Civile

Thursday 27 February 2003

Brevetti. Obbligo per i consulenti di iscrizione all’ albo italiano e di residenza o domicilio. Ancora una condanna per l’ Italia da parte della Corte di Giustizia Europea. Corte di Giustizia dell’Unione Europea – Sezione Sesta. Sentenza 13 febbraio 2003

Brevetti. Obbligo per i consulenti di iscrizione allalbo italiano e di residenza o domicilio. Ancora una condanna per lItalia da parte della Corte di Giustizia Europea

Corte di Giustizia dell’Unione Europea – Sezione Sesta

Sentenza 13 febbraio 2003

Inadempimento di uno Stato – Artt. 49 CE – Libera prestazione dei servizi – Consulenti in materia di brevetti –

Obbligo di iscriversi all’albo dei consulenti in materia di brevetti dello Stato membro ospitante –

Obbligo di avere una residenza o un domicilio professionale nello Stato membro ospitante

Nella causa C-131/01,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. B. Mongin e R. Amorosi, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. U. Leanza, in qualità di agente, assistito dal sig. O. Fiumara, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto un ricorso diretto a far dichiarare che, mantenendo una regolamentazione che impone ai consulenti in materia di brevetti stabiliti in altri Stati membri di essere iscritti all’albo italiano dei consulenti in materia di brevetti e di avere una residenza o un domicilio professionale in Italia per prestare servizi dinanzi all’Ufficio italiano dei brevetti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono ai sensi degli artt. 49 CE – 55 CE, relativi alla libera prestazione dei servizi,

LA CORTE (Sesta Sezione),

composta dai sigg. J.-P. Puissochet, presidente di sezione, R. Schintgen e C. Gulmann, dalla sig.ra F. Macken e dal sig. J.N. Cunha Rodrigues (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. P. Léger

cancelliere: sig. R. Grass

vista la relazione del giudice relatore,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 settembre 2002,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1.

Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 21 marzo 2001, la Commissione delle Comunità europee ha presentato, ai sensi dell’art. 226 CE, un ricorso diretto a far dichiarare che, mantenendo una regolamentazione che impone ai consulenti in materia di brevetti stabiliti in altri Stati membri di essere iscritti all’albo italiano dei consulenti in materia di brevetti e di avere una residenza o un domicilio professionale in Italia per prestare servizi dinanzi all’Ufficio italiano dei brevetti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono ai sensi degli artt. 49 CE – 55 CE, relativi alla libera prestazione dei servizi.

Normativa nazionale

2.

L’art. 94 del regio decreto 29 giugno 1939, n. 1127, recante disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali (GURI n. 215 del 7 agosto 1979, pag. 6597), nella sua versione risultante dal decreto del presidente della Repubblica 22 giugno 1979, n. 338, recante revisione della legislazione nazionale in materia di brevetti, in applicazione della delega di cui alla legge 26 maggio 1978, n. 260 (in prosieguo: il «decreto n. 1127/39»), stabilisce:

«Nessuno è tenuto a farsi rappresentare da un mandatario abilitato nelle procedure di fronte all’Ufficio centrale brevetti; le persone fisiche e giuridiche possono agire per mezzo di un loro dipendente anche se non abilitato.

Il mandato può essere conferito soltanto a mandatari iscritti in un albo all’uopo tenuto dall’Ufficio centrale brevetti.

Il mandato può anche essere conferito a un avvocato o procuratore legale iscritto nel rispettivo albo professionale».

3.

L’art. 2 del decreto ministeriale 30 maggio 1995, n. 342, intitolato «Regolamento recante l’ordinamento della professione di consulente in proprietà industriale e la formazione del relativo albo» (GURI n. 192 del 18 agosto 1995, pag. 15; in prosieguo: il «decreto n. 342/95»), sottopone l’iscrizione all’albo italiano dei consulenti in materia di brevetti alle seguenti condizioni:

«Può essere iscritta all’albo dei consulenti in proprietà industriale abilitati qualsiasi persona fisica che:

(…)

c) abbia la residenza ovvero un domicilio professionale in Italia, salvo che si tratti di cittadino di Stati che consentono ai cittadini italiani l’iscrizione a corrispondenti albi senza tale requisito;

d) abbia superato l’esame di abilitazione di cui all’articolo 6 o abbia superato la prova attitudinale prevista per i consulenti in proprietà industriale al comma 2 dell’articolo 6 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115».

