Penale

Thursday 06 March 2003

Extracomunitari. Mancata esecuzione dell’ ordine di espulsione a seguito della Legge Bossi – Fini. Un’ interessante sentenza del Tribunale di Roma. Sentenza Ordinanza 2 gennaio – 20 febbraio 2003

Extracomunitari. Mancata esecuzione dellordine di espulsione a seguito della Legge Bossi Fini. Uninteressante sentenza del Tribunale di Roma

Tribunale di Roma, Settima Sezione Penale, in composizione monocratica,

Sentenza Ordinanza 2 gennaio – 20 febbraio 2003

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

Settima Sezione Penale Dibattimentale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA, in composizione monocratica,

in persona del Giudice Valerio SAVIO,

a definizione di GIUDIZIO ABBREVIATO

alla pubblica udienza del 2.1.2003 ha deliberato la seguente

SENTENZA ex art. 442 c.p.p.

PUBBLICANDOLA MEDIANTE LETTURA DEL DISPOSITIVO , IN ORDINE ALL’IMPUTAZIONE FORMULATA DAL PUBBLICO MINISTERO NEI CONFRONTI DEL SEGUENTE

IMPUTATO

G. I. G. , nato 7.4.1983 in ROMANIA

libero presente

( con tali generalità identificato a ROMA il 31.12.2002 a mezzo rilievi fotosegnaletici e dattiloscopici )

IMPUTAZIONE

reato p. e p. dall’art. 14 comma 5 ter D.L.vo 286 / 1998 ( così come modificato dalla legge 30.7.2002 n. 189 ) perché, senza giustificato motivo , si tratteneva nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal Questore di ROMA in data 22.12.2002 ed a lui notificato in pari data; in ROMA 31.12.2002

CONCLUSIONI

Pubblico Ministero: condannarsi l’imputato — con attenuanti generiche e già applicata la diminuente per il rito — alla pena di mesi due e giorni venti di arresto; con pena sospesa

Difesa: assoluzione per non avere commesso il fatto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 — La fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 14 comma 5 ter D.L.vo 286 / 1998, introdotta dall’art. 13 1° comma della legge 30.7.2002 n. 189 .

1.1. La fattispecie.

In vigore dal 10.9.2002, la norma statuisce che “lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal Questore ai sensi del comma 5 bis ” del medesimo articolo ” è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno . In tale caso si procede a nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica “. Aggiunge l’art. 14 comma 5 quinquies dello stesso D.L. che per tale reato “è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto e si procede con rito direttissimo”.

Attesa la “novità” dell’incriminazione, riguardante condotta in precedenza non prevista dalla legge come reato, è necessario premettere alla valutazione del caso specifico l’analisi della fattispecie, in generale.

1.2. La sussistenza di un valido decreto di espulsione amministrativa emanato dal Prefetto ex art. 13 D.P.R. 25.7.1998 n. 286 quale parte essenziale dell’elemento oggettivo della fattispecie.

Seppure la fattispecie di cui all’art. 14 comma 5 ter in esame non nomini il decreto di espulsione, il combinato disposto degli artt. 13 e 14 e l’intero sistema del D.P.R. 286 / 1998 rendono evidente come prima essenziale parte dell’elemento oggettivo del reato in parola sia l’essere l’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis fondato su un preesistente valido decreto di espulsione “amministrativa” emesso dal Prefetto ex art. 13 commi 2 e 3 T.U. , del quale l’ordine costituisca mezzo di esecuzione .

Anche se nella legge non si rinvengono dati letterali di per sé ostativi a ritenere che il reato in parola possa innestarsi altresì su una procedura di esecuzione di espulsione “per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato” decretata dal Ministro dell’Interno ex art. 13 comma 1 T.U. (procedura in ordine alla quale nulla si dice circa le modalità esecutive) , l’eccezionalità e la ratio di tale espulsione “politica” rendono evidente e prevedibile che in tali casi l’espulsione avverrà con modalità tali da impedire che la fase esecutiva raggiunga lo stadio rilevante per la fattispecie in disamina . Nell’ipotesi fisiologica e “topica” , l’espulsione presupposta della fattispecie di cui all’art. 14 comma 5 ter T.U. è e rimane quindi quella “amministrativa” del Prefetto di cui all’art. 13 commi 2 e 3 T.U. ( andando comunque rilevato che anche l’espulsione disposta dal Giudice , con sentenza anche non irrevocabile , “a titolo di sanzione sostitutiva ” di cui all’art. 16 1° comma T.U., anche quella “alternativa alla detenzione ” disposta dal magistrato di sorveglianza di cui all’art. 16 5° comma T.U. ed anche quella disposta “a titolo di misura di sicurezza ” di cui all’art. 15 — eseguibile con l’irrevocabilità della sentenza — devono nella legge essere eseguite ex artt. 13 comma 4 e 16 comma 7 T.U. con accompagnamento alla frontiera da parte della forza pubblica, sì che a ben guardare, ove tale accompagnamento non sia possibile, potrebbe nella prassi impiantarsi anche per tali procedure la sequenza descritta nell’art. 14 sfociante nell’ordine di cui al comma 5 bis di tale disposizione : essendo la permanenza in un centro di permanenza temporanea una forma di detenzione , si ritiene peraltro che una simile prassi , finendo con l’estendere analogicamente oltre quelli previsti i casi di tale detenzione , sarebbe senz’altro illegittima oltre che difficilmente configurabile attesa la funzione di tali forme di espulsione, sì che anche per questa via si giunge alla conclusione che la fattispecie in esame possa riguardare solo la procedura di esecuzione dell’espulsione “amministrativa” di cui all’art. 13 T.U) .

Per la giurisprudenza di legittimità, il decreto di espulsione amministrativa del Prefetto non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 7 l. 7.8.1990 n. 241, avendo il decreto emanato nei casi previsti dalla legge natura “di atto ad emanazione vincolata e non discrezionale”, ed essendo per altro verso garantito il contraddittorio seppure differito in sede giurisdizionale ( v. ora comma 8 dell’art. 13 T.U. : così per ultima CASS. Sez. I Civile n. 5050 del 9.4.2002 , che appare più convincente sul punto di quelle altre pronunce che per motivare la non necessità della comunicazione fanno piuttosto riferimento — oltre alle “esigenze di celerità” , pure invero considerate dall’art. 7 in questione e certamente apprezzabili nella fattispecie in esame — alla tesi invero discutibile secondo la quale il decreto di espulsione non seguirebbe ad un seppur scarno procedimento amministrativo “andando a formarsi nel momento in cui la P.A. ne verifica i presupposti”: v. CASS. Sez. I Civile 19.12.2001 n. 16030 ; la questione appare peraltro risolvibile nel senso opposto con riferimento all’espulsione dello straniero che si sia trattenuto nel territorio dello Stato “quando il permesso è scaduto di validità da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo” — art. 13 comma 5 T.U. — , caso in cui l’espulsione segue diversa e meno scarna procedura , con intimazione del Prefetto a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di 15 giorni , e nel quale da un lato vi è certo un procedimento amministrativo vòlto ad accertare il presupposto dell’espulsione e dall’altro non si pongono esigenze particolari di celerità che impediscano il contraddittorio anticipato garantito dall’art. 7 in parola ).

Il decreto di espulsione amministrativa del Prefetto — ” motivato, immediatamente esecutivo anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell’interessato” , art. 13 3° comma T.U. – per poter divenire elemento normativo della fattispecie di reato in esame deve naturalmente essere stato emesso legittimamente.

In primo luogo, deve essere stato emesso in presenza di una delle situazioni di fatto previste dalla legge come legittimanti l’espulsione, e “motivato” per quanto sinteticamente in ordine alla loro sussistenza . Si tratta delle situazioni di fatto di cui all’art. 13 comma 2 T.U. (entrata nel territorio dello Stato in elusione del controllo di frontiera, senza che sia avvenuto respingimento ; trattenimento nel territorio dello Stato oltre i termini di validità del visto di ingresso temporaneo senza che si sia richiesto permesso di soggiorno nel termine prescritto, quando il ritardo non è dipeso da casi di forza maggiore; trattenimento nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato ovvero è scaduto da più di 60 giorni e non è stato chiesto il rinnovo; appartenenza del soggetto ad una delle categorie di soggetti pericolosi di cui agli artt. 1 l. 27.12.1956 n. 1423 e 1 l. 31.5.1965 n. 575, appartenenza da ritenersi direttamente accertabile da parte del Prefetto, con valutazione sindacabile dal Giudice Ordinario in sede civile come in sede penale , anche agli effetti in esame, come ogni altra valutazione relativa al sindacato sulla discrezionalità utilizzata nell’emissione del decreto di espulsione : cfr. CASS. Sez. I Civ. n. 12721 del 30.8.2002). E quanto alla motivazione sul punto, non può non condividersi l’orientamento della Suprema Corte che richiede , per l’assolvimento dell’obbligo previsto oltre che dall’art. 13 T.U. dall’art. 3 l. 241 / 1990, una motivazione mai solo apparente, e che l’atto contenga una esposizione delle circostanze di fatto che hanno dato luogo all’adozione del provvedimento tale da consentire di comprendere le ragioni dell’espulsione e a quale delle ipotesi previste si sia voluto fare riferimento , e di predisporre quindi una adeguata difesa dall’interessato in sede giurisdizionale ( v. CASS. Sez. I Civ. , sent. 6535 del 7.5.2002 , Ponych; v. ord. CASS. Sez. I Civ. 8513 del 14.6.2002, Gjetay ).

