Enti pubblici

Monday 18 October 2004

Bloccata dal TAR Lombardia la privatizzazione dell’ Azienda Energetica Municipalizzata Milano. Il Comune esercita un controllo indebito sull’ amministrazione. Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, Sezione I, ordinanza n. 175/2004

Bloccata dal TAR Lombardia la privatizzazione
dell’Azienda Energetica Municipalizzata Milano. Il Comune esercita un controllo
indebito sull’amministrazione

Tribunale Amministrativo Regionale
per la Lombardia, Milano, Sezione I, ordinanza n.
175/2004

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER LA LOMBARDIA

MILANO

SEZIONE I

nelle persone dei Signori:

EZIO MARIA BARBIERI Presidente

ELENA QUADRI Ref.

LUCA MONTEFERRANTE Ref., relatore

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nella Camera di Consiglio del 29 Settembre
2004

Visto il ricorso 2544/2004 proposto
da:

ASSOCIAZIONE AZIONARIATO DIFFUSO
DELL’AEM+ALTRI

C F.

F.G.

P.
P. A.

S.
A.

S.
S.

rappresentati e difesi da:

NESPOR STEFANO

DE CESARIS ADA
LUCIA

CIVITELLI ANTONIO

con domicilio eletto in MILANO

VIA FOGAZZARO, 8

presso

NESPOR STEFANO

contro

COMUNE DI MILANO

rappresentato e difeso da:

SURANO MARIA RITA

SANTA MARIA ALBERTO

CROFF CARLO

PERFETTI LUCA R.

BERARDINO LIBONATI

VIA DELLA GUASTALLA, 8

presso

AVVOCATURA COMUNALE

e nei confronti di

AEM SPA

rappresentato e difeso da:

BESSI MARIA NOVELLA

SOLCI ALBERTO

CAVALLI LAURA

PETRELLA ENZO

con domicilio eletto in MILANO 3504AF

C.SO DI P.TA VITTORIA, 4

presso

SOLCI ALBERTO

per l’annullamento, previa sospensione
dell’esecuzione,

1. della delibera
del Consiglio comunale di Milano del 17 febbraio 2004 n. 4/04, avente ad
oggetto "Cessione di parte delle azioni AEM s.p.a. detenute dal Comune di Milano. Offerta
di vendita accelerata. Emissione di prestito obbligazionario convertibile in
azioni di AEM s.p.a.",
affissa all’albo pretorio dall’1 marzo al 16 marzo 2004;

2. della delibera
del Consiglio Comunale di Milano dell’8 marzo 2004 n. 5/04, avente ad oggetto
"Modifiche allo Statuto della Società AEM s.p.a.";

3. degli atti presupposti, connessi e
consequenziali;

Visti gli atti e i documenti
depositati con il ricorso;

Viste le memorie difensive depositate
dalle parti resistenti, unitamente all’allegata documentazione;

Viste, in particolare, le memorie
difensive presentate dalle parti in vista dell’udienza di discussione fissata
per la data odierna;

Udito il relatore Ref.
Luca Monteferrante e uditi i
difensori presenti delle parti come da verbale;

Ritenuto in fatto ed in diritto
quanto segue

FATTO

Con ricorso ritualmente e
tempestivamente notificato i ricorrenti sopra generalizzati, hanno impugnato le
delibere indicate in epigrafe con le quali il Consiglio Comunale di Milano ha
deliberato la prosecuzione del processo di privatizzazione della società AEM s.p.a., costituita nel 1996 in
seguito alla revoca dell’Azienda energetica Municipalizzata, successivamente
quotata in borsa ed operante nel settore dei servizi pubblici di distribuzione
del gas e dell’energia elettrica affidati in gestione dal Comune medesimo, di
cui, a quella data, il Comune di Milano deteneva il 51% del capitale. In
particolare, con la delibera n. 4 del 17 febbraio 2004 il
Comune ha deciso di ridurre la propria partecipazione in AEM s.p.a. dal 51% al
33,4%, procedendo alla vendita delle azioni, in parte, e per un ammontare pari
all’8,8%, mediante Accelerated book building (offerta
di vendita accelerata ad investitori istituzionali professionali italiani ed
esteri) e, per la restante parte, anch’essa pari al 8,8%, mediante emissione di
un prestito obbligazionario convertibile in azioni AEM. Con la delibera n. 5
del 8 marzo 2004, invece, il Comune di Milano ha deliberato di promuovere le
modifiche statutarie della società AEM s.p.a., come previsto dalla legge statale n. 474 del 1994 che,
tra le altre disposizioni, all’art. 2 prescrive come obbligatoria la riserva in
favore dell’Amministrazione pubblica controllante di uno o più dei poteri
speciali ivi elencati, prima della adozione di ogni atto che determini la
perdita del controllo della società partecipata.

