Lavoro e Previdenza

Wednesday 08 June 2005

Dare una palpatina al fondoschiena della collega può costare caro. Legittimo per sussistenza del giustificato motivo il licenziamento di un operaio che faceva la “mano morta” Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n.9068/2005

Dare una palpatina al fondoschiena della collega può costare caro. Legittimo per sussistenza del giustificato motivo il licenziamento di
un operaio che faceva la “mano morta”

Suprema Corte di
Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n.9068/2005
(Presidente: S. Mattone; Relatore: G. Cellerino)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In seguito alla
contestazione di molestie sessuali nei confronti di un dipendente (tal L.) e del personale femminile addetto alla tessitura della spa
Manifattura di Valle Brembana, il 24 dicembre 1999 la
società rinnovava il licenziamento per motivi disciplinari di G. R., suo
dipendente dal 1976, addetto alle pulizie dei locali dei servizi.

Annullato in primo grado il recesso,
tempestivamente impugnato dal R., la
Corte d’appello di Brescia, su appello della Manifattura,
confermava la prima decisione.

La sentenza
d’appello, considerato che un primo recesso era stato annullato il 16 dicembre
1999 per genericità delle contestazioni e che questo nuovo licenziamento andava
circoscritto alle accuse precedenti, dovendo considerarsi tardivo ogni addebito
che faccia riferimento ad episodi passati e mai contestati, ha ritenuto che le
molestie e gli addebiti di tipo esibizionistico compiuti dal R. non meritassero
il provvedimento adottato, perché sebbene quelli nei confronti di due
lavoratrici, tali G. e Q., fossero riprovevoli, tuttavia non erano tali da giustificare la sua
espulsione, essendo i restanti genericamente riferiti a non meglio identificate
e ripetute molestie ed esibizioni sessuali, incerte nel tempo e prive di prova,
mentre un plurimo comportamento (l’avere in tre occasioni nella prima metà del
1998 affermato i testicoli dell’operaio E. L.) andava
scartato (non può essere preso in considerazione), perché non compreso nella
prima lettera di licenziamento e, tra l’altro, tardivo anche rispetto a questa.

In particolare, l’episodio G., che
indossando pantaloni, s’era improvvisamente trovata fra le gambe una canna
d’aria compressa, manovrata dal R., e di esserne stata colpita, senza che il
gesto fosse stato accompagnato da scambi di battute…per mancanza di confidenza
fra i due; è apparso alla Corte privo di una chiara connotazione sessuale,
anche sulla base della testimonianza di una teste (tale C. R.) che, in
giudizio, non aveva ricordato la palpatina riferita dalla dichiarazione
predisposta dal caporeparto e da lei sottoscritta a distanza di un mese dal
fatto.

D’altra parte, quello riferibile ala Q. (una pacca sul sedere ridendo), limitato ad un solo
episodio per la genericità di riferimenti anteriori, è stato ridimensionato
dalla sentenza d’appello al fare scherzoso assunto dal R., secondo la
testimonianza del capo reparto Z.

Contro questa decisione la Società
ricorre per cassazione illustrando due motivi.

La parte intimata resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato
memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo
la società denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 7
dello Statuto dei lavoratori e dell’art. 3 della legge n. 604/1966 sostenendo
che la sentenza d’appello è viziata quanto alla tempestività e specificità
delle plurime contestazioni disciplinari.

In particolare, rileva che
erroneamente la Corte
d’appello aveva ritenuto tardiva la contestazione
delle molestie sessuali arrecate dal R. all’operaio L.
nella primavera del 1998, afferrandogli i testicoli in tre occasioni, posto
che, riguardando la tempestività della contestazione un giudizio di relatività
temporale, ne era venuta a conoscenza solo nel maggio del 1999, impedendole,
pertanto, di ricomprendere l’addeibito nel precedente
licenziamento, in quanto emerso nel corso di quel giudizio e subito contestato
al suo esito.

D’altra parte,
protesta il giudizio di genericità esposto in sentenza circa gli episodi
d’esibizionismo commessi verso alcune dipendenti dal R., che appositamente lasciatala
porta aperta del bagno, dovendo quel giudizio essere applicato con congruo
margine di discrezionalità, avendo ritenuto di dover tutelare, conformemente a un
protocollo previsto in sede contrattuale, la massima riservatezza della persona
incolpata… e delle vittime, in conseguenza dell’indicazione di eccessivi
dettagli.

