Civile

Thursday 05 May 2005

Conto corrente bancario ed effetti della declaratoria di nullità delle clausola anatocisticheTribunale di Pescara- Sentenza del giorno 4.4.05

Conto corrente bancario ed effetti della declaratoria di nullità delle clausola anatocistiche

Tribunale di
Pescara- Sentenza del giorno 4.4.05- depositata in cancelleria il 7.4.2005-
Giudice Unico G.
Falco.

FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 2.1.2001
ritualmente notificato in pari data M. D. proponeva opposizione
avverso il decreto ingiuntivo n. 1196/2000 con il quale il Tribunale di
Pescara l’aveva condannato a pagare in solido con la Ditta K. S.P.A e con M. FRANCA MARIA ed in favore della Società
CASSA DI RISPARMIO DI PESCARA e LORETO APRUTINO S.P.A la somma complessiva di £. 55.193.376, oltre
interessi e spese,quale importo dei saldi debitori dei
conti correnti bancari affidati nn. 18786 e 17674 del
1995 intestati alla Società K. S.P.A., assistiti da fideiussione dell’esponente e revocati con comunicazione del 19.1.1998.

A sostegno dell’opposizione M. assumeva:

· La carenza
dei presupposti di legge per la valida instaurazione del procedimento
monitorio, avendo la Banca
ingiungente ottenuto il decreto ingiuntivo sulla base di un mero “certificato
di saldaconto” e non dell’estratto integrale di conto
corrente di cui all’art. 50 D.lgs. n. 385/1993.

· L’infondatezza della pretesa
pecuniaria azionata dall’ingiungente in sede monitoria, in quanto pretesa
connotata dalla illegittima applicazione di anatocismi
trimestrali, di tassi di interessi ultralegali indeterminati perchè pattuiti
“uso piazza”, nonché usurari ex L. n. 108/96.

· L’illegittimità
della pretesa pecuniaria monitoria di conteggiare gli interessi ultralegali di
cui ai due contratti anche per il periodo successivo alla chiusura dei rapporti
bancari.

· La nullità delle pattuizioni poste
a fondamento della pretesa creditoria della Banca, in ragione sia del difetto
di prova della forma scritta dei contratti bancari azionati da controparte in
sede monitoria, sia della qualificabilità giuridica
della fideiussione prestata dall’esponente in favore della Banca nell’alveo
delle fideiussioni omnibus
da ritenersi inoperanti per le obbligazioni sorte- come nella
specie- successivamente all’entrata in vigore del novellato art. 1956 c.c.

Tanto premesso la parte opponente concludeva chiedendo la declaratoria della nullità ed
inefficacia dei due contratti di apertura di credito relativi ai c/c intestati
alla Società K. S.r.l. presso l’Istituto di Credito opposto, la declaratoria
della nullità ed inefficacia delle clausole negoziali
di essi relative agli interessi sia per indeterminatezza, sia per usurarietà e per illegittimo anatocismo trimestrale, sia
per illegittimo computo delle valute, la declaratoria della nullità ed
inefficacia della garanzia fideiussoria prestata con
riferimento alla parte del credito costituita dai predetti illegittimi addebiti
ovvero da altri addebiti non autorizzati dal garante, con conseguente
determinazione giudiziale del giusto ed esatto saldo dei due conti correnti
“garantiti” e della misura
dell’obbligazione fideiussoria.Con vittoria di spese
ed onorari di giudizio.

Con comparsa di risposta depositata
in data 15.2.2001 si costituiva in giudizio la Società CASSA DI
RISPARMIO DI PESCARA e LORETO APRUTINO S.P.A., in persona del Presidente e Legale Rappresentante pro
tempore Dott. Nicola Mattoscio (di seguito BANCA) la
quale, contestando la fondatezza della proposta opposizione e chiedendone il
rigetto, insisteva nella propria pretesa pecuniaria già accolta in sede
monitoria ed assumeva la pretestuosità delle avverse difese ed eccezioni, in
particolare deducendo:

· La legittimità dell’anatocismo
trimestrale applicato sugli interessi passivi del correntista, esistendo un
conforme uso normativo ex art. 1283 c.c.;

· L’operatività, in ogni caso, della soluti retentio ex art. 2034
c.c. in favore della esponente con riferimento agli interessi composti già
percepiti nel corso del rapporto;

· In ogni caso, la ripetibilità nei
limiti della prescrizione decennale degli interessi composti ad essa eventualmente non dovuti; la piena determinatezza
numerica e non usurarietà dei tassi di interessi
pattuiti nei contratti in questione nonché la sussitenza
di una regolare forma scritta dei medesimi, come da documentazione versata in
atti.

Acquisita la documentazione prodotta
dalle parti, espletata la trattazione della causa,
rigettata la richiesta di provvisoria esecuzione del D.I. per le motivazioni di
cui alla relativa ordinanza, espletata una CTU contabile al fine della verifica
dei rapporti di dare ed avere in essere tra le parti in relazione ai contratti
oggetto della controversia, eseguiti su accordo delle parti alcuni differimenti
del giudizio prima per pendenza di trattative di bonario componimento della
vertenza e dopo per la sopravvenuta rinunzia del difensore dell’opponente al
mandato difensivo, le parti medesime precisavano le rispettive conclusioni all’udienza
del 7.10.2004, all’esito della quale il Giudice tratteneva la causa in
decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’opposizione proposta da M. D. avverso il Decreto Ingiuntivo n. 1196/2000 risulta
parzialmente fondata nella misura e per le considerazioni che di seguito
vengono esposte.