Peraltro la delibera n. 5 dà
espressamente atto che le modifiche deliberate allo Statuto di
AEM s.p.a. rappresentano l’attuazione del punto VI del dispositivo della
precedente delibera n. 4 che aveva dichiaratamente subordinato la cessione
delle quote azionarie alla preventiva modifica dello Statuto societario.

Tra le modifiche allo Statuto della AEM s.p.a. deliberate dal Consiglio Comunale di Milano
e successivamente recepite dall’assemblea straordinaria della società privatizzanda rilevano, ai fini del presente rinvio
pregiudiziale, quelle relative alle modalità di nomina degli amministratori
disciplinate dall’art. 17 dello Statuto societario.

Non appare superfluo rammentare che in
una prima proposta di delibera, datata 13.1.2004 (sub doc. 4 in fascicolo ricorrenti), la Giunta del Comune di
Milano, dopo aver evidenziato che la perdita del "controllo di diritto
nelle assemblee ordinarie e straordinarie determina la necessità di modificare,
prima dell’avvio della procedura di cessione, alcune clausole dello Statuto
sociale al fine di garantire al Comune di Milano, in quanto socio di
maggioranza relativa, la tutela dei propri interessi nel rispetto, peraltro
della normativa vigente e soprattutto, delle disposizioni contenute nella legge
n. 474/1994 in materia di assetto organizzativo delle
società privatizzande", osservava, relativamente
alle modalità di nomina degli amministratori, quanto segue: "Per quanto
riguarda le modalità di nomina degli amministratori, si propone di prevedere
una nuova procedura di nomina dei membri del Consiglio di Amministrazione di
AEM, al fine di salvaguardare il legittimo interesse del Comune di Milano, in
qualità di socio con maggioranza relativa, ad esprimere un numero di
amministratori coerente con l’entità della sua partecipazione, nel rispetto di
quanto previsto dall’art. 2 lett. d) della legge n. 474/94. Si propone quindi
di prevedere il diritto del Comune di Milano di procedere alla nomina diretta
di un numero di amministratori pari ad un quarto dei
membri del Consiglio di Amministrazione con arrotondamento, in caso di numero
frazionario, all’unità inferiore. In ogni caso il numero di amministratori
nominati dal Comune di Milano non potrà comunque essere superiore ai quattro
quinti del numero complessivo degli amministratori da eleggere. Per quanto
riguarda invece gli amministratori non nominati in via diretta dal Comune si
procederà, come già visto, all’elezione sulla base di
liste alla presentazione delle quali potrà concorrere anche il Comune di
Milano. In ogni lista i candidati dovranno essere elencati mediante un numero
progressivo pari ai posti da ricoprire. Si propone quindi che all’elezione di
tali amministratori si proceda come segue: a) dalla lista che avrà ottenuto il
maggior numero di voti saranno tratti, nell’ordine progressivo con cui sono
elencati nella lista stessa, i sei decimi degli amministratori da eleggere, con
arrotondamento, in caso di numero frazionario, all’unità inferiore; b) dalla
lista seconda classificata verranno tratti i restanti
amministratori ancora da eleggere, nell’ordine progressivo con cui sono
elencati nella lista stessa".

Conformemente alle premesse, nel
dispositivo della delibera si legge, tra le altre modifiche da apportare
all’art. 17 dello Statuto societario, che la nomina diretta di un numero di amministratori pari ad un quarto dei membri del Consiglio
si amministrazione viene riservata al Comune di Milano ai sensi dell’art. 2
lettera d) del decreto legge 31 maggio 1994, n. 332 come modificato dalla legge
30 luglio 1994, n. 474.