4.

L’art. 6, secondo comma, del decreto legislativo della repubblica italiana 27 gennaio 1992, n. 115, intitolato «Attuazione della direttiva n. 89/48/CEE relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni» (GURI n. 40 del 18 febbraio 1992, pag. 6; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 115/92»), stabilisce:

«Il riconoscimento [dei titoli di formazione professionale acquisiti nella Comunità europea] è subordinato al superamento di una prova attitudinale se riguarda le professioni di procuratore legale, di avvocato, di commercialista e di consulente per la proprietà industriale».

5.

Ai sensi dell’art. 13, primo comma, del decreto legislativo n. 115/92, «[i]l decreto di riconoscimento attribuisce al beneficiario il diritto di accedere alla professione e di esercitarla, nel rispetto delle condizioni richieste dalla normativa vigente ai cittadini italiani, diverse dal possesso della formazione e delle qualifiche professionali».

Fase precontenziosa del procedimento

6.

Con lettera di diffida 29 luglio 1998 la Commissione ha comunicato al governo italiano che, a suo parere, gli artt. 94 del decreto n. 1127/39 e 2 del decreto n. 342/95 erano incompatibili con gli artt. 49 CE – 55 CE ed ha invitato tale governo a inviarle le proprie osservazioni al riguardo.

7.

Secondo la Commissione è eccessivo richiedere ai consulenti in materia di brevetti stabiliti in altri Stati membri, dove esercitano legittimamente la loro professione, che si iscrivano nel relativo albo italiano, previo superamento di una prova attitudinale, e acquisiscano una residenza o un domicilio professionale in Italia anche per svolgere una singola e occasionale prestazione dinanzi all’Ufficio italiano dei brevetti. Siffatti requisiti non sarebbero giustificati da motivi imperativi di pubblico interesse né sarebbero proporzionati allo scopo perseguito, e costituirebbero di conseguenza un ostacolo ingiustificato alla libera prestazione dei servizi.

8.

Ritenendo insoddisfacente la risposta delle autorità italiane, la Commissione ha inviato loro, in data 4 agosto 1999, una lettera di diffida complementare, nella quale ha ribadito le sue censure, aggiungendo che gli artt. 6, secondo comma, e 13, primo comma, del decreto legislativo n. 115/92 sono incompatibili con la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU L 19, pag. 16), in quanto subordinano l’esercizio, anche in forma sporadica e irregolare, della professione di consulente in materia di brevetti al superamento di una prova attitudinale.

9.

Nella loro risposta del 12 ottobre 1999 le autorità italiane hanno contestato l’effettività dell’inadempimento loro addebitato.

10.

Il 17 febbraio 2000 la Commissione ha emesso un parere motivato con il quale invitava la Repubblica italiana ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi a tale parere entro due mesi a decorrere dalla sua notifica.

11.

Con lettera 14 novembre 2000 le autorità italiane hanno comunicato alla Commissione che mantenevano il loro punto di vista. Esse hanno fatto valere in particolare che la prova attitudinale prevista dal decreto legislativo n. 115/92 era conforme all’art. 4, n. 1, ultima frase, della direttiva 89/48 e che essa era giustificata, in particolare, al fine di evitare qualsiasi discriminazione a danno dei consulenti italiani in materia di brevetti.

12.

Insoddisfatta della risposta del governo italiano, la Commissione ha deciso d’introdurre il presente ricorso.

Sul ricorso

Sul regime dell’iscrizione obbligatoria all’albo italiano dei consulenti in materia di brevetti

Argomenti delle parti

13.

La Commissione rileva che il regime dell’iscrizione obbligatoria all’albo italiano dei consulenti in materia di brevetti, come è previsto nel diritto italiano, impedisce ai consulenti in materia di brevetti che esercitano regolarmente la loro professione in un altro Stato membro, nel quale sono stabiliti, di fornire una prestazione occasionale e temporanea di mandatario presso l’Ufficio italiano dei brevetti, per conto di clienti che si sono rivolti ad essi, se non sono iscritti in tale albo.

