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Tuesday 09 March 2004

Fusione SAI Fondiaria. Il TAR Lazio respinge il ricorso di Mediobanca contro le prescrizioni imposte dal Garante per la Concorrenza per l’ operazione di fusione. Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione I, sentenza n. 1631/2004

Fusione SAI – Fondiaria. Il TAR Lazio respinge il ricorso di Mediobanca contro le prescrizioni imposte dal Garante per la Concorrenza per l’operazione di fusione

Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione I, sentenza n. 1631/2004

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione I,

composto dai Signori:

1) dott. Antonino Savo Amodio Presidente

2) dott. Nicola Gaviano Consigliere relatore

3) dott. Germana Panzironi Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 136442002 Reg. Gen., proposto da MEDIOBANCA – Banca di Credito Finanziario s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Franco Gaetano Scoca e Piero Fattori

c o n t r o

l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

e nei confronti di

The Liverpool Limited Partnership, rappresentata e difesa dagli avv.ti Daniela Jouvenal Long e Gianmatteo Nunziante;

per l’annullamento

il ricorso originario:

del provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 10 ottobre 2002 con il quale è stato disposto l’avvio dell’istruttoria, ai sensi dell’art. 16.4 della legge n. 287/1990, nei confronti delle società SAI, Mediobanca, Premafin Finanziaria e La Fondiaria Assicurazioni, per una operazione di concentrazione asseritamente diversa da quella segnalata in data 6 agosto 2002, nonché di tutti gli atti comunque connessi, ivi compresi gli atti del procedimento avviato con deliberazione AGCM del 3 settembre 2002;

i motivi aggiunti:

del provvedimento del 17 dicembre 2002 con il quale è stata disposta, nei confronti delle società succitate, la chiusura dell’istruttoria avviata con il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo per un’operazione di concentrazione asseritamente diversa da quella segnalata, nonché di tutti gli atti comunque connessi, ivi compresi gli atti del procedimento promosso con la deliberazione AGCM del 10 ottobre 2002;

ed altresì per la condanna

al risarcimento dei danni ingiusti subìti dalla ricorrente, consequenziali agli impugnati provvedimenti e non integralmente riparabili con l’invocato annullamento.

VISTO il ricorso ed i relativi allegati;

VISTI i motivi aggiunti di ricorso;

VISTI gli atti di costituzione in giudizio dell’Amministrazione e della società intimate;

VISTE le memorie presentate dalle parti a sostegno delle loro rispettive difese;

VISTI gli atti tutti di causa;

UDITI alla pubblica udienza del 29102003 il relatore ed altresì gli avv.ti P. Fattori e F.G. Scoca per la società ricorrente, l’avv. dello Stato G. D’Amato, e l’avv. L. Di Giovanni su delega dell’avv. D. Jouvenal Long;

RITENUTO e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO E DIRITTO

In data 30 maggio 2002 la Sai – Società Assicuratrice Industriale s.p.a. (di seguito, semplicemente “S.A.I.”) e La Fondiaria Assicurazioni s.p.a. (d’ora in poi, “Fondiaria”) deliberavano di procedere alla loro fusione.

Il 6 agosto dello stesso anno le dette società comunicavano all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato l’operazione che le riguardava, e che avrebbe permesso alla S.A.I. di acquisire il controllo su Fondiaria: l’operazione consisteva, in sostanza, nell’acquisto da parte della prima del 29,97 % del capitale della seconda, e nella successiva fusione per incorporazione di quest’ultima nella S.A.I..

L’Autorità Garante, avviata l’istruttoria di propria competenza ai sensi dell’art. 16, comma 4, della legge n. 287 del 1990 al fine di accertare se l’operazione potesse dare luogo ad una posizione dominante contraria all’ordinamento, con deliberazione del successivo 10 ottobre del 2002, ritenendo che la concentrazione, per come si profilava in base agli elementi assunti, diversamente da quanto avevano prospettato le parti consistesse nell’acquisto del controllo congiunto da parte di Mediobanca – Banca di Credito Finanziario s.p.a. (“Mediobanca”) e Premafin Finanziaria Holding di partecipazioni s.p.a. (“Premafin”) su Fondiaria-S.A.I. (e ritenendo, altresì, che Mediobanca esercitasse anche un controllo di fatto su Generali), dichiarava il non luogo a provvedere in relazione all’operazione come originariamente notificatale, e l’avvio dell’istruttoria nei confronti delle società Premafin, Mediobanca, S.A.I. e Fondiaria in relazione alla diversa operazione emersa.

Avverso tale provvedimento Mediobanca notificava l’atto introduttivo del presente giudizio, che veniva affidato a censure di legittimità così rubricate:

1) Incompetenza. Sulla violazione e mancata applicazione delle norme che definiscono la competenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ed i suoi limiti;

2) Violazione e mancata applicazione delle garanzie di difesa e dei principi del contraddittorio. Violazione del diritto di accesso agli atti del procedimento. Violazione dei termini perentori per l’assunzione del provvedimento finale;

3) Violazione e falsa applicazione delle norme di cui alla legge n. 287 del 1990. Eccesso di potere per manifesto travisamento dei fatti. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità ed ingiustizia manifeste.

Unitamente alla domanda di annullamento del provvedimento impugnato la ricorrente spiegava una richiesta di condanna dell’Autorità al risarcimento dei danni ingiusti conseguentemente ad essa arrecati.

Nel frattempo l’Autorità Garante, il 17 dicembre 2002, perveniva alla chiusura dell’istruttoria avviata con il suo precedente atto del 10 ottobre nei confronti delle società succitate, ed autorizzava l’operazione accertata -diversa da quella segnalata- a condizione che le parti dessero attuazione a determinate misure (prescritte sul fondamento dell’art. 6, comma 2, della legge n. 2871990 [1]) :

a) che, con riferimento alla partecipazione di Fondiaria-S.A.I. in Generali, le parti non effettuassero alcuna operazione per effetto della quale la quota dei diritti di voto complessivamente detenuti nelle assemblee ordinarie di Generali avrebbe ecceduto il 2,43 % del suo capitale ordinario complessivo;

b) che Fondiaria-S.A.I. non partecipasse alle assemblee ordinarie di Generali per l’intera partecipazione detenuta;

c) che Mediobanca si astenesse dall’esercitare il diritto di voto nelle assemblee ordinarie di Generali relativamente ad una propria partecipazione del 2 % .

Contro questo nuovo provvedimento Mediobanca deduceva motivi aggiunti di ricorso, notificati il 16 gennaio 2003 e depositati il successivo giorno 22.

I nuovi mezzi venivano articolati secondo le seguenti rubriche:

1) Incompetenza. Violazione e mancata applicazione delle norme che definiscono la competenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ed i suoi limiti e, in particolare, degli artt. 1(2), 5(4) e 21(1 e 2) del regolamento CEE n. 406489.

2) Eccesso di potere per manifesto travisamento dei fatti. Illogicità ed ingiustizia manifesta. Sull’inesistenza dei presupposti di fatto che hanno condotto l’Autorità ad investire la Commissione europea.

3) Violazione e falsa applicazione delle norme di cui alla legge n. 287 del 1990. Eccesso di potere per manifesto travisamento dei fatti e difetto dei presupposti. Illogicità ed ingiustizia manifesta. Sull’inesistenza del controllo su Generali (rinvio).

4) Violazione e falsa applicazione delle norme di cui alla legge n. 287 del 1990. Eccesso di potere per manifesto travisamento dei fatti e difetto dei presupposti. Illogicità ed ingiustizia manifesta. Sul controllo congiunto di Premafin e Mediobanca su Fondiaria-S.A.I..

5), 6) e 7) Violazione e falsa applicazione delle norme di cui alla legge n. 287 del 1990. Eccesso di potere per manifesto travisamento dei fatti e difetto dei presupposti. L’inesistenza del controllo congiunto su Fondiaria-S.A.I..

8) Violazione e falsa applicazione delle norme di cui alla legge n. 287 del 1990. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto dei presupposti. Sul preteso controllo su Generali.

9) Eccesso di potere per travisamento dei fatti e per contraddittorietà manifesta con altri provvedimenti di autorità amministrative indipendenti. Sulla difformità dal parere dell’ISVAP.

10) Sull’illegittimità delle misure prescritte.

Anche in questo caso unitamente alla domanda di annullamento del provvedimento impugnato la ricorrente azionava una pretesa risarcitoria.

Si costituiva in giudizio in resistenza all’impugnativa l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, la quale eccepiva l’inammissibilità dell’originario ricorso, siccome proposto contro un atto preliminare non immediatamente lesivo, e la conseguente inammissibilità dei successivi motivi aggiunti, dei quali deduceva in subordine l’infondatezza ; la difesa erariale concludeva, infine, per l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della pretesa risarcitoria di Mediobanca.

L’inammissibilità dell’originario gravame veniva eccepita anche dalla società intimata The Liverpool Limited Partnership, parimenti costituita in resistenza all’impugnazione.

La ricorrente con successive note del 23 e 29102003 insisteva sulle proprie censure, puntualizzando che le vicende di riassetto societario sopraggiunte in corso di causa non avevano intaccato il suo interesse ad ottenerne la trattazione.

Alla pubblica udienza del 29102003 la causa veniva trattenuta in decisione.

Osserva il Tribunale che mentre il ricorso, come originariamente introdotto, deve essere dichiarato inammissibile, i motivi aggiunti vanno respinti per la loro infondatezza.

1 Oggetto dell’atto di impugnativa notificato in data 3 dicembre 2002 era un provvedimento disponente l’avvio di un’istruttoria ai sensi dell’ art. 16 comma 4 della legge n. 287/90 [2], e quindi un semplice atto preparatorio e preliminare.

E’ noto, peraltro, che ai fini dell’ammissibilità di un ricorso giurisdizionale amministrativo occorre, in base al principio generale espresso dall’art. 100 del cod. proc. civ., che la sua proposizione sia sorretta da un corrispondente interesse ad agire. E’ necessario, pertanto, che il ricorrente denunzi una lesione concreta ed attuale, e richieda al giudice adito l’adozione di una pronuncia suscettibile di arrecargli una utilità che possa ovviare alla lesione stessa.

Nella costante attuazione che la giurisprudenza fa di questi pacifici principi, si suole ravvisare la possibilità della richiesta concreta lesione soltanto in presenza di un provvedimento amministrativo che sia immediatamente e praticamente efficace. Si esclude, dunque, l’interesse ad impugnare (oltre che gli atti non ancora emanati) gli atti preparatori ed infraprocedimentali o comunque meramente prodromici, per l’ovvia ragione che gli stessi, essendo improduttivi di effetti esterni, non sono idonei ad incidere concretamente nella sfera giuridica degli amministrati, e che la concreta lesione di un interesse potrà scaturire unicamente dal provvedimento conclusivo della sequenza procedimentale (si vedano, a puro titolo esemplificativo: C.G.A., n. 103 del 261988; IV, n. 60 del 2621985 e n. 715 del 2661980; VI, n. 345 del 771982; V, n. 101 del 521976).

Degli atti interni al procedimento, di conseguenza, si nega l’autonoma impugnabilità. La lesione degli interessi in giuoco potrà verificarsi, eventualmente, solo attraverso l’adozione dell’atto conclusivo del procedimento, contro il quale dovrà essere pertanto rivolta l’impugnativa giurisdizionale, salva la possibilità, in tale occasione, di impugnare congiuntamente anche l’atto preparatorio viziato.

Facendo applicazione di questi consolidati principi alla sequenza procedimentale prevista dalla disciplina vigente in materia di concentrazioni, è agevole ricavare l’insuscettibilità di autonomo gravame dell’atto di avvio dell’istruttoria ai sensi dell’art. 16, comma 4, della legge n. 2871990. Tale atto esprime solo un punto di vista iniziale, tutto da verificare attraverso il contraddittorio procedimentale, e le imprese che ne sono destinatarie possono risentire dall’azione dell’Autorità Garante un pregiudizio giuridicamente apprezzabile solo allorché, al termine della medesima istruttoria, la stessa Autorità adotti le proprie determinazioni finali (vietando la concentrazione, ovvero autorizzandola con misure riduttive del suo impatto sul mercato).

Né l’ammissibilità dell’originario atto di ricorso in epigrafe potrebbe essere recuperata richiamando la tematica dell’arresto del procedimento, e rammentando la circostanza che con il provvedimento del 10 ottobre 2002 l’Autorità aveva, innanzi tutto, dichiarato il non luogo a provvedere in relazione all’operazione che le era stata inizialmente notificata. Questo versante di incidenza effettuale del provvedimento potrebbe essere invocato, in tesi, dalle società che erano parti del procedimento per come inizialmente lo stesso era stato avviato mediante la comunicazione della concentrazione, vale a dire da S.A.I. e Fondiaria: la stessa possibilità sicuramente non spetta, però, ad una società che rispetto al tratto iniziale del procedimento era solo terza, quale Mediobanca, nei cui riguardi la deliberazione del 10 ottobre 2002 valeva quindi effettivamente solo, sotto ogni profilo, quale mero atto preliminare e preparatorio.

Per quanto detto, il ricorso originariamente introdotto deve soggiacere alla preannunciata declaratoria di inammissibilità.

2 Da questa considerazione non può trarsi, però, la conseguenza, sostenuta dalla difesa erariale, che anche i motivi aggiunti dedotti contro l’atto conclusivo del procedimento sarebbero di riflesso inammissibili.

2° Nella memoria dell’Avvocatura Generale dello Stato si osserva che, data l’inammissibilità del gravame introduttivo, non si vede come il presente giudizio potrebbe avere corso ulteriore, e quindi -nell’ambito del processo così illegittimamente instaurato- come il giudice potrebbe scendere all’esame del merito dei motivi successivamente svolti dalla ricorrente, sia pure in relazione ad un atto sopravvenuto.

Ad avviso della resistente difesa, invero, la legge n. 2052000, con l’introdurre l’esperibilità dei motivi aggiunti avverso gli atti sopravvenuti connessi al provvedimento inizialmente gravato, se ha avuto di mira degli obiettivi di economia e concentrazione processuale, non per questo, però, ha messo a disposizione degli interessati una possibilità di rimediare all’inammissibilità dei loro ricorsi. Avverso l’atto conclusivo del procedimento Mediobanca avrebbe dovuto proporre, pertanto, un ricorso autonomo, immune dai vizi inficianti la sua prima impugnativa: e non avendo ottemperato a questo onere dovrebbe sottostare alle relative conseguenze.

2b Il Tribunale non condivide questa prospettazione.

È indubbiamente noto che la tradizione dottrinaria e giurisprudenziale fa discendere dal valore inautonomo e dipendente dei motivi aggiunti il corollario che le loro sorti sono destinate a seguire le vicende processuali del ricorso principale, nel senso che quando questo è inammissibile, rinunciato o perento la relativa condizione si estende ai motivi aggiunti.

Altrettanto noto è, però, che la legge n. 205 del 2000, modificando l’art. 21 della legge n. 10341971, ha previsto in termini generali che “Tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante proposizione di motivi aggiunti”. E questo Tribunale ha avuto già modo di considerare (sentenza n. 398 del 1612002) che questa innovazione, che ha permesso di far confluire all’interno del giudizio tutti gli atti connessi al suo “oggetto”, non va vista soltanto come uno strumento di economia processuale, poiché la sua portata impone in primis di rivedere la tradizionale identificazione senza residui dell’oggetto del giudizio amministrativo con il singolo provvedimento impugnato.