Nella successiva proposta di Giunta,
poi definitivamente approvata dal Consiglio comunale di Milano in data 8.3.2004
e rubricata nel registro delle delibere al numero 5/04, il preambolo resta
sostanzialmente identico, ma nel dispositivo la riserva di nomina diretta degli
amministratori sino ad un quarto viene giustificata
mediante il rinvio all’art. 2449 del codice civile anziché all’art. 2 lettera
d) del decreto legge 31 maggio 1994, n. 332 come modificato dalla legge 30
luglio 1994, n. 474.

In data 29 aprile 2004 l’assemblea
straordinaria di AEM s.p.a. ha provveduto a modificare
lo Statuto in senso conforme alle previsioni contenute nella delibera del
Consiglio Comunale n. 5 del 8 marzo 2004 introducendo, tra le altre previsioni,
la riserva di nomina diretta in favore del Comune di Milano ai sensi dell’art.
2449 del codice civile.

Sempre in fatto occorre rilevare,
infine, che qualunque sia il numero dei membri del
Consiglio di amministrazione della AEM s.p.a (7, 8 o
9 ai sensi dell’art. 17 dello statuto, poi divenuto art. 16), il meccanismo di
nomina degli amministratori, predeterminato dal Comune di Milano e recepito
nello Statuto di AEM s.p.a., fa sì che l’effetto
combinato della riserva di nomina diretta, unitamente al diritto di partecipare
al voto di lista, consenta al Comune di Milano di conservare sempre e comunque
la maggioranza assoluta nel consiglio di amministrazione nonostante, a cessione
avvenuta, sia destinato a divenire socio di maggioranza relativa: ed infatti,
anche a voler ipotizzare che la lista presentata dal Comune di Milano si
collochi al secondo posto (esito comunque assicurato dal possesso del 33,4%
delle azioni), il Comune, a seconda che il numero dei membri del Consiglio di
amministrazione sia pari a 7, 8 o 9, avrà la possibilità di nominare
complessivamente e rispettivamente quattro membri (di cui uno mediante la
riserva di nomina diretta) su sette, cinque (di cui due mediante la riserva di
nomina diretta) su otto e cinque (di cui due mediante la riserva di nomina
diretta) su nove.

I ricorrenti lamentano che un tale
meccanismo limiterebbe la contendibilità della
società così scoraggiando l’investimento azionario diretto con inevitabile
pregiudizio della loro partecipazione azionaria che verrebbe
conseguentemente deprezzata: ed infatti chiunque aspirasse al possesso
azionario in AEM s.p.a. con ambizioni di governo della società sarebbe dissuaso
dall’investimento, poiché anche qualora divenisse in futuro socio di maggioranza
relativa (anche mediante la stipula di appositi patti di sindacato) non
potrebbe comunque assicurarsi la maggioranza nel consiglio di amministrazione e
con essa il controllo della società, poiché l’eventuale successo nella
competizione col voto di lista verrebbe sistematicamente vanificato
dall’effetto combinato della riserva di nomina diretta di cui all’art. 2449 c.c..