In secondo luogo, il decreto del Prefetto deve essere stato emesso nei confronti di persona riguardo la quale non operi uno dei divieti di espulsione amministrativa previsti dalla legge per ragioni legate alla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato politico o comunque per ragioni legate al soggetto , alla sua provenienza , alla sua età e condizione personale ; e perché “motivato” per quanto sinteticamente sul punto ( art. 19 1° e 2 ° comma T.U.: “in nessun caso può disporsi l’espulsione&verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione” ; ex art. 19 2° comma , “non è consentita l’espulsione” amministrativa nei confronti “degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi”, degli stranieri in possesso di carta di soggiorno non revocata ex art. 9 per condanna definitiva per i reati di cui all’art. 380 c.p.p o per quelli non colposi di cui all’art. 381 cpp , degli stranieri conviventi con coniuge o con parente entro il quarto grado “di nazionalità italiana”, delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono e – per effetto di Corte Cost. 376 / 2000 – di chi sia coniuge di donna in tali condizioni : è preferibile infatti la tesi per cui la legge nel dire che l’espulsione “non è consentita” non pone tali divieti solo con riguardo alla fase esecutiva ed all’ordine del Questore, ma altresì con riguardo alla fase deliberativa della medesima ed al decreto del Prefetto ).

In terzo luogo, deve trattarsi di decreto di espulsione valido perché emesso nei confronti di persona – “non pericolosa per la sicurezza dello Stato” — nei cui confronti non sia in corso la procedura di sanatoria/ emersione del lavoro irregolare di cui alle leggi 30.7.2002 n. 189 e 9.10.2002 n. 222 ( art. 2 commi 1 e 4 l. 222 / 2002 ) . Come è noto l’art. 33 della legge 189 / 2002 e l’articolo 1 della legge 9.10.2002 n. 222 hanno istituito una complessa procedura di sanatoria-emersione del lavoro irregolare di tutti gli stranieri extracomunitari occupati nel periodo 10.6.-10.9.2002 nelle “attività di assistenza a componenti della famiglia affetti da patologie o handicap che ne limitano l’autosufficienza ” ovvero “nel lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare”, procedura che inizia con la dichiarazione di emersione presentata dal datore di lavoro alla Prefettura e che si conclude con la comunicazione della sussistenza di motivi ostativi al rilascio ovvero con il rilascio di permesso di soggiorno con contestuale revoca ex art. 2 comma 2 l. 222 cit. degli eventuali provvedimenti di espulsione già adottati . Avendo il combinato disposto dei commi 1 e 4 dell’art. 2 della legge 222 cit. stabilito che “fino alla data di conclusione della procedura” di sanatoria “non possono essere adottati provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale” nei confronti dei lavoratori interessati, “salvo che risultino pericolosi per la sicurezza dello Stato”, ne risulta che le due leggi nell’istituire ed organizzare la sanatoria hanno inteso introdurre nell’ordinamento un nuovo divieto di espulsione, ulteriore a quelli di cui all’art. 19 del T.U. 286 / 1998 .

Ancora, il decreto di espulsione deve essere valido perché contenente l’indicazione delle modalità di sua impugnazione ( v. artt.. 13 comma 7 T.U. e art. 3 3° comma 3 prima parte D.P.R. 31.8.1999 n. 394 , ripetitivi della generale regola di cui all’art. 3 4° comma l. 7.8.1990 n. 241).

Infine, deve trattarsi di decreto valido perché “sintetizzato” nel suo contenuto (“anche mediante appositi formulari sufficientemente dettagliati” ) e tradotto “allo straniero che non comprende la lingua italiana” “nella lingua a lui comprensibile” ovvero, “se ciò non è possibile”, “in una delle lingue inglese, francese e spagnola”, “secondo la preferenza indicata dall’interessato” ; nonché valido perché “motivato” in ordine alle scelte al riguardo adottate .

Si tratta del combinato disposto degli artt. 13 comma 7 T.U. e 3 3° comma seconda parte D.P.R. 31.8.1999 n. 394 , Regolamento di attuazione della legge. Si tratta del requisito di legittimità dell’atto previsto da tali disposizioni per tutte le “comunicazioni allo straniero” , preordinato ad assicurare l’effettiva conoscibilità dei diversi provvedimenti ivi indicati , requisito che per la Corte Costituzionale (sentenza 198 del 16.6.2000) e per la Corte di Cassazione (sentenza 9138 del 6.7.2001) costituisce presupposto di quell’esercizio in concreto del diritto alla Difesa che l’art. 24 della Costituzione garantisce a “tutti” e quindi anche allo straniero non regolarmente soggiornante. Al riguardo, se l’omessa traduzione in lingue diverse dall’italiano renderà sempre illegittimo l’atto redatto solo in italiano comunicato a persona che l’italiano non comprende, non può non condividersi quella giurisprudenza di legittimità – v. ad es. sent. CASS. SEZ. CIV. I, n. 879 del 25.1.2002 — che nell’interpretare l’art. 3 in esame ritiene che la traduzione dell’atto nella lingua del paese d’origine dello straniero o in altra lingua da lui ben conosciuta , da effettuarsi anche in presenza del solo dubbio in ordine alla comprensione della lingua italiana, possa essere omessa, in favore della prevista traduzione in una delle lingue “inglese, francese o spagnola” , secondo preferenza, solo nelle ipotesi di mancata identificazione del Paese di provenienza dello straniero o delle lingue a lui note, ovvero di accertata provenienza da un Paese la cui lingua “per la sua rarità non consenta l’agevole reperimento di un traduttore”. Il decreto naturalmente dovrà nel caso dare conto in motivazione , con clausole non di stile ma con riferimenti concreti alle fonti dalle quali si è tratto il relativo convincimento, di come si sia accertata la conoscenza della lingua italiana così come di ogni altra situazione connessa alla lingua o alle lingue in cui il provvedimento è stato formato . E se la totale carenza di motivazione renderà certamente illegittimo il decreto di espulsione per violazione di legge – vale a dire per violazione dell’obbligo di motivazione statuito in generale dall’art. 3 l. 241 / 1990 ed in particolare dall’art. 13 3 ° comma T.U. – non può dubitarsi a sommesso avviso del giudicante che competa al Giudice Ordinario di sindacare il contenuto della motivazione sul punto e di ravvisare l’illegittimità per eccesso di potere da travisamento di fatto ogniqualvolta si dia atto in motivazione di situazione legittimante la mancata traduzione che positivamente o per fatti notori risulti infondata, quale ad es. nel caso di una motivazione che dichiari “lingua rara che non consente l’agevole reperimento di un traduttore” la lingua polacca ( in ciò non condividendosi CASS.CIV. SEZ. I n, 5465 del 16.4.2002 che tale sindacato non riconosce al Giudice Ordinario, non trattandosi come ritiene tale pronuncia di sindacare “scelte della P.A. in termini di concrete possibilità di effettuare immediate traduzioni nella lingua dell’espellendo ” ma di valutare nel merito in base ai dati noti agli atti o a fatti notori la insussistenza di una situazione di fatto invece riconosciuta come sussistente dalla P.A).

Salvo quanto si dirà infra in punto di elemento soggettivo del reato e di “giustificato motivo” , già in sede di valutazione della legittimità del decreto di espulsione – e dell’ordine del Questore — l’accertamento del Giudice sulla traduzione si ritiene debba essere particolarmente rigoroso, dopo la prima fase di “rodaggio” della legge non potendosi ammettere sul piano della legittimità e della tutela dei diritti degli stranieri , tenuto conto anche del fatto che si tratta della traduzione di atti dal contenuto “seriale” , che si impiantino prassi che , ad es. considerando idiomi “particolarmente rari” le lingue europee non comunitarie o quelle dei Paesi dell’ex Urss , si pongano di fatto da parte delle Prefetture come disapplicazione della legge e della volontà garantista del Parlamento .

Sul piano processuale, già in sede di convalida saranno dunque temi di prova tra gli altri la nazionalità dell’arrestato , la sua lingua madre, in generale quali siano le lingue da lui conosciute, nonché , laddove l’atto sia stato tradotto in una sola delle lingue francese inglese o spagnola per impossibilità di traduzione in altra lingua conosciuta dall’interessato, se lo straniero abbia espresso preferenza per una delle tre, e quale ( ciò in relazione al contenuto dell’art. 3 3° comma DPR 394 / 1999 , specificante l’art. 13 comma 7 T.U., nella parte in cui appunto stabilisce che ove non sia possibile tradurlo nella lingua madre od in altra lingua conosciuta, l’atto debba essere tradotto in una delle lingue inglese, francese o spagnola appunto “secondo la preferenza indicata dall’interessato”: indicazione della quale ove espressa dovrà darsi documentazione , ed alla quale dovrà farsi riferimento nel decreto di espulsione, in motivazione).

Se ogni vizio del decreto di espulsione può naturalmente essere fatto valere in sede di ricorso in opposizione al Tribunale in composizione monocratica del luogo di emissione , l’illegittimità del decreto di espulsione del Prefetto per emissione al di fuori dei casi previsti dalla legge, per emissione nei confronti di persona che non può per una qualche ragione essere espulsa , o per difetti formali legati all’assenza di comunicazione delle modalità di sua impugnazione o alla sua mancata traduzione in lingua comprensibile all’interessato (ovvero per violazione di legge per difetto di motivazione in ordine alla sussistenza di tutti tali requisiti) rende il decreto disapplicabile nel giudizio penale secondo i principi generali dell’ordinamento ( ex plurimis, cfr. CASS. SEZ. I , n. 29543 del 20.7.2001 ) , ridondando altresì in illegittimità dell’ordine del Questore emesso ex art. 14 comma 5 bis T.U.