Il presupposto logico che ha reso possibile l’estensione dell’impugnativa ai provvedimenti sopravvenuti mediante la proposizione di semplici motivi aggiunti all’interno del giudizio già pendente risiede in ciò, che il legislatore del 2000 ha rimodellato l’oggetto del processo amministrativo intorno alla pretesa sostanziale fatta valere dal ricorrente (in tal senso v. già C.G.A., n. 61 del 2621987 e n. 343 del 4111995, con un cospicuo orientamento dottrinale). Dal che si è pervenuti a concludere che il processo amministrativo risulta con ciò impostato, ormai, come giudizio sulla pretesa sostanziale del ricorrente, nel quale l’accertamento istituzionalmente devoluto al Giudice deve quindi investire, ben più che l’isolato dato della legittimità formale di un singolo provvedimento, il grado di fondatezza delle aspettative e delle correlative pretese che costituiscono la materia del singolo rapporto di diritto amministrativo.

Messo in risalto lo spessore innovativo della recente riforma, va detto che i motivi aggiunti avversanti l’atto sopravvenuto connesso resi possibili dalla legge n. 2052000 sono dotati, diversamente da quelli conosciuti dalla tradizione, di autonomia sostanziale, in quanto costituiscono espressione di un autonomo diritto di azione (v.T.A.R. Toscana, I, n. 879 del 2942002). Essi, pur non essendo rivestiti delle sembianze formali dell’autonomo atto introduttivo di giudizio, possiedono di questo l’intima natura (v. T.A.R. Campania, Napoli, II, n. 1071 del 2622002; così anche C.d.S., VI, n. 5813 del 22102002, che osserva che “ove i motivi aggiunti avverso atti diversi siano ritualmente notificati, gli stessi non differiscono da un atto di ricorso”), e, soprattutto, danno vita ad un nuovo rapporto processuale, e non ad un mero svolgimento interno al rapporto già in essere.

Pur essendo rimasta ferma la tradizionale connotazione impugnatoria che è propria di tutti gli atti di gravame nell’ambito della giurisdizione amministrativa generale di legittimità non si giustificherebbe più, quindi, il riconoscimento di alcuna forma di vis adtractiva del ricorso iniziale sui motivi aggiunti appartenenti alla tipologia in discussione, l’uno e gli altri presentandosi, invece, quali veicoli pariordinati di accesso al giudizio a disposizione del rapporto controverso nella dinamica del suo progressivo svilupparsi. Quando, dunque, i motivi aggiunti veicolino un’autonoma azione impugnatoria, quale è quella che si ricollega all’autonoma lesività del provvedimento sopravvenuto, la loro indipendenza sostanziale e pari dignità rispetto al ricorso iniziale postula che essi non possano risentire dell’inammissibilità di quest’ultimo (su questa conclusione v. già T.A.R. Toscana e T.A.R. Campania citt.).

2c Per le ragioni che si sono appena viste l’inammissibilità del primitivo ricorso di Mediobanca non è in grado di riverberarsi sui suoi motivi aggiunti. Naturalmente, però, essa inficia tutte le censure che sono state introdotte con il primo ricorso, e comporta perciò che le doglianze originarie non riproposte avverso l’atto conclusivo del procedimento sono insuscettibili di disamina nel merito (non potendo essere convertite ope judicis in motivi contro l’atto finale posteriormente emesso).

3 Non resta, allora, che passare senza indugio all’esame dei motivi aggiunti.

3a Con il primo di tali motivi viene eccepita l’incompetenza dell’Autorità a conoscere dell’operazione di concentrazione (configurata secondo la ricostruzione dalla stessa datane), in quanto questa avrebbe assunto una dimensione comunitaria ai sensi del regolamento CEE n. 4064/89, e per conseguenza avrebbe potuto essere esaminata solo dalla Commissione europea.

L’Autorità ha ritenuto –come si vedrà meglio più avanti- che Mediobanca controllasse di fatto Generali già prima della concentrazione tra S.A.I. e Fondiaria. Di qui, ad avviso della ricorrente, la necessità logica di tenere conto, nel computo diretto a verificare la dimensione comunitaria dell’operazione, anche del fatturato di Generali : e poiché questa Compagnia realizzava più di due terzi del proprio fatturato all’estero, ciò comportava il superamento delle soglie previste dall’art. 1.2 del predetto Regolamento.

In altre parole, la ricorrente lamenta che l’Autorità, pur muovendo dal punto fermo dell’asserito controllo di Mediobanca su Generali, ed includendo a tutti gli effetti quest’ultima nella propria valutazione dei profili concorrenziali dell’operazione, abbia ritenuto di poter escludere il suo fatturato dal calcolo rilevante ai fini del raggiungimento delle soglie comunitarie.

A sostegno della critica negli scritti di Mediobanca si puntualizza: che quella della dimensione comunitaria di un’operazione di concentrazione dovrebbe essere ritenuta una nozione oggettiva; che la sua ricorrenza comporta la soggezione della fattispecie al predetto regolamento CEE; che l’applicazione di tale fonte, all’interno del vigente quadro di netta ripartizione delle competenze tra la Commissione europea e le autorità nazionali, è riservata alla competenza esclusiva della prima, e non può perciò essere oggetto di intervento da parte delle seconde.

Da ciò, in prima approssimazione, la censura di incompetenza.

3b L’Autorità non mostra di dubitare, nel proprio provvedimento finale, che la considerazione del fatturato di Generali all’interno del c.d. gruppo Mediobanca avrebbe determinato il superamento della soglia di cui all’art. 1 del Regolamento, e di riflesso la dimensione comunitaria dell’operazione (par. n. 52). Il punto può quindi essere reputato pacifico.

L’Autorità, tuttavia, ha negato che il suddetto fatturato potesse essere incluso nel computo del quale si tratta: ed è su questa base che ha ritenuto la propria competenza. Ai fini di causa dovrà verificarsi, dunque, la legittimità della sua mancata inclusione nel conteggio più volte detto.

3c L’Autorità ha fondato la propria determinazione sul convincimento che, a mente dell’art. 5.4 del Regolamento, non sempre il fatturato delle imprese sottoposte al controllo di altri operatori sarebbe computabile ai fini della verifica circa il superamento delle soglie comunitarie.

Avuto riguardo anche alla Comunicazione della Commissione sul calcolo del fatturato a norma dello stesso Regolamento, l’Autorità ha ritenuto che il criterio rilevante per l’accertamento del controllo ai fini del calcolo, ex art. 5.4 cit., del fatturato connotante una concentrazione, sia diverso e più ristretto di quello previsto per accertare la sussistenza di un controllo su un’impresa ai sensi dell’art. 3.3 del medesimo Regolamento. Ai fini del primo articolo citato verrebbe in rilievo solo la sussistenza in capo all’impresa controllante di una delle situazioni di diritto espressamente previste dalla norma: nella fattispecie, è stato notato, però, che “alcuna di tali situazioni si è verificata, essendo piuttosto emerso un controllo di fatto di Mediobanca su Generali -sempre negato dalle parti- sulla base di una pluralità di elementi fattuali, tra l’altro non forniti dalle parti ma acquisiti nel corso della procedura”. Ed è per tale ragione che è stato escluso che il fatturato di Generali fosse valutabile.

3d Avverso questo ragionamento Mediobanca svolge molteplici critiche.

Essa deduce, innanzi tutto, che dall’andamento del procedimento emergerebbe che l’Autorità, che aveva sempre nutrito e manifestato dubbi sulla propria competenza, l’avrebbe ritenuta, strumentalmente, solo quando era apparso che la Commissione, investita del caso, non aveva intenzione di intervenire.

Appare peraltro evidente che considerazioni siffatte, al di là di una loro ipotetica plausibilità sul terreno empirico, non sono in grado di assumere rilievo all’interno di uno scrutinio di legittimità inteso alla verifica di un vizio, quale quello di incompetenza, che richiede semplicemente di accertare se l’adozione del singolo provvedimento sub judice rientri, o meno, nella sfera di potere assegnato dall’ordinamento all’organo che ha agito. Mentre in caso negativo, infatti, nessun argomento potrebbe valere a sottrarre il provvedimento all’invalidazione consequenziale all’accertamento dell’incompetenza, nell’eventualità opposta risulterebbe recessiva ogni illazione circa la genesi ed i fini reconditi di un’interpretazione giuridica dimostratasi, alla prova dei fatti, corretta.

3e Secondo Mediobanca, inoltre, l’interpretazione dell’Autorità sarebbe errata, nonché (diversamente da quanto si legge nel suo provvedimento) in contrasto con la casistica comunitaria e pregiudizievole per la certezza del diritto.

Si legge nei motivi aggiunti che la tesi che il fatturato delle imprese soggette ad un controllo di fatto non sarebbe rilevante per il calcolo del fatturato del gruppo ex art. 5.4 Regolamento (norma che darebbe rilievo solo alle situazioni di controllo c.d. di diritto) contrasterebbe con l’intero corpus del diritto comunitario della concorrenza, all’interno del quale controllo di fatto e di diritto costituirebbero nozioni equivalenti. Posto che la finalità dell’articolo citato è quella di misurare la forza economica delle imprese interessate alla concentrazione, quale si esprime attraverso i relativi fatturati, il non prendere nella fattispecie in considerazione quello di Generali significherebbe recepire una visione distorta e riduttiva della realtà economica dell’operazione (che la stessa Autorità individua nella creazione di un nuovo aggregato imprenditoriale comprendente Generali, S.A.I. e Fondiaria).

Una simile illogica interpretazione, sempre secondo la ricorrente, non troverebbe, inoltre, alcun conforto nella formulazione testuale dell’art. 5.4 del Regolamento (che non introdurrebbe alcuna distinzione fra controllo di diritto e controllo di fatto, e perciò non escluderebbe punto le imprese soggette a controllo di solo fatto dal computo in discorso), e nemmeno nella Comunicazione della Commissione sul calcolo del fatturato -tra l’altro, una mera comunicazione interpretativa, e non una fonte di diritto-, la quale sarebbe stata richiamata dal provvedimento impugnato in modo parziale (e si limiterebbe ad esplicitare l’ “ovvio principio” che l’accertamento dell’acquisizione del controllo di un’impresa, che si fonda su di un esame ex ante al fine di determinare anche la sola possibilità di esercitare un’influenza dominante, è di regola più complesso dell’accertamento dell’esistenza di un gruppo ai fini della verifica delle relative soglie di fatturato, mentre la Comunicazione in nessun modo affermerebbe che, qualora sia accertata una situazione di controllo di fatto, il fatturato dell’impresa così controllata non debba essere incluso nel computo ai sensi dello stesso art. 5.4).

La prassi della Commissione sarebbe poi univoca nel senso di tenere conto, nel calcolo del fatturato ai fini dell’accertamento della dimensione comunitaria di un’operazione, anche di quello proprio delle imprese controllate de facto attraverso una quota minoritaria di capitale sociale (decisioni IFILAlpitour del 792000 e Deloitte & ToucheAndersen del 1°72002). E successivamente alla Comunicazione già detta, lungi dall’essersi formata la “più recente prassi” innovativa cui allude il provvedimento in epigrafe -senza menzionarne esempi-, sarebbe proseguita la precedente (cui si conformerebbe la stessa pratica interpretativa della legge n. 2871990 seguita dalla resistente Autorità, pur’essa contraria ad ignorare, nel calcolo del fatturato rilevante ai fini del rapportarsi delle singole fattispecie alle soglie dimensionali fissate dalla legge nazionale, quello relativo a società legate da nessi di controllo solo di fatto).

L’interpretazione dell’Autorità, infine, determinerebbe gravi conseguenze sistematiche sul controllo delle concentrazioni, in quanto farebbe dipendere l’applicazione del Regolamento comunitario, piuttosto che dalle reali dimensioni oggettive della singola operazione, dalla mera circostanza che il controllo preesistente ad essa sia -o meno- di facile dimostrazione.

3f Conclude la ricorrente che, anche a volere ipoteticamente seguire l’Autorità nei suoi passaggi argomentativi fin qui esposti, la ricostruzione dei rapporti tra Mediobanca e Generali cui essa à approdata condurebbe comunque, all’esito, a riconoscere la dimensione comunitaria dell’operazione.

Viene sottolineato, infatti, che la stessa Autorità ha desunto il controllo della ricorrente su Generali proprio sulla scorta di due dei criteri espressamente previsti dall’art. 5.4 del Regolamento (segnatamente, quelli mettenti capo al potere di esercitare più della metà dei diritti di voto in assemblea, e al potere di designare la maggioranza dei membri degli organi sociali dell’impresa). Ora, se, come ritiene l’Autorità, Mediobanca dispone nei confronti di Generali dei poteri corrispondenti a tali criteri, non si vede come si possa nello stesso tempo negare che nella fattispecie i criteri di cui all’art. 5.4 risultino integrati. Sicché, conclude Mediobanca, una volta che l’Autorità abbia accertato la sussistenza delle situazioni espressamente prese in considerazione dal suddetto articolo, essa non potrebbe non tenerne conto anche ai fini del calcolo del fatturato.

3g I rilievi esposti non possono essere accolti.

Osserva il Tribunale, innanzi tutto, che non è indispensabile diffondersi sugli elementi differenziali esistenti tra le previsioni degli artt. 3.3 e 5.4 del Regolamento. Mediobanca ha infatti dichiarato nelle sue ultime note di udienza di essere perfettamente consapevole della diversità di ambito di applicazione, ratio e valenza sistematica delle due disposizioni, e di non avere mai inteso negare che, mentre la prima ha riguardo alla nozione di controllo recepita per la definizione stessa di un’operazione di concentrazione, la seconda si riferisce invece alle forme di controllo rilevanti ai fini del calcolo del fatturato.

Le due norme hanno, dunque, una diversa funzione: l’art. 3.3 è diretto a fornire una definizione –la più ampia possibile- della nozione di concentrazione, laddove l’art. 5.4 ha la specifica finalità di concorrere all’identificazione delle imprese il cui fatturato debba essere computato ai fini del raffronto della singola operazione con le soglie di fatturato poste dall’art. 1 dello stesso Regolamento.

Per approfondire il senso di questa seconda operazione appaiono utili, per quanto non innovative, le affermazioni della Comunicazione della Commissione più volte citata di cui appresso.

“4. Le soglie in quanto tali sono destinate a stabilire la competenza e non servono né a valutare la posizione di mercato delle parti in causa nella concentrazione né l’impatto dell’operazione … . L’articolo 1 del Regolamento fissa le soglie da utilizzare per determinare la dimensione comunitaria della concentrazione, mentre l’art. 5 illustra le modalità di calcolo del fatturato.

5. Le soglie specificate all’articolo 1 del Regolamento sono puramente quantitative, si basano cioè unicamente sul fatturato anziché sulla quota di mercato o altri criteri, perché il loro obiettivo è quello di fornire un meccanismo semplice e obiettivo, facilmente utilizzabile dalle società partecipanti ad una concentrazione per accertare se la loro transazione sia di dimensione comunitaria, e dunque soggetta a notifica.”

Ora, sia la peculiarità della funzione perseguita attraverso l’art. 5.4, rispetto all’art. 3.3, sia il fatto del fungere, il primo, da leva di un meccanismo operativo concepito per essere semplice, obiettivo e facilmente utilizzabile, spiegano come nella redazione dell’art. 5.4 non si sia affatto seguito (come sarebbe stato assai immediato ed agevole) il criterio di un puro e semplice rinvio alla complessa nozione di controllo dettata dall’art. 3.3, ma si sia preferito definire in modo diretto ed autonomo le situazioni rilevanti ai fini del calcolo del fatturato.

Il concetto di controllo valorizzato dall’art.5.4 si presenta, quindi, differente dal precedente ed autoreferenziale, ed i pur plurimi elementi su cui tale precetto si basa, normalmente di immediata ed agevole rilevabilità, integrano una nozione sicuramente più ristretta di quella delineata dall’art. 3.3.

