Lavoro del Tribunale di Sulmona accoglieva la domanda proposta da Aldo Amicosante nei confronti dellEnel Distribuzione Spa, intesa ad ottenere la condanna della società al pagamento delle indennità corrispondenti alla mancata concessione dei permessi retribuiti, ex articolo 20, comma 3, del contratto collettivo di categoria, in ragione degli esami sostenuti, presso la Scuola diretta a fini speciali in tutela delle risorse territoriali, organizzata e gestita dalla Facoltà di Ingegneria dellUniversità di LAquila, per il conseguimento del diploma di esperto in tutela ambientale.

In specie il Giudice rilevava che al di là del nomen juris attribuito al detto diploma, si era «di fronte ad un corso di studi gestito ed organizzato dalla Facoltà di Ingegneria di LAquila di durata biennale e successivo alla scuola media superiore», come tale rientrante tra le fattispecie contemplate dallarticolo 20 del Ccnl e dagli articoli 17 e 18 del medesimo contratto.

Con ricorso del 6 settembre 2000 proponeva appello lEnel, osservando che il particolare trattamento invocato dallAmicosante (in specie permessi orari retribuiti, nella misura di due ore giornaliere, per un periodo massimo di 10 giorni per ogni esame universitario) andava ben oltre la previsione di cui allarticolo 10 della legge 300/70 ed era accordato esclusivamente ai lavoratori che frequentavano corsi per il conseguimento di laurea o diploma universitario.

Sosteneva, quindi, la società appellante che il corso di studi frequentato dallAmicosante non dava diritto al conseguimento di un titolo di studio qualificabile come diploma universitario, mentre era, altresì, dubitabile che il titolo de quo avesse valore legale.

La Corte di appello di LAquila, con sentenza depositata il 22 gennaio 2002, in accoglimento dellappello rigettava la domanda dellAmicosante e compensava le spese del doppio grado.

In particolare i giudici del gravarne affermavano che il diploma di esperto in tutela ambientale, rilasciato dalla scuola de qua, istituita con decreto rettorale del 24 luglio 1989, ai sensi del Dpr 162/82, non appariva equiparabile ad un diploma universitario.

Rilevava altresì la Corte territoriale che ancora non era stato emanato il decreto, previsto dallarticolo 9 del citato Dpr, che avrebbe dovuto individuare le professioni o quei concorsi nel pubblico impiego per i quali il diploma in oggetto avrebbe avuto specifico valore abilitante.

Concludeva, quindi, che «allo stato della legislazione in materia, i diplomi rilasciati dalle scuole dirette a fini speciali non hanno ancora avuto una loro precisa collocazione giuridica, tantè che può dubitarsi anche del valore legale di siffatto diploma, se per titolo di studio avente valore legale deve intendersi quello che consente la prosecuzione degli studi, la partecipazione a pubblici concorsi o di abilitazione ad una professione».

Per la cassazione della detta sentenza ha proposto ricorso lAmicosante con due motivi.

Ha resistito con controricorso lEnel Distribuzione Spa

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dellarticolo 10 della legge 300/70, degli articolo 1362 e seguenti Cc, con riferimento agli articoli 17, 18 e 20 del Ccnl per i dipendenti dellEnel, degli articoli 1, 5, 7 e 9 del Dpr 162/82, degli articoli 1, 2, 7, 9 e 16 della legge 341/90, nonché vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, il tutto in relazione allarticolo 360, comma 1 n. 3 e n. 5 Cpc.

In sostanza il ricorrente, dopo aver richiamato la normativa legale e quella contrattuale in materia, ha dedotto che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto che il diploma di esperto in tutela ambientale, conseguito dallAmicosante, non fosse equiparabile ad un diploma universitario, come previsto dallarticolo 20 del Ccnl (dubitando persino che i diplomi delle scuole dirette a fini speciali, in mancanza dei decreti previsti dallarticolo 9 del Dpr 162/82, avessero valore legale), in tal modo violando la normativa legale ed interpretando non correttamente (in specie in violazione degli articoli 1362 e 1363 Cc) la normativa contrattuale.

Il motivo è fondato.

Larticolo 10 della legge 300/70 al comma 1 prevede che «i lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali».

Ai fini, quindi, del riconoscimento del diritto in esame si deve definire come corso regolare di studio quello istituito presso una delle scuole previste dal citato comma primo, «che richieda una regolare frequenza per il

conseguimento di titolo di studio con valore legale» (v. Cassazione 12265/95).

Il comma 2 dello stesso articolo ‑ che qui interessa ‑ stabilisce che «i lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti».

La norma riguarda tutti i lavoratori studenti, compresi quelli universitari e «si ricollega allesigenza di accrescere la professionalità del lavoratore o più in generale il suo patrimonio culturale, in armonia con i principi di cui agli articoli 34 e 41 Costituzione» (v. Cassazione 11342/91).