Mentre questa seconda osservazione è
assolutamente impropria e non merita alcuna indulgenza
da parte di questa Corte, perché nel bilanciamento tra il diritto/ dovere al
rispetto della risew4rvatezza e alla tutela di situazioni personali incresciose
e quello di difesa, quest’ultimo non può essere
svantaggiato, oltretutto il piano della trasparenza e della responsabilità
delle incolpazione dovendo trovare adeguate e
puntuali verifiche sia sul piano e nel momento contrattuale che in sede
giudiziaria, per contro l’avere la Corte distrettuale escluso la vicenda L. reputando questa contestazione inutilizzabile sotto il
profilo della tardività, appare al Collegio,
nell’economia del vicenda descritta dalla sentenza, frutto d’estrama sintesi motivazionale, che rende necessaria una
maggiore e più approfondita definizione sul piano fattuale e motivazionale.

Da un lato, infatti, la denuncia
degli episodi in discorso alla società da parte dell’interessato, intervenuta,
in tesi, il 5 maggio 1999 (e quindi dopo il primo licenziamento della fine d’aprile 1999), non poteva, ratione
temporis, essere introdotta dalla Manifattura nel
corso della precedente fase giudiziaria, stante l’ormai intervenuta
interruzione, sia pure allora sub iudice, dal
rapporto di lavoro attraverso la comunicazione dell’atto unilaterale recettizio del primo licenziamento.

D’altro canto, la ricostruzione del
rapporto sancito dall’originaria sentenza d’annullamento, spontaneamente
condivisa ed eseguita dalla società rimetteva in gioco quell’episodio
nel più ampio contesto della valutazione, sotto il
profilo disciplinare, dei plurimi comportamenti del dipendente, ribaditi dalla
seconda incolpazione, di cui l’asserito, dalla
sentenza, ritardo della contestazione L. merita un
approfondimento.

Vero è che sembrerebbe (desumendosene
una diversa ricostruzione dal controricorso R.: v. pagg. 4, 5) che tale ripetuto gesto fosse già conosciuto a
livello aziendale sin dal 1998, ma di quest’esplorazione,
come del contenuto del documento di denuncia da parte del L., che ne
costituirebbe la dimostrazione e di cui s’è fatto or ora cenno, non v’è alcuna
rigorosa traccia in sentenza che giustifichi l’opzione prescelta, limitandosi
laconicamente il ragionamento di quella Corte ad escluderne l’incidenza perché
non compreso nella prima lettera di licenziamento e, tra l’altro tardivo anche
rispetto a questa.

Pertanto, sotto l’assorbente profilo
della tempestività di questa contestazione, questo
motivo va accolto, con conseguente cassazione, in questo limite, della sentenza
impugnata che, per l’effetto, deve essere rimessa ad altro giudice pari
ordinato, individuato in dispositivo, cui va demandata, oltre una sua
valutazione in termini di rilevanza disciplinare, l’analisi congiunta, ai fini
della legittimità del recesso, con gli altri due episodi, la cui svalutazione
da parte della Corte territoriale è stata denunciata con il secondo motivo.

Circa questo
secondo mezzo d’impugnazione, incentrato sugli episodi G. e Q., ricordati in
narrativa, a suo tempo, secondo la Corte territoriale, tempestivamente e specificamente
contestati, si ipotizza la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, preleggi; 3, L. n. 604/1966;
2087, 2106 e 2697, cod. civ.,
e dell’art. 115, cod. proc. civ., oltre difetti di motivazione, anche in
considerazione della Raccomandazione del 27 novembre 1991 della Commissione
europea in tema di dignità dei lavoratori nei luoghi di lavoro, per
salvaguardarne l’intimità personale in caso di comportamenti indesiderati,
sconvenienti od offensivi.

Si sostiene che il Giudice d’appello avrebbe fatto malgoverno delle norme poste a tutela della
libertà sessuale, finalizzate a reprimere le molestie arrecate nei luoghi di
lavoro, reputando eccessiva la sanzione, senza tener conto adeguato dei
principi giuridici e dei giudizi di valore, alla stregua dei quali deve essere
considerata la gravità delle trasgressioni del lavoratore, richiamando a tal
fine alcune sentenze di questa Corte (nn. 5049/2000; 10752/1996; 7768/95).