14.

La Commissione ritiene infatti che, anche se la Repubblica italiana può fissare norme che si applicano ai consulenti in materia di brevetti che si stabiliscono sul suo territorio, il fatto di applicare queste stesse regole ai consulenti in materia di brevetti stabiliti in altri Stati membri che intendono fornire una prestazione occasionale e temporanea in Italia e la cui professione è già regolamentata nello Stato membro di origine rappresenta un ostacolo alla libera prestazione dei servizi ai sensi dell’art. 49 CE.

15.

La Commissione fa presente a tal riguardo che, secondo la giurisprudenza della Corte, il principio della libera prestazione dei servizi può essere limitato solo da norme giustificate dall’interesse generale, nella misura in cui tale interesse non risulti garantito dalle norme alle quali il prestatore è soggetto nello Stato membro in cui è stabilito. Inoltre, tali restrizioni dovrebbero essere obiettivamente necessarie al fine di assicurare l’osservanza delle norme professionali e di garantire la tutela degli interessi da queste perseguiti. Spetterebbe allo Stato membro interessato dimostrare la necessità e la proporzionalità delle restrizioni alla libera prestazione dei servizi. Ora, una tale prova non sarebbe stata fornita nella fattispecie.

16.

Il governo italiano sostiene, in via principale, che l’esercizio, da parte dei consulenti in materia di brevetti, dell’attività di rappresentanza degli inventori presso un ufficio nazionale dei brevetti non è, per sua natura, né occasionale né temporanea ai sensi dell’art. 50 CE, di modo che tale attività non rientra nella sfera di applicazione delle disposizioni del Trattato CE sulla libera prestazione dei servizi.

17.

Infatti, l’attività di deposito e di registrazione di un’invenzione non costituirebbe una prestazione momentanea, ma si estenderebbe su un lungo periodo. Quest’attività comporterebbe un rapporto permanente con l’ufficio interessato durante tutto il periodo di esame (richieste di chiarimenti dell’ufficio, deposito di repliche, modifica della domanda ecc.) che può concludersi con la concessione o con il rifiuto del brevetto. Pertanto, l’attività di rappresentanza si estenderebbe su diversi anni.

18.

Il governo italiano ritiene che sia irrealistico pensare che un inventore si rivolga a un consulente in materia di brevetti per fargli compiere, come unico atto, il deposito diuna domanda di brevetto, e poi curi personalmente lui stesso o faccia curare da un altro consulente in materia di brevetti la procedura d’esame che ne consegue e che richiede un massimo di professionalità. Si tratterebbe in realtà di una prestazione complessa che richiede atti frequenti, periodici e continui.

19.

Anche supponendo che l’attività di cui trattasi possa essere esercitata a titolo temporaneo ai sensi dell’art. 50 CE, il governo italiano fa valere che l’iscrizione obbligatoria all’albo italiano dei consulenti in materia di brevetti, che è subordinata al superamento di un esame, mira a tutelare l’interesse generale relativo alla tutela degli interessi dei destinatari dei servizi di cui trattasi.

20.

Infatti, da un lato, in assenza di un’iscrizione sistematica a tale albo, le autorità italiane competenti si troverebbero nell’impossibilità di controllare il carattere occasionale dell’attività esercitata dal consulente in materia di brevetti stabilito in un altro Stato membro, tenuto conto del numero delle domande presentate all’Ufficio italiano dei brevetti. Inoltre, se, in un caso particolare, un controllo fosse effettuato, il titolare dell’invenzione correrebbe il rischio che la sua domanda venga dichiarata illegittima, il che sarebbe gravemente dannoso per i suoi interessi. D’altra parte, la normativa italiana di cui è causa consentirebbe di esercitare un controllo sulle competenze dei consulenti in materia di brevetti al fine di tutelare i destinatari dei servizi che essi forniscono contro i danni che possono derivare da consulenze giuridiche provenienti da persone che non hanno le attitudini professionali o etiche richieste.