In particolare, al riguardo questa Corte ha rilevato che:

«Va in proposito ricordato che il diritto allo studio è riconosciuto e garantito dallarticolo 34 della Costituzione e che larticolo 10 dello Statuto dei lavoratori ne costituisce la concreta estrinsecazione nel campo del lavoro, traducendosi nellincoraggiamento ‑ mediante il riconoscimento della peculiare posizione del dipendente che frequenti corsi di istruzione ‑ di quanti, pur esplicando le proprie energie alle dipendenze di terzi, intendano destinare quelle residue allarricchimento professionale o in genere culturale della propria persona, i cui effetti si riverberano positivamente sulla collettività.

Di certo lobbligo di retribuire i permessi giornalieri per sostenere prove di esame (la sola agevolazione prevista per i studenti universitari) costituisce eccezione alla tradizionale impostazione del contratto di scambio e si pone ‑unitamente ad altre norme dello Statuto ‑ come temperamento dellastratto equilibrio dei contrapposti interessi delle parti giustificato da unutilità sociale che trascende i limiti del sinallagma rigidamente inteso, attenuando la rigida corrispettività fra prestazione e retribuzione.

Se dunque lo scopo della norma in esame si ricollega allesigenza di accrescere la professionalità del lavoratore o pi , ú i . n generale il suo patrimonio culturale, non è possibile limitarne la applicazione ad un unico corso di studi» (v. Cassazione 11342/91 cit. ‑ che ha affermato il diritto ai permessi retribuiti anche per i lavoratori studenti universitari che abbiano già conseguito altro diploma di laurea o titolo equipollente).

Nello stesso quadro, ed evidenziando la differenza con le indicazioni contenute nel primo comma dello stesso articolo 10 (ai fini del beneficio ivi previsto), è stato anche chiarito che, alla stregua della interpretazione letterale e dellintenzione del legislatore, il secondo comma deve essere inteso nel senso che il diritto ai permessi giornalieri retribuiti «spetta a tutti i lavoratori che intendono dedicarsi allo studio per conseguire la possibilità di affrontare, senza remore di carattere economico, gli esami per ottenere titoli riconosciuti dallordinamento giuridico statale, senza che la categoria dei soggetti legittimati possa essere limitata ai soli studenti iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole statali, pareggiate o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali» (v. Cassazione 52/1985, che ha riconosciuto il beneficio in esame, di cui al secondo comma del citato articolo 10, anche al lavoratore studente autodidatta, candidato allesame in qualità di privatista).

Per la disciplina legale è sufficiente quindi, che si tratti di studenti, in specie universitari, che debbano sostenere prove di esame per il conseguimento di un titolo di studio riconosciuto.

Il trattamento contrattuale, più favorevole, previsto dal Ccnl di categoria, riconosce, poi, (il testo è riportato in ricorso) «ai lavoratori che frequentino corsi per il conseguimento di uno dei seguenti titoli di studio: laurea, diploma universitario, diploma di scuola media superiore o diploma di qualifica di istituto professionale», «nei periodi precedenti gli esami, permessi orari retribuiti nella misura di due ore giornaliere per un periodo massimo di dieci giorni per ogni esame universitario, oppure di trenta giorni per gli esami di diploma di scuola media superiore o di istituto professionale» (articolo 20).

Nel contesto, gli articolo 17 e 18 dello stesso contratto, ai fini del trattamento da riservare al personale allinizio del rapporto, nel considerare i titoli di studio già conseguiti dai dipendenti, tengono conto, in specie, «della laurea (conseguente ad un corso di studio almeno quadriennale); del diploma universitario (conseguente ad un corso di studio universitario almeno biennale dopo la scuola media superiore);»

Orbene la Corte, negando al titolo de quo il carattere di diploma universitario nel senso previsto dal contratto e persino dubitando del suo valore legale è incorsa nei denunciati vizi di violazione di legge oltre che in quello di violazione dei criteri ermeneutici (in specie degli articoli 1362 e 1363 Cc, in sostanza, altresì, interpretando la norma contrattuale trascurando la comune volontà delle parti risultante dallelemento letterale e da quello sistematico).

Invero la scuola in questione, istituita con decreto rettorale n. 189-0002 del 24 luglio 1989, ai sensi del Dpr 162/82, è stata organizzata e gestita dalla Facoltà di Ingegneria dellUniversità di LAquila.

In base allarticolo 1 del detto Dpr «le scuole dirette a fini speciali fanno parte dellordinamento universitario e concorrono a realizzare i fini istituzionali delle Università». In particolare lo stesso articolo dispone che «presso le Università possono essere costituite: a) scuole dirette a fini speciali per il conseguimento di diplomi post‑secondari per lesercizio di uffici o professioni, per i quali non sia necessario il diploma di laurea, ma sia richiesta ugualmente una formazione culturale e professionale nellambito universitario».

Le dette scuole, quindi, sono inserite nellordinamento universitario al pari delle scuole di specializzazione e dei corsi di perfezionamento (vedi anche espressamente il titolo del capo primo del detto Dpr).

Larticolo 5, poi, dello stesso Dpr dispone che «i corsi di studio delle scuole dirette a fini speciali sono corsi ufficiali universitari, hanno durata biennale o triennale e si concludono con il rilascio di un diploma previo superamento di un esame di Stato. La frequenza dei corsi è obbligatoria».