In primo luogo deve sottolinearsi come la preliminare eccezione, sollevata
dall’opponente, di “illegittimità dell’emissione del decreto ingiuntivo per
carenza dei presupposti per la valida instaurazione del procedimento
monitorio”, fondata sulla insufficienza
probatoria del mero certificato di saldaconto ( ossia
della documentazione allegata a sostegno della domanda monitoria), debba
considerarsi irrilevante ai fini del presente giudizio in quanto:

· Trattasi di eccezione con la quale
l’opponente deduce in via espressa che il decreto ingiuntivo sarebbe stato
emesso “in assenza di un requisito formale indispensabile espressamente
previsto dalla normativa” di cui all’art. 50 T.U.B.
(cfr. l’atto di citazione in opposizione).

· È noto tuttavia che il giudizio
di opposizione a decreto ingiuntivo, nel sistema delineato dal
codice di procedura
civile, si atteggia
come un procedimento il
cui oggetto non è
ristretto alla verifica delle condizioni
di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma si
estende all’accertamento, con
riferimento alla situazione di fatto esistente
al momento della pronuncia della sentenza- dei
fatti costitutivi del diritto in
contestazione (cfr. ex multis
Cass. N. 5186/2003). Ne consegue che il giudice dell’opposizione è investito del potere-dovere di pronunciare
sulla pretesa fatta valere con la
domanda di ingiunzione
e sulle eccezioni proposte "ex
adverso"
ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso (come nella specie
dedotto dall’opponente) fuori delle
condizioni stabilite dalla
legge per il procedimento monitorio
e non puo’ limitarsi
ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso
all’esito dello stesso (cfr. ex multis
Cass. N. 7188/2003).

· Di conseguenza, il presente
giudizio di opposizione, non essendo mera impugnazione
del decreto, volta a farne valere vizi ovvero originarie
ragioni di invalidità, ma costituendo un ordinario giudizio di
cognizione di merito, teso all’accertamento dell’esistenza del diritto
di credito azionato dal creditore
con il ricorso
"ex" artt. 633 e 638 cod. proc. civ. (cfr. Cass. N.
6421/2003) deve procedere alla verifica- sulla base della documentazione
contabile versata in atti- della fondatezza o meno della pretesa sostanziale
azionata dall’ingiungente in sede monitoria, ed ove il credito risulti fondato, deve accogliere la domanda
indipendentemente dalla circostanza della regolarità, sufficienza e validità
degli elementi probatori alla stregua dei quali l’ingiunzione fu emessa,
rimanendo irrilevanti, ai fini di tale accertamento, eventuali vizi della
procedura monitoria che non importino (come nella specie) l’insussistenza del
diritto fatto valere con tale procedura (Cass. N. 6663/2002).

Fatta questa necessaria premessa in ordine alla irrilevanza
“nel merito” della summenzionata eccezione, si deve quindi a questo
punto procedere alla verifica- sulla base delle risultanze processuali acquisite
nel presente giudizio “a cognizione piena” ed in primis della esperita CTU
contabile- della fondatezza o meno della pretesa sostanziale pecuniaria
azionata dall’ingiungente in sede monitoria.

Orbene, l’esame della documentazione
bancaria allegata agli atti rileva che nei contratti di apertura
di c/c di cui è causa le parti hanno inizialmente pattuito per iscritto i
tassi di interesse ( 18,75% per utilizzo
S.B.F., per apertura di credito, per apertura di
credito temporanea; 21,75% per scoperto di conto), la periodicità di
capitalizzazione ( annuale per gli interessi creditori; trimestrale per gli
interessi debitori), le spese unitarie per operazione, le modalità di computo
delle valute. Quindi- in pendenza del rapporto- la Banca ha modificato ex art.
118 T.U.B. i tassi di interesse
in senso favorevole al cliente e nei limiti dei tassi soglia di cui alla Legge.
n. 108/96 nel frattempo sopravvenuta (cfr. la documentazione contrattuale; cfr. gli
estratti conto). Ne consegue l’infondatezza della eccezione
di indeterminatezza dei “costi” dei due contratti sollevata dall’opponente.

Parimenti assolutamente pretestuosa risulta la pretesa di parte opponente di qualificabilità
giuridica della fideiussione prestata dall’esponente in favore della Banca
nell’alveo delle fideiussioni omnibus (
ad avviso dell’esponente da ritenersi inoperanti per le obbligazioni sorte
successivamente all’entrata in vigore del novellato art. 1956 c.c.) posto che
nella specie si è trattato di fideiussioni prestate per importi determinati
(rispettivamente di £. 70.000.000 e di £. 50.000.000: cfr. la
documetazione agli atti).

Inoltre, dall’esame delle risultanze della esperita CTU ed a prescindere dalla legittimità o meno della
capitalizzazione applicata, non sono ravvisabili nella contabilità dei
contratti di conto corrente di cui è causa né anomalie contabili di altra
natura rispetto alle pattuizioni negoziali (neanche in ordine al computo della
valute avvenuto in conformità alle previsioni contrattuali: cfr. gli analitici allegati della CTU) né il superamento del
tasso soglia ex L. n.108/96.