La stessa interpretazione dell’art. 5.4, allora, non potrà che procedere in modo coerente con le sue finalità ispiratrici.

3h Tanto premesso, occorre fare chiarezza sulla effettiva causale che ha indotto l’Autorità Garante ad escludere (ai fini indicati) la computabilità del fatturato di Generali. L’elemento determinativo di questa posizione non è stato tanto, come assume la ricorrente, il fatto in se stesso che il controllo di Mediobanca su Generali fosse un controllo “di fatto”, piuttosto che “di diritto”: il punto valorizzato, semmai, è stato quello che si era trattato di un controllo -sia pure di fatto, ma soprattutto- sempre negato dalle parti interessate, di difficile accertamento, ed emerso solo da elementi acquisiti nel corso della procedura (cfr. i nn. 52 e 28 del provvedimento).

Da ciò si può subito desumere che le pur pregevoli argomentazioni di parte ricorrente sulla equivalenza di principio tra controllo di fatto e controllo di diritto ai fini antitrust si rivelano fuori fuoco, e non esigono perciò approfondimento. E conclusione analoga vale per le indicazioni che la medesima difesa ha fornito di casi in cui la Commissione -o la stessa Autorità- avrebbe continuato a ritenere, anche dopo la Comunicazione più volte citata, che nel calcolo del fatturato rilevante ai fini dell’applicazione delle soglie dimensionali fissate dalla legge debba essere incluso anche quello realizzato da società legate da vincoli di controllo solo di fatto (con specifico riguardo alla decisione IFIL/Alpitour del 792000, sulla quale la ricorrente ha maggiormente insistito, l’esame del testo del provvedimento fa emergere con sufficiente chiarezza che il fatturato della società Giovanni Agnelli & C. Sapa (G.A.C.) era stato nell’occasione, sì, conteggiato, ma il controllo che tale società aveva su IFIL costituiva un pacifico dato di partenza della procedura, reso palese dalle parti sin dalla notifica dell’operazione, sul quale non era occorso alcun tipo di attività istruttoria). La riferita casistica risulta, pertanto, inconferente, come è stato posto analiticamente in luce nelle note d’udienza della difesa erariale.

3i Quel che però importa soprattutto mettere in luce è che l’interpretazione dell’Autorità appena riferita appare corretta.

Data la funzione propria dell’art. 5.4, quale è stata sopra descritta, si può ben comprendere come gli elementi da esso valorizzati (tra i quali effettivamente non mancano, come è stato detto nelle conclusive note d’udienza di Mediobanca, anche elementi che potrebbero evocare un controllo solo “di fatto”), in tanto possano assumere rilievo, in quanto la loro esistenza sia a priori manifesta o almeno pacifica tra le parti, e non solo ipotetica.

Posto, infatti, che la norma in questione viene in rilievo proprio all’avvio dei procedimenti in materia, servendo ad individuare l’autorità competente a condurre le istruttorie procedimentali (oltre che a prendere le decisioni finali) e, in pari tempo, il contesto normativo di loro pertinenza, si è tratti in modo naturale a pensare che essa non possa essere intesa nel senso di richiedere per la sua applicazione l’espletamento di particolari attività istruttorie.

Rettamente, perciò, la difesa erariale ha escluso la computabilità ai sensi dell’art. 5.4 cit. dei fatturati relativi a società che le imprese direttamente interessate neghino fare parte del loro gruppo: “in tal caso, infatti, per superare l’impostazione delle imprese interessate dovrebbe procedersi ad una non configurabile valutazione preventiva di merito; tra l’altro l’Autorità non dispone di poteri istruttori prima dell’apertura del procedimento”.

Non va dimenticato, del resto, che l’esistenza di un rapporto di controllo tra Mediobanca e Generali, oltre ad essere stata energicamente esclusa dall’interessata per tutto il corso del procedimento amministrativo, anche in questa sede contenziosa viene negata (onde questa censura di incompetenza avrebbe, a rigore, valore subordinato rispetto al motivo di ricorso di cui al n. 5, infra), e dunque non potrebbe essere definita pacifica né oggettivamente certa neppure attualmente, ma solo dopo la formazione di un giudicato sul punto.

Non è irrilevante sottolineare, infine, che l’interpretazione seguita dall’Autorità è stata condivisa nei fatti in modo univoco dalla Commissione europea, che, pur avendo seguito l’istruttoria condotta dalla prima, partecipando anche all’audizione finale, non ha mai rivendicato la competenza ad occuparsi della vicenda in sua vece (e tanto meno risulta avere preso in considerazione in alcun modo il merito dell’affare). La Commissione, invero, ha inoltrato la propria richiesta di informazioni del 22102002 a Mediobanca al fine “di accertare l’applicabilità del regolamento a detta concentrazione”: e poiché, dopo avere ricevuto le informazioni richieste, si è astenuta dal procedere oltre nell’esame del caso, e non risulta avere mai preso alcuna posizione formale al riguardo, sembra inevitabile concludere che essa non ha ravvisato nella vicenda estremi connotati in modo idoneo a radicare la propria competenza.

3l Né può attribuirsi rilievo al fatto che gli elementi acquisiti dall’Autorità a mezzo delle sue iniziative istruttorie l’abbiano indotta ad accertare, all’esito, l’esistenza di elementi idonei ad integrare situazioni ricadenti nell’art. 5.4, in quanto ciò è avvenuto solo, appunto, ad istruttoria ormai compiuta, in sede di valutazione di merito, quando ormai la competenza doveva intendersi già definitivamente radicata in capo alla procedente.

Non può difatti accedersi all’idea, adombrata da Mediobanca, che la competenza che sia stata in origine fissata sulla base dell’art. 5.4 abbia un carattere meramente provvisorio, e sia destinata quindi a risolversi -retroattivamente o meno, non è dato intenderlo- ove al momento della decisione finale si addivenga all’accertamento dell’esistenza degli elementi prima configurati solo a titolo ipotetico e contestati ex adverso.

Una simile interpretazione, oltre a porsi in contrasto con quanto è stato detto nei nn. precedenti (e specialmente al n. 3i) sul senso da riconoscere all’art.5.4, sarebbe anche in se stessa priva di fondamento normativo. Per non dire della irrazionalità dell’assetto complessivo che sulla sua base verrebbe determinato: dalla possibilità di conduzione di istruttorie, in questa materia quantomai complesse, sotto la permanente incertezza dovuta al rischio di una loro vanificazione a seguito di un posteriore spostamento di competenza (e dello spreco di risorse che ciò comporterebbe); dall’ulteriore complicazione di scenario che si instaurerebbe qualora -atteso l’inevitabile margine di opinabilità che le valutazioni di merito comportano- l’apprezzamento espresso dalla prima autorità, all’esito di un’istruttoria, declinando la propria competenza in base all’interpretazione in discussione, non venisse condiviso dall’organo antitrust comunitario; infine, e soprattutto, dal negativo impatto che una simile protratta incertezza sul diritto applicabile e sull’autorità competente a determinarsi riverbererebbe sulla platea delle imprese interessate e degli altri operatori comunque coinvolti nella vicenda (incertezza destinata a protrarsi ove si tenga conto che gli accertamenti amministrativi conclusivi sui quali dovrebbe in tesi basarsi la distribuzione delle competenze sarebbero pur sempre soggetti a sindacato giurisdizionale, e quindi neppure essi costituirebbero, a rigore, un definitivo punto di arrivo nella cognizione della fattispecie).

Questi motivi tutti persuadono, quindi, che un accertamento solo postumo dell’esistenza di uno degli elementi valorizzati dall’art. 5.4, ma originariamente occulto e tutto da verificare, non possa reagire su una competenza ormai già radicatasi all’inizio del procedimento.

3m Per tutte le ragioni illustrate questo primo motivo aggiunto deve essere, in conclusione, respinto, senza che si ravvisino estremi tali da far ritenere necessario un rinvio pregiudiziale alla Corte comunitaria da parte di questo giudice di prime cure ai sensi dell’art. 234 del Trattato UE (rinvio dalla ricorrente, del resto, neppure sollecitato).

4 Il nucleo centrale dei motivi aggiunti verte sull’accertamento, cui è pervenuta l’Autorità, dell’esistenza di un controllo congiunto di Premafin e Mediobanca su Fondiaria-S.A.I..

4a Si legge nel provvedimento in contestazione, infatti, che “la lettura combinata degli elementi documentali acquisiti ha consentito … di qualificare l’operazione in esame come l’acquisizione del controllo congiunto su Fondiaria-Sai da parte di Premafin e Mediobanca. Tale operazione si colloca in un contesto in cui Mediobanca esercitava un controllo di fatto su Generali, controllo la cui stabilità poteva essere compromessa con l’uscita di Fondiaria dall’influenza di Mediobanca conseguente l’opa di Italenergia su Montedison, ma che viene preservata grazie all’operazione in esame.” (par. n. 76).

E l’acquisto del detto controllo congiunto in un contesto come quello indicato è stato ritenuto “idoneo a produrre la costituzione di una posizione dominante in capo a Mediobanca, tramite Generali e la nuova entità Fondiaria-Sai, nei mercati dell’assicurazione danni, atta a ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza.” (par. n. 146).

4b E’allora opportuno che l’esposizione delle argomentazioni di parte ricorrente sia preceduta dal richiamo delle osservazioni che fondano nell’economia del provvedimento l’accertamento del suddetto controllo congiunto.

4c L’Autorità ha dapprima dedicato dei cenni al concetto di controllo nella normativa antitrust.

E’ stato rammentato (par. 56) che “l’articolo 5 della legge n. 287/90 prevede che il controllo può essere acquisito da “una o più imprese”. L’articolo 7, inoltre, prevede un’ampia nozione di controllo, in base alla quale la possibilità di esercitare un’influenza determinante sulle attività di un’impresa deve essere valutata “tenuto conto delle circostanze di fatto e di diritto”. Detta nozione, in virtù delle diverse finalità, è più estesa di quella derivante dalla normativa civilistica e diversa da quella prevista dalla normativa di vigilanza. D’altro canto, la stessa Commissione CE, nella Comunicazione del 1998 sulla nozione di concentrazione, evidenzia che “la nozione di controllo accolta ai fini del regolamento può non coincidere con quella applicata in altri settori specifici, ad esempio nelle normative in materia di vigilanza prudenziale” ” (punto 17 della Comunicazione citata).

… Le nozioni di concentrazione e di controllo ai fini antitrust trovano esplicitazione nella Comunicazione della Commissione del 1998 sulla nozione di concentrazione: “il controllo può essere acquisito da una singola impresa o congiuntamente da più imprese” (Cfr. punto 8 della Comunicazione….). Inoltre, “l’acquisizione del controllo dipende da una serie di elementi di diritto e di fatto. L’acquisizione di diritti di proprietà e i patti tra azionisti sono importanti, ma non sono i soli elementi pertinenti; possono essere determinanti anche relazioni economiche, ed ancora: “il controllo (sia esso esclusivo o congiunto) è definito come la possibilità di esercitare un’influenza determinante sull’attività di un’impresa grazie a diritti, contratti, o altri mezzi” (Cfr. punto 12 della citata Comunicazione) (par. n. 57).

4d Tanto premesso, l’Autorità ha ritenuto che gli elementi raccolti, valutati nel loro complesso, inducevano a ritenere (par. n. 58) “che si sia verificata, nel caso di specie, una di quelle “situazioni eccezionali”, previste dalla Comunicazione della Commissione sulla nozione di concentrazione. La Comunicazione, infatti, prevede che “eccezionalmente l’azione congiunta può verificarsi de facto laddove tra gli azionisti di minoranza esistano interessi comuni talmente forti da impedire uno scontro nell’esercizio dei diritti di voto nel contesto dell’impresa comune” (punto 32, Comunicazione cit..). Ed inoltre, “in caso di acquisizione di partecipazioni di minoranza, l’esistenza di tali interessi comuni è indicata da fattori quali la preesistenza di legami fra gli azionisti di minoranza, o l’acquisizione delle partecipazioni mediante azione concordata” ( punto 33, Comunicazione cit. )

4e Queste conclusioni sono sorrette dalla concatenazione argomentativa appresso trascritta.

“59. Le circostanze cui la Commissione riconduce l’esistenza di un controllo di fatto sono tutte rinvenibili nel caso di specie, ove si riscontra un’azione concertata tra Premafin e Mediobanca in ordine alla progettazione, gestione delle diverse fasi e realizzazione dell’operazione, la preesistenza di forti legami finanziari, economici e personali tra i due soggetti implicati, nonché una comunanza di interessi che si esplica ben oltre la definizione della governance.

60. A fronte delle tesi avanzate dalle parti, secondo cui i documenti su cui viene fondato il controllo congiunto della stessa Mediobanca e Premafin su Fondiaria-Sai avrebbero una spiegazione alternativa a quella fornita dall’Autorità, si rileva preliminarmente che tali documenti, ampiamente illustrati nel provvedimento di avvio del 10 ottobre 2002, non possono essere letti isolatamente, così come suggeriscono le parti, bensì esigono una valutazione che tenga conto degli stessi nel loro complesso e per il significato che hanno in relazione alla loro cronologia e contenuti.

61. La lettura combinata di tale documentazione mostra che ogni iniziativa assunta da Premafin è stata assoggettata al vaglio di Mediobanca, per essere con la stessa concordata nei minimi dettagli. La numerosa corrispondenza intercorrente tra i rappresentanti legali delle due società testimonia infatti le singole fasi di trattativa che subisce ogni scelta gestionale che Premafin intenda assumere.

Contrariamente a quanto sostenuto dalle parti in ordine al fatto che l’Autorità non avrebbe provato l’esistenza di interessi convergenti di Premafin e Mediobanca alla realizzazione dell’operazione, l’interesse comune rilevante ai fini dell’acquisizione del controllo congiunto di un’impresa non implica assoluta convergenza di scopo tra i due acquirenti, ma la semplice volontà di realizzare l’operazione anche se con finalità diverse.

62. Per quanto concerne poi il duplice ruolo che contemporaneamente Mediobanca ha ricoperto nell’operazione-azionista di minoranza di Fondiaria e finanziatore dell’operazione-esso è stato debitamente considerato nell’ambito della procedura. La documentazione analizzata … evidenzia che l’interazione tra Mediobanca e Premafin in ordine all’operazione Fondiaria-Sai non si è limitata alla mera definizione dei rapporti di finanziamento (che tipicamente intercorrono tra banca finanziatrice ed impresa) ed alla pretesa difesa dei diritti di minoranza di Mediobanca in Fondiaria, quali quelli legati alla governance della nuova entità Fondiaria-Sai, ma ha riguardato anche elementi diversi, quali la soluzione al problema delle partecipazioni incrociate, la collaborazione per evitare che Montedison cedesse ad altri il pacchetto di azioni Fondiaria, la ricerca di strumenti alternativi per evitare l’obbligo di opa, tra cui l’individuazione di investitori che subentrassero a Sai nell’acquisto di azioni Fondiaria.

Dalla documentazione acquisita emerge quindi non solo l’esistenza di un duplice ruolo di Mediobanca nella realizzazione dell’operazione-principale azionista di Fondiaria-Sai dopo Premafin e finanziatore della stessa Premafin -, ruolo che già di per sé è idoneo ad indicare la possibilità per Mediobanca di incidere sulle scelte strategiche di Premafin su Fondiaria-Sai-ma anche la partecipazione di Mediobanca ad ulteriori attività fondamentali per il buon esito dell’operazione e per la gestione della nuova entità. La stessa Premafin, per giustificare tali ulteriori attività della banca d’affari, afferma che Mediobanca avrebbe agito anche come advisor nella ricerca di acquirenti alternativi.