Con ordinanza cautelare n. 1576/04
del 10.6.2004 il Giudice remittente, dopo aver
respinto una serie articolata di censure relative alla
procedura di privatizzazione, ha disposto la sospensione degli effetti della
delibera n. 5/04 del 8.3.2004 così motivando: "…2) Quanto alla delibera n.
5/4 del 8.3.2004 che introduce modifiche allo statuto dell’A.E.M.:
a) in ordine al meccanismo di nomina degli amministratori (riserva di ¼ accanto
alla partecipazione del Comune di Milano al voto di lista) il collegio osserva
che le relative previsioni appaiono, allo stato, in contrasto con la
giurisprudenza della Corte di Lussemburgo in tema di poteri speciali in quanto
introducono, di fatto, misure equivalenti a quelle reputate incompatibili con
le norme del trattato in materia di privatizzazioni e di circolazione di
capitali. Con le modifiche introdotte, infatti, qualunque
sia il numero dei membri del consiglio di amministrazione (7, 8 o 9 ex art. 16
dello statuto) il comune di Milano conserva sempre la maggioranza assoluta
(….). Tali misure risultano persino di maggior favore
rispetto alla originaria previsione di cui all’art. 2, comma 1, lett. d) della
legge 474 del 1994, già giudicata in contrasto con le previsioni del Trattato
dalla Corte europea di giustizia con sentenza del 23 maggio 2000 resa in causa
C-58/99 Commissione c. Repubblica Italiana. Tale ultima disposizione, tra i
poteri speciali, prevedeva la possibilità di riservare in capo all’ente
pubblico il potere di nominare sino ad ¼ dei membri del consiglio di amministrazione, mentre la recente modifica introdotta
dall’art. 4, comma 227, della legge n. 350 del 2003, con cui sono state recepite
le indicazioni provenienti dalla Corte di Lussemburgo, prevede il potere di
nomina di un solo amministratore, peraltro senza diritto di voto. Aggiungasi
che l’effetto introdotto, sul controllo reale della società privatizzanda,
dal meccanismo di nomina qui censurato appare amplificato dalla considerazione
della sua sostanziale immodificabilità (così operando
surrettiziamente alla stregua di un vero e proprio potere speciale, in assenza,
tuttavia, dei presupposti indicati dalla Corte di Lussemburgo nella citata
sentenza), in quanto, conservando il Comune di Milano una partecipazione
azionaria pari al 33,4%, esso detiene, rebus sic stantibus,
un insuperabile potere di interdizione in ordine a
qualsiasi proposta che dovesse essere portata in assemblea straordinaria
finalizzata alla modifica dello statuto nella parte in cui disciplina il
meccanismo di nomina degli amministratori (ai sensi dell’art. 126, comma 4, del
d lgs. n. 58 del 24.2.1998 e
degli artt. 2368 e 2369 c.c.)".

Con ordinanza cautelare n. 3866/04
del 10.8.2004 il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ha riformato
l’ordinanza citata, in parte qua, respingendo pertanto l’istanza
cautelare proposta, sulla scorta delle seguenti argomentazioni: "Ritenuto
che la giurisprudenza comunitaria sulla quale si fonda l’ordinanza appellata,
attiene a fattispecie riguardante la c.d. "share" profondamente
diversa da quella per la quale oggi è causa incentrata sui poteri speciali di
cui può disporre uno degli azionisti ai sensi della normativa civilistica; considerato che l’attuale controversia deve
essere risolta sul presupposto non solo dell’art. 2449 c.c.,
ma anche delle norme comunitarie in tema di "proprietà" delle imprese
"pubbliche" e di libertà di circolazione dei capitali, così come
interpretati dalla giurisprudenza comunitaria (Corte Giust.
Sent. 6 giugno 2002, n. 483/99 e 503/99); considerato
che i rischi di un’eccessiva discrezionalità dell’azionista pubblico nella
nomina dei consiglieri di amministrazione sono
arginati dal principio di proporzionalità emergente dalla giurisprudenza
comunitaria e da quelli di efficienza, imparzialità e buon andamento fissati
dalla normativa nazionale che impongono scelte relative al
"management" orientate a professionalità dei candidati, oltre che ad
indipendenza dei medesimi candidati rispetto a ciascun gruppo consiliare e a
qualsiasi amministratore locale in genere".

Chiamata la causa all’udienza del 29
settembre 2004 per la decisione nel merito, il Collegio, preso atto del diverso
orientamento espresso dal Giudice di seconda istanza
in ordine alla compatibilità dell’art. 2449 del codice civile con la normativa
comunitaria in materia di libera circolazione dei capitali come interpretata
dalla Corte di Giustizia, ha ritenuto di sollevare, con la presente ordinanza, la
questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE.