Dalla disapplicazione, laddove essa è possibile, discenderà nel merito l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” , anche eventualmente ex art. 129 c.p.p. , ed anche quindi a fronte di richiesta di “patteggiamento” ( naturalmente , ex art. 129 c.p.p., ove si tratti di situazione di illegittimità immediatamente riconoscibile da parte del Giudice senza dover compiere istruttoria alcuna ( come ad es. nel caso in cui sia stata non solo allegata ma già provata documentalmente nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto la sussistenza di una delle situazioni di divieto di espulsione, ad es. la pendenza di procedura di sanatoria-emersione ex art. 33 l. 189 / 2002 , o ancora nel caso in cui risulta che l’imputata dovesse palesemente apparire già alla data del decreto di espulsione in avanzato stato di gravidanza).

L’assoluzione, se ex 129 1° comma c.p.p. come si è detto anche di fronte ad istanza ex art. 444 c.p.p., seguirà naturalmente la conclusione dell’udienza di convalida dell’arresto di cui all’art. 558 c.p.p., ed avverrà in limine o nel corso dell’obbligatorio giudizio direttissimo, o dell’abbreviato, giudizi nel corso dei quali la sussistenza nel caso di specie dei visti presupposti oggettivi e soggettivi legittimanti l’espulsione diventeranno altrettanti temi di prova per la Pubblica Accusa, oltre che , nel giudizio abbreviato , con riferimento alla “decidibilità allo stato degli atti”, anche per il Giudice ex art. 441 5° comma c.p.p.) .

1.3. — La seconda essenziale parte dell’elemento oggettivo della fattispecie : la sussistenza, alla data di emissione dell’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis T.U. , della situazione di fatto legittimante la sua emissione

Ricostruendo la normativa , ne risulta che il Questore può emanare l’ordine di cui all’art. 14 comma 5 bis T.U. , presupposto del reato in esame, non solo se sussista un preesistente valido decreto di espulsione amministrativa bensì altresì solo nella piena sussistenza di una complessa situazione di fatto che, nella “fisiologia” della legge , rende l’ordine del Questore un evento di natura eccezionale, un residuale ed ultimo strumento in mano al Questore medesimo di fronte alla completa inefficienza degli ordinari meccanismi amministrativi che ordinariamente nello schema della legge devono portare all’esecuzione dell’espulsione.

In primo luogo, l’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis T.U. deve ritenersi sia validamente emanabile solo ove il decreto di espulsione del Prefetto sia giuridicamente eseguibile , per non essere lo straniero attualmente sottoposto a procedimento penale , ovvero per sussistenza del nulla osta all’espulsione da parte delle A.G. interessate , nel caso lo straniero sia sottoposto a “procedimenti penali”, seppure non soggetto a custodia cautelare in carcere.

Infatti, per l’art. 13 3° comma T.U. , “quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, il Questore, prima di eseguire l’espulsione , deve richiedere “il nulla osta all’Autorità Giudiziaria” ( “& che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all’accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi , e all’interesse della persona offesa ” ), richiesta di nulla osta in presenza della quale l’esecuzione dell’espulsione “è sospesa fino a quando l’A.G. comunica la cessazione delle esigenze processuali ” . Ed è solo dopo avere “ottenuto il nulla osta” , magari per decorso del termine di 15 giorni dalla richiesta senza che si sia provveduto , che il Questore – che nel frattempo in attesa del suo rilascio può avere disposto il trattenimento dello straniero in un centro di permanenza temporanea – può ed anzi deve “provvedere all’espulsione “, con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.

Osservatosi come la sottoposizione a custodia cautelare in carcere o a semplice procedimento penale sia costruita nella norma come ostacolo non al decreto di espulsione ma alla sua concreta eseguibilità , e come l’ordine ex art. 14 comma 5 bis T.U. sia nella legge null’altro che una delle modalità esecutive dell’espulsione decretata dal Prefetto, deriva necessariamente da tale disposizione che la prima situazione di fatto che deve sussistere perché il Questore possa legittimamente emanare tale ordine — e con esso eseguire l’espulsione — non possa che essere l’attuale non sottoposizione dell’espellendo a custodia cautelare in carcere o anche solo a procedimento penale ( per iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. ) ovvero , nel caso lo straniero pur non sottoposto a custodia cautelare in carcere sia tuttavia indagato o imputato , l’intervenuto rilascio del nulla osta, anche solo nella forma del “silenzio-assenso”, da parte di tutte le Autorità Giudiziarie interessate.

In secondo luogo, l’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis deve ritenersi sia validamente emanabile solo in presenza di una situazione di oggettiva impossibilità di esecuzione dell’espulsione a mezzo accompagnamento alla frontiera con la forza pubblica, unita ad una parallela e contemporanea situazione di impossibilità di trattenere (o di trattenere ulteriormente ) lo straniero presso un centro di permanenza temporanea, per motivi oggettivi ovvero per decorso dei termini massimi di permanenza in tali centri , di cui al comma 5 dell’art. 14 ( 30 giorni, prorogabili a 60 ).

La legge 189 / 2002 nel novellare ampie parti del T.U. 286 / 1998 ha completamente innovato la disciplina dell’espulsione amministrativa decisa dal Prefetto ai sensi dell’art. 13 .

Innanzitutto, è stata prevista l’immediata esecutività del decreto di espulsione emesso dal Prefetto, anche se “sottoposto a gravame o ad impugnativa”.

In secondo luogo, con l’abrogazione del comma 6 della precedente versione dell’art. 13 , il decreto del Prefetto non contiene più di regola l’intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro quindici giorni ( ora prevista nell’ipotesi residuale dell’espulsione dello “straniero che si è trattenuto nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è scaduto di validità da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo”, v. art. 13 comma 5: casi nei quali pure peraltro “il Questore dispone l’accompagnamento immediato alla frontiera&qualora il Prefetto rilevi il concreto pericolo che lo straniero si sottragga all’esecuzione del provvedimento “).

Al di fuori dei casi di cui all’art. 13 comma 5 appena visti, nuova regola generale nel sistema della legge , secondo chiara intenzione del legislatore, è che “l’espulsione è sempre eseguita dal Questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica”, accompagnamento che d’ordinario dovrà nello schema della legge avvenire “con immediatezza” ( art. 14 comma 1 ) mediante “respingimento” o imbarco diretto sui vettori o comunque mediante traduzione del soggetto al valico di frontiera.

Potrà tuttavia verificarsi che l’accompagnamento immediato alla frontiera non sia in concreto “possibile” per “indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo” ovvero “perché occorre procedere al soccorso dello straniero”, “ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio”. In tutti tali casi, il Questore, comunque in funzione dell’attuazione di un decreto di espulsione che nello schema della legge resta eseguibile ed anzi da eseguirsi con accompagnamento alla frontiera in ogni momento , appena possibile ( 14 comma 5 ultima parte ), “dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea ed assistenza più vicino” tra quelli costituiti dall’Amministrazione dell’Interno ( 14 1° comma T.U. ), con ordine da trasmettersi al Tribunale Ordinario in composizione monocratica “senza ritardo e comunque entro le 48 ore dalla adozione del provvedimento” , pena la sua inefficacia, per la convalida che deve intervenire entro ulteriori 48 ore (anche in questo caso pena la “cessazione di ogni effetto del provvedimento” ): ordine, che consente la permanenza nel centro sino a trenta giorni, prorogabili sino a sessanta con successivo provvedimento richiesto dal Questore al Tribunale .

E’ solo di fronte alla perdurante impossibilità di eseguire l’espulsione con accompagnamento alla frontiera ed alla parallela contemporanea impossibilità di trattenere ( o di trattenere ulteriormente ) lo straniero in un Centro di permanenza temporanea che viene nella legge legittimata l’emissione di quel provvedimento ora divenuto di carattere eccezionale che è l’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis “di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni” : essendo dunque necessario che si versi in una situazione in cui da un lato tuttora non è possibile l’accompagnamento alla frontiera per indisponibilità di vettore o mancata identificazione dello straniero o permanenti necessità di soccorso dello straniero o altre ragioni oggettive, ed in cui dall’altro o è impossibile disporre il trattenimento in un C.P.T. per indisponibilità di posti letto o altra ragione oggettiva , ovvero è impossibile trattenere ulteriormente il soggetto per scadenza dei termini anche prorogati di permanenza fissati dal Giudice o dalla legge.

Soltanto in compresenza di tali situazioni di fatto , e di motivazione che dia conto in modo effettivo e senza clausole di stile della loro sussistenza , l’ordine del Questore di esecuzione del decreto di espulsione del Prefetto potrà dirsi legittimamente emesso secondo il suo modello legale, e potrà validamente costituire l’elemento normativo della fattispecie di reato di cui all’art. 14 comma 5 ter , in esame.

In difetto della vista fattispecie legittimante, o anche solo della motivazione sul punto, l’ordine ex art. 14 comma 5 bis sarà illegittimo per violazione di legge ( vale a dire del combinato disposto degli artt. 13 e 14 commi da 1 a 5 bis T.U., 3 l. 241 / 1990 ), disapplicabile , tamquam non esset nel giudizio penale. Venendo meno una parte essenziale dell’elemento oggettivo della fattispecie ex art. 14 comma 5 ter, ne seguirà l’assoluzione dell’imputato “perché il fatto non sussiste”, pur se trovato ancora in Italia dopo il quinto giorno dalla notifica dell’ordine.