Anche l’Isvap fa presente la necessità di considerare l’effettiva attività svolta da Mediobanca in qualità di banca d’affari, ma al contempo ritiene di non poter negare la circostanza che Mediobanca abbia agito come “promotrice dell’operazione”.

63. Peraltro, gli stessi contatti tra Mediobanca e Premafin finalizzati alla definizione della governance della futura entità, sembrano trascendere quelli tipicamente intercorrenti tra azionisti alla vigilia di una fusione….

64. Ciò testimonia inequivocabilmente come i contatti di Premafin e Mediobanca in ordine alla governance non fossero limitati ad una ripartizione dei componenti degli organi sociali della futura entità, ma mirassero alla gestione comune della stessa, come indica il fatto che attraverso tali contatti si definiscono anche i nominativi di tali componenti, e che alcuni di essi vengono presi in considerazione in rappresentanza sia di Premafin che di Mediobanca. In quest’ottica, perde rilievo la circostanza di natura formale, evidenziata dalle parti, che il progetto di fusione approvato preveda la presenza di 8 rappresentanti Sai nel consiglio di amministrazione della nuova entità, composto da 15 membri.

65. Né può ritenersi rilevante per escludere il concerto nella realizzazione dell’operazione, la circostanza, evidenziata dalle parti, che detta operazione sarebbe stata ideata dalla sola Sai sin dal 1998. Infatti … il coinvolgimento di Mediobanca nella progettazione e realizzazione dell’operazione è dimostrato già a partire da quella data, come affermato espressamente dal dott. Gavazzi nel corso dell’audizione tenutasi presso la Consob il 7 agosto 2001.

66. Con riferimento alle condizioni di acquisto di azioni Fondiaria, contenute nell’offerta di Sai del 1° luglio 2001, la tesi fondata sulla ragionevolezza del prezzo, in considerazione del ridotto tempo a disposizione e del valore dei multipli di mercato, non è condivisibile. Le argomentazioni sostenute dalle parti implicano infatti che il premio di maggioranza e il prezzo pagato per il pacchetto azionario non possono considerarsi fuori mercato, in quanto consentirebbero l’acquisto del controllo. Al riguardo, non può non essere evidenziato, tuttavia, che al momento dell’offerta non esistevano i presupposti per poter esercitare i diritti di voto. Inoltre, il prezzo va considerato unitamente ad una ingente caparra penitenziale ed al successivo onere derivato dalla necessità di compensare l’intervento dei 5 investitori, come riconosciuto dalla stessa Premafin.

In merito a questi ultimi, si ribadisce che le evidenze documentali agli atti confermano la natura di interposizione dell’intervento degli investitori suddetti, come mostra in particolare la circostanza che i contratti sottoscritti prevedono una remunerazione a carico di Sai a fronte di un acquisto di azioni privo di rischi per l’investitore. Si consideri inoltre che Sai, immediatamente dopo aver stipulato i contratti con gli investitori, ha continuato ad agire come l’effettivo titolare delle azioni cedute, come dimostra il resoconto dell’incontro tenutosi il 18 febbraio 2002 tra il dott. Ciani e il dott. Pagliaro per discutere la governance e la gestione di Fondiaria-Sai.

In ogni caso, risulta agli atti il diretto interessamento di Mediobanca quantomeno nella prospettazione di questa soluzione (ricorso ai predetti investitori) per portare a termine l’operazione senza incorrere nell’obbligo di opa totalitaria. Assume pertanto un rilievo del tutto secondario, nell’ottica della dimostrazione del controllo congiunto, la circostanza che non Mediobanca, ma JP Morgan, avrebbe formalmente individuato gli investitori. A riguardo è necessario rammentare, come peraltro fa l’Isvap, la recente decisione del Tar in ordine all’annullamento della decisione della Consob che aveva dichiarato venuto meno il concerto precedentemente accertato dalla stessa di Premafin e Mediobanca. Per quanto la natura interpositoria dell’intervento dei cinque investitori debba essere soggetta ad ulteriore verifica da parte della Consob, in questa sede rileva che il Tar ha ritenuto sussistenti i presupposti per affermare il concerto tra le due società (Cfr. Sentenza TAR del 30 ottobre 2002 n. 10709).

67. Con riguardo alla rilevante esposizione debitoria di Premafin nei confronti di Mediobanca, le argomentazioni delle parti mirano a smentire la possibilità di configurare una situazione di dipendenza economica in capo a Premafin. In realtà, l’Autorità non ha mai sostenuto che i rapporti di finanziamento fra Mediobanca e Premafin potessero configurare una situazione di dipendenza economica in ragione dell’entità del finanziamento, ma ha accertato che la rilevanza dell’esposizione debitoria, peraltro maturata soprattutto al fine di realizzare l’operazione, costituisce un elemento decisivo al fine di condizionare Premafin nell’espressione delle scelte di governance e strategiche relative alla nuova entità Fondiaria-Sai, anche tenuto conto della valenza di alcune clausole contrattuali, quale quella cosiddetta Material Adverse Change. …

68. Inoltre, va evidenziato che la predetta riduzione del debito è stata realizzata su impulso di Mediobanca, che ha ceduto parte del proprio credito verso Premafin ad un’altra banca, mantenendo il ruolo di agente e impresa mandataria a favore della Banca Popolare di Lodi Scrl.

Dal punto di vista economico è di tutta evidenza la profonda differenza che sussiste tra il caso in cui la ricerca del finanziatore sia effettuata dal soggetto che necessita del finanziamento ed il caso in cui tale ricerca sia svolta da parte della banca che abbia già erogato il finanziamento ed intenda cederne una parte. Nel primo caso, infatti, il creditore deve effettuare la valutazione del rischio di credito sulla base delle caratteristiche del soggetto che chiede il finanziamento nonché di una serie di elementi di incerta valutazione e si espone quindi a un rischio di credito particolarmente elevato; al contrario, chi accetta di rilevare parte di un credito già esistente può contare sulla valutazione del rischio già effettuata dalla banca cedente e quindi la decisione di assumere tale credito dipende in misura rilevante dalla fiducia riposta nello stesso cedente. Quando poi la banca cedente è un soggetto di reputazione consolidata, come Mediobanca, che decide di mantenere una parte rilevante del debito, di fatto è lo stesso cedente a garantire sulla qualità dello stesso.

Nel caso di specie, assume quindi una valenza del tutto differente il fatto che sia stata Mediobanca a cedere parte del credito verso Premafin e non Premafin a trovare un nuovo finanziatore. Infatti, Mediobanca da un lato garantisce sulla qualità del debito, dall’altro, proprio in ragione dei rapporti, non solo economici, che la legano a Premafin, e del ruolo di agente e mandatario che assume nel pool, fornisce adeguate rassicurazioni alla Banca Popolare di Lodi circa la possibilità di rinegoziare le condizioni del credito qualora si verificassero circostanze che incidono sull’attuale solvibilità di Premafin. …

70. In questa prospettiva i legami finanziari, economici e personali che legano Premafin a Mediobanca e di cui è chiara evidenza agli atti del procedimento rappresentano elementi fondanti per l’esercizio del controllo congiunto su Fondiaria- Sai, anche a prescindere dalla effettiva compagine azionaria che la nuova entità assumerà a seguito della fusione. Risulta pertanto non decisiva per la qualificazione dell’operazione la circostanza, evidenziata dalle parti, che il 34% di azioni di Premafin nella nuova entità sarebbe sufficiente a garantirle il controllo esclusivo. Invero, anche qualora si convenisse in tal senso, i vincoli stringenti e consolidati nel tempo esistenti tra Mediobanca e Premafin non sono rimovibili sic et simpliciter, come mostra la circostanza evidenziata che la riduzione dell’indebitamento, ad oggi realizzata, è avvenuta sempre con l’intervento di Mediobanca. In virtù di tali legami non è possibile oggi affermare che Premafin sia in grado di esercitare un’influenza determinante nella gestione di Fondiaria-Sai senza il preventivo concerto con Mediobanca.

Non sono, dunque, pertinenti le osservazioni delle parti circa la pretesa contraddittorietà insita nel ragionamento dell’Autorità, che avrebbe utilizzato il criterio delle serie storiche delle presenze in assemblea per accertare il controllo esclusivo su Generali, non ritenendolo invece valido per stabilire il controllo esclusivo di Premafin su Fondiaria-Sai. Basti a riguardo considerare che per l’accertamento del controllo congiunto in esame assumono natura dirimente elementi probatori che mostrano come la concertazione tra Premafin e Mediobanca sia anche preliminare alle assemblee stesse.

4f Nei motivi aggiunti di parte ricorrente ciascuno degli snodi argomentativi passati in rassegna viene sottoposto a critica.

4f1 Una doglianza che per la sua ricorrenza va, peraltro, anticipata, e confutata una volta per tutte, è quella –già affiorata nel corso del procedimento- che pone l’accento sulla denunziata non significatività dei singoli passaggi argomentativi esposti, considerati di per se stessi (sovente definiti come “neutri”). Perplessità di questo genere sono, invero, destinate inevitabilmente a dissolversi ove di ciascun argomento ed elemento documentale valorizzato dall’Autorità, da solo mai decisivo ma nemmeno mai privo di significato, si faccia una valutazione che tenga nel debito conto l’imponente contesto complessivo di risultanze in cui esso si colloca. Il soppesamento parcellizzato del valore probatorio dei singoli indizi decontestualizzati non può difatti che cedere il passo all’apprezzamento organico della valenza propria del complesso indiziario raccolto, alla cui lettura unitaria le prospettazioni di parte ricorrente sistematicamente si sottraggono.

4f2 Quanto alla quasi altrettanto frequente sottolineatura della diversità dei punti di mira di Mediobanca e Premafin nella vicenda, è rimasta insuperata la corretta osservazione del provvedimento impugnato per cui “l’interesse comune rilevante ai fini dell’acquisizione del controllo congiunto di un’impresa non implica assoluta convergenza di scopo tra i due acquirenti, ma la semplice volontà di realizzare l’operazione anche se con finalità diverse” (par. 61).

La ricorrente, per la verità, ha lamentato che l’Autorità non avrebbe mai individuato con chiarezza gli interessi che l’avrebbero accomunata a Premafin, ed ha soggiunto che la pacifica “eccezionalità” della tipologia di controllo in discussione implicava che la resistente assolvesse con maggior rigore l’onere probatorio a proprio carico; ha concluso, infine, che nella presente vicenda non emergeva una situazione di comunanza di interessi tale da poter determinare l’ipotizzato controllo congiunto su Fondiaria-SAI.

In contrario è agevole obiettare, però, che sin dalla deliberazione del 10102002 il punto della convergenza di scopo tra Mediobanca e Premafin è stato nitidamente profilato (parr. nn. 14, 19 e 101), essendo stato evidenziato come in difetto dell’operazione in questione Mediobanca avrebbe perduto l’influenza fino ad allora esercitata su Fondiaria, e non sarebbe riuscita a consolidare definitivamente quella su Generali. Questa impostazione è stata poi sostanzialmente confermata, sia pure con formulazione più stringata, con il provvedimento conclusivo del procedimento (parr. 9, 58, 61 e spec. 74), nel quale l’Autorità non si è ugualmente attardata nell’identificazione degli interessi di Premafin essendo fin troppo ovvio che l’operazione le schiudeva una “prospettiva imprenditoriale di straordinaria rilevanza” (doc. n. 188). E questa comunanza di interessi, che trova plastica evidenza, ad esempio, nella lettera dell’ing. Ligresti del 1652001 di cui al doc. n.185, e nella minaccia di rottura di “collaborazione” contenuta sostanzialmente nella lettera del dott. Ciani del 282001 (doc. n. 20 di Mediobanca), essendo stata già concordemente ed ampiamente confermata, come si sta per dire, tanto dalla CONSOB quanto dalle Corti d’appello di Milano e Torino, non richiede da parte del Tribunale ulteriori sottolineature.

4f3 Non va dimenticato, invero, che la coerenza ed attendibilità dell’ordine di valutazioni cui è pervenuta l’Autorità a proposito dell’operazione SAI –Fondiaria è convalidata dalle determinazioni che sono state assunte nella vicenda dalla CONSOB. Questa ha rinvenuto, difatti, indizi gravi, precisi e concordanti tali da farle desumere, dapprima –con la determinazione in data 1082001- l’esistenza di un patto occulto tra SAI e Mediobanca per l’acquisto delle azioni Fondiaria e per la gestione di tale società, e indi – il 18122002- la partecipazione al patto anche di Premafin, la permanenza del patto stesso, e la natura di soggetti interposti di SAI dei cinque operatori che in data 1822002 si erano resi acquirenti di azioni Fondiaria.

Ed una simile rappresentazione trova ulteriore e significativa conferma nei decreti del febbraio del 2003 con i quali le corti d’appello di Milano e di Torino, all’esito di laboriose ed articolate disamine del materiale documentale disponibile, hanno respinto i ricorsi che erano stati proposti da Mediobanca e SAI avverso le sanzioni che erano state loro rispettivamente inflitte dal Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla scorta degli accertamenti dell’organo di vigilanza.

4f4 Di un’ultima censura è il caso di occuparsi in questa sede preliminare.

La ricorrente sostiene che nel caso di specie sarebbe impossibile riscontrare gli elementi costitutivi del controllo congiunto, in quanto i passaggi della Comunicazione della Commissione richiamati dall’Autorità si riferirebbero unicamente a casi di azionisti di minoranza portatori di interessi comuni ai fini della gestione dell’impresa partecipata, sulla quale nessuno di loro sarebbe però in grado di esercitare da solo un controllo. È solo in queste circostanze, prosegue la ricorrente, che sarebbe possibile presumere che degli azionisti esercitino congiuntamente i loro diritti di voto in ragione della comunanza di interessi che li lega, determinata dal fatto che soltanto in questo modo essi potrebbero controllare la società: ed in questa tipologia di situazioni rientrerebbe la prassi applicativa seguita dalla Commissione in ordine ai punti 32-33 della propria Comunicazione. Di contro, un controllo congiunto non sarebbe mai stato prima d’ora basato su di una comunanza di interessi tra imprese agenti su mercati differenti (e a maggior ragione tra banche e operatori finanziati), né sarebbe configurabile in presenza della titolarità individuale di una partecipazione già almeno in astratto di controllo.

Il Tribunale deve tuttavia osservare che in merito al punto sul quale viene richiamata la sua attenzione i contenuti della menzionata Comunicazione sono, in realtà, assai più elastici di quanto non appaia dalla rappresentazione fattane dalla ricorrente. La Comunicazione, infatti, non solo non è aliena dall’ammettere che tra le imprese madri detentrici del controllo congiunto possano esistere delle asimmetrie (punto 36), ma perviene anche a riconoscere –sia pure in chiave di eccezionalità- che una delle due possa in concreto disporre di un voto preponderante, allorché lo stesso possa essere espresso solo dopo un momento di confronto con l’altra (v. il punto 37 della Comunicazione, raffrontando ad esso il paragr. n. 70 del provvedimento).

Ciò posto, appare altresì evidente che non sarebbe comunque corretto fare dipendere le sorti dell’interpretazione de qua dalla circostanza che la stessa ricada pedissequamente e di peso, o meno, in una specifica previsione della Comunicazione, non potendo dimenticarsi che, come ha ricordato la stessa ricorrente, la Comunicazione in esame è uno strumento interpretativo più che una fonte del diritto, e come tale le sue indicazioni nell’esame dei singoli casi possono ben essere ulteriormente sviluppate (punto 2), nel rispetto –va da sé- delle norme sovraordinate.