Al riguardo, l’addebito da parte
della Banca- nelle more del rapporto di cui è causa ed in variazione del tasso
d’interessi originariamente pattuito ex art.118 TUB- di un interesse
convenzionale pari al prime rate ABI e come tale rispettoso dei nuovi tassi
soglia ex L. n. 108/96 sopravvenuti all’instaurazione
del rapporto è stato riscontrato dal CTU nella documentazione contabile in
atti.

Inoltre, prescindendo in tale fase
dal profilo della legittimità o meno del sistema di capitalizzazione
pattuito in contratto ed affrontando in tale sede il diverso aspetto relativo alla legittimità
o meno dell’applicazione in concreto operata dalla banca medesima,
successivamente alla revoca del fido, dei tassi debitori fido ed extra fido
convenzionali, come originariamente pattuiti, deve riconoscersi la piena legittimità di siffatta applicazione sulla
base delle considerazioni che seguono.

La Cassazione costante afferma che “quando il contratto di conto corrente
bancario prevede, sulle esposizioni debitorie del
cliente- come nella specie- la corresponsione di interessi
ultralegali, l’obbligo dei maggiori interessi contrattualmente pattuiti
continua anche per il periodo successivo al recesso della banca ed alla revoca
dei fidi, in virtù dell’art.1224, comma I, c.c. per
il quale, se prima della mora sono dovuti interessi in misura superiore a
quella legale, gli interessi moratori
vanno corrisposti anche successivamente nella stessa misura convenzionalmente
concordata ( cfr. Cass. N. 5438/97; Cass. N.9791/94; Cass. N. 7571/92; Cass. N.3760/85).

Inoltre, nel caso in cui il tasso
d’interesse ultralegale sia pattuito in misura variabile, gli interessi
moratori successivamente alla revoca dei fidi vanno
corrisposti anche successivamente nella stessa misura variabile, in quanto
l’art.1224 I comma c.c. si riferisce alla disciplina
contrattuale dell’obbligazione, che così si perpetua anche dopo la scadenza (
cd.principio della “perpetuatio obligationis” ), e
non al tasso di interesse ultralegale dovuto all’atto della scadenza
dell’obbligazione; ne consegue che la disciplina di cui all’art. 1224 I comma
c.c. è comprensiva delle variazioni del tasso d’interesse che, pur
sopravvenendo durante la mora debendi, siano ricollegabili
all’originario patto di quantificazione degli interessi oltre la misura legale
( cfr. Cass. N. 5438/97; Cass. N.9791/94;
Cass. N. 7571/92; Cass. N.3760/85;
Trib. Roma 20.9.1996).

Peraltro, sotto diverso profilo, si
deve puntualizzare che la revoca del fido e la chiusura del conto non vanno
confuse con l’estinzione del rapporto contrattuale, in quanto il conto corrente
di corrispondenza si estingue non già al momento della chiusura contabile del
conto, con successivo passaggio a sofferenza, ma soltanto nel momento del
pagamento delle somme utilizzate. Infatti, la chiusura del conto è
un’operazione soltanto contabile, a fronte della quale il saldo viene “girato” a sofferenza, confluendo così in un altro
conto soltanto per ragioni di gestione
contabile e non già quale effetto di estinzione del rapporto. Lo stesso recesso
della banca che precede questa operazione, se da un
lato comporta il venir meno del potere
di disporre dell’accreditato, non determina l’estinzione del rapporto che
avverrà, invece, soltanto a restituzione
avvenuta.

Orbene, una volta riconosciuta, per
le precedenti considerazioni, la legittimità dell’applicazione al saldo passivo
di chiusura da parte della banca del tasso degli
interessi convenzionali e delle altre competenze di cui si discute, deve a
questo punto essere affrontata la diversa questione della legittimità o meno
della capitalizzazione degli interessi passivi operata dalla banca durante il
rapporto nella misura analiticamente ricostruita dal CTU.

Si è già detto
che nel rapporto bancario di cui è causa la capitalizzazione degli interessi
debitori è avvenuta trimestralmente.

Al riguardo questo Giudice condivide
l’arresto interpretativo della costante giurisprudenza di legittimità, ormai
consacrato anche dalle S.U. della Cassazione (sentenza n. 21095 del
7.10/4.11.2004) e, quindi da ritenersi definitivamente consolidatosi sul punto,
il quale- com’è noto- ha statuito l’illegittimità del fenomeno della capitalizzazione trimestrale degli interessi in materia
bancaria, in quanto prassi contraria alla norma imperativa di cui all’art. 1283
c.c. e non trasfusa in un uso normativo, con conseguente nullità ex tunc ex artt. 1283/1284/1419 c.c. delle clausole negoziali di capitalizzazione trimestrale degli interessi
passivi anche in relazione ai periodi anteriori al noto mutamento
giurisprudenziale avvenuto nel 1999 ( cfr. Cass. S.U. n.
21095/2004; Cass. N. 2593/2003; Cass. N. 17813/2002; Cass. N. 8442/2002; Cass.
N. 4490/2002; C.Cost. n. 425/2000; per la giurisprudenza di
merito cfr. Trib Torino 7.1.2003; Trib. Napoli 27.11.2002; Trib Roma 8.11.2002; Corte App.
L’Aquila 11.6.2002).

