Enti pubblici
Giudizio di opposizione a sanzioni amministrative. Nulla vieta al Giudice di condannare la Pubblica Amministrazione alle spese di lite. Lo ha ribadito la Corte Costituzionale ORDINANZA 21 Marzo 2005 – 25 Marzo 2005, n. 130
Giudizio di opposizione a sanzioni
amministrative. Nulla vieta al Giudice di condannare la Pubblica
Amministrazione alle spese di lite. Lo ha ribadito la
Corte Costituzionale
ORDINANZA
21 Marzo 2005 – 25 Marzo 2005, n.
130
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Fernanda CONTRI;
Giudici: Guido
NEPPI MODONA, Piero
Alberto CAPOTOSTI, Annibale
MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK, Francesco AMIRANTE, Romano
VACCARELLA, Paolo
MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA,
Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente
Ordinanza
nel
giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 23,
comma
undicesimo,
della legge 24 novembre
1981, n. 689 (Modifiche
al
sistema
penale), promosso con ordinanza del 3 marzo 2004 dal Giudice
di pace di Milano nel procedimento
civile vertente tra Clotilde Maria
De Stasio e
il Comune di Milano, iscritta al n. 520 del registro
ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica
n. 23, prima serie speciale, dell’anno
2004.
Visto l’atto di
intervento del Presidente
del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera
di consiglio del 9
marzo 2005 il giudice
relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto che nel
corso di un procedimento
civile – promosso
davanti
al Giudice di pace di Milano da Clotilde Maria De Stasio
nei
confronti
del Comune di
Milano, ai sensi
dell’art. 204-bis del
decreto
legislativo 30 aprile 1992,
n. 285 (Nuovo codice
della
strada),
per opporsi a
un processo verbale di
accertamento della
violazione
di una disposizione del medesimo codice della strada – il
giudice
adito, con ordinanza
del 3 marzo 2004, ha sollevato, in
riferimento agli articoli 3 e 111, comma
secondo, della Costituzione,
questione
di legittimita’ costituzionale dell’art. 23, comma
undicesimo,
della legge 24 novembre
1981, n. 689 (Modifiche
al
sistema
penale), nella parte
in cui non
consente al giudice di
condannare
al pagamento delle
spese processuali la
pubblica
amministrazione, convenuta nel giudizio di
opposizione avverso l’atto
di irrogazione di sanzione
amministrativa pecuniaria;
che il giudice rimettente riferisce che il comune
di Milano,
costituitosi
in giudizio, ha fatto presente di
avere provveduto, in
sede
di autotutela, al ritiro dell’atto impugnato e ha chiesto
che
sia
dichiarata la cessazione della materia del contendere, mentre la
ricorrente
ha insistito per
l’accoglimento dell’opposizione e
ha
chiesto la condanna della controparte alle
spese processuali;
che, secondo
il giudice a quo, l’art. 23, comma undicesimo,
della
legge n. 689 del 1981, richiamato
dall’art. 204-bis, comma 2,
del
codice della strada,
nel prevedere che
«con la sentenza il
giudice puo’
rigettare l’opposizione, ponendo a carico dell’opponente
le
spese del procedimento, o accoglierla», non consente che, in caso
di
accoglimento
dell’opposizione, il giudice
possa condannare la
pubblica
amministrazione convenuta al
pagamento delle spese
processuali;
che, a
suo avviso, a tale
norma non puo’ essere data una
diversa
interpretazione e richiama
al riguardo la
disposizione
dell’art. 46 del
decreto legislativo 31 dicembre
1992, n. 546
(Disposizioni
sul processo tributario in
attuazione della delega al
Governo contenuta nell’art. 30 della
legge 30 dicembre 1991, n. 413),
la quale, per il processo tributario,
in fattispecie analoga, prevede
che
«le spese del giudizio estinto a norma del comma 1» –
ossia in
caso
di cessazione della materia del
contendere – «restano a carico
della parte che le ha anticipate»;
che la questione e’ rilevante nel giudizio a quo,
in quanto,
a
seguito dell’annullamento dell’atto
impugnato in sede
di
autotutela,
dovrebbe dichiararsi la
cessazione della materia del
contendere,
ma non potrebbe
condannarsi il comune
convenuto al
rimborso
delle spese processuali a favore della ricorrente, se non
previa
dichiarazione di illegittimita’
costituzionale della citata
norma di legge;
che, quanto alla non manifesta infondatezza della
questione,
la
norma denunciata «potrebbe essere
costituzionalmente illegittima
per
violazione di alcuni principi
costituzionali e, in particolare,
del
principio di uguaglianza
(art. 3 Cost.) e del principio della
condizione di parita’
delle parti in ogni processo (art. 111, secondo
comma, Cost.)»;
che e’
intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei
ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello
Stato, il
quale ha concluso per la declaratoria di inammissibilita’
ovvero
di non fondatezza della questione, in quanto il
giudizio di
opposizione
all’atto che irroga una sanzione
amministrativa rientra
interamente
nello schema del
processo civile, alla cui disciplina
generale
e’ soggetto, salvo
le speciali disposizioni della
legge
n. 689
del 1981, delle
quali nessuna deroga alla disciplina delle
spese dettata dal codice di rito.
Considerato che il
giudice di pace
di Milano dubita della
legittimita’
costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 111,
comma
secondo, della Costituzione, dell’art. 23, comma undicesimo,
della
legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) –
richiamato
dall’art. 204-bis, comma 2, del
decreto legislativo
30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada) -, nella parte in
cui
non consente al giudice di condannare al pagamento delle
spese
processuali
la pubblica amministrazione, convenuta nel giudizio di
opposizione ad atto irrogativo di sanzione
amministrativa pecuniaria;
che la
questione e’ manifestamente inammissibile per non
avere
il rimettente in alcun modo
esaminato la possibilita’ di dare
della
norma censurata
un’interpretazione conforme ai
principi
costituzionali
che egli assume violati,
omettendo in particolare di
prendere in considerazione la tesi della
giurisprudenza assolutamente
dominante
secondo la quale
la natura di
ordinario giudizio di
cognizione
comporta l’applicabilita’, a quello di opposizione alle
sanzioni
amministrative, della disciplina
di cui agli artt. 91 e
seguenti
del codice di procedura civile e, pertanto, la possibilita’
che
la pubblica amministrazione, che
assuma la veste
di parte
convenuta,
sia destinataria in caso di
soccombenza (anche virtuale)
di condanna alle spese del giudizio.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,
e 9, comma 2, delle norme integrative per i
giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta
inammissibilita’ della
questione di
legittimita’
costituzionale dell’art. 23, comma undicesimo, della
legge
24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche al sistema
penale) –
richiamato
dall’art. 204-bis, comma 2, del
decreto legislativo
30 aprile 1992,
n. 285 (Nuovo codice della strada) -, sollevata, in
riferimento agli articoli 3 e 111, comma
secondo, della Costituzione,
dal giudice di pace di Milano con
l’ordinanza in epigrafe.
Cosi’ deciso
in Roma, nella
sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 marzo
2005.
Il Presidente: Contri
Il redattore: Vaccarella
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 25 marzo 2005.
Il direttore della cancelleria:
Di Paola