4f5 Disattese queste prime doglianze, si deve ora passare all’esame delle censure che investono la vicenda della fusione SAI-Fondiaria con un taglio più ristretto e particolare.

4g Viene assunto nei motivi aggiunti che l’asserito concerto tra le due società Mediobanca e Premafin nella ideazione e realizzazione della complessa operazione di fusione non sarebbe idoneo neppure in astratto a dimostrare che Mediobanca eserciterà, congiuntamente alla stessa Premafin, una influenza determinante (ai sensi dell’art. 7 della legge n. 2871990) sulla società risultante dalla fusione. Ciò in quanto il mero fatto della condivisione di un progetto di integrazione fra due società, essendo irrilevante ai fini della futura gestione della nuova impresa, non potrebbe assurgere ad elemento fondante un controllo congiunto da parte loro sull’impresa stessa. E, in ogni caso, il relativo nesso di causalità non sarebbe stato messo in luce.

In contrario deve essere fatto però notare che nell’economia del provvedimento l’elemento concertativo di cui si tratta, lungi dall’essere stato eretto a fattore di per sé solo dimostrativo del controllo congiunto, riveste, come ha notato la stessa ricorrente, il più modesto ruolo del semplice indizio –concorrente, peraltro, con numerosi altri- del suddetto futuro controllo. Fatta questa precisazione, non pare seriamente contestabile l’effettività del valore indiziario che lo stesso elemento, per le sue implicazioni logiche, presenta (come la stessa ricorrente finisce per ammettere alla pag. 27 dei suoi motivi aggiunti): che un concerto nell’acquisto possa fungere da indizio dell’esistenza di interessi comuni, a loro volta rivelatori della possibile esistenza di un controllo congiunto, è confermato, del resto, nei punti 32-33 della Comunicazione della Commissione sulla nozione di concentrazione.

4 h Viene poi sostenuto che le conclusioni dell’Autorità circa l’asserito concerto tra Mediobanca e Premafin nell’ideazione e realizzazione della fusione sarebbero il frutto di un’errata rappresentazione dei fatti.

Sul punto si lamenta anche che il provvedimento finale non contenga una puntuale replica alla ricostruzione della vicenda prospettata nelle memorie procedimentali di Mediobanca. Al riguardo è però sufficiente l’immediata replica che l’obbligo della Pubblica Amministrazione di valutare le memorie presentate dalle parti del procedimento, contemplato dall’art. 10 della legge n. 241 del 1990, non comporta un obbligo di analitica motivazione e confutazione in merito ad ogni argomento utilizzato dalle parti stesse (v. da ultimo C.G.A., n. 276 del 3152002; nello stesso senso, proprio in materia antitrust, Tribunale UE, 4 marzo 2003, F.E.N.I.N. c Commissione, T-31999, che circoscrive l’obbligo di motivazione alle considerazioni giuridiche aventi un ruolo essenziale nell’economia della decisione).

Per il resto, la difesa di parte ricorrente non ha la possibilità neppure di provare a contestare che sin dall’iniziale concepimento del progetto dell’operazione SAI-Fondiaria Mediobanca vi si trovò coinvolta.

Quanto alla nuova opportunità offerta dalla possibilità di acquistare la partecipazione in Fondiaria di Montedison, dalle risultanze disponibili la relativa vicenda si rivela essere maturata, ben altro che con l’estraneità di Mediobanca, proprio con il concorso della decisiva volontà della detta banca d’affari (che era stata specificamente richiesta di favorire l’acquisto), i cui contatti con Premafin si erano, appunto, intensificati proprio nel periodo della nascita dell’opportunità indicata.

Mediobanca, difatti, grazie alla molteplicità delle sue vesti, di finanziatrice di Premafin, e di azionista tanto di Fondiaria quanto di Montedison, conglobava in sé già solo per questo un notevole potere di condizionamento, al cospetto del quale non consta, per contro, da parte di SAI, alcun elemento di reale dialettica.

La stessa difesa di Mediobanca non ha potuto fare a meno di riconoscere che dai documenti in atti emerge “il favore” con cui essa guardava all’operazione, il suo “interessamento” al progetto, il suo “essere coinvolta in alcune fasi” della sua attuazione. Mediobanca insiste però nel sostenere che, altro da tutto ciò essendo una previa concertazione da parte sua dell’operazione, questo elemento sarebbe invece mancato. La spiegazione che si offre negli scritti di parte ricorrente è difatti, in pratica, la seguente: Premafin si era autonomamente determinata ad effettuare l’operazione, e si era poi limitata ad informarne Mediobanca onde accertare se questa “fosse eventualmente disponibile a fornire un sostegno finanziario”.

Appare chiaro, tuttavia, come una ricostruzione del genere, oltre ad essere già ben difficilmente compatibile con lo stato dei rapporti economico-finanziari preesistenti tra le due, e con i ben modesti propositi di diretto impegno finanziario della Premafin nell’operazione, la quale dunque non poteva essere immaginata se non sul presupposto di una robusta copertura da parte della banca d’affari, non è coerente con il complessivo quadro delle risultanze disponibili (cfr. gli elementi citati nei parr. 10 e 14 del provvedimento, nonché nelle pagg. 36-40 della prima memoria erariale), che –come si vedrà meglio più avanti- trovano una spiegazione ben più congrua, coerente e persuasiva nella lettura fattane dall’Autorità.

4i Mediobanca argomenta anche sulle condizioni economiche della propria offerta di acquisto a Montedison del 1°72002.

Tali condizioni, viene detto, apparentemente onerose se considerate al di fuori del contesto in cui l’offerta fu formulata, e prescindendo dall’importanza che l’operazione rivestiva per SAI, sarebbero state invece agevolmente comprensibili e giustificabili tenendo conto di tanto. SAI era infatti costretta ad offrire un prezzo superiore a quello, pari a 9 euro, che Montedison aveva appena rifiutato (giacché altrimenti essa si sarebbe fatta sfuggire una preziosa opportunità di crescita, laddove il verosimile epilogo alternativo di un’integrazione Fondiaria – Toro l’avrebbe relegata in una posizione secondaria). D’altra parte, i ristretti margini di tempo disponibili impedivano a SAI di intraprendere una lunga negoziazione sul prezzo e di fare la due diligence (peraltro, il disegno di una sua integrazione con Fondiaria era da tempo allo studio), ed esigevano che essa agisse con determinazione presentando subito un’offerta allettante.

Ad avviso del Tribunale questi rilievi sono fuori fuoco.

La stessa ricorrente ha ammesso che la posizione dell’Autorità è nel senso che il prezzo pattuito non sarebbe stato valutabile come “fuori mercato” qualora il pacchetto negoziato avesse consentito all’acquirente l’esercizio del controllo, laddove però, come si legge nel provvedimento, “al momento dell’offerta non esistevano i presupposti per poter esercitare i diritti di voto” (par. n. 66).

Il punto, infatti, è che, come era stato detto nella deliberazione del 10102002, “…l’impresa di assicurazione, al momento, non poteva essere certa, in virtù dell’esistenza di partecipazioni incrociate, di poter esercitare i diritti di voto connessi con la partecipazione acquisita, a meno di accordi già intercorrenti con gli altri azionisti di Fondiaria” (par. 27).

E a quest’ultimo riguardo la ricorrente è stata costretta a riconoscere che la tesi del “congelamento” del diritto di voto di SAI nell’assemblea di Fondiaria si basava su di un’interpretazione giuridica oggettivamente controversa (cfr. del resto la lettera 2 agosto 2001 del dott. Ciani all’ing. Ligresti).

Tutto conferma quindi la verosimile esistenza di un’intesa occulta con Mediobanca, che sola poteva giustificare una convinzione di acquisire con il prezzo indicato il controllo di Fondiaria, senza il quale le onerose condizioni economiche complessive sarebbero state anomale.

4l Venendo al sicuro “diretto interessamento di Mediobanca quantomeno nella prospettazione” della soluzione del ricorso ai cinque investitori di cui in atti (par. n. 66) onde evitare di incorrere nell’Opa totalitaria, anche il relativo dato, pur non meritando particolare enfasi, può essere annoverato senza dubbio tra gli indicatori di come l’interazione tra Mediobanca e Premafin spaziasse anche, ben al di là di quanto implicato dai ruoli formali di socia e di finanziatrice facenti capo alla prima, su ulteriori punti, fondamentali per la buona riuscita dell’operazione, in funzione della rimozione degli ostacoli che alla stessa si frapponevano (si vedano, oltre alla sintesi di cui al par. n. 62 del provvedimento finale, i paragrr. 31-38 della delibera del 10102002). Non senza dire che il riconoscimento da parte di CONSOB del carattere interpositorio dell’acquisto dei suddetti investitori priva di ogni senso la precisazione -sulla quale la ricorrente insiste- che la formale individuazione di questi ultimi è stata operata da un soggetto diverso da Mediobanca, vale a dire dall’advisor JP Morgan.

Nel provvedimento è stato posto in luce come, “Anche nelle fasi successive alla mera progettazione, Mediobanca si è attivata per il buon esito della stessa, tra l’altro intrattenendo direttamente i rapporti istituzionali necessari per ottenere le prescritte autorizzazioni da parte degli organi di vigilanza” (par. n. 12).

La ricorrente deduce che questa affermazione non troverebbe riscontro nei fatti e nei documenti acquisiti. Ciò in quanto i due appunti -del 3 agosto e del 28 dicembre del 2001- sui quali l’asserto sostanzialmente si fonderebbe, riflettenti il contenuto di informali conversazioni telefoniche tra un consigliere di Mediobanca e il presidente dell’ISVAP, non integrerebbero dei “rapporti istituzionali necessari per ottenere le prescritte autorizzazioni da parte degli organi di vigilanza”, ma andrebbero considerati solo come un momento di informazione da parte di Mediobanca, in qualità di azionista di Fondiaria convinto della bontà del progetto di aggregazione SAI-Fondiaria, circa lo stato del procedimento pendente presso l’ISVAP.

Il Tribunale condivide però senz’altro l’obiezione avversaria per cui l’univoco tenore dei documenti di cui si tratta rivela che l’intervento sull’ISVAP da essi rispecchiato non era finalizzato ad una semplice acquisizione di informazioni in merito al procedimento, bensì proprio al sostegno della posizione e delle esigenze del privato che vi era interessato. E questo evidente dato impone il superamento di ogni riserva di parte sul punto.

4m L’Autorità, come si è visto, a base delle proprie determinazioni ha posto anche il rilievo che i contatti tra Premafin e Mediobanca finalizzati alla definizione della governance della futura entità trascendevano quelli tipicamente intercorrenti tra azionisti alla vigilia di una fusione, in quanto non erano limitati ad una mera ripartizione numerica dei posti nei nuovi organi sociali, ma miravano a definire anche i nominativi dei loro componenti, e prendevano addirittura in considerazione alcuni di essi in rappresentanza, promiscuamente, sia di Premafin che di Mediobanca : tutto lasciava intendere, dunque, che i soggetti trattanti miravano, in realtà, ad una gestione comune del nuovo soggetto.

Questo nucleo argomentativo è sottoposto a critica dalla parte ricorrente da più punti di vista, nessuno dei quali è però condivisibile.

Innanzitutto, non confligge minimamente con la ricostruzione operata dall’Autorità il fatto che i contatti Premafin-Mediobanca attestati dai documenti in atti non abbiano carattere permanente nel tempo, ma lascino scoperto un breve periodo intermedio, tra il 2 agosto 2001 e la fine dello stesso anno (quando SAI avrebbe esplorato delle ipotesi di impiego della partecipazione ormai acquisita alternative alla fusione).

Negli scritti di Mediobanca si insiste, poi, sull’assunto che i contatti in questione rappresenterebbero la prassi comune in caso di fusione tra società, implicando questa la definizione di regole di corporate governance della nuova entità ampiamente condivise, affinché il progetto di fusione possa ottenere l’approvazione degli organi delle società interessate con le maggioranze prescritte.

Il rilievo, però, non vale a superare la valutazione di anomalia espressa dall’Autorità, la quale non investe, come si è detto, l’esistenza dei detti contatti in quanto tali, bensì le modalità con le quali gli stessi si erano svolti. Tali modalità sono state reputate, infatti, esorbitanti rispetto a quanto tipicamente intercorre tra azionisti alla vigilia di una fusione, dal momento che i detti contatti miravano – si è detto- a definire anche i nominativi dei componenti dei nuovi organi, e, come le risultanze mostrano, alcuni nominativi venivano presi in considerazione, promiscuamente, in rappresentanza sia di Premafin che di Mediobanca (meritando sottolineatura anche il fatto, giustamente sottolineato dalla Corte d’Appello di Torino –alla pag. 18 del suo decreto- e qui dalla difesa erariale, che sin dal 1°62001, quando ancora la SAI non aveva acquisito la partecipazione Montedison in Fondiaria, i vertici di Mediobanca e Premafin affrontavano già il problema di come ripartire il comando nella società che sarebbe dovuta scaturire dalla fusione, individuando i possibili titolari delle sue cariche di vertice). E questo specifico giudizio dell’Autorità di “esorbitanza” dei contenuti dei contatti registrati tra le parti è rimasto immune da effettive critiche.

Altro elemento ribadito negli scritti di Mediobanca è quello della strutturale differenza tra gli interessi di Premafin-SAI e quelli di Mediobanca (ed ogni altro azionista Fondiaria) in ordine alla definizione del rapporto di concambio e dell’assetto di governance, diversità che non avrebbe potuto mancare di condurre le rispettive società a condotte reciprocamente autonome.

Questo Tribunale ha già confermato, peraltro, la validità del passaggio del ragionamento dell’Autorità che “l’interesse comune rilevante ai fini dell’acquisizione del controllo congiunto di un’impresa non implica assoluta convergenza di scopo tra i due acquirenti, ma la semplice volontà di realizzare l’operazione anche se con finalità diverse”. Ora, un simile punto di partenza fa comprendere che non contrasta con il quadro tracciato dal provvedimento impugnato la pluralità delle vesti cumulate nella vicenda da Mediobanca, alla quale facevano capo distinti fasci di interessi, non tutti evidentemente confluiti nella –e regolati dalla- intesa raggiunta con Premafin. Pare dunque possibile ammettere, senza cadere con ciò in alcuna contraddizione logica, che ciascuna società ben potesse curarsi della più efficace tutela dei propri interessi individuali non regolati dagli accordi intercorsi, interessi che si era evidentemente riservata di difendere nelle sedi e nei modi opportuni.

La ricorrente ritiene, infine, che l’assunto dell’Autorità che i contatti in questione mirassero alla gestione comune della società derivante dalla fusione sarebbe smentito dall’assetto di governance effettivamente adottato, che assegnava in via esclusiva a Premafin il controllo del nuovo soggetto con la maggioranza assoluta dei membri del suo consiglio di amministrazione (e, per contro, appena due consiglieri a Mediobanca).

Nel provvedimento in contestazione è stato peraltro già fatto esattamente notare che, in un contesto in cui l’ingresso di un esponente di vertice di Premafin-SAI nel consiglio di amministrazione del nuovo soggetto veniva prospettato imputando il medesimo esponente in quota a Mediobanca (doc. n. 131), la circostanza formale che il progetto di fusione approvato prevedesse la presenza di 8 rappresentanti di SAI sui 15 membri del consiglio di amministrazione della nuova entità non poteva che perdere il suo potenziale rilievo (par. n. 64).