Inoltre, tale conclusione appare
legittima anche con riferimento al contratto di conto corrente bancario, non
condividendosi le argomentazioni talvolta utilizzate da una giurisprudenza
minoritaria ( cfr. Trib. Roma 27.1.2003; Trib. Palermo 6.9.2002) a sostegno dell’applicabilità a tale
“tipo” negoziale dell’anatocismo cd
“indiretto” ( in quanto mediato dal meccanismo di chiusura del conto) ex art.
1831 c.c. previsto per il conto corrente ordinario: in particolare si contesta
l’applicabilità della norma appena menzionata al conto corrente bancario, sia
per l’insuperabilità del dato testuale dell’art. 1857 c.c. (che non richiama
tale norma per il conto corrente bancario), sia in quanto l’interpretazione
analogica non può essere richiamata in ragione della profonda diversità di
ratio tra il conto corrente ordinario-che prevede l’esigibilità a vista del
saldo ex art. 1852 c.c., e conto corrente bancario,
che prevede l’inesigibilità delle prestazioni ex art. 1823 c.c..
Per cui, se il saldo del conto corrente bancario è esigibile in ogni momento,
non ha senso applicare l’art. 1831 c.c., in quanto
tale norma ha la funzione di rendere esigibile il saldo per il conto corrente
ordinario (per la indiscutibile applicazione della disciplina di cui all’art.1283 c.c. anche ai contratti
bancari in c/c si veda la sentenza delle S.U. Cass. n.
21095/04 più volte citata; cfr. Cass. N.
6558/1997; C. App. Lecce n. 598/2001).

La capitalizzazione
trimestrale applicata dalla banca nei rapporti di conto corrente garantiti di
cui è causa deve pertanto essere dichiarata illegittima.

Né una tale declaratoria di illegittimità è inibita -come invece sostenuto da parte
opposta (peraltro soltanto in sede di comparsa conclusionale)- dalla mancata contestazione da parte degli
opponenti degli estratti conto in pendenza di rapporto; infatti è noto che la
mancata tempestiva contestazione dell’estratto conto trasmesso da una banca al
cliente rende inoppugnabili gli addebiti
soltanto sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto i profili
della validità e dell’efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite
inserite nel conto derivano: in tal caso, infatti, l’impugnabilità investe direttamente
il titolo ed è regolata dalle norme generali sui contratti ( cfr. Cass. N.
12507/1999; Cass. N. 1978/1996; Trib. Genova sent. 5.5.2002; C.App. Lecce n.
598/2001).

A questo punto, va affrontata la
questione relativa agli effetti della illegittimità
della capitalizzazione degli interessi: in particolare, occorre stabilire se,
al di là della sicura impossibilità di capitalizzare gli interessi con
frequenza trimestrale, debba essere esclusa qualsiasi capitalizzazione ovvero
possa individuarsi una diversa frequenza di legittima capitalizzazione degli
interessi (a favore di entrambe le parti del rapporto).

Al riguardo una
parte della giurisprudenza di merito, seguita anche da alcuni Giudici di questo
Tribunale, si è più volte espressa in favore del riconoscimento, pur in
presenza di una clausola anatocistica nulla ex art.
1283 c.c., di una capitalizzazione annuale degli
interessi comunque ricavabile dal sistema normativo codicistico
dettato per le obbligazioni pecuniarie, nel cui alveo e nella cui disciplina
sarebbero pienamente riconducibili- secondo la tesi in discorso- anche le
obbligazioni di interessi.

In particolare,
questa posizione ermeneutica, partendo dalla premessa che “l’art.1283 c.c. non vieta il fenomeno
dell’anatocismo in sé ( consentendo, pur nel concorso delle condizioni della
convenzione posteriore ovvero della domanda giudiziale, l’applicazione del
meccanismo anatocistico agli interessi maturati per
almeno sei mesi) bensì vieta soltanto in assoluto una frequenza infrasemestrale di applicazione dell’anatocismo ed in
mancanza di determinati requisiti l’anatocismo semestrale”, conclude sostenendo
che la medesima norma permetterebbe un “fenomeno anatocistico
con cadenza ultrasemestrale”. Al riguardo, si osserva che “sarebbe possibile
individuare nell’art.1284 comma I c.c.
la fonte di un fenomeno legale di anatocismo annuale ( ovvero di
risarcimento forfettario, con cadenza annuale, del danno da inadempimento
dell’obbligazione pecuniaria di interessi)”.

Infatti- si
osserva- tale norma, nel prevedere che “
il saggio degli interessi legali è determinato […] in ragione di anno”,
individuerebbe, oltre ad un criterio di determinazione del tasso degli
interessi dovuti, anche un principio generale di naturale scadenza ed
esigibilità annuale degli interessi. Da tale scadenza conseguirebbe anche
l’effetto, proprio della scadenza di ogni
obbligazione, del risarcimento del danno da inadempimento, regolato, per le
obbligazioni pecuniarie come quella di interessi, dall’art.1224
c.c.. Da tutto ciò dovrebbe quindi desumersi che “ex lege
( in mancanza di convenzione contraria nei limiti consentiti dall’ordinamento)
gli interessi producono interessi con cadenza annuale”.

Orbene, a parere di questo Giudice
una siffatta tesi non appare condivisibile in quanto non sembra rispettosa di due
fondamentali principi di diritto: da un lato della natura imperativa e non
derogabile della disciplina codicistica dettata dall’aret.
1283 c.c. per regolare il fenomeno dell’anatocismo, e dall’altro della
“specialità” dell’obbligazione di interessi rispetto al “genus” delle obbligazioni pecuniarie.