LA NORMATIVA NAZIONALE

La legge nazionale di riferimento in
materia di privatizzazione di società per azioni
partecipate dallo Stato e dagli enti pubblici, anche territoriali (qual è il Comune
di Milano) ed economici, è rappresentata dal decreto legge 31 maggio 1994, n.
332 convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 1994, n. 474 e
successive modificazioni, recante "Norme per l’accelerazione delle
procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in
società per azioni". In particolare, l’art. 1 disciplina
le modalità di dismissione delle partecipazioni azionarie, l’art. 2
riguarda i poteri speciali, l’art. 3 prevede la possibilità di introdurre nello
statuto della società partecipata limiti di possesso azionario, mentre l’art. 4
obbliga all’introduzione negli statuti societari di una clausola per l’elezione
degli amministratori mediante il voto di lista, immodificabile sintanto che permanga la previsione del limite del possesso
azionario di cui all’art. 3 e ciò a garanzia delle minoranze, al fine di
assicurare loro una rappresentanza, seppur minima, in consiglio di
amministrazione.

Per quanto concerne più direttamente
la questione interpretativa in oggetto, l’art. 2 della
citata legge (significativamente modificato dalla legge 24 dicembre 2003, n.
350, art. 4, comma 227), al primo comma prevede espressamente che tra le
società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato operanti nel
settore della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di
energia e degli altri pubblici servizi sono individuate, con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con altri ministri
competenti per settore, "quelle nei cui statuti, prima di ogni atto che
determini la perdita del controllo, deve essere introdotta con deliberazione
dell’assemblea straordinaria una clausola che attribuisca…la titolarità di uno
o più dei seguenti poteri speciali…"; segue l’elencazione dei poteri speciali
ed in particolare alla lettera a) è previsto il potere di opposizione
all’assunzione, da parte dei soggetti nei confronti dei quali opera il limite
del possesso azionario di cui all’art. 3, di partecipazioni rilevanti; la
lettera b) prevede il potere di opposizione alla conclusione di patti o accordi
di cui all’art. 122 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio
1998, n. 58 nel caso in cui vi sia rappresentata almeno la ventesima parte del
capitale sociale costituito da azioni con diritto di voto nell’assemblea
ordinaria; la lettera c) prevede il diritto di veto, da motivarsi in relazione
al concreto pregiudizio arrecato agli interessi vitali dello Stato,
all’adozione delle delibere che incidono in modo particolarmente penetrante
sulla vita della società (scioglimento, trasferimento, fusione, scissione,
cambiamento dell’oggetto sociale e modifiche dello statuto che sopprimano o
modifichino i poteri speciali); alla lettera d) è prevista la possibilità di
riservare la nomina diretta di un amministratore senza diritto di voto.

Corre l’obbligo evidenziare, a tal
ultimo riguardo, che prima delle rilevanti modifiche introdotte alla disciplina
dei poteri speciali dall’art. 4, comma 227 della legge 24 dicembre 2003, n. 350
(tra le quali dev’essere evidenziato il passaggio dal
potere di "gradimento" al potere di "opposizione" di cui
alle lettere a) e b), in linea con quanto statuito dalla Corte di Giustizia in
tema con la sentenza 4 giugno 2002 causa C-503/99), la previgente
disciplina dell’art. 2, comma 1, lett. d) contemplava il ben più incisivo
potere di "nomina di almeno un amministratore o di un numero di amministratori non superiore ad un quarto dei membri del
consiglio e di un sindaco".

Non è superfluo poi evidenziare, in
fatto, a tal riguardo, che nella proposta di Giunta approvata dal Consiglio
comunale di Milano con la delibera del 8.3.2004 n. 5/04, a differenza della
proposta originaria del 13.1.2004 poi (per l’appunto) emendata, da un lato
compare, per la prima volta, un riferimento alla sopravvenuta normativa di cui
alla legge 24 dicembre 2003, n. 350, quale fonte di disciplina delle modifiche
statutarie oggetto del deliberato, dall’altro, nella nuova disciplina delle
modalità di nomina degli amministratori scompare, nel dispositivo della delibera,
il richiamo all’art. 2 lett. d) della legge n. 474/94 (pur espressamente
menzionato nel preambolo della delibera) e viene
introdotto, in sostituzione, un rinvio all’art. 2449 del codice civile.

Tale norma prevede, al primo comma,
che: "Se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società
per azioni, lo statuto può ad essi conferire la
facoltà di nominare uno o più [si badi, senza limiti di sorta] amministratori o
sindaci ovvero componenti del consiglio di sorveglianza".