Larticolo 10, infine, prevede che «agli studenti dei corsi delle scuole contemplate nel presente capo si applicano le disposizioni di legge e di regolamento riguardati gli studenti universitari, …. ad esclusione di quelle che disciplinano il passaggio da un corso di laurea ad un altro. Ai diplomati delle scuole dirette a fini speciali che si iscrivono a corsi di laurea si applicano le disposizioni che disciplinano le iscrizioni ai corsi laurea di coloro che sono già forniti di una laurea o di un diploma, con il limite, in ogni caso, di abbreviazione del corso non superiore ad un anno».

È fuor di dubbio, quindi, che i diplomi rilasciati dalle dette scuole siano per legge diplomi universitari aventi valore legale.

Né tale valore può ritenersi subordinato alla emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica previsti dallarticolo 9 dello stesso Dpr , con i quali «possono essere determinati i diplomi delle scuole dirette a fini speciali che, in relazione a specifici profili professionali, hanno valore abilitante per lesercizio delle corrispondenti professioni ovvero di titolo per laccesso a determinati livelli funzionali del pubblico impiego per i quali non sia previsto il diploma di laurea».

Detti decreti, infatti, sono previsti per il riconoscimento di un valore ulteriore (abilitante allesercizio di una professione o di titolo per laccesso a determinati livelli funzionali del pubblico impiego) con riferimento ad un diploma avente già un valore legale.

Erronea, quindi, risulta la affermazione contenuta nellimpugnata sentenza, la quale, peraltro, si è espressa in termini dubitativi con riferimento a tutte le scuole dirette a fini speciali (senza neppure considerare che riguardo ad altre scuole e ad altri diplomi i decreti in esame sono stati emanati ‑ vedi, tra gli altri, il Dpr 14/1987 per la disciplina del valore abilitante del diploma di assistente sociale).

Tale rilievo, poi, neppure potrebbe essere messo in dubbio dalla considerazione che, allepoca del conseguimento del diploma de quo, era già intervenuta la riforma di cui alla legge 341/90, che ha previsto che (art, 7). Entro un anno dalla pubblicazione dei decreti di cui allarticolo 9 (della stessa legge) le università deliberano la soppressione delle scuole dirette a fini speciali, ovvero ne prevedono, nello statuto: a) la trasformazione in corsi di diplomi universitario; b) la conferma secondo il loro specifico ordinamento.

2. Trascorso il predetto termine qualora luniversità non abbia provveduto a quanto previsto dal comma 1, le scuole dirette a fini speciali presenti nellateneo sono soppresse.

3. Lattivazione di nuove scuole dirette a fini speciali è limitata alle tipologie esistenti e a quelle già previste nel piano di sviluppo delluniversità 1986-1990.

Lo stesso articolo 7 della legge 341 citata, infatti, ha previsto che: «4. Le scuole dirette a fini speciali confermate ai sensi del comma 1, lettera h), o attivate ai sensi del comma 3, rimangono in funzione secondo le norme del Dpr 162/82,fino alla data di entrata in vigore della legge sullordinamento dellistruzione post-secondaria.

5. Lo statuto dovrà dettare le eventuali disposizioni per il graduale passaggio al nuovo ordinamento e per conseguire il completamento degli studi da parte degli studenti già iscritti».

Infine larticolo 16 della stessa legge, tra le norme finali, ha precisato che «Nella presente legge … nella dizione corsi di diploma si intende compresa anche quella di corsi delle scuole dirette a fini speciali fino alla loro trasformazione o soppressione».

Ai diplomi, quindi, rilasciati nel regime transitorio va riconosciuto senza alcun dubbio il valore legale proprio degli stessi già previsto dalla disciplina di cui al Dpr 162/82 (cfr. CdS, Sezione seconda, 1413/95 con riferimento alle scuole successivamente soppresse).

Cosi accolti i profili fin qui esposti, parimenti fondata è, altresì, la censura concernente la interpretazione della normativa contrattuale, accolta in sostanza dallimpugnata sentenza in violazione dei criteri ermeneutici principali (articolo 1362 e 1363 Cc).

Sul punto osserva la Corte che, sul piano ermeneutico contrattuale, la espressione adottata dalle parti (diploma universitario), non poteva essere interpretata trascurando sia il quadro delle definizioni legali dei titoli di studio richiamati, sia le precisazioni contenute nello stesso contratto circa i singoli titoli ed in specie la definizione del diploma universitario come il conseguente ad un corso di studio universitario almeno biennale dopo la scuola media superiore.

Tanto basta per accogliere il ricorso e per cassare la impugnata sentenza, con rinvio alla Corte di appello di Perugia, per il riesame e perché provveda anche sulle spese.

Il secondo motivo, infatti, con il quale, a corollario di quanto esposto nel primo motivo, in ordine al valore legale del titolo di studio de quo, si lamenta, ex articolo 360, comma 1, n. 5 Cpc, lomesso esame del contenuto del decreto istitutivo della scuola nonché della lettera del 4 settembre 1993 inviata allAmicosante dallUniversità di LAquila, può ritenersi assorbito dallaccoglimento, come sopra, del corrispondente profilo del primo motivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Perugia.