Sul piano processuale, l’impossibilità in concreto di eseguire l’espulsione con accompagnamento alla frontiera e l’impossibilità di trattenimento ( o di trattenimento ulteriore ) nel C.P.T. ( perduranti alla data di emissione dell’ordine ex art. 14 comma 5 bis ) , e , prima ancora, l’attuale non sottoposizione dell’espellendo a procedimento penale ovvero (in caso di sottoposizione non congiunta a custodia cautelare in carcere ) la sussistenza di nulla osta all’espulsione ( v. supra ) divengono quindi evidentemente nel giudizio direttissimo altrettanti ineludibili temi di prova per la Pubblica Accusa, e , nell’eventuale giudizio abbreviato, in punto di “decidibilità allo stato degli atti” ( 441 5° comma cpp) , altresì per il Giudice ( in relazione all’impossibilità di trattenimento in un C.P.T., dovrà ad es. provarsi per testi e/o per pubblici registri il “tutto esaurito” nei Centri di possibile utilizzazione alla data di emissione dell’ordine ex art. 14 comma 5 bis , o , sempre con riferimento a tale data, con certificato di carichi pendenti relativo a tutti gli “alias” di un imputato, l’assenza di procedimenti penali a suo carico ovvero il rilascio dei relativi nulla osta ex art. 13 comma 3 T.U., ecc.).

Naturalmente, ove l’insussistenza della fattispecie legittimante l’ordine ex art. 14 comma 5 bis appaia già ad esito dell’udienza di convalida “evidente” per l’una o per l’altra ragione, l’assoluzione potrà e dovrà seguire immediatamente, anche di fronte ad istanza di “patteggiamento”, ex art. 129 cpp .

Non essendo evidentemente esigibile dall’Ufficiale di P.G. una pregnante analisi di legittimità dell’ordine del Questore secondo i profili appena esaminati (magari emersi solo nel corso dell’udienza ex art. 558 cpp), anche per l’indisponibilità , nell’immediatezza, delle notizie indispensabili alla relativa valutazione ( relative al nulla osta, alla situazione nei C.P.T., ai vettori ecc. ) , potrà naturalmente invece procedersi comunque alla convalida dell’arresto eseguito in presenza degli altri suoi presupposti di legge , applicandosi il principio giurisprudenziale per il quale il giudizio di convalida va effettuato valutando la flagranza in relazione ai fatti così come sul posto e nell’immediatezza resisi percepibili e qualificabili giuridicamente dagli operanti di P.G. .

1.4. — La terza parte dell’elemento oggettivo della fattispecie : la sussistenza , nell’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis T.U. , di tutti i suoi requisiti formali di legittimità.

Per potersi ritenere integrato l’elemento oggettivo della fattispecie in esame, deve ancora aversi prova che l’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis sia stato emesso nel rispetto di tutti i suoi requisiti formali :

1) motivazione sulla sussistenza della fattispecie legittimante la sua emissione (14 1° comma T.U. / art. 3 l. 241 / 1990 ) ;

2) presenza , nell’atto, dell’ “indicazione” relativa alle “conseguenze penali della sua trasgressione” ( 14 comma 5 bis T.U.) ;

3) presenza, nell’atto, dell’ “indicazione” delle modalità di sua impugnazione” (artt. 13 comma 7 T.U. , 3 ultimo comma l. 241 / 1990 ) ;

4) traduzione dell’atto in lingua conosciuta dal destinatario ovvero secondo le regole di cui al combinato disposto degli artt. 13 comma 7 T.U. e 3 comma 3 DPR 394 / 1999 , e motivazione in ordine alle scelte adottate circa tale traduzione.

Emesso che sia in presenza della complessa fattispecie sostanziale legittimante la sua adozione esaminata nel precedente paragrafo, perché possa validamente costituire elemento normativo della fattispecie di cui al comma 5 ter dell’art. 14 T.U. l’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis cit. deve ancora presentare una serie di requisiti formali.

Innanzitutto, l’ordine deve essere congruamente motivato , in modo non apparente e senza clausole di stile , in ordine alla sussistenza di tutte le situazioni di fatto legittimanti la sua emissione ( se si vuole , in ordine ai “presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”, art. 3 1° comma l. 241 / 1990 ) . La motivazione — non espressamente richiesta dall’art. 14 in esame, ma da ritenersi ugualmente doverosa in relazione all’incidenza dell’atto sui diritti dello straniero ed al generale principio posto per tutta l’attività amministrativa dal cit. art. 3 l. 241 / 1990) – dovrà così toccare le ragioni per le quali prima vi è stata impossibilità di accompagnamento diretto alla frontiera (con indicazione delle esigenze di soccorso o dei problemi di identificazione nel caso verificatisi , dei problemi legati ai vettori , ecc.) , e poi impossibilità di trattenimento ( o di ulteriore trattenimento) nei centri di permanenza temporanea disponibili ( ad es. con indicazione di quelli che erano i posti-letto disponibili nei centri ed il numero delle presenze, alla data dell’ordine ex comma 5 bis dell’art. 14 T.U.).

In secondo luogo, e questa volta per espressa statuizione normativa, deve essere presente nell’atto “l’indicazione delle conseguenze penali della sua trasgressione” ( 14 comma 5 bis T.U. ), indicazione la cui assenza – da ritenersi agli effetti della sussistenza del reato non surrogabile con indicazioni verbali da parte dei funzionari di Questura — appare oltretutto senz’altro valutabile , al di là dei profili di illegittimità dell’atto per violazione di legge , e a seconda delle concrete emergenze dei singoli casi e delle caratteristiche personali dei singoli imputati, in punto di possibile (in)sussistenza dell’elemento soggettivo del reato anche nella sua forma colposa, ovvero in punto di possibile sussistenza di un “giustificato motivo” nel trattenersi per mancata comprensione delle gravi conseguenze di una tale condotta, ovvero ancora in punto di possibile sussistenza di errore incolpevole “sul fatto che costituisce il reato” ( 47 c.p. ).

In terzo luogo, seppure non prevista direttamente dall’art. 14 comma 5 bis T.U., deve ritenersi debba essere presente nell’ordine del Questore altresì l’indicazione delle modalità di sua impugnazione, indicazione imposta in via generale dall’art. 3 u.c. l. 241 / 1990 per ogni atto amministrativo e con norma speciale dall’art. 13 comma 7 T.U. tra gli altri “per ogni atto concernente&l’espulsione&” ( dovendosi ritenere condivisibile la prima interpretazione invalsa nelle Sezioni Civili di questo Tribunale circa il fatto che l’ordine del Questore ex art, 14 comma 5 bis , al di là del silenzio sul punto di tale disposizione, sia impugnabile con quello stesso ricorso al Tribunale in composizione monocratica previsto dall’art. 13 8° comma T.U. per l’impugnazione del decreto di espulsione del Prefetto: estensione analogica che appare corretta sul piano logico, dovendosi ritenere che il mezzo di gravame in parola utilizzabile contro il decreto di espulsione sia a fortiori utilizzabile contro l’ordine che del decreto è concreta espulsione e che in concreto incide sui diritti dello straniero; estensione analogica che appare interpretazione costituzionalmente orientata nel sanare quella che altrimenti rimarrebbe un’omissione in contrasto con le disposizioni della Costituzione che garantiscono il diritto di tutela delle posizioni di diritto e di interesse legittimo – art. 24 Cost. – nonché con quelle che assicurano la razionalità delle disposizioni di legge – art. 3 — , tenuto anche conto del fatto che l’ordine del Questore può costituire appunto condizione di un arresto obbligatorio).

Infine , così come il decreto di espulsione, l’ordine del Questore deve essere tradotto in una lingua “conosciuta” dallo straniero ( 13 comma 7 T.U. ) , ovvero, ove non sia possibile , in una delle lingue francese, inglese o spagnola , secondo la preferenza indicata dall’interessato (ancora art. 13 comma 7, specificato da art. 3 3 ° comma DPR 394 / 1999 ) . E qui le questioni si pongono negli esatti termini già visti per il decreto di espulsione ( v. supra sub 1.2.).

Se ogni vizio formale dell’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis può naturalmente essere fatto valere in sede di ricorso in opposizione al Tribunale in composizione monocratica del luogo di emissione – secondo la detta estensione analogica dello strumento previsto dall’art. 13 comma 8 T.U. per l’impugnazione del decreto prefettizio , l’illegittimità dell’ordine del Questore per difetti formali legati all’assenza di motivazione sulla sussistenza della fattispecie legittimante la sua adozione, o per difetti formali legati alla mancata indicazione delle conseguenze penali della sua trasgressione o alla mancata comunicazione delle modalità di sua impugnazione, o per difetti formali legati alla sua traduzione rende il decreto lesivo dei diritti dello straniero e disapplicabile nel giudizio penale secondo i principi generali dell’ordinamento ( ex plurimis, cfr. CASS. SEZ. I , n. 29543 del 20.7.2001 ).

Dalla disapplicazione, laddove essa è possibile, venendo meno l’elemento normativo della fattispecie , discenderà nel merito l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” , anche ex art. 129 c.p.p. , ed anche quindi a fronte di richiesta di “patteggiamento”, naturalmente ove si tratti di situazione immediatamente riconoscibile da parte del Giudice senza dover compiere istruttoria alcuna ( come certamente nei casi di mancata indicazione delle conseguenze penali della trasgressione dell’ordine o di mancata indicazione delle modalità di sua impugnazione, dati rilevabili dalla mera lettura del provvedimento ; e così come nel caso di difetto totale di motivazione sulla sussistenza della fattispecie legittimante , o nel caso in cui già ad esito dell’udienza di convalida risulti provata con certezza la violazione delle norme sulla traduzione dell’ordine ).

L’assoluzione potrà naturalmente seguire la convalida ed essere pronunciata in limine o nel corso dell’obbligatorio giudizio direttissimo, o dell’abbreviato.