In tal modo, mutando il parametro
normativo di riferimento, ciò che non era più possibile alla luce della
sopravvenuta normativa speciale in materia di dismissione di partecipazioni
azionarie di enti pubblici (e cioè la nomina in via
diretta di un quarto dei membri del consiglio di amministrazione) è stato reso
possibile attraverso il richiamo ad una norma generale del diritto societario,
contenuta nel codice civile, che pure, a rigore, fa espressamente salve, al
terzo comma, "le disposizioni delle leggi speciali".

Proseguendo nella ricostruzione della
normativa nazionale dev’essere debitamente richiamato
l’art. 66, commi 3 e 4 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 che disciplina,
anche attraverso il rinvio ad un apposto decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri, i presupposti ed i criteri di esercizio
dei poteri speciali di cui all’art. 2, comma 1 del decreto legge 31 maggio 1994
n. 332 convertito dalla legge 30 luglio 1994, n. 474 , precisando che i poteri autorizzatori devono fondarsi su criteri obiettivi, stabili
nel tempo e resi previamente pubblici. Il comma 3, in particolare, prevede che
i citati poteri speciali possono essere introdotti solo se sono diretti alla
tutela di rilevanti e imprescindibili interessi dello Stato, quali l’ordine
pubblico, la sicurezza pubblica, la sanità e la difesa, in forma e misure
idonee e proporzionali alla tutela di detti interessi
anche per quanto riguarda i limiti temporali e che i medesimi devono essere
posti nel rispetto dei principi dell’ordinamento interno e comunitario e tra
questi, in primo luogo, del principio di non discriminazione ed in coerenza con
gli obiettivi in materia di privatizzazioni e di tutela della concorrenza e del
mercato.

La normativa da ultimo citata è stata
successivamente integrata dall’art. 4, commi da 228 a
231 della citata legge 24 dicembre 2003, n. 350. Il comma 230, in particolare,
prevede che, con apposito decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri, "verranno individuati i criteri di esercizio dei
poteri speciali, limitando il loro utilizzo ai soli casi di pregiudizio degli
interessi vitali dello Stato".

Con decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri del 10 giugno 2004 sono stati infine ridefiniti i
criteri di esercizio dei poteri speciali. L’art. 1, in particolare, dopo aver ribadito le finalità per le quali può farsi ricorso
all’esercizio dei poteri speciali, conformemente all’art. 66, comma 3 della
legge 23 dicembre 1999, n. 488 ed all’art. 4, comma 230 della citata legge 24
dicembre 2003, n. 350, elenca, al comma 2, in modo analitico, le circostanze di fatto
che ne legittimano l’esercizio con riferimento ai poteri speciali di cui alle
lettere a), b), c) della legge n. 474/94; la facoltà di nomina di un
amministratore senza diritto di voto, di cui alla lettera d), viene, invece,
subordinata alla ricorrenza delle sole finalità generali di cui al comma 1, in quanto, evidentemente,
non è stata reputata tale da alterare in modo apprezzabile il sistema di
governo interno della società per azioni privatizzanda.

Infine va osservato che
l’applicabilità agli enti pubblici territoriali (e tale dev’essere
qualificato il Comune di Milano secondo i principi di diritto pubblico
dell’ordinamento nazionale) del quadro normativo richiamato in materia di
privatizzazioni e di poteri speciali, opera in forza dell’art. 2, comma 3 della
legge n. 474/1994 a mente del quale: "Le disposizioni del presente
articolo si applicano anche alle società controllate, direttamente o
indirettamente da enti pubblici, anche territoriali ed economici, operanti nel
settore dei trasporti e degli altri servizi pubblici e individuate con
provvedimento dell’ente pubblico partecipante, al quale verranno
riservati altresì i poteri previsti al comma 1".

A tal fine, nella delibera del
Consiglio comunale di Milano del 8 marzo 2004, n. 5/04 si legge, nel
dispositivo del deliberato, "di individuare, ai sensi di quanto previsto
dall’art. 2, comma 3, della legge n. 474/94, la AEM S.p.a. come
società oggetto di privatizzazione nel cui Statuto inserire modifiche in
ossequio a quanto prescritto dalla medesima legge n. 474/1994".