In particolare, la Società, quanto
all’episodio G., ne critica la svalutazione, stante il turbamento della donna
che sarebbe stato colto da alcuni compagni di lavoro e afferma il significato
sessuale dell’episodio, essendo errato, anche in diritto, lo scarso peso
assegnato alla vicenda, argomentato sulla base dell’impressione di una teste
(tal R.), che aveva considerato (indebitamente) scherzoso l’atteggiamento del
R.

Parimenti, quanto alla denuncia del
29 aprile 1999 dalla dipendente Q., la Società si duole che il Giudice abbia limitato la
valutazione a un solo episodio e ribadisce che il giudizio scherzoso, dato in
proposito da una teste (Zanchi, capo reparto)
ricordando la frase del R.: ha ancora un bel sedere, non poteva formare oggetto
di testimonianza.

A fronte di tali rilievi in relazione a questi due episodi, questa Corte osserva che
l’analisi, in tesi riduttiva, esplicitata dalla sentenza impugnata in funzione
di un’equilibrata valutazione della proporzionalità della reazione
disciplinare, è, per contro, frutto d’una ponderata e scrupolosa valutazione
degli episodi, pur discutibili e censurabili sul piano delle relazioni
interpersonali fra compagni di lavoro, soprattutto se intercorrenti tra
soggetti di sesso diverso, che appartiene al libero convincimento del Giudice
di merito che il Collegio intende salvaguardare, apparendo immune da vizi
contestati.

La sentenza, in particolare, ha
ritenuto di dover svalutare del tutto l’aspetto sessuale del caso G.,
segnalandone, anzi, l’apparenza scherzosa o, quantomeno, limitata ad
infastidire la lavoratrice, ricavando quest’aspetto
significativo dalla testimonianza resa dalla lavoratrice R. e dalle modalità di
formalizzazione della denuncia (a distanza di un mese ad opera del caporeparto,
a cui l’episodio sarebbe stato immediatamente riferito), che aveva inserito la
colorazione sessuale d’una palpatina, rimasta, però, senza traccia nella
deposizione.

Parimenti, quanto alle vicende Q. (toccamento in diverse occasioni del seno e del fondo
schiena), la sentenza (pag. 8), limitata l’indagine solo all’ultimo degli
episodi denunciati, perché circostanziato con
indicazioni di tempo e di luogo, risalendo a molto tempo addietro, come
ricordato dalla stessa Q., i generici riferimenti ai restanti, pur rifluiti
nella dichiarazione predisposta dal direttore del personale una quindicina di
giorni dopo l’ultimo, cui aveva assistito il capo reparto Z., ne ha ridimensionato
l’enfasi, rievocando la testimonianza di costui, attestante il fare spassoso
del R. che, nell’atto in cui dispensava la pacca, annunciava: ha ancora un bel
sedere.

Pertanto, fermo restando il giudizio,
espresso dalla Cote territoriale, di inadeguatezza di
questi due episodi rispetto all’applicazione espulsiva del licenziamento, di
cui, peraltro, ha opportunamente segnalato la convenienza di una sanzione,
indipendentemente dalla loro valenza sessuale, si impone il loro
approfondimento da parte del Giudice di rinvio, per dare un giudizio
complessivo di insieme, a fronte dell’intimato licenziamento, coniugandoli con
la vicenda L., secondo quanto sopra detto, posto che la denuncia, nei confronti
della sentenza, espressa dalla difesa ricorrente circa il divieto di
apprezzamento sul fare scherzoso ricordato dai testi non merita d’essere
condivisa, trattandosi di un giudizio che si immedesima e integra
inevitabilmente la rappresentazione del fatto oggetto della testimonianza.

Infatti, il principio che esclude che
i fatti su cui verte la prova testimoniale possano
formare oggetto di valutazioni o dar luogo a giudizi complessi, espressi nel
contesto dell’esposizione, mentre va riconfermato in relazione a una
ricostruzione del fatto di carattere soggettivo o rispetto a giudizi di
carattere soggettivo o rispetto a giudizi di carattere tecnico o giuridico, non
va esteso a quegli apprezzamenti derivanti dalla stessa percezione del fatto
che non sia possibile scindere dalla deposizione (v. da ultimo, Cass. 2 genn.
2001, n. 5).

PQM

La Corte accoglie il primo motivo per
quanto di ragione e rigetta il secondo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia,
anche per le spese, alla Corte di appello di Milano.

Roma, 14 mar. 2005.

Depositata in Cancelleria il 2 maggio
2005.