Non essendo evidentemente esigibile dall’Ufficiale di P.G. una pregnante analisi di legittimità dell’ordine del Questore secondo i profili formali appena esaminati – analisi che non può che competere al Giudice Ordinario, anche per evitare possibili disparità di valutazione e quindi di trattamento – pur in presenza dei visti vizi formali potrà naturalmente invece procedersi comunque alla convalida dell’arresto eseguito dalla P.G. in presenza degli altri suoi presupposti di legge

1.5. — Sempre sull’elemento oggettivo della fattispecie: la sussistenza della condotta incriminata: l’illecito “trattenimento nel territorio dello Stato”.

Per ritenere integrato il reato, superati i profili di legittimità di decreto prefettizio ed ordine del Questore, deve poi aversi prova della sussistenza della condotta incriminata : il “trattenersi nel territorio dello Stato” in violazione dell’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis , oltre i cinque giorni ( liberi ) dalla sua notificazione, da parte dello straniero espulso.

Se nelle fattispecie di cui gli artt. 13 13° comma e 14 comma 5 quater T.U. è richiesto , per la sussistenza del reato, che si abbia prova che lo straniero espulso trovato in Italia sia stato effettivamente accompagnato alla frontiera o comunque sia effettivamente uscito dal territorio dello Stato in esecuzione del decreto di espulsione, e vi sia poi rientrato, l’uso nell’art. 14 comma 5 ter in esame del verbo “trattenersi” rende evidente come ai fini di tale fattispecie tale prova non sia necessaria , essendo sufficiente per ritenere integrata la condotta punita che lo straniero sia trovato nel territorio dello Stato “in violazione dell’ordine del Questore” “di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni”.

Circa tale configurazione della condotta punita, deve ancora ritenersi:

1 ) che la disposizione vada interpretata , in applicazione del principio del favor rei , e stabilendosi soltanto “il momento finale ” del termine ( 172 comma 5 cpp ) , nel senso più favorevole al reo, e quindi nel senso che il termine di cinque giorni vada inteso come termine espresso in giorni “liberi” , e con riferimento al giorno non di emissione ma di notificazione dell’ordine del Questore ( un ordine emanato il 7 gennaio e notificato il giorno 8 gennaio farà quindi scattare il reato solo dalle ore 00.01 del 14 gennaio );

2) che la violazione dell’ordine del Questore possa essere riferita al solo trattenersi nel territorio dello Stato oltre i cinque giorni , e non ad altro ( ad es. : alle modalità con le quali si è ritenuto di uscire dall’Italia, o alla destinazione scelta: restando irrilevante che lo straniero si sia allontanato dall’Italia da valico diverso e con destinazione diversa da quella contenuta nell’ordine del Questore: si veda ad es. , nel caso in esame , l’ordine del Questore all’imputato “di lasciare il territorio nazionale attraverso la frontiera di Fiumicino “, si suppone, ma non si dice, per via aerea dall’Aeroporto Intercontinentale ubicato in tale Comune: certamente insussistente sarebbe stato il reato ove l’imputato fosse stato identificato in uscita dall’Italia, entro i cinque giorni, ma in automobile, e, ad es. , da Gorizia ) ;

3) che il “territorio dello Stato” da lasciare nei cinque giorni attesa la pregnanza del significato tecnico giuridico dell’espressione non possa che essere quello definito dall’art. 4 del c.p. ( “il territorio della Stato è il territorio della Repubblica e ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato. Le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come territorio dello Stato, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, a una legge territoriale straniera” ). Con l’effetto che da una doverosa rigorosa interpretazione della disposizione in parola in favor rei deriva quindi – con esiti non direttamente considerati e regolati dal legislatore della legge 189/2002, e con qualche potenziale problema d’ordine pubblico ad es. per Piazza S. Pietro – che l’essere trovati al sesto giorno dall’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis nel territorio della Repubblica di S. Marino o della Città del Vaticano non integri il reato in esame, salvi i poteri di intervento dell’Autorità Italiana di Polizia in tali territori, previsti dai Trattati in vigore tra la Repubblica e tali Sovranità .

Deve poi aversi prova evidentemente che la persona contro cui si procede sia la medesima persona fisica cui vennero notificati decreto di espulsione prima e ordine del Questore poi. Trattasi di tema di prova tanto ovvio quanto di necessario rigoroso impegno probatorio da parte di P.G. e P.M. nei casi – che per il reato in parola saranno la maggioranza – in cui non si conoscono le effettive generalità dello straniero, identificato in occasioni diverse con generalità sempre diverse a mezzo dei rilievi ex art. 349 cpp. Casi, nei quali , anche ai fini della convalida dell’arresto in flagranza, deve aversi evidentemente prova che al momento dell’arresto si fosse già acquisita prova dell’identità del soggetto come persona fisica tramite l’acquisizione di ogni possibile notizia o documento disponibile ed innanzitutto tramite acquisizione dell’elenco completo dei rilievi fotosegnaletici e dattiloscopici operati sulla persona in occasione delle diverse sue identificazioni in Italia, ed innanzitutto in occasione della notificazione del decreto di espulsione e dell’ordine del Questore .

A differenza che per le fattispecie di cui all’art. 13 13° comma e 14 comma 5 quater T.U. , nelle quali la flagranza non può essere ravvisabile che nell’essere còlti dalla P.G. nell’atto di rientrare in Italia dopo l’espulsione ( o subito dopo ), nel reato in esame – reato permanente, che punisce il mero “trattenersi” in Italia – non si porranno di regola problemi relativi alla ravvisabilità della flagranza, che può cessare solo con l’uscita dal territorio dello Stato dopo la scadenza del termine dei cinque giorni “liberi” dalla notificazione dell’ordine del Questore.

Peraltro, secondo la regola generale di cui all’art. 385 c.p.p., l’arresto in flagranza non può ritenersi consentito e quindi convalidabile quando , tenuto conto delle circostanze del fatto , appare già nell’immediatezza ed in modo evidente da dati concreti palesemente percepibili agli operanti che il trattenimento in Italia è dipeso dalla sussistenza di una causa di non punibilità (es.: palese ed incontestabile totale incapacità di intendere e di volere del soggetto), ovvero da una delle scriminanti “generali” del nostro sistema penale ( es. stato di necessità, nei suoi ordinari contorni normativi delineati dall’art. 54 c.p. : si pensi ad es. alla prostituta del cui sfruttamento e della cui riduzione in schiavitù la P.G. abbia sicura contezza da indagini in corso, che non si allontana dall’Italia per le minacce di morte del racket, magari operate in conversazioni intercettate ) .

1.6 —- La sussistenza di un “giustificato motivo”.

Per ritenere la responsabilità dell’imputato, anche dopo l’accertamento della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato in tutti i suoi profili, deve potersi positivamente escludere la sussistenza del “giustificato motivo” del trattenimento sul territorio italiano che sia stato allegato dallo straniero.

L’art. 14 comma 5 ter in esame punisce il trattenersi nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine del Questore di lasciarlo entro cinque giorni solo ed unicamente ove tale condotta sia posta in essere “senza giustificato motivo”.

La norma non definisce in alcun modo il “giustificato motivo”, né fornisce indicazioni circa i parametri per configurarlo, in tal modo deliberatamente lasciando all’interprete ed in primo luogo al Giudice il compito di riempire tale espressione di contenuto e di trovare il punto di equilibrio e di contemperamento tra la tutela dell’idoneità dell’ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis a garantire l’effettiva espulsione dello straniero nei casi in cui non possa essere eseguita dalla forza pubblica ed altri beni giuridici tutelati nell’ordinamento .

Il legislatore , consapevole della gran varietà di situazioni oggettive e soggettive che possono celarsi dietro una mancata esecuzione dell’ordine del Questore, e dell’impossibilità di regolarle direttamente con una apposita casistica , con tale intelligente soluzione crea un meccanismo duttile, idoneo a soluzioni “aperte” ad una applicazione , in sede giurisdizionale, anche agli stranieri irregolari, di più di un Istituto costituzionale.

Peraltro, l’estrema indeterminatezza del concetto di “giustificato motivo” da un lato innegabilmente pone il soggetto destinatario del precetto – oltretutto straniero , e straniero “irregolare” , quindi quasi per definizione legale estraneo alle logiche della legge italiana – nella concreta difficoltà di rendersi conto di quale sia il comportamento doveroso cui attenersi per evitare sanzioni penali e dall’altro altrettanto incontestabilmente può rendere quantomeno nei casi dubbi non pienamente verificabile secondo parametri oggettivi la correttezza ermeneutica dell’operazione di sussunzione ( o non sussunzione ) del singolo caso alla fattispecie astratta. Di fronte all’enorme discrezionalità che residua al Giudice dal “giustificato motivo”, e tenuto conto che con sentenza 34 del 1995 la Corte Costituzionale ebbe a dichiarare l’illegittimità costituzionale , per violazione del principio di tassatività della norma penale sancito dall’art. 25 Costituzione, dell’art. 7 bis l. 28.2.1990 n. 39 nella parte in cui puniva con la reclusione lo straniero espulso che genericamente “non si adoperava” per ottenere dalla competente autorità diplomatica o consolare il rilascio del documento di viaggio occorrente per lasciare l’Italia, l’analoga questione di costituzionalità impostabile sulla disposizione in esame con riferimento al principio di tassatività certamente si delinea come non manifestamente infondata ( seppure non come certamente fondata: è infatti un dato di fatto che vi sono nell’ordinamento fattispecie penali, quale l’art. 4 l. 110 / 1975 , od oggi di illecito amministrativo , quale l’art. 15 R.D. 18.6.1931 n. 773 , che da decenni utilizzano il “giustificato motivo” quale limite di validità del precetto penale e che hanno superato il vaglio di costituzionalità sulla base della tesi secondo cui “il giustificato motivo” è concetto che opera al di fuori della fattispecie propriamente detta, al di fuori della situazione di fatto considerata come illecita dalla norma penale , alla quale solo si ritiene possa riferirsi il principio di tassatività , e secondo cui tale concetto avrebbe quindi natura di “eccezione” — da provarsi quindi nella sua sussistenza in punto di fatto da parte di chi la deduce – idonea a “paralizzare” la rilevanza penale della fattispecie vera e propria cui si riferisce : v. CASS. , VI Pen., 29.10.1984 n. 9369 , e CASS.VI Pen. 22.12.1989 n. 17777 ).