Valutazione della Corte

21.

Occorre innanzi tutto verificare se sia fondata l’affermazione del governo italiano secondo cui l’attività di consulente in materia di brevetti non rientra nell’ambito delle disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi poiché non potrebbe essere esercitata a titolo «temporaneo» nello Stato membro in cui la prestazione è fornita.

22.

Dalla giurisprudenza della Corte risulta che il carattere «temporaneo» dell’esercizio di un’attività nello Stato membro ospitante, ai sensi dell’art. 50, terzo comma, CE, deve essere valutato non solo in rapporto alla durata della prestazione, ma anche tenendo conto della frequenza, periodicità o continuità di questa, e che la nozione di «stabilimento» ai sensi del Trattato comporta la possibilità per un cittadino comunitario di partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di origine (sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punti 25 e 27).

23.

Il criterio decisivo ai fini dell’applicazione del capitolo del Trattato relativo ai servizi ad un’attività economica è l’assenza di carattere stabile e continuativo della partecipazione dell’interessato alla vita economica dello Stato membro ospitante.

24.

Benché l’attività di rappresentanza del consulente in materia di brevetti dinanzi a un ufficio nazionale dei brevetti, consistente in particolare nel deposito e nellasorveglianza di domande di brevetti nonché nella tutela di questi ultimi, comporti una serie d’interventi che si prolungano nel tempo, non si può ritenere che l’esercizio di quest’attività comporti necessariamente una partecipazione stabile e continuativa alla vita economica dello Stato membro ospitante. Del resto, nulla impedisce a un destinatario di servizi di ricorrere a un consulente in materia di brevetti al fine dell’adempimento di uno o più atti specifici collegati all’esercizio dell’attività di cui trattasi. Gli inconvenienti che, secondo il governo italiano, una tale pratica comporterebbe sono irrilevanti al fine di qualificare l’attività di cui trattasi nello Stato membro ospitante come prestazione di servizi in relazione al diritto comunitario.

25.

Di conseguenza, l’attività di consulente in materia di brevetti può rientrare nella sfera di applicazione del capitolo del Trattato relativo alla libera prestazione dei servizi.

26.

Inoltre, come la Corte ha più volte dichiarato, l’art. 49 CE prescrive non solo l’eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro in base alla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, allorché essa sia tale da vietare, da ostacolare o da rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro ove fornisce legittimamente servizi analoghi (v., in particolare, sentenza 3 ottobre 2000, causa C-58/98, Corsten, Racc. pag. I-7919, punto 33).

27.

L’obbligo imposto ai consulenti in materia di brevetti stabiliti in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana che intendono fornire una prestazione di servizi in quest’ultimo Stato d’iscriversi all’albo italiano dei consulenti in materia di brevetti costituisce una restrizione ai sensi dell’art. 49 CE (v. in particolare, in tal senso, citata sentenza Corsten, punto 34).

28.

Anche in assenza di armonizzazione in materia, una siffatta restrizione al principio fondamentale della libera prestazione dei servizi può essere giustificata solo da norme fondate su ragioni imperative d’interesse generale e applicabili a tutte le persone o imprese che esercitino un’attività nel territorio dello Stato membro ospitante, qualora tale interesse non sia tutelato dalle norme cui il prestatore è soggetto nello Stato membro in cui è stabilito (v., segnatamente, citata sentenza Corsten, punto 35).

29.

La normativa italiana di cui trattasi mira a garantire la qualità dei servizi forniti dai consulenti in materia di brevetti e a tutelare i destinatari di questi servizi. Se siffatti obiettivi costituiscono ragioni imperative d’interesse generale atte a giustificare una restrizione alla libera prestazione dei servizi, occorre inoltre, conformemente al principio di proporzionalità, che l’applicazione delle regolamentazioni nazionali di uno Stato membro ai prestatori di servizi stabiliti in altri Stati membri sia idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vada oltre quanto necessario per il suo raggiungimento (v., in particolare, sentenze 25 luglio 1991, causa C-76/90, Säger, Racc. pag. I-4221, punti 15-17, e Corsten, citata, punti 38 e 39).

30.

