Penale

Thursday 02 October 2003

Falso in bilancio e procedibilità a querela. La Cassazione cerca di fare chiarezza. Cassazione Penale – Sentenza 25 luglio – 20 agosto 2003 – 34558/2003

Falso in bilancio e procedibilità a querela. La Cassazione cerca di fare chiarezza

Cassazione Penale – Sentenza 25 luglio – 20 agosto 2003 – 34558/2003

Sentenza.

Presidente Santacroce – Estensore Panzani

Svolgimento del processo e motivi della decisione.

Con ordinanza del 29 aprile 2003 il Tribunale di C. – sezione per il riesame – rigettava l’istanza di riesame proposta da P. avverso l’ordinanza in data 24 marzo 2003 del G.i.p. presso il Tribunale di C. applicativa della misura cautelare della custodia in carcere.

Il P. è indagato per associazione a delinquere ex art. 416 c.p., ritenuta sussistente dal Tribunale sotto duplice profilo. Si tratta infatti da un lato di un sodalizio criminoso relativo alla gestione della società C. di cui il P. era presidente, volta alla commissione di una serie indefinita di reati di tipo patrimoniale, tra i quali particolarmente truffe, falsi in bilancio e reati connessi all’illecita gestione patrimoniale della società, dall’altro di diverso sodalizio, avente in comune con il primo soltanto la figura del P., avvalentesi delle attività deliquenziali di personaggi appartenenti ad associazioni criminali locali.

Il P. è inoltre indagato per il reato di cui all’art. 2622 c.c. nuova formulazione, e per il reato di truffa perchè avrebbe indotto in errore la F.I.G.C. procurandosi l’ingiusto profitto rappresentato dall’erogazione del contributo federale al C. per la partecipazione al campionato calcio.

Ancora al P. è contestato il reato di estorsione nei confronti di L., relativamente alla cessione delle quote del C. di cui era titolare, e nei confronti del giornalista M., al fine di evitare che questi continuasse un’azione giornalistica nei confronti della società calcistica.

Il Tribunale del riesame ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari con riferimento ai reati di associazione a delinquere (capi 1) ed estorsione (capi 3 e 6), mentre in ordine ai reati di truffa (capi 11, 13, 17), esclusa la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7, L. n. 203/91, ha sostituito la misura della custodia in carcere con l’obbligo quotidiano di presentazione all’Autorità di P.G.. Ha infine ritenuto insussistente la querela con riferimento ai reati di cui all’art. 2622 c.c., revocando l’ordinanza impugnata per tali reati (capi 10, 12, 14) e per altra ipotesi di estorsione (capo 2).

Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di C. – Direzione distrettuale antimafia. Si duole il ricorrente che l’ordinanza impugnata abbia ritenuto, con riferimento alle ipotesi di false comunicazioni sociali, il difetto di querela. Osserva che il L. in proprio e per conto della moglie R., aveva denunciato in più occasioni all’Autorità giudiziaria di Co. ed ai carabinieri di Co. i fatti-reato di cui era stato vittima ed in particolare i fatti societari, con atti 28 marco 2001 e 31 marzo 2001. Entrata in vigore la nuova normativa societaria, il L. non aveva potuto confermare la querela già proposta perchè nelle more era deceduto. La R. dopo la prima denuncia querela non aveva proceduto al ritiro.

Ancora il P.M. si duole che con riferimento ai reati di truffa aggravata l’ordinanza impugnata non abbia ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’art. 7, L. n. 203/91, pur confermando l’impostazione accusatoria relativamente al fatto di estorsione nei confronti del L., posto in essere dal P. tramite C. G. e P. C., appartenenti storici alla criminalità organizzata di Co..

Ha proposto ricorso per cassazione la difesa del P., dichiarando di rinunciare ai termini di sospensione feriale e all’udienza di rinunciare anche ai termini relativi agli avvisi al difensore in ordine al ricorso del P.M.

Si duole anzitutto il P. che il Tribunale non abbia considerato la dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali per violazione degli artt. 266, 267, 268, 271, 273 c.p.p.. Osserva che il decreto autorizzativo 204/01 del 6 aprile 2001 non è motivato quanto ai gravi indizi e quanto all’indispensabilità del mezzo di indagine ed in ordine alla possibilità di utilizzo degli impianti posti al di fuori della Procura della Repubblica, in violazione dell’art. 268, c. 3, c.p.p..

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che l’ordinanza impugnata non abbia considerato che per i fatti di truffa manca la condizione di procedibilità perchè le truffe contestate sarebbero state poste in essere tramite i falsi in bilancio e l’art. 2622 c.c. nuovo testo stabilisce che si procede a querela “anche se il fatto integra altro delitto, ancorchè aggravato a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori”. Nella specie le false comunicazioni sociali avrebbero ingenerato l’induzione in errore della F.I.G.C. da cui sarebbe poi derivato un ingiusto profitto per il C.. La circostanza, puntualmente dedotta in sede d’istanza di riesame, non sarebbe stata considerata dal Tribunale.