Al riguardo assume assoluto rilievo
quanto le stesse Sezioni Unite della Cassazione hanno chiaramente affermato
nella sentenza n.
9653 del 17.7.2001 in relazione sia all’anatocismo sia alla natura
dell’obbligazione di interessi.

In particolare le Sezioni Unite-
chiamate a dirimere un contrasto giurisprudenziale sorto sulla questione della
configurabilità o meno dell’obbligazione di interessi
(anche quando sia stata adempiuta l’obbligazione principale) come una qualsiasi
obbligazione pecuniaria dalla quale derivi quindi anche il diritto agli
ulteriori interessi di mora nonché al risarcimento del maggior danno (ex art.
1224 comma II c.c.) ovvero come una obbligazione sui generis soggetta soltanto
alla regola dell’anatocismo, ha affermato i seguenti principi di diritto:

· Il debito di interessi pur concretandosi
nel pagamento di una somma di denaro, non si configura come
una obbligazione pecuniaria
qualsiasi, ma presenta connotati
specifici, sia per il
carattere di accessorietà rispetto all’obbligazione relativa al
capitale, sia per
la funzione (genericamente remuneratoria) che gli interessi rivestono, sia per
la disciplina prevista dalla
legge proprio in relazione agli interessi scaduti.

· In contrario non varrebbe opporre che il
connotato di accessorietà concerne
il momento genetico
dell’obbligazione di pagamento degli interessi, destinata invece ad assumere
nella c.d. fase dinamica una propria
autonomia, palesata dall’apposita previsione di un termine di prescrizione (art.
2948, n. 4, cod. civ.),
dalla possibilità di disporre separatamente del credito per
interessi rispetto a quello di capitale,
dalla possibilità di agire in
giudizio indipendentemente dalla
proposizione della domanda per il
credito principale. Questi rilievi sono esatti
ma, non incidono sull’obbligazione de qua
in guisa tale da trasformarne la natura, perché non alterano la già segnalata funzione degli
interessi e, soprattutto, non valgono a
rimuovere le implicazioni desumibili dalla specifica disciplina degli interessi
scaduti.

· E lo stesso deve dirsi in relazione
all’argomento secondo cui,
quando l’obbligazione
principale sia già estinta per
adempimento da parte del debitore, l’obbligazione per
interessi dovrebbe comunque
assumere carattere autonomo. Pur
postulando tale autonomia (che pero’ non puo’ portare a considerare irrilevante il momento genetico
di quell’obbligazione),
essa non è
idonea a trasformare
la causa (funzione) dell’obbligazione medesima fino a
rendere il debito per gli interessi scaduti una obbligazione pecuniaria come tutte
le altre.

· Invero gli interessi scaduti, se equiparati
in toto ad una qualsiasi obbligazione pecuniaria
(credito liquido ed esigibile di una somma di denaro), sarebbero stati automaticamente
produttivi d’interessi di pieno
diritto, ai sensi dell’art. 1282
cod. civile.

· Tale
effetto, invece, è escluso dal successivo art. 1283 (dettato
a tutela
del debitore ed applicabile per ogni specie d’interessi, quindi anche
per gli interessi moratori), alla
stregua del quale, in mancanza di usi
contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo
dal giorno della domanda
giudiziale o per
effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si
tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi (c.d. anatocismo
o interessi composti).

· La
citata disposizione non comporta
soltanto un limite al principio generale di cui all’art. 1282 cod. civ., ma vale anche a rimarcare la particolare natura che,
nel quadro delle obbligazioni pecuniarie,
la legge attribuisce al debito
per interessi, con la previsione di una
disciplina specifica, che si pone come derogatoria rispetto a quella generale in
tema di danni nelle obbligazioni
pecuniarie, stabilita dall’art. 1224
cod. civile, e che proprio per il suo
carattere di specialità deve
prevalere su quest’ultima norma. (sulla
natura “eccezionale” della norma di cui all’art. 1283 c.c.,
cfr. ex multis anche Cass.
N. 14912/2001).

· Se cosi’ non
fosse, del resto, l’art. 1224 c.c. verrebbe ad
assorbire tutto il campo
applicativo dell’art. 1283,
che resterebbe circoscritto ai casi in
cui il debito per interessi è
quantificato all’atto della
proposizione della domanda. Ma una simile limitazione
dell’ambito applicativo del citato art. 1283 cod. civ. non emerge da
tale norma e
viene anzi a porsi con essa in
contrasto, perché trascura la
peculiare natura del debito per interessi sopra segnalata ed elude,
almeno in parte, la finalità di tutela per la posizione del
debitore che la norma ha previsto stabilendo in quali casi e con quali
presupposti gli interessi scaduti possono essere produttivi di altri interessi.

· D’altro canto, non
sarebbe neppure conforme
al principio di
ragionevolezza un approdo
ermeneutico
che, in presenza
di obbligazioni di pagamento
aventi natura e
contenuto identici (interessi),
rendesse applicabile al debitore che ha già
pagato il debito principale
l’art. 1224 cod. civ. ed al debitore
totalmente inadempiente, e quindi convenuto per il pagamento del
capitale e degli interessi,
l’art. 1283 in
relazione a questi ultimi.