Per quanto si dirà infra, attesa la possibilità nel presente giudizio di un immediato proscioglimento dell’imputato ex art. 129 c.p.p. perché “il fatto non sussiste” per illegittimità sia del decreto di espulsione che dell’ordine del Questore, tale questione di costituzionalità appare comunque nel caso non rilevante , nel senso di cui all’art. 23 l. 87 / 1953.

Nel merito, proprio per l’indeterminatezza della formula, le situazioni considerabili quale “giustificato motivo” potranno evidentemente essere le più diverse, ed appare inutile tentarne una analitica casistica.

Può peraltro osservarsi , in generale, come il “giustificato motivo” non possa non essere nella norma che concetto molto più ampio dello “stato di necessità” anche putativo e delle ordinarie “cause di giustificazione” o non punibilità – le une e le altre naturalmente ordinariamente applicabili anche alla fattispecie in esame secondo i principi generali, nella loro generale configurazione normativa – e come esso possa afferire sia a situazioni oggettive sia a condizioni personali del soggetto .

La Costituzione , ed il T.U. 286 / 1998 offrono comunque spunti ermeneutici per riempire di significati la formula in parola, con riferimento ai diritti fondamentali della persona ( in linea di massima, difficile appare invece nel sistema la possibilità di un contemperamento tra l’interesse pubblico istituito con gli artt. 13 e 14 del T.U. e gli interessi solo patrimoniali dell’individuo : ma anche qui, la casistica potrà forse fornire qualche caso in cui tale contemperamento possa essere secondo ragionevolezza impostabile ).

“Giustificati motivi” di mancata esecuzione dell’ordine del Questore saranno così innanzitutto ad es., pur come si è detto al di fuori dello “stato di necessità” in senso tecnico, l’esigenza di ricevere “soccorso” sanitario , l’ “indisponibilità di vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo “, o l’essere lo straniero – magari a seguito di sua iniziativa ed interessamento — in attesa di rilascio da parte dell’autorità Consolare del suo Paese di documenti o titoli di viaggio idonei ed anzi necessari all’esecuzione dell’ordine del Questore : non vedendosi come situazioni che nella legge legittimano ed anzi obbligano il Questore a non eseguire l’accompagnamento alla frontiera – v. art. 14 1° comma T.U. — possano diventare situazioni in cui sia esigibile dallo straniero la condotta di andarsene dall’Italia con mezzi propri.

“Giustificato motivo” dell’essersi trattenuti in Italia in violazione dell’ordine del Questore potrà essere , anche al di fuori dello “stato di necessità” , la condizione ( provata, o ragionevolmente considerabile come sussistente ) di persona da terzi obbligata a prostituirsi o comunque da terzi soggetta a sfruttamento sessuale , per i notori rischi che un allontanamento improvviso per uscire dall’’Italia può determinare per reazione dei soggetti sfruttatori magari associati a delinquere.

La salute essendo nel sistema “fondamentale diritto dell’individuo” e quindi di chiunque senza distinzione – art. 32 Cost. — anche al di fuori dello “stato di necessità” e dell’esigenza di ricevere “soccorso” costituirà certamente “giustificato motivo ” del mancato allontanamento una condizione di salute precaria, incompatibile con un viaggio lungo e magari difficoltoso.

“Giustificato motivo” sarà l’ assoluta indigenza, e comunque l’indisponibilità di mezzi economici sufficienti ad un viaggio in condizioni dignitose per la persona.

“Giustificato motivo” sarà la sussistenza di una delle situazioni di divieto di espulsione di cui all’art. 19 T.U. 286 / 1998 , o della situazione di divieto di espulsione discendente dalla pendenza di procedura di sanatoria/emersione dal lavoro irregolare di cui alle leggi 189 e 222 del 2002 , situazioni che siano state per qualsivoglia motivo pretermesse al momento dell’emanazione dl decreto di espulsione .

Anche al di fuori delle situazioni integranti le fattispecie di divieto di espulsione – lo stato di gravidanza, l’accudire un figlio sotto i sei mesi , “la convivenza con parente entro il quarto grado o con coniuge di nazionalità italiana”: art. 19 T.U. – costituirà certamente “giustificato motivo” , in una Repubblica che “riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” ed il “diritto del genitore di istruire ed educare i figli” , e che “protegge la maternità e l’infanzia ” ( artt. 29-31 Cost. ), pena l’incostituzionalità della norma in esame, l’essersi trattenuti per continuare la convivenza con il coniuge non “di nazionalità italiana” regolarmente soggiornante o anche irregolare ma non espulso ( coniuge che ben potrebbe essere oltre che extracomunitario anche cittadino di altro Paese dell’Unione Europea ), o per continuare la convivenza con il figlio minore che per una qualche ragione non possa in concreto seguire il genitore espulso.

“Giustificato motivo” potrà essere costituito dall’esposizione , nel Paese di destinazione, a concreti e dimostrati rischi di applicazione della pena di morte.

“Giustificato motivo” potrà essere il fondato timore dell’agente – basato non su mere illazioni o congetture ma su dati di fatto in qualche modo notori o verificabili – che l’espulsione possa esporre a rischi di persecuzione per motivi di razza , di sesso , di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali.

“Giustificato motivo” non potrà invece essere , nello schema della legge, e nell’opinione di chi scrive, la mancata comprensione dell’ordine del Questore legittimamente tradotto solo in inglese o francese o spagnolo nei casi di impossibilità di traduzione nella lingua madre del destinatario od in altra lingua ad egli sconosciuta, dal momento che , condivisibile o meno che sia la soluzione, legittima o meno che la stessa sia sul piano costituzionale, la legge consente appunto che decreto del Prefetto ed ordine del Questore possano essere in ultima analisi – di fronte all’impossibilità di traduzione in lingua conosciuta all’interessato – formulati , a preferenza del destinatario, in una di tali lingue: la mancata comprensione potendo casomai avere rilievo in punto di (in)sussistenza dell’elemento soggettivo del reato , anche nella sua dimensione colposa, ovvero in punto di errore sul fatto che costituisce il reato ( 47 c.p. ).

Sul piano processuale, se è certo che almeno talune delle situazioni integranti “giustificato motivo” possono essere di natura tale da essere immediatamente ed indiscutibilmente rilevabili nella loro sussistenza già nell’immediatezza da parte degli operanti senza bisogno di particolari valutazioni o accertamenti (es., le palesemente gravi condizioni di salute , impedenti un immediato espatrio ; la soggezione al racket della prostituzione già nota , alla P.G. specificamente operante , da precedenti indagini ) , con l’effetto da rendere in tali casi non convalidabile l’arresto, è altrettanto evidente che di regola le situazioni integranti “giustificato motivo” verranno in considerazione , dopo la fase di convalida , nel giudizio direttissimo. Esse in dati casi dovranno essere necessariamente allegate dall’interessato ( ad es. quelle derivanti da legami familiari, o da situazioni di esposizione a rischi di persecuzione nel Paese di origine ), in altri casi potranno essere rilevate direttamente dal Giudice ( quelle legate all’indigenza, all’indisponibilità di vettore, alle condizioni sanitarie , alla sussistenza di una delle fattispecie di divieto di espulsione ). In un caso come nell’altro, rilevate d’ufficio o allegate che siano dall’interessato, le situazioni di possibile riconduzione al “giustificato motivo” diventano altrettanti temi di prova per le Parti e per i poteri officiosi del Giudice ex artt. 441 5° comma e 507 c.p.p.

La sussistenza del “giustificato motivo” – o la mancanza, insufficienza, contraddittorietà della prova della sua insussistenza – porterà all’assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”.

1.7. – La sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie, nella sua forma dolosa ovvero colposa.

Il reato di cui all’art. 14 comma 5 ter T.U. 286 / 1998 è reato contravvenzionale, con l’effetto che l’agente può risponderne anche solo a titolo colposo ( 42 u.c. c.p. ). E , attesa la struttura della fattispecie , è proprio in relazione alla ipotesi di violazione nella sua forma colposa che possono porsi gli unici problemi applicativi.

Al riguardo, deve ritenersi che nei casi in cui il decreto del Prefetto e l’ordine del Questore siano stati notificati allo straniero in testo non tradotto nella lingua madre dell’interessato od in lingua a lui comprensibile ( laddove possibile ) e nemmeno in inglese/francese/spagnolo , ovvero nei casi in cui – impossibile la traduzione in lingua nota — tali atti siano stati legittimamente tradotti a richiesta dell’interessato in una delle lingue inglese o francese o spagnola però a lui non note ( secondo l’esaminato combinato disposto degli artt. 13 comma 7 T.U. e 3 comma 3 DPR 304 del 1999 ) , lo straniero bene possa allegare e dimostrare la sua mancata comprensione del contenuto dell’ordine del Questore e con essa quella difettosa rappresentazione della realtà – idonea a determinarlo a trattenersi in Italia oltre i cinque giorni dalla notifica sull’erroneo presupposto di non avere ricevuto ordine di allontanarsene in tali ristretti termini – che rende “l’errore sul fatto che costituisce il reato” ( art. 47 c.p. ) . E che altresì possa allegare la natura non colposa di tale mancata comprensione: apparendo arduo , per ritenere anche solo la colpa nella forma della “negligenza”, costruire a carico di chi si trova nella condizione di straniero non regolarmente soggiornante ed espulso – magari indigente ed in precaria salute — un obbligo di diligenza nel farsi rapidamente tradurre nell’ambito di pochi giorni da terzi in lingua nota l’ordine del Questore, obbligo non previsto da alcuna disposizione, e condotta in concreto non esigibile.