Ora, come la Commissione ha giustamente rilevato, il controllo dell’idoneità professionale alla cui efficacia è subordinata l’iscrizione obbligatoria dei consulenti in materia di brevetti al relativo albo italiano non opera alcuna distinzione tra i prestatori di servizi le cui competenze e qualità professionali hanno costituito oggetto di un controllo nello Stato membro di origine e quelli che non sono stati sottoposti a un tale controllo.

31.

Per il resto, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 45 delle sue conclusioni, avrebbero potuto essere adottate altre misure meno restrittive al fine di realizzare gli obiettivi legittimamente perseguiti dalla Repubblica italiana.

32.

Di conseguenza, la normativa italiana di cui trattasi, anche se si applica indipendentemente dalla cittadinanza dei prestatori di servizi e sembra idonea ad assicurare la realizzazione di obiettivi consistenti nella tutela dei destinatari dei servizi forniti, va oltre quanto è necessario per conseguire tali obiettivi.

33.

Alla luce di queste considerazioni, la prima censura appare fondata.

Sulla censura relativa all’obbligo di residenza o di domicilio professionale in Italia

Argomenti delle parti

34.

La Commissione fa valere che l’art. 2 del decreto n. 342/95, in quanto prevede, al fine dell’iscrizione all’albo dei consulenti in materia di brevetti autorizzati all’esercizio della loro professione in Italia, un obbligo di residenza o di domicilio professionale in tale Stato membro, salvo che si tratti di cittadini di Stati che consentano ai cittadini italiani l’iscrizione a corrispondenti albi senza tale requisito, comporta un ostacolo ingiustificato al principio della libera prestazione dei servizi.

35.

Da una parte, il consulente in materia di brevetti stabilito in un altro Stato membro sarebbe disincentivato dal fornire una prestazione occasionale in Italia, in quanto sarebbe difficilmente in grado di dotarsi di un’infrastruttura professionale permanente nello Stato membro ospitante. Nessuno degli argomenti dedotti dal governo italiano potrebbe giustificare una tale restrizione alla libera prestazione dei servizi.

36.

D’altra parte, la condizione di reciprocità, in forza della quale la Repubblica italiana sarebbe disposta a rispettare il diritto comunitario unicamente nei suoi rapporti con gli Stati membri che non imponessero un pari obbligo di residenza, sarebbe inaccettabile in relazione al diritto comunitario (v., in particolare, sentenze 25 settembre 1979, causa 232/78, Commissione/Francia, Racc. pag. 2729, e 6 giugno 1996, causa C-101/94, Commissione/Italia, Racc. pag. I-2691).

37.

Il governo italiano rileva che l’obbligo di eleggere domicilio in Italia serve, secondo la sua normativa nazionale, a determinare il giudice territorialmente competente in caso di controversia tra la parte che chiede la nullità o l’invalidità del brevetto e il suo titolare e/o quelli che ne detengono la licenza e/o gli aventi causa. Tale obbligosarebbe non solo lecito ma anche conforme all’interesse generale insito nel sistema giudiziario.

38.

Il governo italiano precisa che l’obbligo d’indicare un domicilio professionale in Italia è soddisfatto indicando un semplice indirizzo di servizio nel territorio di tale Stato senza che sia richiesto un trasferimento di residenza o la creazione di un’infrastruttura in Italia. Il requisito di un indirizzo di servizio, tenuto conto degli oneri effettivamente minimi ed economicamente poco significativi, sarebbe del tutto giustificato e proporzionato alle ragioni imperative d’interesse generale costituite dalla tutela dei destinatari dei servizi di cui trattasi e dal buon funzionamento del sistema giudiziario.

39.

Infine, per quanto riguarda la condizione di reciprocità, il governo italiano osserva che essa deve essere interpretata come espressione della volontà di anticipazione da parte del legislatore italiano di situazioni future in cui accordi con paesi terzi oppure norme comunitarie e accordi tra la Comunità e paesi extracomunitari permetterebbero di regolare la materia in modo diverso. Il governo italiano, pur mostrandosi disposto a modificare tale condizione, ritiene che si tratti in realtà di una questione marginale.