· Conclusivamente, il debito per interessi (anche
quando sia stata adempiuta l’obbligazione principale)
non si configura
come una qualsiasi obbligazione
pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonché al risarcimento del
maggior danno ex art. 1224 comma
II cod. civ., ma resta soggetto alla regola
dell’anatocismo di cui all’art. 1283
cod. civ., derogabile
soltanto dagli usi contrari ed
applicabile a tutte le obbligazioni aventi
ad oggetto originario il
pagamento di una somma di denaro
sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura” (per il
conseguente corollario per cui gli interessi non perdono la loro natura, ai
fini della loro eventuale capitalizzazione, per effetto della loro inclusione
nei ratei di ammortamento dei mutui, cfr. ex multis Cass. N. 2593/2003).

L’attualità e l’autorità di siffatto
precedente ha orientato nello stesso senso la
giurisprudenza di legittimità successiva (cfr. Cass
n. 2439/2002; Cass. N. 2771/2002; Cass. N. 4133/2003).

Orbene, dai predetti chiari e
generali principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite della Cassazione, da
coordinarsi con gli altri definitivi arresti ermeneutici
effettuati dalla Giurisprudenza di Legittimità nella materia bancaria di cui
quivi si discute e con una debita considerazione della ratio dell’art. 1283 c.c., derivano- ad avviso di
questo Giudice e pur nella consapevolezza di discostarsi dall’orientamento più
volte accolto anche da altri Giudici di questo Tribunale- le seguenti obbligate
conclusioni:

· L’art. 1283 c.c-
norma espressamente dettata dal legislatore per disciplinare il fenomeno
dell’anatocismo- è norma imperativa e di natura eccezionale che ammette la capitalizzazione degli interessi soltanto a determinate
condizioni, prevedendo che gli interessi scaduti possono produrre a loro volta
interessi solo dal giorno della domanda giudiziale (purché questa sia in modo
specifico rivolta ad ottenere il pagamento degli interessi sugli interessi
scaduti, non essendo a ciò sufficiente la domanda dei soli interessi
principali: cfr. ex multis
Cass. N. 22565/2004 in motivazione; Cass. nn.
5271/2002; 15838 e 7407/2001; 8377/2000; 5035/1999;Cass. N. 2381/1994; Cass. N. 9311/1990; Cass. N. 4088/1988)
o per effetto di una convenzione fra le parti successiva alla scadenza degli
stessi, e sempre che si tratti di interessi dovuti per
almeno un semestre, salvo usi contrari ( per le ragioni per cui il codice
vigente, con l’art. 1283, mentre ha conservato il requisito della domanda
giudiziale ha ridotto, rispetto alla
disciplina del codice civile abrogato, l’entità degli interessi scaduti- sui
quali si applicano gli interessi anatocistici- a sei
mesi, si veda il rilievo risultante dalla relazione sul
progetto ministeriale per cui" il valore odierno della moneta consente di
ritenere che con l’importo di un semestre di interessi si può costituire una
somma rilevante che il creditore potrebbe utilizzare come capitale",
rilievo debitamente sottolineato da Cass. N. 9311/1990).

· Ciò- come più volte ribadito dalla
stessa Giurisprudenza di Legittimità- onde prevenire fenomeni usurari e
consentire al debitore di conoscere i maggiori costi comportati dal suo
inadempimento (onere della domanda giudiziale) e comunque di calcolare, al
momento della stipula della convenzione, l’esatto ammontare del suo debito.
Richiedendo che l’apposita convenzione sia successiva
alla scadenza degli interessi, il legislatore mira anche ad evitare che
l’accettazione della clausola anatocistica possa
essere utilizzata come condizione che il debitore deve necessariamente accettare
per poter accedere al credito (così Cass. N. 2593/2003; Corte d’Appello Milano,
sent. del 28.1.2003).

· Infatti, la disposizione limitativa di
cui all’art. 1283 cod. civ. trova la propria ragione
nella natura del debito di interessi e nel particolare sfavore con cui il
legislatore- nel solco di una tradizione di avversità ad un fenomeno percepito
quale forma di esercizio dell’usura – ha
inteso considerare la capitalizzazione degli interessi, in coerenza con le
altre restrizioni previste per gli interessi superiori a quelli legali (così
testualmente Cass. N. 2381/1994).

· Il tenore letterale e la ratio
dell’art. 1283 c.c. consentono di ravvisare nella norma in esame un principio
di carattere generale, derogabile soltanto dagli usi contrari (configurati come
usi normativi) (così Cass. N. 2381/1994 in motivazione).

. Gli usi contrari di cui all’art. 1283
c.c. sono usi normativi, inesistenti nella specifica materia bancaria di cui si
tratta.

· In mancanza di usi
contrari e delle condizioni imperative alla cui effettiva sussistenza la norma
di cui all’art. 1283 c.c. consente l’anatocismo, la clausola anatocistica pattuita (non per effetto di una “convenzione
fra le parti successiva alla scadenza degli interessi” ex art. 1283 c.c. ma) in
via anticipata e (non in relazione a “interessi dovuti per almeno un semestre
ex art. 1283 c.c.“ ma) prima della scadenza di qualsivoglia
interesse, va dichiarata nulla per contrasto con la norma imperativa di cui
all’art. 1283 c.c. (cfr. negli stessi termini Corte
d’Appello Milano, sent. del
28.1.2003 citata; cfr. Trib. Mantova
sentenza 16.1.2004; cfr. App. Torino 21.1.2002).