Per altro verso, ove l’ordine del Questore , in violazione del comma 5 bis dell’art. 14 T.U. , non rechi “l’indicazione delle conseguenze penali della sua trasgressione”, deve ritenersi lo straniero possa legittimamente allegare una scusabile — perché “inevitabile” — ignoranza della legge penale (art. 5 c.p., come interpretato da Corte Cost. 364 / 1988 ) . Da un lato trattasi infatti di uno di quei reati definibili – secondo le formule della giurisprudenza in materia – come “di pura creazione legislativa”, “senza riscontro nella coscienza collettiva” o “nelle norme di civiltà”, di uno di quei reati estranei alla collettiva consapevolezza della “devianza”, e d’altro canto trattasi di norma rivolta allo straniero irregolarmente entrato in Italia e la cui espulsione è in via di esecuzione , vale a dire a chi per definizione può essere ritenuto estraneo a quell’obbligo di informazione e di conoscenza circa i precetti legislativi (posto a carico di tutti i cittadini e più in generale di tutta la comunità regolarmente soggiornante sul territorio nazionale) che è alla base della regola per cui “nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale”: del che il legislatore dell’art. 14 comma 5 ter è del resto perfettamente consapevole , proprio per avere espressamente previsto che l’ordine del Questore contenga l’indicazione delle conseguenze penali della sua trasgressione ( il tutto, salva naturalmente la valutazione del Giudice caso per caso , rimanendo possibile ogni prova contraria anche di ordine logico circa la conoscenza comunque avuta del precetto penale, prova da valutarsi anche tenendo conto del periodo più o meno breve di pregressa permanenza in Italia dello straniero al momento della notifica dell’ordine; e salvo del pari quanto si è detto in ordine all’illegittimità dell’ordine che non contenga l’indicazione in parola ).

2 — L’insussistenza del reato nel caso specifico

2.1. — Lo svolgimento del giudizio.

Il giorno 30.12.2002, in via delle Terme di Diocleziano in ROMA ( vicino alla stazione Termini ), alle ore 23 circa, l’attuale imputato veniva visto da alcuni agenti di P.G. colpire alle mani con un coccio di bottiglia un cittadino rumeno, che peraltro non presentava querela. Sprovvisto di documenti, veniva quindi accompagnato in Questura per essere fotosegnalato . Dagli accertamenti identificativi di rito , che terminavano la mattina successiva, emergeva che l’uomo – che aveva nell’occasione declinato le generalità con le quali si procede – era la stessa persona fisica cui in data 22.12.2002 era stato notificato ordine del Questore di ROMA emesso ex art. 14 comma 5 bis D.L. vo 286 / 1998 “di lasciare il territorio nazionale attraverso la frontiera di FIUMICINO entro il termine di cinque giorni dalla notifica” , ordine seguito al decreto di espulsione amministrativa emanato dal Prefetto di ROMA il 14.9.2002 “ex art. 13 comma 2 lett. b) T.U. 286 / 1998 “. Il sedicente G. I. G. veniva quindi arrestato, alle ore 12.00 del 31.12.2002, per il reato di cui in imputazione.

All’ udienza di convalida , cui il P.M. presentava l’arrestato in stato di detenzione (evidentemente ritenendo inapplicabile l’art. 121 disp.att. c.p.p. nonostante la natura contravvenzionale del reato e l’impossibilità giuridica di richiedere misure cautelari ), udienza svoltasi con la presenza dell’interprete di lingua romena ( unico idioma conosciuto dall’arrestato) e conclusasi il 2.1.2002 alle ore 10.15 , ascoltatosi il Sovr.te di Polizia di Stato SAFINA Giuseppe , uno degli operanti — che riferìva quanto sopra in ordine agli accertamenti sfociati nell’arresto – veniva interrogato l’imputato, che , dopo essersi dichiarato di lingua nazionalità e cittadinanza romene, dopo avere allegato di non comprendere la lingua italiana o lingue diverse dal romeno ( neanche per iscritto ), dopo avere ammesso di essere non regolarmente soggiornante in Italia e di essere stato arrestato in settembre per tentato furto, dopo avere escluso la pendenza con riguardo alla sua persona di procedura di sanatoria-emersione dal lavoro irregolare ex l. 189/2002, e dopo avere allegato di essere in Italia da solo senza parenti senza fissa dimora e senza lavoro , nel merito giustificava il suo non essersi allontanato dall’Italia nei 5 giorni indicati dall’ordine del Questore per aver capito il contenuto di tale atto, con l’aiuto di altri connazionali , “solo dopo 4-5 giorni” , “per non aver trovato un mezzo disponibile per partire” per la Romania , per aver tentato di trovare un lavoro in Italia.

L’ arresto in flagranza veniva quindi convalidato, ritenendosi la correttezza e la legittimità delle valutazioni e delle decisioni prese dalla P.G. nella situazione di fatto descritta per come la medesima si era resa percepibile e giuridicamente qualificabile agli operanti nell’immediatezza e sul posto ( presenza in Italia di persona raggiunta da ordine del Questore ex art. 14 comma 5 bis cit. apparentemente valido, a otto giorni dalla sua notifica ).

L’imputato chiedeva quindi di essere immediatamente giudicato con rito abbreviato non condizionato alla acquisizione di ulteriori fonti di prova, e con udienza pubblica. Il Giudice disponeva il rito abbreviato. L’imputato non rendeva ulteriori dichiarazioni, le Parti concludevano come riportato in intestazione.

2.2. — L’illegittimità del decreto di espulsione del Prefetto emesso il 14.2.2002 nei confronti dell’imputato per violazione del combinato disposto degli artt. 13 comma 7 T.U. 286 / 1998 e 3 3° comma D.P.R 394 / 1999, e per totale difetto di motivazione in ordine alla scelta delle lingue di redazione dell’atto .

E’ agli atti decreto di espulsione amministrativa, redatto in italiano ed in inglese, emesso dal Prefetto di ROMA nei confronti dell’imputato il 14.9.2002 del seguente testuale tenore:

“Il Prefetto della Provincia di ROMA, ESAMINATI gli atti dai quali risulta che G. I. G., nato il 7.4.1983, di nazionalità ROMANIA, è stato rintracciato in data odierna dai CC di Grottaferrata; CONSIDERATO che il predetto ha dichiarato di essere entrato in Italia il 5.8.2002 e di non aver regolarizzato la posizione di soggiorno ai sensi dell’art. 5 comma 2 del D.L. 286 del 25.7.1998; RITENUTO che il presente provvedimento costituisca atto dovuto e non discrezionale, per cui, vista l’urgenza di adottarlo, si omette la comunicazione prevista dagli artt. 7 e 8 della legge 241 del 7.8.1990; LETTO l’art. 13 comma 2 lettera b) e comma 4 del D.L. 286 / 1998, così come modificato dalla legge 30.7.2002 n. 189 , DECRETA : il cittadino sopra generalizzato è espulso, il presente provvedimento è immediatamente esecutivo anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell’interessato; l’espulsione è eseguita dal Questore della Provincia ove lo straniero è rintracciato con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica&”. ( seguono le indicazioni riguardo alle sanzioni previste dall’art. 13 comma 13 T.U. per chi, uscito dall’Italia, vi rientra prima di 10 anni senza autorizzazione del Ministro dell’Interno, l’indicazione delle modalità di impugnazione dell’atto, l’indicazione relativa alla possibilità di chiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, seppure con l’evitabile pressapochismo di fare riferimento alla abrogata “legge 217/1990” ).

Per quanto sopra sub 1.2. , tale decreto è da ritenersi illegittimo per violazione del combinato disposto degli artt. 13 comma 7 T.U. e 3 3° comma seconda parte D.P.R. 31.8.1999 n. 394, perchè lesivo quindi del diritto di Difesa garantito dall’art. 24 Costituzione anche allo straniero non regolarmente soggiornante , e per totale difetto di motivazione in ordine alle lingue nelle quali è stato redatto.

Emanato nei confronti di persona indicata nell’atto come “di nazionalità romena” , l’atto, per essere valido , ed in applicazione della citata condivisibile giurisprudenza di legittimità ( v. sub 1.2. ) , doveva in alternativa: 1 ) essere redatto in romeno, nella lingua madre del destinatario, dandosi atto in motivazione di come si fosse ritenuta attendibile la dichiarazione di nazionalità romena e di come si fosse ritenuto sussistente anche solo il dubbio circa la comprensione da parte dell’interessato della lingua italiana; 2 ) ovvero , per essere redatto – come è stato redatto – nelle sole lingue italiana ed inglese, doveva dare conto in motivazione del perché si fosse ritenuta “non possibile” la traduzione in lingua “comprensibile” all’interessato : e quindi del perché si fosse ritenuta non attendibile la dichiarazione di nazionalità romena o più in generale del perché si fosse in ipotesi ritenuta non accertata la effettiva nazionalità dell’interessato , ovvero del perché , pur ritenendosi accertata la nazionalità romena, si fosse ritenuta “non possibile” la traduzione in romeno “quale lingua che per la sua rarità non consente l’agevole reperimento di un traduttore”: in entrambi i casi, dando atto poi altresì della “preferenza” espressa dall’interessato per l’inglese anziché per lo spagnolo o per il francese, secondo quanto previsto dall’art. 3 comma 3 DPR 394 / 1999.

