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Monday 26 September 2005

Diritto di accesso ex l. 241/90. Il punto del Consiglio di Stato CONSIGLIO DI STATO Ordinanza n. 4686, 9.9.2005

Diritto di accesso ex l. 241/90. Il punto del
Consiglio di Stato

CONSIGLIO DI STATO Ordinanza n. 4686,
9.9.2005

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso in appello n. 4019/05,
proposto da:

AEROPORTO GABRIELE D’ANNUNZIO
S.P.A., in persona del legale rappresentante
in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Paolo Rolfo
e Domenico Bezzi, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in
Roma, via Appia Nuova, n. 96;

contro

A. LUCA, rappresentato e difeso dagli
avv. Marco Toma e Giorgio Allocca, ed elettivamente
domiciliato presso lo studio del secondo in Roma, via Nicotera, n. 29;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale
amministrativo regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, 13
aprile 2005, n. 317;

visto il ricorso in appello, con i
relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio
dell’appellato;

visti tutti gli atti della causa;

relatore alla camera di consiglio del 5
luglio 2005 il consigliere Carmine Volpe, e uditi l’avv. P. Rolfo
per l’appellante e l’avv. G. Allocca per l’appellato;

ritenuto e considerato quanto segue.

FATTO

Il signor Luca A. è titolare di
licenza taxi rilasciata dal Comune di Montichiari per
il collegamento territoriale da e per l’aeroporto di Montichiari.
Lo stesso, con istanza in data 17 novembre 2004
presentata all’Aeroporto Gabriele D’Annunzio s.p.a.,
chiedeva l’accesso a tutta la documentazione inerente gli appalti di
collegamento (autolinee pubbliche e private) stipulati tra la detta società e
le imprese di trasporto persone da e per l’aeroporto di Montichiari.
A giustificazione dell’istanza dichiarava di volere
“controllare se i suddetti appalti siano stati stipulati nel pieno rispetto
della trasparenza e dell’obiettività o, caso contrario hanno provocato un danno
economico allo scrivente nell’esercizio della propria attività”.

L’Aeroporto Gabriele D’Annunzio s.p.a., con atto in
data 20 dicembre 2004, negava il richiesto accesso per carenza dell’interesse
prescritto dall’art. 22 della l. 7 agosto 1990, n. 241, poiché il signor A. non
aveva preso parte alle trattative prodromiche alla
stipulazione dei contratti di cui aveva chiesto l’accesso, nonché in quanto la
motivazione addotta era generica e rilevante solo in via di fatto ma non di
diritto. La società aggiungeva, poi, che il diritto di accesso
ai documenti amministrativi non poteva essere trasformato in uno strumento di
“ispezione” sull’efficienza e efficacia dell’attività posta in essere da una
società di diritto privato che svolge un pubblico servizio, “non potendosi
identificare la situazione giuridicamente rilevante richiesta dall’art. 22 L. n. 241/1990 con il generico e indistinto interesse di ogni cittadino (se pur di categoria interessata) al buon
andamento dell’attività amministrativa”.

Il signor A., con nota in data 25
gennaio 2005, riproponeva l’istanza di accesso, sostanzialmente per i medesimi
documenti e sulla base delle stesse motivazioni addotte in precedenza; e, a
seguito del silenzio serbato dall’Aeroporto Gabriele D’Annunzio s.p.a., il 17 marzo 2005 notificava ricorso con cui
impugnava il suddetto atto di diniego.

Il primo giudice ha accolto il
ricorso e ha ordinato all’Aeroporto Gabriele D’Annunzio s.p.a.
di rilasciare la documentazione richiesta. Si è ritenuto che:

a) il decorso del
termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso di cui all’art. 25
della l. n.
241/1990 non impedisca la presentazione di un ulteriore
istanza di accesso, con il conseguente obbligo dell’amministrazione di
pronunciarsi nuovamente;

b) un eventuale secondo rigetto,
espresso o tacito, determini la riapertura del termine per l’introduzione del
gravame, in quanto la facoltà di accesso ha natura non
di interesse legittimo ma di diritto soggettivo, la cui tutela non può essere
subordinata a un termine di decadenza;

c) il diritto di
accesso sia esercitatile anche nei confronti dei soggetti privati
gestori di pubblici servizi, ai sensi dell’art. 23 della l. n. 241/1990;

d) gli atti assunti da questi ultimi
siano suscettibili di ostensione ogni volta che si
configurino come “cura concreta di interessi pubblici” e siano orientati al
perseguimento di finalità collettive;

e) nella fattispecie, l’affidamento
degli appalti alle imprese di trasporto di persone attenga all’organizzazione
del servizio e sia soggetta ai principi di trasparenza e imparzialità;

f) l’esercizio del diritto di accesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni sia
sempre ammesso qualora il ricorrente intenda tutelare una propria posizione
giuridica;

g) nella fattispecie, l’interesse
sotteso alla pretesa estensiva risulti degno di apprezzamento;

h) l’acquisizione degli atti potrà
consentire al ricorrente di valutare l’esperimento di azioni
a tutela in sede giurisdizionale;

i) la normativa garantisca in ogni
caso il diritto di accesso per curare o difendere i
propri interessi giuridici;

l) la richiesta formulata sia precisa
e circostanziata.