Nessun dubbio
pertanto che la normativa nazionale in materia di dismissione di partecipazioni
in società per azioni e di poteri speciali sia interamente applicabile al
procedimento di privatizzazione della società AEM s.p.a. controllata dal Comune
di Milano. Deve inoltre osservarsi, sin d’ora, che la normativa nazionale,
così come assestatasi nella versione vigente dell’art. 2 della legge n. 474/94,
sia in gran parte riproduttiva dei principi affermati in materia dalla Corte di
Giustizia nelle sentenze 23 maggio 2000 causa C-58/99; 4 giugno 2002 cause
C-503/99 e C-483/99; 13 maggio 2003 cause C-98/01 e C-463/00.

LA NORMATIVA COMUNITARIA

Ai sensi dell’art. 56 n. 1 del
Trattato CE "Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente Capo
sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi". Ai sensi
dell’art. 58 n. 1 b) del Trattato CE "Le disposizioni dell’art. 56 non
pregiudicano il diritto degli Stati membri…di prendere tutte le misure
necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle
regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello
della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o di stabilire procedure
per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione
amministrativa o statistica, o di adottare misure giustificate da motivi di
ordine pubblico o di pubblica sicurezza".

Ai sensi dell’allegato I della
direttiva del Consiglio 24 giugno 1988 n. 88/361/CEE tra i movimenti di
capitali vengono ricompresi
i c.d. investimenti diretti tra i quali, al numero 2), viene menzionata la
"Partecipazione a imprese nuove o esistenti al fine di stabilire o
mantenere legami economici durevoli". Nella definizione della nozione di
"investimenti diretti" sempre il citato allegato I
precisa quanto segue: "Per quanto riguarda le imprese menzionate al punto
I.2 della nomenclatura e che hanno lo statuto di società per azioni, si ha
partecipazione con carattere di investimento diretto, quando il pacchetto di
azioni in possesso di una persona fisica, di un’altra impresa o di qualsiasi
altro detentore, attribuisce a tali azionisti, sia a norma delle disposizioni
di legge nazionali sulle società per azioni, sia altrimenti, la possibilità di
partecipare effettivamente alla gestione di tale società o al suo
controllo".

I presupposti di fatto e di diritto
che consentono di limitare il diritto di partecipare
effettivamente alla gestione ed al controllo di una società in relazione alla
quale sia configurabile una partecipazione con carattere di investimento
diretto, sono stati successivamente precisati dalla Corte di Giustizia con le
sentenze 23 maggio 2000 causa C-58/99; 4 giugno 2002 cause C-503/99 e C-483/99;
13 maggio 2003 cause C-98/01 e C-463/00.

Ora, se nessun
dubbio può essere avanzato circa la diretta applicabilità dell’art. 56 del
Trattato CE in quanto previsione di carattere chiaro, preciso ed incondizionato
(cfr. Sanz de Lera e altri, cause
C-163, 165 e 250/94, sentenza 14 dicembre 1995; Verkoijen,
causa C-35/98, sentenza 6 giugno 2000), al contrario, per quanto concerne le
sentenze 23 maggio 2000 causa C-58/99; 4 giugno 2002 cause C-503/99 e C-483/99;
13 maggio 2003 cause C-98/01 e C-463/00, può opinarsi (ed il Comune di Milano
ha, con forza, ribadito tale tesi) che i principi ivi
ripetutamente affermati non sarebbero vincolanti in quanto affermati non in
sede di rinvio pregiudiziale ex art. 234 del Trattato CE, bensì nell’ambito di
giudizi volti all’accertamento della violazione da parte degli Stati membri
degli obblighi sugli stessi incombenti in forza delle previsioni del Trattato.
La tesi non pare possa essere accolta, poiché anche le sentenze rese dalla
Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 226 del Trattato CE
contribuiscono indubbiamente a chiarire la portata delle norme in relazione
alle quali si ipotizza l’inadempimento dell’obbligo di fonte comunitaria, sicchè i principi affermati nell’ambito di tali
controversie conservano la loro vigenza nonché la loro capacità qualificatoria dell’ambito di senso della norma comunitaria
anche quando la stessa, anziché essere invocata quale parametro di verifica del
contestato inadempimento dello Stato membro, sia invocata dal giudice nazionale
per scrutinare la conformità della norma di legge nazionale alla fonte
comunitaria.