Valutazione della Corte

40.

Occorre rilevare, in via preliminare, che, secondo la formulazione dell’art. 2 del decreto n. 342/95, può essere iscritta nell’albo italiano dei consulenti in brevetti solo una persona fisica che abbia «la residenza ovvero un domicilio professionale in Italia», salvo che si tratti di un cittadino di uno Stato che consente ai cittadini italiani l’iscrizione a corrispondenti albi senza tale requisito.

41.

Pertanto, l’argomento del governo italiano secondo cui l’iscrizione all’albo italiano dei consulenti in materia di brevetti presuppone solo l’esistenza di un indirizzo di servizio in Italia non può essere ammesso.

42.

Per quanto riguarda l’obbligo di residenza o di domicilio professionale ai sensi dell’art. 2 del decreto n. 342/95, occorre constatare che imporre a un consulente in materia di brevetti, già stabilito e autorizzato in un altro Stato membro e che intenda fornire prestazioni di servizi, di avere una residenza o un domicilio professionale stabili nello Stato membro ospitante costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi (v., in particolare, in tal senso, sentenza 4 dicembre 1986, causa 252/83, Commissione/Danimarca, Racc. pag. 3713, punto 18).

43.

La suddetta condizione può essere considerata compatibile con gli artt. 49 CE e 50 CE soltanto qualora sia provato che esistono, nel settore di attività considerato, esigenze imperative connesse all’interesse generale le quali giustificano restrizioni della libera prestazione dei servizi, che tale interesse non è già garantito dalle norme dello Stato di stabilimento e che lo stesso risultato non potrebbe essere ottenuto mediante provvedimenti meno drastici (v., in particolare, citata sentenza Commissione/Danimarca, punto 19).

44.

La necessità di determinare il giudice territorialmente competente in caso di controversia vertente su un brevetto registrato in Italia nonché la preoccupazione di assicurare il corretto svolgimento del procedimento possono essere fatte valere come ragioni imperative d’interesse generale che possono giustificare una restrizione alla libera prestazione dei servizi.

45.

Tuttavia, il requisito di una residenza o di un domicilio professionale in Italia va, in ogni caso, oltre quanto è necessario per conseguire questi obiettivi, in quanto la Repubblica italiana avrebbe potuto adottare provvedimenti meno restrittivi per realizzare i detti obiettivi.

46.

Per quanto riguarda la condizione di reciprocità anch’essa prevista all’art. 2 del decreto n. 342/95, relativamente alla quale nulla dimostra che essa non si applica ai prestatori di servizi stabiliti negli altri Stati membri, è sufficiente rilevare che, conformemente alla giurisprudenza della Corte (v. sentenze Commissione/Francia, citata, punto 9; 14 febbraio 1984, causa 325/82, Commissione/Germania, Racc. pag. 777, punto 11, e Commissione/Italia, citata, punto 27), uno Stato membro non può far valere il mancato rispetto del principio di reciprocità o fondarsi su un’eventuale violazione del Trattato da parte di un altro Stato membro per giustificare il proprio inadempimento.

47.

Di conseguenza, anche la seconda censura appare fondata.

48.

Alla luce di queste considerazioni, occorre constatare che, mantenendo una regolamentazione che impone ai consulenti in materia di brevetti stabiliti in altri Stati membri di essere iscritti all’albo italiano dei consulenti in materia di brevetti e di avere una residenza o un domicilio professionale in Italia per prestare servizi dinanzi all’Ufficio italiano dei brevetti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 49 CE – 55 CE.

Sulle spese

49.

Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

Per questi motivi,

LA CORTE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1) Mantenendo una regolamentazione che impone ai consulenti in materia di brevetti stabiliti in altri Stati membri di essere iscritti all’albo italiano dei consulenti in materia di brevetti e di avere una residenza o un domicilio professionale in Italia per prestare servizi dinanzi all’Ufficio italiano deibrevetti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 49 CE – 55 CE.

2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Puissochet

Schintgen

Gulmann

Macken

Cunha Rodrigues

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 febbraio 2003.

Il cancelliere

Il presidente della Sesta Sezione

R. Grass

J.-P. Puissochet