Ancora il ricorrente contesta la sussistenza dell’elemento materiale del reato di truffa ed in particolare degli artifizi e raggiri, osservando che il destinatario dei bilanci non sarebbe stata la F.I.G.C. in quanto i contributi ed i finanziamenti non sarebbero stati concessi in base ai bilanci, ma in base al rapporto ricavi/indebitamento. Il Tribunale avrebbe ignorato la normativa federale che regola la materia. I contributi spettavano alle società partecipanti al campionato di serie B e dunque anche al C., che a tale campionato prendeva parte.

Con riferimento alle associazioni a delinquere il ricorrente lamenta che il tribunale abbia ritenuto sussistenti due diverse associazioni in luogo dell’unica risultante dalla contestazione mossa dall’accusa. In tal modo il Tribunale avrebbe non soltanto modificato la struttura della contestazione, ma proceduto ad una nuova indicazione di delitto, al di fuori dei suoi poteri. Mancherebbero inoltre gli elementi costitutivi del reato associativo, perchè non vi sarebbe prova della preventiva volontà degli aderenti al sodalizio di mettersi insieme per realizzare un numero indeterminato di delitti. Si sarebbe argomentato a posteriori dell’avvenuta commissione di reati per inferirne l’esistenza del sodalizio criminoso, violando la corretta tecnica ermeneutica.

(Omissis)

Il secondo motivo di ricorso con cui si deduce che per i reati di truffa mancherebbe la condizione di procedibilità della querela ai sensi dell’art. 2622, c. 2, c.c. nuovo testo, non è fondato. La norma recita: “si procede a querela anche se il fatto integra altro delitto, ancorchè aggravato a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee”.

Occorre dunque che il fatto integrante il reato di false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori integri altro delitto, con le eccezioni previste dalla seconda parte della norma. Correttamente la dottrina ha individuato nell’ipotesi considerata dalla norma un caso di concorso formale. Occorre cioè che la medesima azione che integra gli estremi della condotta prevista dall’art. 2622 c.c. configuri anche diversa fattispecie prevista da altra norma incriminatrice. Ora è del tutto evidente che perchè sia configurabile la truffa occorre un quid pluris rispetto alla condotta che integra le false comunicazioni sociali, quid pluris rappresentato sia dall’induzione in errore, sia dalla sussistenza dell’altrui danno.

L’inciso dell’art. 2622, c. 2, c.c. “ancorchè aggravato a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori” attiene non agli elementi costitutivi del reato cui si estende l’effetto della procedibilità a querela, ma alla diversa ipotesi che tale reato risulti aggravato per effetto dell’esistenza di un danno a soggetti diversi dai soci e dai creditori. Nel caso di truffa il danno, nella specie a soggetti diversi dai soci e dai creditori, non rappresenta un’aggravante (che può venire in esame ai fini della procedibilità d’ufficio o a querela), ma è uno degli elementi costitutivi del reato, che non è presente nella fattispecie delle false comunicazioni sociali. Il danno patrimoniale nel reato di cui all’art. 2622 è il danno ai soci o ai creditori, mentre nella truffa è il pregiudizio subito dalla vittima dell’inganno, soggetto che viene in considerazione a prescindere dalla sua qualità di socio o creditore e che nel caso di specie era la F.I.G.C. e dunque un ente che non era nè socio nè creditore.

Inoltre, se è vero che l’art. 2622, c. 1, c.c., fa riferimento all’induzione in errore, essa ha riguardo ai destinatari delle false comunicazioni sociali identificati nei soci e nel pubblico, vale a dire una comunità indifferenziata, mentre nella truffa il destinatario è soggetto diverso vale a dire il terzo tratto in inganno, considerato uti singulus.

Sostiene il ricorrente che non può individuarsi l’inganno richiesto per la configurabilità della truffa nelle false comunicazioni sociali, perchè la F.I.G.C. non era destinataria dei bilanci e perchè in base alla normativa interna al sistema calcistico i contributi venivano erogati al C. indipendentemente dal contenuto dei bilanci, ed in base al rapporto ricavi/indebitamento. Si aggiunge che il C. aveva diritto ai contributi perchè la squadra era iscritta al campionato di calcio di serie B, indipendentemente dallo stato dei suoi bilanci.

In proposito è sufficiente osservare che sia l’ordinanza del G.i.p. sia il tribunale hanno affermato che i contributi venivano erogati sulla base di una fascia di riferimento, individuata con riguardo ai dati di bilancio (e sotto tale profilo occorre sottolineare che sia il dato relativo ai ricavi che quello relativo all’indebitamento emergono dal bilancio, dal conto economico il primo, dalla situazione patrimoniale il secondo). Il ricorrente non ha dedotto alcuna specifica circostanza idonea a smentire le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito, che consenta di individuare profili di violazione di legge o di mancanza od illogicità della motivazione, sì che per questa parte il motivo si traduce in una censura nel merito, inammissibile in questa sede.

(Omissis).