La sentenza viene
appellata dall’Aeroporto Gabriele D’Annunzio s.p.a. per i seguenti motivi:

1) inammissibilità del ricorso per
decadenza dei termini.

Si sostiene l’irricevibilità
del ricorso di primo grado, dato che il provvedimento di diniego è stato
impugnato oltre i trenta giorni di cui all’art. 25, comma 5,
della l. n. 241/1990, e che la seconda istanza di
accesso non avrebbe potuto comportare la riammissione in termini una volta
decorsi i trenta giorni dal primo atto di diniego;

2) nel merito:

2.1) inapplicabilità all’appellante,
nel caso di specie, della normativa sul diritto di accesso.

Si deduce l’insussistenza
dell’obbligo di consentire l’accesso, in quanto non si tratterebbe di procedure
per le quali la società appellante agisce in veste di organismo
di diritto pubblico, né di appalto di servizi, e poiché le procedure,
prevedendo un importo contributivo inferiore ai 400.000 DSP, sarebbero
espressamente sottratte dalla disciplina di cui al d.lgs.
17 marzo 1995, n. 158. La società appellante, quindi, avrebbe agito come società di diritto privato a fine di lucro, senza l’obbligo
del rispetto dell’evidenza pubblica e delle norme di cui agli artt. 22 e
seguenti della l. n. 241/1990;

2.2) assenza di un interesse
qualificato in capo all’appellato, a causa dell’insussistenza della titolarità
di una posizione giuridica differenziata legittimante
l’accesso.

Il signor A. si è costituito in
giudizio, resistendo al ricorso in appello.

DIRITTO

La sezione ravvisa la ricorrenza dei
presupposti per deferire la cognizione del ricorso in appello all’esame
dell’adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali del
Consiglio di Stato. Ciò con riguardo alle questioni di diritto sottese al primo
motivo del ricorso in appello, inerente la supposta irricevibilità del ricorso di primo grado, nonché in
ragione dell’importanza di massima delle medesime e della ricorrenza di
indirizzi non univoci in seno alle singole sezioni.

Sotto un primo profilo, occorre
segnalare la perduranza di contrasti
giurisprudenziali sulla qualificazione del “diritto di accesso”
anche in epoca successiva alla decisione dell’adunanza plenaria di questo
Consiglio 24 giugno 1999, n. 16; secondo cui, in materia di accesso ai
documenti amministrativi, disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della l. 7
agosto 1990, n. 241, il termine “diritto” va considerato in senso atecnico, essendo ravvisabile la posizione di interesse legittimo quando il provvedimento
amministrativo è impugnabile, come nel caso del “diritto” di accesso, entro un
termine perentorio, pure se incidente su posizioni che nel linguaggio comune
sono più spesso definite come di “diritto” (in senso conforme, Cons. Stato, sez. V, 8 settembre 2003, n. 5034).

Deve essere valutata, in particolare,
l’influenza della normativa sopravvenuta di cui alla l. 11 febbraio 2005, n.
15, laddove, ai sensi dell’art. 22, comma 2, della
modificata l. n. 241/1990, si qualifica il diritto di accesso
come inerente “ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.
Il tema, inoltre, merita ulteriore approfondimento
alla luce del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla
l. 14 maggio 2005, n. 80, che – modificando l’art. 25, comma 5, della l. n.
241/1990 – ha qualificato come esclusiva la giurisdizione del giudice
amministrativo sulle controversie relative all’accesso
ai documenti amministrativi.

La sezione reputa in ogni caso che,
anche ad accedere alla tesi, che si reputa
preferibile, della qualificazione in termini di diritto soggettivo, si debba
affrontare il tema dell’ammissibilità di un ricorso proposto avverso un
provvedimento di diniego non ritualmente gravato nel termine decadenziale di
legge. La sezione ritiene al riguardo non convincente la tesi
giurisprudenziale, ribadita dal primo giudice, secondo
cui la consistenza di diritto soggettivo della pretesa all’accesso
comporterebbe l’impugnabilità dei successivi provvedimenti nell’arco temporale
della prescrizione.