Nulla di tutto questo. Il decreto , dopo aver indicato l’imputato non come “di dichiarata nazionalità romena” bensì cime “di nazionalità romena” , non contiene una parola sull’argomento, sul perché della redazione nelle sole lingue italiana ed inglese.

G. I. G. , dal canto suo , ha dichiarato di parlare e comprendere , anche per iscritto, la sola lingua romena , e di essere di nazionalità e cittadinanza romena. Di più, ha dichiarato di avere compreso non il decreto del Prefetto ma addirittura anche l’ordine del Questore del 22.12.2002 non prima di “4-5 giorni ” dalla notifica di quest’ultimo.

Per quanto in atti, aveva diritto ad una traduzione in lingua romena, certo idioma “non particolarmente raro” al punto da rendere impossibile ad una Autorità quale il Prefetto di ROMA il rapido reperimento di un traduttore ( ciò a prescindersi dal fatto che trattasi di atto dal contenuto per il 90 % standardizzabile e quindi traducibile una volta per tutte dall’Ufficio in appositi modelli). Anche a voler dare per provata – perché non contestata ed implicitamente affermata dagli atti – l’avvenuta notificazione del decreto di espulsione all’imputato ( notificazione invero non documentata agli atti ) , la mancata traduzione del decreto deve ritenersi abbia certamente leso il diritto di G. Inout G. di comprenderlo , di predisporre una Difesa e di impugnarlo nei ristretti termini di cui al comma 8 dell’art. 13 T.U.

Il decreto di espulsione deve quindi essere disapplicato, e per ciò solo, venendo meno una parte essenziale dell’elemento oggettivo della fattispecie, l’imputato va assolto “perché il fatto non sussiste”.

2.3. — L’illegittimità, per diversi profili, dell’ordine del Questore emesso il 22.12.2002 ai sensi dell’art. 14 comma 5 bis T.U. 286 / 1998. L’assenza di prova in ordine alla sussistenza , al 22.12.2002, della situazione di fatto legittimante la sua emissione.

Quanto detto al paragrafo precedente potrebbe esimere dall’aggiungere una sola parola alla presente motivazione.

Per completezza, appare opportuno rilevare altresì quelli che sono nel caso i profili di illegittimità dell’ordine del Questore notificato all’imputato il 22.12.2002 ex art. 14 comma 5 bis T.U.

Questo il testo del decreto, anch’esso redatto nelle sole lingue italiana ed inglese:

“IL QUESTORE DELLA PROVINCIA di ROMA, ESAMINATI gli atti dai quali si rileva che G. I. G. , di nazionalità romena, è stato rintracciato in data odierna da personale della POLFER TERMINI; CONSIDERATO che il predetto risulta espulso dal Territorio dello Stato con le generalità di G. I. G. nato il 7.4.1983 in ROMANIA giusta decreto di espulsione del Prefetto di ROMA emesso in data 14.9.2002; RILEVATO che in data odierna non è stato possibile trattenere lo straniero presso il Centro di Permanenza Temporanea per indisponibilità di posti; visto l’art. 14 comma 5 bis, 5 ter, 5 quater del D.L. 286 / 1998, così come modificato dalla legge 189 / 2002, ORDINA al predetto cittadino straniero di lasciare il Territorio Nazionale attraverso la frontiera di Fiumicino entro il termine di cinque giorni dalla notifica del presente atto; copia dello stesso è rilasciato allo straniero che è tenuto ad esibirla agli Uffici di Polizia di Frontiera all’atto di lasciare il Territorio Nazionale . Lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione del presente ordine è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno . In tal caso si procede ad una nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. L’arresto è obbligatorio e si procede per rito direttissimo “.

Rilevatosi come l’illegittimità del decreto di espulsione prefettizio travolga in ogni caso la legittimità dell’ordine di esecuzione del Questore , osservatosi incidentalmente come nell’ordine in esame la traduzione in inglese susciti diverse perplessità potendo determinare lesivi equivoci (si veda l’avvertimento per cui in caso di arresto per il reato in esame si verrà “summarily tried” – “sommariamente processati” — con fuorviante erronea e minacciosa traduzione di “giudizio direttissimo” ) , e rilevatosi come l’atto contenga una cogente indicazione del valico dal quale lo straniero deve lasciare il territorio dello Stato assolutamente non prevista dalla legge ( il Questore accompagna lo straniero con la forza pubblica al valico ritenuto più idoneo, ma , ove sia costretto ad emanare l’ordine ex comma 5 bis dell’art. 14 deve ritenersi lo straniero sia “libero” di andarsene con il mezzo e dal valico preferiti ) , diversi sono nel caso i profili di illegittimità formale dell’ordine ravvisabili:

1) innanzitutto , l’ordine è redatto nelle sole lingue italiana ed inglese , e non vi è una parola di motivazione in ordine al perché di tale modo di procedere ( violazione del combinato disposto degli artt. 13 comma 7 T.U.-3 comma 3 DPR 394/1999 e dell’art. 3 comma 4 l. 241/1990: e si rimanda a quanto si è detto al paragrafo precedente per il decreto di espulsione );

2) in secondo luogo, in violazione degli artt. 13 comma 7 T.U. e 3 ultimo comma l. 241 / 1990 , l’ordine non contiene l’indicazione relativa alle modalità di sua impugnazione (certo per il silenzio della legge sul punto, v. supra sub 1.4: da ritenersi quindi la più veniale delle mancanze )

3) trattandosi di persona sprovvista di documenti e di generalità incerte, del tutto carente è la motivazione in ordine alle modalità con le quali si è accertato che la persona destinataria dell’atto sia la stessa persona fisica destinataria del decreto di espulsione 14.9.2002 del Prefetto di ROMA ( sarebbe stata sufficiente nel caso l’indicazione delle date e dei luoghi dei precedenti rilievi fotosegnaletici del soggetto, ed in particolare di quelli operati il 13-14.9.2002 );

4) totale è l’assenza di motivazione sulla sussistenza della situazione di fatto legittimante l’emanazione dell’ordine ex comma 5 bis dell’art. 14 : ci si limita ad affermare apoditticamente, che “in data odierna non è stato possibile trattenere lo straniero presso il Centro di Permanenza Temporanea per indisponibilità di posti” – tra l’altro senza neanche indicare di quale Centro si parli e del perché non se ne sono considerati altri – ma non si dice una parola sulle ragioni per le quali al 22.12.2002 vi fosse impossibilità di accompagnamento diretto alla frontiera a mezzo della forza pubblica, né una parola sulla eseguibilità giuridica del decreto di espulsione per insussistenza di procedimenti penali cui G. fosse sottoposto o per intervenuto nulla osta delle A.G. procedenti ( v. paragrafo 1.3.: motivazione nel caso oltremodo necessaria, risultando che l’imputato sia stato arrestato il 15.9.2002 per tentato furto ).

Al di là dei profili di legittimità formale dell’atto e dei vizi di motivazione, ad esito del giudizio abbreviato è dato poi naturalmente di rilevare , in questo quadro, come difetti la prova della sussistenza in fatto della fattispecie legittimante l’emissione dell’ordine . Non è infatti provata l’impossibilità al 22.12.2002 di accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ( per indisponibilità di vettore o per altra ragione ), non è provata per quella data l’allegata indisponibilità di posti-letto nei Centri di Permanenza Temporanea utilizzabili, non è provato che l’A.G. procedente a seguito dell’arresto per tentato furto aggravato del 15.9.2002 abbia rilasciato al Questore di ROMA il nulla osta all’espulsione ai sensi dell’art. 13 comma 3 T.U. , non essendo anzi provato neanche che il Questore lo abbia richiesto ( il Giudice non ha ritenuto di disporre accertamenti ufficiosi su tutti tali punti , ai sensi dell’art. 441 comma 5 c.p.p. , attesa la doverosità, per quanto sinora dettosi, di una immediata assoluzione ex art. 129 c.p.p. ).

Con l’illegittimità dell’ordine ex art. 14 comma 5 bis emesso il 22.12.2002 nei confronti dell’imputato , venendo meno una ulteriore parte dell’elemento oggettivo del reato , anche per questa via, e a prescindersi dall’illegittimità del decreto del Prefetto , non può che seguire assoluzione “perché il fatto non sussiste”.

2.3. — Ulteriori osservazioni.

L’obbligo di procedere ad una immediata assoluzione dell’imputato “perché il fatto non sussiste” – derivante dall’illegittimità del decreto di espulsione e dell’ordine di esecuzione del Questore , e dalla loro disapplicazione — esime da ogni analisi relativa alla sussistenza nel caso dell’elemento soggettivo del reato, o di un “giustificato motivo” del trattenersi ( quest’ultimo peraltro prima facie rilevabile per quanto in atti nella condizione di assoluta indisponibilità di mezzi economici e di trasporto, ma anche di riferimenti personali, in cui al momento del fatto versava l’imputato, oltretutto senza documenti e titoli di viaggio ) .

Va solo sottolineato ancora come tale possibilità di immediata assoluzione renda in senso tecnico comunque non rilevante al di là del merito la questione di costituzionalità dell’art. 14 comma 5 ter T.U. , nella parte in cui prevede il “giustificato motivo” , per violazione del principio di tassatività della norma penale , sinteticamente discussa supra sub 1.6.

p. q. m. , il Tribunale Ordinario di Roma, in composizione monocratica, visti gli artt. 129, , 442, 530 e ss c.p.p.,

1 ) assolve l’imputato dal reato ascrittogli, perché il fatto non sussiste;

2 ) indica in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione.

IL GIUDICE

( dott. Valerio SAVIO )

DEPOSITATA 20 febbraio 2003