Tutto ciò posto, ad avviso del Tribunale non può negarsi che i contatti in questione miravano, in definitiva, alla gestione comune della nuova società, conclusione che si impone alla luce, in particolare, della combinata considerazione del contenuto dei docc.ti nn. 82, 128, 188 (ma cfr. anche i nn. 131 e 279) e n. 20 di Mediobanca, secondo le condivisibili considerazioni svolte dalla difesa erariale alle pagg. 36-41 della sua memoria sulla scia delle motivazioni dei decreti delle corti d’appello già occupatesi della vicenda.

In sintesi, invero, si ha:

– che, come si è detto poco sopra, sin dal 1°62001, quando ancora la SAI non aveva acquisito la partecipazione Montedison in Fondiaria, i vertici di Mediobanca e Premafin affrontavano già il problema di come sarebbe stato ripartito il comando nella società che sarebbe scaturita dalla fusione, individuando possibili personalità quali titolari delle cariche di vertice (doc. n. 82);

– che nell’estate del 2001 il gruppo Premafin-SAI rappresentava, per mettere sotto pressione Mediobanca, di sentirsi “svincolato da qualsiasi tipo di collaborazione” con la banca d’affari fino allo “scongelamento” dell’investimento fatto in Fondiaria (doc. n. 20 di Mediobanca);

– che nella lettera del dott. Ciani all’ing. Ligresti del 1922002, riferendo di una consultazione avuta con Mediobanca sul tema della spartizione delle cariche nella nuova società, il primo si richiamava all’esistenza, in materia, di “vecchi accordi” (doc. n. 128);

– che il 3052002, a fusione ormai sostanzialmente conclusa, il vertice di Mediobanca, rammentato a Premafin il proprio contributo all’operazione, avvertiva che la gestione della nuova società non avrebbe potuto avere riguardo ai soli interessi del suo principale azionista (doc. n. 188).

4n Il provvedimento impugnato annovera in ultimo tra gli elementi giustificativi dell’accertamento del controllo congiunto su Fondiaria-SAI anche la preesistenza di forti legami finanziari, economici e personali di Premafin verso Mediobanca (parr. 59 e 70). Già dalla Comunicazione sulla nozione di concentrazione (punti 32-33) risulta, del resto, come la preesistenza di legami tra gli azionisti possa fungere da indizio di una comunanza di interessi tra loro, a sua volta indicativa di un possibile controllo congiunto.

Rinviando a proposito dei legami di tipo personale tra le due società al n. 4o infra, ci si deve soffermare qui sui vincoli finanziari ed economici esistenti fra loro.

A questo riguardo nello stesso provvedimento, facendo riferimento alla rilevante esposizione debitoria di Premafin nei confronti di Mediobanca e alle argomentazioni procedimentali svolte dalle parti in proposito, viene precisato che “l’Autorità non ha mai sostenuto che i rapporti di finanziamento fra Mediobanca e Premafin potessero configurare una situazione di dipendenza economica …” Nondimento, la stessa ha “accertato che la rilevanza dell’esposizione debitoria, peraltro maturata soprattutto al fine di realizzare l’operazione, costituisce un elemento decisivo al fine di condizionare Premafin nell’espressione delle scelte di governance e strategiche relative alla nuova entità Fondiaria-Sai (par. n. 67).

La ricorrente, di contro, contesta che i legami finanziari in discorso fossero idonei a fondare il controllo congiunto sulla nuova entità nata dalla fusione.

Negli scritti di Mediobanca si premette che ai fini del diritto antitrust un legame finanziario tra due imprese può fungere da indice dell’esistenza di un controllo dell’una sull’altra solo nella misura in cui sia idoneo a configurare una situazione di vera e propria dipendenza economica. Di conseguenza, una volta esclusa in una fattispecie la sussistenza di quest’ultima condizione, dovrebbe essere con ciò stesso esclusa anche la possibilità che i finanziamenti registrati nel relativo caso concreto possano, pur se di ingente entità, integrare un elemento rilevante.

In contrario è peraltro doveroso osservare che, sebbene la definizione del controllo di fatto fornita dalla Comunicazione più volte citata ruoti intorno al concetto di dipendenza economica, ciò non deve far perdere di vista il fatto che quanto il procedimento in esame si proponeva di accertare non era un ipotetico controllo Mediobanca-Premafin, bensì (più limitatamente) un controllo congiunto di entrambe su Fondiaria-SAI. In quest’ottica, quindi, legittimamente e conformemente a logica i rapporti finanziari di cui si tratta, pur non integrando una vera e propria dipendenza economica di Premafin, sono stati presi in considerazione quale fattore di condizionamento che, concorrendo con altri elementi analoghi, contribuiva a tracciare un quadro di (co)dipendenza (rectius, di soggezione ad influenza determinante), da parte di Fondiaria-SAI, oltre che da Premafin, anche da Mediobanca (pure titolare di una cospicua quota di Fondiaria). E questa considerazione avvia a reiezione le deduzioni svolte sull’argomento da parte ricorrente.

Negli scritti di Mediobanca si insiste, inoltre, sull’assunto che i finanziamenti da essa erogati a Premafin (e le relative garanzie) integravano un rapporto del tutto comune e fisiologico tra un istituto di credito ed una impresa cliente. Mediobanca, come ogni altro istituto creditizio, tende ad instaurare con la propria clientela rapporti esclusivi, con la conseguenza che l’elevatezza della percentuale dei crediti da essa concessi sul totale delle pendenze finanziarie di Premafin non avrebbe avuto alcunché di eccezionale.

Non si può tuttavia negare che l’elevato ammontare e la notevole incidenza dei detti crediti esprimessero comunque una certa possibilità di condizionamento nei termini indicati dall’Autorità, specialmente se si considera che proprio in connessione con l’operazione di fusione l’esposizione in discorso si era rafforzata mediante gli elevati finanziamenti addizionali necessari allo scopo perseguito.

Mediobanca insiste, altresì, sull’avvenuta riduzione dell’esposizione del gruppo nei propri riguardi, contrastando le osservazioni del provvedimento impugnato (par. n. 68) che hanno svalutato tale circostanza.

Nemmeno queste contestazioni possono essere condivise.

L’Autorità ha evidenziato, in proposito, che la suddetta riduzione del debito era stata realizzata su impulso di Mediobanca, che aveva ceduto parte del proprio credito verso Premafin ad un altro istituto mantenendo il ruolo di agente e impresa mandataria: ed il provvedimento si è quindi intrattenuto sulla “profonda differenza che sussiste tra il caso in cui la ricerca del finanziatore sia effettuata dal soggetto che necessita del finanziamento ed il caso in cui tale ricerca sia svolta da parte della banca che abbia già erogato il finanziamento ed intenda cederne una parte” (sottolineando l’elevato rischio di credito cui solo nel primo caso il nuovo creditore si espone).

Ora, poiché la detta riduzione del credito non risaliva, appunto, ad iniziative espressive di autonomia di Premafin rispetto a Mediobanca, ma nasceva su impulso di questa, non può essere ritenuta irragionevole la valutazione dell’Autorità che ha ritenuto persistere il valore indiziario dell’esposizione della prima, pervenendo alla conclusione che tra le due esistevano tuttora dei forti legami finanziari suscettibili di essere annoverati, in quanto fattori di condizionamento, tra gli elementi rivelatori di un controllo congiunto su Fondiaria-SAI.

Nè la ricorrente ha spiegato –o comunque è dato altrimenti comprendere- la ragione per la quale siffatto mero passaggio della motivazione del provvedimento avrebbe dovuto esserle preventivamente contestato.

La ricorrente, infine, esclude che nei ragionamenti dell’Autorità potesse essere dato spazio alla garanzia pignoratizia sulle azioni SAI costituita in favore di essa Mediobanca a garanzia dei propri finanziamenti, e alla stipulazione -sempre in suo favore- della clausola contrattuale c.d. Material Adverse Change : ma neppure questi assunti possono essere seguiti.

Tenuto conto, a proposito del pegno sulle azioni, del limitato peso che il tema riveste nell’economia del provvedimento impugnato (nella cui sezione d) non figura, diversamente dal successivo, neppure richiamato), sembra sufficiente, al riguardo, osservare che la presenza di un assai esteso pegno a favore di Mediobanca oggettivamente –e al di là del carattere tutt’altro che eccezionale dell’istituto nella prassi- non poteva non aggravare la pressione già esistente su Premafin in dipendenza della propria pesante esposizione debitoria verso la sua finanziatrice. E correttamente è stata raggiunta la stessa conclusione anche a proposito della clausola nominata poco sopra, la cui portata, diversamente da quanto è stato sostenuto negli scritti di Mediobanca, in realtà dilata, e consistentemente, il circoscritto ambito tracciato dall’art. 1186 cod. civ. dei casi di decadenza del debitore dal beneficio del termine.

4o Rimane da affrontare, a questo punto, il tema relativo ai forti legami personali accertati tra Premafin e Mediobanca, che nel giudizio dell’Autorità sono stati annoverati, al pari degli analoghi vincoli economici e finanziari emersi tra gli stessi soggetti, fra gli elementi fondanti l’affermazione del controllo congiunto su Fondiaria-SAI (par. n. 70).

Dei detti legami personali è stata fornita una indicazione solo esemplificativa nel par. n. 18 del provvedimento finale, mentre più ampi ragguagli sono offerti nei parr. 47-49 della deliberazione del 10102002.

In proposito la ricorrente, che non ha potuto negare che nella persona della sig.ra J.Ligresti si realizzasse il cumulo di cariche indicato dall’Autorità, non è neppure riuscita a fornire elementi idonei a far disconoscere la valenza rivelatrice dell’ambigua collocazione riconosciuta al dott. Ciani (cui si è fatto già cenno poco sopra, al n. 4m).

Anche a proposito dei legami in parola può, quindi, ribadirsi quanto già detto nel senso dell’incensurabilità della valutazione che li ha riconosciuti quali possibili indici del controllo congiunto in discussione, emergendo anche per questo aspetto dei fattori di condizionamento che, concorrendo con altri elementi convergenti, contribuivano a tracciare un quadro di soggezione di Fondiaria-SAI all’influenza determinante, oltre che di Premafin, ma anche di Mediobanca (in partenza titolare anche di una cospicua quota di Fondiaria).

5 Si è avuto modo di vedere sopra come l’Autorità abbia ravvisato nell’operazione al suo esame l’acquisizione di un controllo congiunto su Fondiaria-Sai da parte di Premafin e Mediobanca, e l’abbia inquadrata in un contesto in cui quest’ultimo istituto esercitava già un controllo di fatto su Generali, posizione “la cui stabilità poteva essere compromessa con l’uscita di Fondiaria dall’influenza di Mediobanca conseguente l’opa di Italenergia su Montedison, ma che viene preservata grazie all’operazione in esame” (par. n. 76).

Nel paragrafo precedente ci si è dedicati al controllo congiunto su Fondiaria-Sai. Resta da dire, quindi, del controllo su Generali che l’Autorità ha ascritto alla stessa Mediobanca (almeno a partire da quando, nell’aprile del 2001, la stessa aveva acquisito il controllo esclusivo di Euralux).

5a Le valutazioni compiute al riguardo nel provvedimento impugnato richiedono il richiamo di alcune premesse di base.

“… Generali è una società ad azionariato diffuso con un capitale flottante pari a circa l’80% . In essa Mediobanca ha rappresentato e rappresenta il principale azionista, con una partecipazione attualmente superiore al 14%. Il secondo azionista è il Fondo Banca d’Italia, con il 4,7% del capitale sociale, gli altri azionisti con una partecipazione significativa, diversi dagli investitori istituzionali, sono Fondiaria e Sai rispettivamente con l’1,47% e lo 0,37% del capitale all’ultima Assemblea ordinaria” (par. n. 20).

Ora, l’Autorità ha ritenuto che “L’analisi della presenza degli azionisti nelle assemblee ordinarie di Generali dell’ultimo quinquennio … mostra come Mediobanca a partire dal 2001, dopo aver acquisito il controllo esclusivo di Euralux, detenga direttamente una partecipazione vicina alla maggioranza.

… Mediobanca raggiungeva la maggioranza assoluta nelle assemblee di Generali potendo contare sui diritti di voto espressi da Fondiaria, la quale si trovava comunque nella condizione di seguire Mediobanca nell’esercizio del voto-e di fatto l’ha seguita-, in considerazione della rilevante partecipazione detenuta dalla banca d’affari non solo direttamente in Fondiaria, nella misura del 13,8%, ma anche nella allora controllante Montedison, che deteneva il 30 % di Fondiaria. Nel complesso, come si evince dalla tabella 1, nelle ultime due assemblee, Mediobanca e Fondiaria disponevano della maggioranza dei voti, detenendo il 51,51% dei voti nell’assemblea del 2001 e il 51,15 nell’assemblea del 2002″ (par. n. 21).

Le conclusioni formanti oggetto di contestazione si reggono, più analiticamente, sull’itinerario argomentativo appresso riportato.

” 71. Con riferimento al controllo di Mediobanca su Generali, si fa presente che secondo la Comunicazione della Commissione sulla nozione di concentrazione, il controllo esclusivo di un’impresa “può essere acquisito anche attraverso una partecipazione di minoranza qualificata. Che ciò sia il caso, può essere stabilito in base ad elementi di natura giuridica o fattuale”. La stessa Comunicazione precisa che un azionista di minoranza detiene il controllo esclusivo “quando è altamente probabile che l’azionista possa ottenere la maggioranza nell’assemblea degli azionisti perché le azioni rimanenti sono disperse tra una moltitudine di proprietari”. Inoltre “il controllo esclusivo può essere esercitato anche da un azionista di minoranza che ha diritto di gestire gli affari della società e di determinare la sua politica aziendale”, situazione che si verifica quando questi può fare affidamento sulla maggioranza dei membri degli organi sociali dell’impresa.

72. In merito all’influenza di Mediobanca nella nomina degli organi sociali di Generali, in particolare del Consiglio di Amministrazione, Mediobanca e Generali sostengono che il Comitato Nomine abbia una funzione meramente conoscitiva circa le persone designate a comporre gli organi amministrativi. In realtà, gli elementi documentali acquisiti nel corso del procedimento evidenziano che, in seno al Comitato Nomine, si definisce la ripartizione dei poteri all’interno di Generali e l’assetto dei vertici, come poi sistematicamente e pressoché integralmente approvati dalle Assemblee.

73. Quanto, poi, alla pretesa normalità dei contatti preventivi tra i vertici di Generali e Mediobanca, che sarebbero funzionali a consentire un flusso informativo nei confronti dei principali azionisti, propedeutico all’esercizio del diritto di voto in Assemblea, gli ulteriori accertamenti istruttori condotti evidenziano la non condivisibilità di tale tesi. Ed infatti, l’esito della richiesta di informazioni ai principali azionisti di Generali diversi da Mediobanca, Premafin e Fondiaria, inviata in data 7 novembre 2002, al fine di verificare le modalità di partecipazione al voto alle Assemblee di Generali, nonché la natura delle informazioni inviate da Generali alla vigilia delle Assemblee stesse, con specifico riferimento alle ultime due Assemblee ordinarie, ha mostrato una situazione affatto diversa.

Gli azionisti che hanno risposto, inclusi quelli più rilevanti …, hanno evidenziato come le scelte di voto nell’Assemblea di Generali siano orientate alla “valorizzazione degli investimenti”, e soprattutto l’informativa preliminare a disposizione per la partecipazione alle Assemblee, inclusa quella del 28 aprile 2001, contrariamente a quanto sostenuto da Mediobanca, consista esclusivamente in “l’avviso di convocazione con ordine del giorno, i documenti di bilancio, nonché le relazioni del Consiglio di Amministrazione riguardanti gli altri argomenti all’ordine del giorno”.