· Atteso che la contrarietà alla
norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. involge- ovviamente- l’intero
contenuto della clausola (e non solo, quindi, la parte di essa
relativa alla periodicità della capitalizzazione), è la pattuizione in
contratto dell’anatocismo ad essere nulla, onde secondo i principi generali,
trattasi di contratto ab origine privo di
qualsivoglia pattuizione di capitalizzazione, trimestrale come annuale come di
diversa periodicità.

· Non vi è possibilità di
sostituzione legale o di inserzione automatica di
clausole prevedenti capitalizzazioni di diversa periodicità, in quanto
l’anatocismo è consentito dal sistema – con norma eccezionale e derogatoria
(cfr. le citate Sezioni Unite della Cassazione)-
soltanto in presenza di deteminate condizioni (quelle
di cui all’art. 1283 c.c.), in mancanza delle quali esso rimane giuridicamente
non pattuito tra le stesse.

· Ricavare dal sistema- pur in presenza
di pattuizione di anatocismo violativa delle
condizioni imperative di cui all’art. 1283 c.c.- una
capitalizzazione con periodicità più lenta quale quella annuale “rinvenuta” nel
“sistema di cui agli artt. 1282/1284/1224 c.c. vorrebbe
dire sia derogare alla natura imperativa ed inderogabile di cui all’art. 1283 c.c., norma dettata “ad hoc” per prevedere a quali
condizioni l’interesse semplice può diventare interesse composto, sia
“frustrare” la citata ratio di tutela del debitore pecuniario ad essa sottesa
(per la quale l’art. 1283 c.c. ha dettato le precise condizioni della
capitalizzazione), sia “immaginare” un anatocismo generale e “di sistema”
ulteriore e “di riserva” (residuale)
rispetto all’anatocismo “di cui
all’art. 1283 c.c. (così degradato da anatocismo “esclusivo”, ossia il solo
previsto dal sistema, ad anatocismo speciale rispetto a quello “generale”
annuale), sia privare di senso e di
funzioni la stessa previsione della disciplina di cui all’art. 1283 c.c., sia ed in definitiva assimilare in toto l’obbligazione di interessi alla “remuneratività”
delle comuni obbligazioni pecuniarie pur
nella riferita differenza ontologica delle stesse.

· Solo in mancanza della previsione
legislativa della norma speciale di cui all’art. 1283 c.c., gli interessi scaduti, in quanto costituenti a loro volta
un credito liquido ed esigibile di una somma di danaro avrebbero potuto
ritenersi in ogni caso produttivi automaticamente di interessi legali di pieno
diritto ai sensi dell’art. 1282 (così Cass. N. 9311/1990 in
motivazione, la quale ha affrontato per la prima volta la questione del saggio
degli interessi anatocistici ).

· La disciplina dell’art. 1283 c.c.
ha inciso sulla stessa natura degli interessi anatocistici:
essi non solo sono previsti dalla legge per ogni specie di interessi
e quindi anche per gli interessi moratori (sent. n. 3500/86), ma a loro volta, proprio perché la norma
esplica una funzione sostanzialmente protettiva della sfera giuridica del
debitore, essi non sono ammessi in ogni caso, ma soltanto alle due condizioni
di cui alla norma citata (cosi ancora Cass. N. 9311/1990 citata).

· L’unica
forma di legittimo collegamento e coordinamento tra l’art. 1283 c.c. ed il
successivo art. 1284 c.c. è quella per cui sugli interessi scaduti almeno per
un semestre (art. 1283 c.c.) sono dovuti dalla domanda giudiziale gli interessi
anatocistici al tasso legale (art. 1284 comma 1
c.c.), a meno che le parti abbiano convenuto per iscritto un saggio di
interessi extralegali posteriormente alla loro scadenza (artt. 1224/1284 c.c.)
(cfr. Cass. N. 9311/1990): in altri termini, dall’art. 1284 (e dall’art.1224 c.c.) c.c. si può ricavare soltanto il saggio degli
interessi anatocistici, qualora questi siano dovuti ex art. 1283 c.c.,
non anche una debenza degli stessi pur in mancanza
delle condizioni di cui all’art. 1283 c.c..

· Che questo, e questo soltanto, sia
il coordinamento tra le due norme trova piena conferma dal raffronto tra l’art.
1283 c.c. ed il
corrispondente art. 1232 del codice abrogato

· L’art. 1232 comma 1 c.c. 1865 così
statuiva: "Gli interessi scaduti possono produrre altri interessi o nella
tassa legale in forza di giudiziale domanda e dal giorno di questa, o nella
misura che verrà pattuita in forza di una convenzione
posteriore alla scadenza dei medesimi".

· L’art. 1283 c.c. vigente è così
concepito: "In mancanza di usi contrari, gli
interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda
giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre
che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi".