Secondo la giurisprudenza di questo
Consiglio, il divieto di accesso ai documenti
amministrativi si configura come un diritto soggettivo all’informazione, per
cui le eventuali determinazioni negative, anche se divenute inoppugnabili per
decorso del termine previsto dall’art. 25, comma 5, della l. n. 241/1990, non
fanno venire meno, sul piano sostanziale, la posizione giuridica
dell’interessato all’accesso; potendo questi rinnovare l’istanza
e riattivare la tutela giurisdizionale. Con la conseguenza che la decorrenza
del termine per l’impugnativa di un atto di diniego dell’accesso non preclude
il nuovo esercizio del diritto da parte del titolare, né l’eventuale
impugnativa di un atto di diniego impedisce il nuovo esercizio del diritto e
l’eventuale impugnativa dell’ulteriore pronuncia di
diniego emessa dall’amministrazione (questa sezione, 12 aprile 2005, n. 1679; Sez. IV: 27 maggio 2003, n. 2938; 2 luglio 2002, n. 3629;
22 gennaio 1999, n. 56).

Tale soluzione, nella misura in cui
considera limitata al singolo provvedimento l’influenza del decorso del termine
decadenziale, è incompatibile con la ratio della previsione legislativa di
detto termine. Posto, infatti, che la ratio del termine decadenziale è data
dalla necessità di conferire certezza all’azione amministrativa e stabilità
all’assetto da questa sancito in ordine alla spettanza
dell’accesso, è evidente che il fine legislativamente perseguito sarebbe eluso
dalla permanente possibilità di rieccitare
l’esercizio dell’attività amministrativa non debitamente stigmatizzata e,
conseguentemente, di azionare la pretesa nel termine di prescrizione. La
soluzione qui contestata, oltre che non compatibile con la ratio della
previsione di un termine decadenziale, si pone in distonia con il principio di economicità dell’azione
amministrativa nella misura in cui consente, a fronte di una vicenda sostanziale
unitaria, una pluralità di procedimenti culminanti in provvedimenti ognuno dei
quali impugnabile, a prescindere dalla rituale contestazione delle precedenti
determinazioni.

Deve, inoltre, considerarsi che
l’imposizione di un termine decadenziale per l’esercizio dell’azione, il cui
spirare preclude in via definitiva l’azionabilità
della pretesa in giudizio, è pienamente compatibile anche con la tutela dei
diritti soggettivi; come dimostrano, a titolo esemplificativo, le norme in tema
di impugnazione di accertamenti tributari e le
disposizioni relative all’esercizio dell’azione diretta a far valere la
garanzia dei vizi nei contratti di vendita e di appalto (art. 1495 del c.c., art. 1519-sexies e seguenti del c.c., e art. 1667 del c.c.).

Ne consegue che, coerentemente, la
decadenza di cui all’art. 25 della l. n. 241/1990 dovrebbe avere a oggetto non il singolo provvedimento ma la decisione
sostanziale assunta; con l’effetto di rendere inoppugnabili atti successivi,
che rimandino a detta decisione senza apportare nuovi elementi valutativi, o
comunque la precedente determinazione sull’accesso se non impugnata
tempestivamente.

La sezione, pertanto, reputa
opportuno deferire la cognizione del ricorso in appello all’esame dell’adunanza
plenaria delle sezioni giurisdizionali del Consiglio
di Stato, in considerazione dell’importanza della questione di massima e della
non univocità degli indirizzi assunti sul tema dalle sezioni. Nello stesso
senso la sezione ha già statuito con l’ordinanza 7 giugno 2005, n. 2954, dalla
quale non vi è motivo per discostarsi.

Per questi motivi

il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, sezione sesta, deferisce la cognizione del ricorso in appello
all’adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato.

Così deciso in Roma il 5 luglio 2005
dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, in camera di
consiglio, con l’intervento dei signori:

Mario Egidio Schinaia
presidente

Carmine Volpe consigliere, estensore

Giuseppe Minicone
consigliere

Domenico Cafini
consigliere

Francesco Caringella
consigliere

Presidente

MARIO EGIDIO SCHINAIA

Consigliere Segretario

CARMINE VOLPE ANNAMARIA RICCI

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il..09/09/2005

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione
Sesta)

Addì……………………………..copia conforme alla presente è stata trasmessa

al
Ministero………………………………………………………………………………….

a norma dell’art. 87 del Regolamento
di Procedura 17 agosto 1907 n.642