74. La capacità di Mediobanca di influenzare in modo determinante le scelte strategiche di Generali costituisce un chiaro riflesso della posizione di forza detenuta dalla banca d’affari nelle Assemblee di Generali, dove Mediobanca dispone direttamente di una quota prossima alla maggioranza assoluta dei diritti di voto. Tale maggioranza viene raggiunta considerando i voti derivanti dalle azioni detenute da Fondiaria, a prescindere quindi dal comportamento degli altri azionisti importanti di Generali, molti dei quali di natura finanziaria.

Come emerso dalle risultante istruttorie, l’analisi delle assemblee ordinarie di Generali mostra come dal 2001 Mediobanca, dopo aver acquisito il controllo esclusivo di Euralux, detiene direttamente una partecipazione vicina alla maggioranza. La maggioranza assoluta viene raggiunta con i voti di Fondiaria, espressi direttamente o in delega.

In questo senso, non assumono rilievo le argomentazioni difensive di Generali in ordine alla necessità di computare nelle maggioranze assembleari i soli voti espressi direttamente; la stessa Commissione CE ha di recente ritenuto che l’esercizio di “un’influenza significativa” [su un’impresa titolare di diritti di voto in una società] “in virtù della partecipazione nel capitale sociale”, consente di affermare che detta impresa è “particolarmente propensa” a seguire il proprio azionista di riferimento nell’esercizio del voto e che quindi i relativi voti devono essere sommati per la verifica della maggioranza assembleare. (…)

Ne deriva che essendo Fondiaria partecipata direttamente e indirettamente (tramite Montedison) da Mediobanca, i voti dell’impresa di assicurazione devono essere computati unitamente a quelli della banca d’affari.

Fino al lancio dell’Opa di Italenergia su Montedison, quindi, Mediobanca poteva contare sul voto di Fondiaria in ragione dei legami finanziari intercorrenti tra l’impresa di assicurazione e la banca d’affari (Fondiaria partecipa al patto di sindacato di Mediobanca; quest’ultima ha una partecipazione rilevante in Fondiaria oltre ad essere il principale azionista di Montedison).

Successivamente all’Opa di Italenergia, la realizzazione dell’operazione in esame doveva consentire e ha consentito a Mediobanca di poter continuare a contare sui voti di Fondiaria nelle Assemblee di Generali e, quindi, di mantenerne il controllo di fatto.”

5b Avverso le determinazioni che sono state assunte sulla base delle considerazioni testè trascritte Mediobanca muove, in primo luogo, un appunto di ordine procedimentale, lamentando il mancato rispetto del principio del contraddittorio e dei suoi diritti di difesa.

Essa espone che nell’economia della decisione impugnata costituisce una circostanza essenziale il punto che i voti di Fondiaria avrebbero potuto essere computati unitamente ai suoi, giacché proprio sulla considerazione unitaria delle relative partecipazioni viene basata la tesi della preesistenza del suo controllo su Generali. Ciò posto, la ricorrente deduce che tale fatto non le sarebbe stato contestato preventivamente, ma sarebbe stato esplicitato “in questi termini per la prima volta nel provvedimento finale” (prima di allora non essendosi l’Autorità mai spinta a sommare le partecipazioni in Generali di Mediobanca e di Fondiaria).

E’ tuttavia agevole obiettare che il provvedimento del 17122002 anche sul punto in discussione non costituisce che una coerente proiezione del modello interpretativo che era stato anticipato dal precedente del 10102002 di avvio dell’istruttoria. Tale atto indicava chiaramente che l’Autorità si riprometteva di verificare, nel procedimento, la possibilità di aggiungere ai voti di Mediobanca quelli spettanti a SAI e Fondiaria (le quali apparivano essersi “sistematicamente conformate al voto della banca d’affari” : v. par. n. 58; cfr. anche i successivi nn. 60, 62, 63), sommatoria che avrebbe permesso alla prima di raggiungere in sede assembleare la maggioranza assoluta del capitale rappresentato. Già allora l’Autorità dichiarava, invero, che appariva probabile che Mediobanca “esercitasse un’influenza significativa su Fondiaria, la quale si trovava nella condizione di essere particolarmente propensa a seguire Mediobanca nel momento dell’esercizio del diritto di voto in Generali” (par. n. 105; v. anche il n. 108).

Se ne desume che il quadro tracciato all’avvio del procedimento non ha subito al riguardo, nel provvedimento conclusivo, modifiche degne di nota. Le facoltà difensive della ricorrente potevano quindi trovare ogni possibile esplicazione nel procedimento che si è svolto, nel quale non hanno perciò patito alcuna lesione.

5c A parte il rilievo procedurale appena disatteso, la ricorrente non manca naturalmente di contestare anche sul versante dei propri rapporti con Generali il contenuto intrinseco della ricostruzione operata dall’Autorità.

5d Essa adduce dunque varie ragioni intese ad escludere, innanzi tutto, che ai propri voti nelle assemblee di Generali potessero essere sommati quelli espressi nello stesso contesto da Fondiaria (direttamente o per delega).

Viene ricordato che Mediobanca, con una partecipazione del 13,8 %, non controllava Fondiaria (controllata invece all’epoca da Montedison), ma ne era solo un azionista rilevante. Né i voti di Fondiaria potevano essere riferiti a Mediobanca in nome della partecipazione da questa detenuta in Montedison, posto che nel provvedimento non si afferma che la ricorrente avesse il controllo di quest’ultima, né si fornisce dell’assunta riferibilità altra credibile motivazione.

L’Autorità sarebbe incorsa, pertanto, nell’errore di attribuire a delle semplici partecipazioni di minoranza l’effetto proprio (capacità di esercitare un’influenza determinante sull’impresa) di partecipazioni di controllo.

Il diverso e corretto ragionamento seguito dall’Autorità muove peraltro, come si è visto, dalla solida premessa che, secondo la Comunicazione della Commissione sulla nozione di concentrazione, il controllo esclusivo di un’impresa “può essere acquisito anche attraverso una partecipazione di minoranza qualificata. Che ciò sia il caso, può essere stabilito in base ad elementi di natura giuridica o fattuale”. La stessa Comunicazione precisa che l’esistenza di un controllo esclusivo in capo ad un azionista di minoranza può presumersi sulla base di elementi fattuali “quando è altamente probabile che l’azionista possa ottenere la maggioranza nell’assemblea degli azionisti perché le azioni rimanenti sono disperse tra una moltitudine di proprietari” (punto 14).

Siffatta premessa imponeva perciò, e tuttora esige, di negare valore dirimente in senso preclusivo alla natura minoritaria delle partecipazioni di cui si tratta, e di approfondire lo studio del caso avendo riguardo ai risultati dell’istruttoria condotta nel procedimento.

L’Autorità, invero, dinanzi ad una società, quale Generali, con un capitale flottante pari a circa l’80% , in cui Mediobanca rappresentava il principale azionista con una partecipazione vicina al 14%, ha ritenuto sussistessero i presupposti per procedere ad un’analisi delle presenze degli azionisti nelle assemblee, al fine di verificare se fosse o meno “altamente probabile” per Mediobanca il raggiungimento della maggioranza. E ciò che è emerso dall’analisi delle assemblee di Generali è, appunto, che Mediobanca, dal 2001, dopo aver acquisito il controllo esclusivo di Euralux, disponeva già direttamente di una quota prossima alla maggioranza assoluta dei diritti di voto, e poteva raggiungere tale soglia considerando aggiuntivamente i voti derivanti dalle azioni detenute da Fondiaria.

Né può condividersi l’appunto che l’Autorità avrebbe stravolto il test in uso nella prassi comunitaria, fondato sulla semplice verifica della presenza degli azionisti in assemblea, attribuendo rilevanza in occasione dell’accertamento del controllo assembleare di Mediobanca alla natura meramente finanziaria degli altri azionisti di Generali. In realtà, infatti, l’Autorità si è strettamente attenuta al test in uso nella prassi comunitaria (Comunicazione della Commissione sulla nozione di concentrazione, punto 14), ancorando le proprie valutazioni sulla normale rilevazione delle presenze degli azionisti nelle assemblee ordinarie.

Venendo, dunque, al punto centrale relativo alla possibilità –contestata dalla ricorrente- di sommare alla partecipazione in Generali di Mediobanca quella di Fondiaria, l’Autorità ha messo in chiara evidenza gli elementi che l’hanno indotta al suo convincimento affermativo.

Questi elementi si riconducono ai molteplici profondi legami ed incroci esistenti tra le due società. Se è vero, infatti, che era Montedison, con una partecipazione in Fondiaria di circa il 30 %, ad averne il diretto controllo, è stato sottolineato, peraltro, che Mediobanca, oltre ad essere il secondo azionista di Fondiaria (con una partecipazione di circa il 14 %), costituiva nello stesso tempo in Montedison l’azionista di maggioranza relativa in termini di diritti di voto, e che la medesima Fondiaria era, per converso, azionista e parte del patto di sindacato di Mediobanca.

Da queste concrete e peculiari basi l’Autorità ha potuto desumere, dunque, che Mediobanca era complessivamente in condizione di esercitare una notevole influenza su Fondiaria, la quale si trovava nella conseguente condizione di essere particolarmente propensa a seguirla -ed in fatto risulta esserlesi sistematicamente conformata- (cfr. il paragr. n. 58 della delibera del 10102002 ed il paragr. n. 21 del provvedimento finale) nell’esercizio del diritto di voto in Generali.

Di qui, allora, la ragionevole conclusione, che trova un oggettivo sostegno nelle risultanze istruttorie, del computo congiunto dei voti espressi dalle due società.

Il criterio interpretativo seguito dall’Autorità è anche corroborato dalla più recente prassi della Commissione (la cui missiva del 2072001 e decisione del 2882001 sono state puntualmente richiamate dal provvedimento conclusivo), evolutasi, appunto, nel senso che l’esercizio di un’influenza significativa su di un’impresa, titolare di diritti di voto in una società, può consentire di affermare che la stessa impresa sia “particolarmente propensa” a seguire il proprio azionista di riferimento nell’esercizio del voto, e che quindi i voti di entrambi possano essere sommati tra loro ai fini della verifica della maggioranza asembleare (decisione cit., doc. n. 37 di Mediobanca, punto 37).

Obietta la ricorrente che la decisione della Commissione richiamata a sostegno delle conclusioni dell’Autorità aveva ad oggetto un caso del tutto diverso dal presente. Al riguardo coglie però nel segno la replica erariale secondo la quale (ferma la scontata diversità degli elementi concreti connotanti le due vicende) ciò che della decisione citata si segnala è l’apertura –che non vi sarebbe motivo per confinare entro il caso di specie- a valutare, ai fini della decifrazione degli effettivi assetti di un’entità economica oggetto di indagine, qualsiasi significativo fattore che possa concorrere con la partecipazione azionaria in una società, integrando complessivamente una “influenza significativa” su di essa, onde considerare poi rilevante la conseguente “particolare propensione” di quest’ultima a seguire nelle scelte di voto il proprio azionista di riferimento, al fine della sommatoria delle partecipazioni di entrambi nell’entità sub judice.

Sicchè, come è stato ben detto, gli elementi presi in considerazione nel presente procedimento, per quano diversi da quelli a suo tempo accertati dalla Commissione, proprio come loro risultano convergenti nel denotare la specifica propensione di un soggetto, nella specie Fondiaria, ad uniformarsi alle decisioni di voto di altri, che era in condizione di influenzarlo (Mediobanca): donde la ragionevolezza della conclusione, in questo caso come nel precedente, nel senso del computo congiunto dei rispettivi voti.

Va poi osservato che le indagini e valutazioni dell’Autorità in proposito hanno riguardato un lasso di tempo non privo di consistenza, e non si sono nemmeno basate su situazioni strettamente contingenti: ne discende che non può neppure dirsi che l’accertato rapporto di controllo fosse carente della necessaria stabilità (requisito che non potrebbe essere inteso con un rigore assoluto, poiché ciò priverebbe di ogni effettività le norme in materia).

La ricorrente ricorda, infine, che l’esistenza di un controllo di Mediobanca su Generali era stata esclusa per ben due volte, con decisioni del 19121991 e del 1212000, dalla stessa Commissione europea. Si tratta però di precedenti ai quali in questa sede non può annettersi alcun significato, per essere stati assunti con riferimento a situazioni di composizione azionaria anteriori e diverse da quella oggetto di indagine nel presente procedimento (prima, in particolare, dell’acquisizione di Euralux), e soprattutto disponendo di un quadro meno ricco di elementi istruttori.

5e Venendo ad altro tema di critica prospettato da Mediobanca, la stessa si duole che nel determinare i voti a lei riferibili nelle assemblee di Generali siano state conteggiate anche “le azioni Spafid proprie e in delega da parte di imprese appartenenti al Gruppo Mediobanca inclusa Consortium”.

A proposito di Spafid, la ricorrente ricorda di avere già rappresentato nel corso del procedimento la non riconducibilità a sé dei voti che erano stati espressi dalla suddetta nell’assemblea di Generali in virtù di partecipazioni detenute in nome proprio ma per conto di terzi, oppure in forza di delega.

Non viene negato, cioè, che la Spafid appartenga al Gruppo Mediobanca. Viene evidenziato, tuttavia, che essa, in quanto società fiduciaria, è tenuta ad esercitare i diritti di voto inerenti ai titoli affidatile secondo le istruzioni impartitele dalla clientela nell’ambito dei mandati ricevuti, senza che vi sia spazio per scelte discrezionali da parte della fiduciaria né di istruzioni da Mediobanca. Da ciò l’impossibilità di considerare tra i voti a disposizione di Mediobanca quelli di cui Spafid disponeva in virtù di delega o intestazione fiduciaria da parte di terzi, senza avere dimostrato che i voti stessi erano stati esercitati su indicazione della ricorrente.

Come ha replicato la resistente difesa, peraltro, mai nelle tabelle dell’Autorità (pur non sempre agevolmente leggibili) sono state computate azioni che erano state affidate in delega a Spafid da parte di soggetti diversi da Mediobanca, SAI e Fondiaria, e quindi da veri e propri soggetti terzi (cfr. sub n. 5d).

L’Autorità ha semplicemente ritenuto di poter conteggiare, con le azioni di Mediobanca in Generali, quelle nella stessa Compagnia in titolarità di Spafid (azioni sue proprie, e non in delega), nonché quelle detenute da Spafid su delega di società dello stesso gruppo Mediobanca, trattandosi di azioni certamente riconducibili alle indicazioni di voto promananti dalla banca d’affari (e, analogamente, di computare con le azioni di Fondiaria in Generali quelle detenute su delega della prima da Spafid).

Poiché, dunque, la ricorrente non ha dimostrato che le siano stati ascritti titoli riconducibili a vere e proprie società terze, neppure questo profilo di illegittimità risulta sussistente.

Quanto a Consortium, ci si duole che l’Autorità abbia attribuito a Mediobanca i voti espressi da Spafid in virtù di delega ricevuta da tale ulteriore soggetto. E si soggiunge, lamentando di non essere stati posti in condizione di farlo nel corso del procedimento, che -diversamente da quanto è leggibile nel provvedimento- Mediobanca non aveva il controllo di Consortium ma ne era un semplice azionista rilevante, che oltretutto il 17122001 aveva ceduto la propria partecipazione (la ricorrente richiama in proposito i propri docc.ti nn. 41 e 42).

La resistente difesa ha peraltro dimostrato (pagg. 49-51) come sin dall’inizio del procedimento anche il pacchetto azionario di Consortium fosse stato ascritto a Mediobanca (onde la sottolineatura recata dalla nota in calce alla tabella 1 del provvedimento del 17122002 non aveva alcuna effettiva portata innovativa). Sin dall’avvio del procedimento la ricorrente era, pertanto, in grado di far valere in proposito le proprie riserve ed obiezioni, che invece hanno trovato espressione soltanto in questa sede.