· La Cassazione al riguardo
ha già osservato (cfr. Cass. N. 9311/1990 citata) come la ragione per la quale
il codice vigente non ha riprodotto letteralmente la locuzione "interessi
al tasso legale" del codice abrogato non risiede in una esigenza
di innovazione della disciplina anteriore, ma nella circostanza che mentre
l’art. 1232 aveva distinto gli interessi anatocistici
in interessi al tasso legale dalla domanda giudiziale o nella misura pattuita
con convenzione posteriore alla loro scadenza, il nuovo testo, nel riprodurre
sostanzialmente la precedente disciplina (con la sola riduzione da un anno, di
cui al 3 comma dell’art. 1232
a sei mesi degli interessi scaduti), non ha più fatto riferimento
al tasso degli interessi, ritenendo che questi trovassero la loro disciplina
nel successivo art. 1284.

· L’art. 1283, in realtà, nella
nuova formulazione, sintetizzando il concetto già espresso dal corrispondente
art. 1232, lungi dal voler modificare il tasso degli interessi anatocistici, l’ha del tutto confermato secondo la
disciplina anteriore. La norma, con la nuova formulazione non poteva più fare
riferimento agli interessi anatocistici come interessi al tasso legale sugli interessi scaduti perché nel
contesto dello stesso periodo ha fatto anche riferimento agli interessi anatocistici convenzionali per i quali non è estensibile il
tasso degli interessi legali che può valere soltanto per gli interessi anatocistici legali (cfr. Cass. N. 9311/1990 citata),

Ne deriva quindi ed in definitiva, che in
mancanza, come nella specie, di una valida pattuizione anatocistica,
nessuna capitalizzazione, né annuale, né semestrale,
può essere riconosciuta alla BANCA.

Nessun adempimento spontaneo di
un’obbligazione naturale (con conseguente irrepetibilità
di quanto pagato) può infine ed ovviamente rinvenirsi nel comportamento del
correntista che abbia versato somme maggiori in
pagamento di anatocismi pattuiti in contratto, quindi in adempimento di
un’obbligazione giuridica, ancorché in forma invalida e non già di un mero
dovere morale o sociale.

Infine, nessuna prescrizione
(decennale) del diritto di ripetizione di somme versate in eccedenza-
prescrizione peraltro dedotta dalla opposta in modo
assolutamente generico- può rinvenirsi
nella specie, posto che i rapporti bancari di cui è processo sono sorti nel
1995 e la domanda giudiziale di parte opponente è stata presentata nel 2001.

Pertanto, nella rideterminazione
del saldo debitore dei conti correnti depurati di qualsivoglia capitalizzazione degli interessi convenzionali, detto saldo
va individuato, alla data della domanda monitoria, nella misura di € 22.840,66.
a debito del correntista e quindi anche del fideiussore.

Pertanto, essendo di tale entità l’ammontare del debito di cui deve rispondere
l’ingiunto, deve essere revocato il decreto ingiuntivo impugnato, essendo il
medesimo stato emesso per una somma di denaro (£. 55.193.376 pari ad €
28.504,99) superiore
a quella oggetto dell’effettivo credito esistente in capo alla banca
ingiungente.

La considerazione sia del fatto che
il credito di parte opponente come giudizialmente accertato è inferiore in
misura non irrilevante rispetto al credito azionato in sede monitoria, sia
della novità della soluzione quivi accolta anche rispetto alla giurisprudenza
di questo Tribunale, legittima la compensazione integrale delle spese
processuali, mentre le spese vive di CTU devono porsi definitivamente a carico di entrambe le parti in solido, nella misurea
del 50%, in ragione della loro soccombenza reciproca, con i conseguenti
conguagli in favore di quella che ne abbia anticipato gli importi durante il
giudizio.

Si precisa infine che il deposito
della presente sentenza oltre i termini di cui all’art. 281 quinquies
c.p.c. è dipeso dal congedo temporaneo giustificato dal lavoro del
Giudicante nel periodo dicembre
2004/febbraio 2005.

P.Q.M.

il Tribunale, in persona del Giudice
Unico, definitivamente pronunciando nel giudizio di opposizione iscritto al R.G. N. 85/2001 promosso da M. D. con atto di citazione
notificato in data 2.1.2001 nei confronti della Società CASSA DI RISPARMIO DI
PESCARA e LORETO APRUTINO S.P.A.,
in persona del Presidente e Legale Rappresentante pro tempore Dott. Nicola Mattoscio, con sede in Pescara, avverso il decreto
ingiuntivo n.1196/2000 emesso dal Tribunale di
Pescara, così decide :

in parziale accoglimento
dell’opposizione proposta dall’opponente

DICHIARA

Che il debito che parte opponente ha
nella veste di fideiussore nei confronti di parte opposta relativamente
al saldo debitore dei due contratti di conto corrente bancario nn. 18786/95 e 17674/95 meglio indicati in motivazione,
depurato delle capitalizzazioni d’interessi vietate, alla data del deposito del
ricorso per decreto ingiuntivo, era pari
ad € 22.840,66.

Per l’effetto

REVOCA

Il decreto ingiuntivo impugnato

CONDANNA

Parte opponente al pagamento in
favore di parte opposta della somma di € 22.840,66, oltre interessi
convenzionali di mora, nella misura del prime rate Abi
tempo per tempo vigente , dalla data del deposito del ricorso per decreto
ingiuntivo sino al saldo effettivo.

RIGETTA

Tutte le altre domande ed eccezioni.

COMPENSA

Integralmente le spese del giudizio,
salvo le spese della esperita CTU che pone
definitivamente a carico di entrambe le parti in solido, nella misura del 50%
per ciascuna, con i conseguenti conguagli in favore di quella che ne abbia
anticipato gli importi durante il giudizio.