Venendo al contenuto di tali riserve, a parte la mancanza di una rigorosa prova degli asserti di fatto –e specialmente dell’allegata cessione- svolti dalla ricorrente (che dal doc. n. 41 cit. figurerebbe in ogni caso come principale azionista di Consortium) circa l’esatto assetto azionario di Consortium, come pure circa l’effettiva estraneità dei nuovi titolari della società al gruppo Mediobanca, ciò che va soprattutto condiviso è l’obiezione erariale secondo la quale l’estrema modestia della partecipazione di cui si discorre avrebbe richiesto che la stessa ricorrente si fosse fatta carico -il che non è avvenuto- della dimostrazione dell’essenzialità del travisamento da essa dedotto (e cioè della sua idoneità ad incidere sul computo delle maggioranze posto a base del provvedimento).

In considerazione di tanto anche questa doglianza può essere superata.

5f La ricorrente contrasta altresì quanto sostenuto nel provvedimento circa l’influenza da essa esercitata, attraverso il proprio c.d. Comitato Nomine, nella nomina degli organi sociali di Generali, definendo anticipatamente la ripartizione dei poteri e l’assetto dei vertici della Compagnia.

Mediobanca obietta di avere già rappresentato con chiarezza nel corso del procedimento il ruolo e le funzioni del Comitato Nomine, organismo istituito con delibera del 2832001 e composto dai suoi presidente, vice presidenti ed amministratore delegato. Compito del Comitato, viene detto, è solo quello di decidere il voto che il rappresentante di Mediobanca dovrà esprimere nell’assemblea di una società compresa tra le sue “partecipazioni permanenti” e che sia chiamata a rinnovare i propri organi. Conoscendo preventivamente, infatti, i nominativi delle persone designate per le relative investiture -aveva esposto e ribadisce la ricorrente- può essere più consapevolmente stabilito l’orientamento da assumere nell’assemblea della partecipata: e il Comitato rappresenterebbe solo la formalizzazione di un processo decisionale interno del tutto conforme a quello che ciascun altro socio conduce, in ogni assemblea analoga, per decidere il modo di esprimere il proprio voto. La ricorrente ha soggiunto, infine, che “non tutti i nomi elencati nella lista trasmessa … sono poi stati effettivamente nominati consiglieri dall’assemblea”.

Osserva il Tribunale, tuttavia, che la lettura così proposta del ruolo del Comitato Nomine, ancorché in astratto non implausibile, è smentita dalle risultanze acquisite nel procedimento, con le quali non è conciliabile. Dalle dette risultanze traspare che il “processo decisionale interno” evocato dall’abile difesa di parte era in realtà in grado di tradursi (ed è proprio in ciò che sta l’elemento valorizzato dall’Autorità) nell’esercizio di un immanente potere di condizionamento da parte della banca d’affari delle scelte degli organi sociali di Generali, condizionamento che neppure in questo giudizio ha potuto trovare smentita.

Come gli atti dell’Autorità hanno puntualmente messo in luce, infatti, almeno per le assemblee del 2001 e 2002 le scelte in ordine alla gestione di Generali preventivamente compiute da Mediobanca sono state approvate dalle assemblee stesse. Ad esempio, l’assemblea del 28 aprile 2001, nella quale sono stati nominati i membri del Consiglio di Amministrazione per il triennio successivo, ha confermato l’elenco proposto dal Comitato Nomine di Mediobanca due giorni prima, il 26 aprile 2001, con la mera eccezione di un solo componente. E il nuovo Consiglio di Amministrazione, espressione di queste puntuali indicazioni, nella sua prima seduta, tenutasi il 28 aprile 2001 immediatamente dopo l’assemblea, ha proceduto alla nomina del Comitato Esecutivo (cui era delegata la gestione ordinaria della società), composto da 9 membri, di cui ben 5, e quindi la maggioranza, erano collocati in posizioni di rilievo nell’organigramma di Mediobanca.

Anche nel Consiglio di Amministrazione consecutivo all’assemblea del 27 aprile 2002, che si è tra l’altro occupato della riorganizzazione interna attraverso l’istituzione di nuovi organi di gestione, con conseguente ridefinizione delle deleghe degli amministratori e del Comitato Esecutivo, sono state sostanzialmente ratificate le decisioni prestabilite da Mediobanca. A parte, infatti, quanto si dirà di qui a poco (n. 5g2) sull’incontro preparatorio che si era tenuto il giorno 8 dello stesso mese, va rilevato che il Comitato nomine tenutosi il 24 aprile 2002, in vista dell’Assemblea, che aveva avuto il medesimo oggetto, aveva previsto proprio la composizione del Comitato Esecutivo di Generali che sarebbe stato nominato senza modifiche nel Consiglio di Amministrazione immediatamente successivo (paragrr. nn. 23 e 24 del provvedimento finale).

5g Queste oggettive convergenze vengono, poi, corroborate e consolidate da ulteriori elementi istruttori, la cui valenza si è invano tentato di sminuire, e che confermano inequivocabilmente–al di là di ogni possibile sforzo dialettico- l’effettività delle dinamiche del controllo di Mediobanca su Generali.

5g1 A proposito dell’accordo raggiunto tra gli amministratori delegati delle due società in data 2642001, cui nel provvedimento viene conferito particolare rilievo, Mediobanca ribadisce il proprio assunto che l’intesa era priva di rilievo giuridico e non vincolava in alcun modo le rispettive società, essendo stata conclusa tra i loro vertici solo a titolo personale, per disciplinare i loro rapporti reciproci.

Secondo la versione da essa offerta il dott. Gutty, allora designato ad assumere la presidenza di Generali, si impegnava ad intrattenere preventivamente il dott. Maranghi sui programmi strategici della Compagnia, sulle nomine di rilievo, nonché sulle operazioni che potessero toccare gli interessi della banca d’affari, senza però garantire a questa il diritto di esercitare alcuna influenza in tali aree.

La stessa circostanza che si fosse sentito il bisogno di formalizzare un accordo siffatto deponeva, secondo la ricorrente, nel senso dell’assenza di una significativa influenza di Mediobanca su Generali (che se esistente lo avrebbe reso superfluo). Un accordo simile, del resto, era stato già concluso il 1651994 da Mediobanca e Lazard con Generali, ma la Commissione europea non lo aveva ritenuto meritevole di particolare attenzione.

Per tutte queste ragioni (già illustrate nel corso del procedimento) all’intesa del 2642001 non avrebbe potuto essere attribuito, perciò, alcun valore.

E’ già, peraltro, la collocazione cronologica di tale accordo al 2642001, la stessa data della riunione del Comitato Nomine gravida delle conseguenze sopra esposte, a suggerire un differente modo di intenderlo. E che il senso dell’intesa fosse diverso è confermato dalla disamina dei suoi circostanziati contenuti. Gli impegni assunti nell’occasione dall’amministratore delegato di Generali nei confronti del suo omologo di Mediobanca esorbitavano, infatti, dalle linee di una mera –e sia pure approfondita- esigenza informativa dell’azionista maggioritario (esigenza cui sovveniva solo la prima parte del testo), per investire anche con chiarezza, e sempre in termini di impegnatività per Generali, il merito di importanti scelte organizzative e gestionali (doc. n. 47 di Mediobanca).

L’accordo andava, quindi, ben oltre la semplice funzione di regolamentare un flusso di informazioni dirette alla ricorrente, e, lungi dall’essere incompatibile con l’esistenza di una relazione di controllo, se ne presentava al tempo stesso, come bene è stato detto dalla resistente difesa, come manifestazione e strumento (a prescindere da ogni questione, in questa sede ultronea, relativa alla sua formale validità e rilevanza giuridica).

Niente di tutto questo è dato invece rinvenire nel precedente del 1651994 richiamato nei motivi aggiunti (prodotto come doc. n. 49 di Mediobanca), che, a parte l’impegno reciproco di non alienazione delle parti firmatarie, conteneva nient’altro che una generica formula con cui Generali dichiarava che avrebbe mantenuto con loro “una continuità di rapporti e di consultazioni in ordine a fatti e programmi di maggior rilievo della vita della Compagnia”. E, d’altra parte, nessun elemento è stato offerto per rendere verosimile l’asserto che l’accordo del 2642001, a dispetto delle qualifiche ricoperte dalle sue parti formali, dei suoi contenuti, e della connessione esistente tra le une e gli altri, sarebbe stato concluso dai suoi autori solo “a titolo personale”.

Con riferimento, quindi, al rilievo di Mediobanca che degli investitori istituzionali con partecipazioni limitate in una società sarebbero naturalmente portatori di interessi diversi da quelli di un azionista del calibro di essa ricorrente, tali da non spingerli ad attivarsi per acquisire particolari informazioni prima delle assemblee, si deve obiettare alla luce di tutto quanto precede che tra Mediobanca e gli altri soci c’era ben altro e ben di più che un semplice differenziale informativo, posto che la prima disponeva di un potere condizionante del tutto sconosciuto ai secondi.

5g2 Valutazioni simmetriche possono farsi a proposito dell’appunto predisposto dal dott. Maranghi per l’incontro dell’842002 con il dott. Gutty.

Nemmeno tale appunto meriterebbe, secondo le tesi della ricorrente, alcun riconoscimento di rilevanza ai fini in discorso. Da esso emergerebbe solo che il principale azionista di Generali si interessava alla definizione di un più efficiente assetto organizzativo del gruppo e ad un più adeguato sistema informativo, allo scopo di tutelare il valore della propria partecipazione e valutare il rischio dei finanziamenti in essere.

L’appunto rivela peraltro nel contesto delle risultanze raccolte un ben diverso e più pregnante senso sol che si noti che, come è stato correttamente sottolineato nel provvedimento del 17122002, il suo puntuale contenuto anticipava e prefigurava (cfr. il doc. n. 48 di Mediobanca, nonché la deliberazione dell’Autorità del 10102002 nei paragrr. nn. 76-78), evidentemente non certo per caso, i lineamenti della riorganizzazione interna che di lì a poco, nello stesso mese, sarebbe stata deliberata dal Consiglio di amministrazione della Compagnia nella già citata seduta del 27 aprile.

Lo scritto costituisce dunque un altro plastico saggio della capacità di Mediobanca di tradurre la propria volontà in precetto vincolante per Generali.

5g3 Se agli elementi fin qui esposti si aggiungono, poi, le inequivocabili affermazioni rese dal presidente uscente dott. Desiata in seno all’assemblea di Generali del 2842001 (paragr. n. 69 della delibera del 10102002), che non si vede come potrebbero essere intese in un senso diverso da quello, in definitiva letterale, seguito dall’Autorità, e si rammenta, altresì, che fu proprio il presidente di Generali, in teoria un concorrente di SAI e Fondiaria, ad intervenire preso l’ISVAP per sostenere il buon esito del procedimento che le riguardava (cfr. sopra, al n. 4l), si è in definitiva in grado di apprezzare la pienezza e l’organica coerenza del quadro di risultanze che ha permesso all’Autorità di pervenire alle sue logiche conclusioni, le quali non possono, pertanto, che trovare conferma.

6 L’ultimo motivo aggiunto si richiama al parere che è stato reso nel procedimento dall’ISVAP (i contenuti del quale si trovano riassunti nei nn. 41-50 del provvedimento).

L’Istituto ha espresso un punto di vista difforme da quello che sarebbe stato conclusivamente adottato dall’Autorità. Ha dissentito dalla qualificazione dell’operazione di cui si discute in termini di acquisto di un controllo congiunto di Fondiaria-SAI da parte di Mediobanca e Premafin (l’ISVAP non ha ravvisato nella vicenda, in pratica, un ruolo di Mediobanca diverso da quello di un istituto finanziario che presta servizi di consulenza e assistenza alle imprese), ed ha escluso, altresì, di poter condividere la tesi che la stessa banca d’affari potesse esercitare un’influenza dominante su Generali.

La doglianza di parte è che il provvedimento in epigrafe si sarebbe discostato da questo parere in carenza di motivazione, nel senso che non avrebbe dato ad esso un rilievo adeguato. E a rafforzamento della critica viene rappresentato che, essendo l’Istituto competente, secondo legge, ad esercitare sulle imprese assicuratrici una funzione di vigilanza implicante un costante controllo sulle loro situazioni patrimoniali e finanziarie, ciò rendeva particolarmente significativa la sua presa di posizione (anche a prescindere dal fatto di essere stata richiesta qui allo scopo di operare qualificazioni rilevanti ai sensi della legge n. 2871990) ai fini di un retto inquadramento della vicenda.

Anche queste censure sono prive di fondamento.

Si può notare che la ricorrente non mette minimamente in discussione il fatto che il parere che l’Amministrazione intimata è chiamata a richiedere all’autorità di settore, ai sensi dell’art. 4 della legge n. 2871990, “nel caso di operazioni che coinvolgono imprese assicurative”, non ha carattere vincolante, e come tale può ben essere legittimamente disatteso (purché sulla scorta di un’adeguata motivazione: C.d.S., VI, n. 2199 del 2342002).

Venendo, allora, al decisivo punto dello spessore della motivazione occorrente a giustificare la divergenza della determinazione dell’Autorità dal parere ricevuto, il Tribunale deve condividere la precisazione della resistente difesa che le valutazioni dell’ISVAP oggetto di discostamento non riguardavano la disciplina specifica e le caratteristiche proprie del settore interessato (nel qual caso il diverso orientarsi dell’Autorità avrebbe dovuto poggiare, secondo la giurisprudenza, su di una motivazione particolarmente rigorosa: sentenza n. 21992002 cit.), ma concernevano, piuttosto, l’interpretazione della disciplina antitrust, e segnatamente i consueti presupposti tipici dell’applicazione delle norme di tale materia, l’accertamento dei quali chiama in causa il proprium della competenza specifica ed esclusiva dell’Autorità.

Nel suo parere, difatti, l’ISVAP, dopo avere riconosciuto che la nozione di controllo prevista dalla normativa assicurativa presenta caratteristiche diverse e maggiormente vincolanti rispetto agli ordini concettuali propri della normativa antitrust (ed ignora, tra l’altro, la figura del controllo congiunto), con la sua ricostruzione dei dati forniti dall’istruttoria ha finito per operare un autonomo accertamento circa la configurabilità dei rapporti indagati quali relazioni di controllo proprio ai fini antitrust, pronunciandosi quindi su profili rientranti nelle specifiche competenze dell’Autorità ex lege n. 2871990.

L’esposizione motivatoria che era lecito attendersi dalla resistente non doveva essere dunque nella specie improntata al massimo rigore. E alla luce di tanto le motivazioni che l’Autorità ha fornito a sostegno del proprio giudizio, non solo in termini generali ma anche punto per punto (cfr. i parr. nn. 56, 62, 66, 69 e 134), facendosi doveroso carico dei principali argomenti dell’Istituto per poi, dal proprio decisivo punto di vista, superarli, possono giudicarsi senz’altro adeguate.

7 In conclusione, come è stato anticipato, mentre il ricorso originariamente introdotto deve essere dichiarato inammissibile, i motivi aggiunti e la domanda risarcitoria di parte ricorrente devono essere respinti per la loro infondatezza.

Si ravvisano, tuttavia, ragioni tali da far disporre la integrale compensazione delle spese processuali tra le parti in causa.

P Q M

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione I, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe così come originariamente introdotto e respinge i motivi aggiunti.

Spese compensate.

La decisione sarà eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, Camere di consiglio del 29/10 e 5/11/2003.

Il Presidente

L’estensore

Depositata in Segreteria il 20 febbraio 2004