Del resto in tal senso si è già
pronunciata in ambito nazionale anche la Corte Costituzionale
con sentenza del 11 luglio 1989, n. 389 nella quale ha affermato che:
"Poiché ai sensi dell’art. 164 del Trattato spetta alla Corte di giustizia
assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del
medesimo Trattato, se ne deve dedurre che qualsiasi sentenza che applica e/o
interpreta una norma comunitaria ha indubbiamente carattere di sentenza
dichiarativa del diritto comunitario, nel senso che la Corte di giustizia, come
interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritariamente il
significato con le proprie sentenze e, per tal via, ne determina, in
definitiva, l’ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative. Quando
questo principio viene riferito a una norma
comunitaria avente "effetti diretti" – vale a dire a una norma dalla
quale i soggetti operanti all’interno degli ordinamenti degli Stati membri
possono trarre situazioni giuridiche direttamente tutelabili in giudizio – non
v’è dubbio che la precisazione o l’integrazione del significato normativo
compiute attraverso una sentenza dichiarativa della Corte di giustizia abbiano
la stessa immediata efficacia delle disposizioni interpretate".

Nel merito appare riduttivo
richiamare, in questa sede, i principi ben più chiaramente espressi nelle
citate sentenze cui pertanto può farsi integrale
rinvio. Con formula di sintesi può dirsi che la Corte
di Giustizia ha costantemente ritenuto che una normativa nazionale che limiti
l’acquisto di partecipazioni o che restringa in altro modo la possibilità di
partecipare effettivamente alla gestione di una società o al suo controllo
costituisce una restrizione della libera circolazione dei capitali (così punto
44 sentenza 13 maggio 2003 causa C-98/01 Commissione/Gran Bretagna), a meno che
tali limitazioni soddisfino contemporaneamente alle seguenti condizioni: siano
applicate in modo non discriminatorio; siano giustificate da motivi imperativi
di interesse pubblico; siano proporzionali all’obiettivo perseguito e siano
fondate su criteri oggettivi e previamente conoscibili dagli interessati.

LA QUESTIONE INTERPRETATIVA

Il Giudice remittente
dubita della conformità dell’art. 2449 del codice civile all’art. 56 del
Trattato CE, così come interpretato nelle citate sentenze della Corte di
Giustizia, in quanto la sua applicazione, vieppiù se combinata con il sistema
del voto di lista di cui all’art. 4 della legge n. 474/94, introduce una severa
limitazione alla possibilità di partecipazione effettiva alla gestione ed al
controllo reale di una società per azioni al di fuori degli ambiti di esercizio legittimo dei poteri speciali e pertanto appare
concretamente idoneo ad incidere sulla situazione dell’acquirente di una quota
sociale in quanto tale, con l’effetto di dissuadere gli investitori di altri
Stati membri dall’effettuare simili investimenti, ostacolandone l’accesso al
mercato, e ciò con particolare riferimento agli operatori ed ai cittadini
dell’Unione che si rivolgano all’acquisto di titoli azionari non tanto con
finalità di semplice investimento del risparmio, ma con reali intenzioni di
partecipare attivamente al governo della compagine societaria.

Il Consiglio di Stato, investito
dell’appello cautelare avverso l’ordinanza che aveva rilevato la predetta non
conformità della normativa nazionale in questione con l’art. 56 del Trattato CE, è andato, come si è detto, di diverso avviso, sicchè la portata del citato art. 56 non può ritenersi del
tutto chiara e tanto basta, a parere del Giudice remittente,
per ritenere sussistente una questione interpretativa. Il contrasto
giurisprudenziale emerso in sede cautelare si incentra
principalmente sulla applicabilità dei principi elaborati dalla Corte di
Giustizia in materia di poteri speciali anche a quei poteri esorbitanti di cui
può disporre l’azionista pubblico, in qualità di socio privato, ai sensi della
normativa civilistica e segnatamente, per
l’ordinamento italiano, dell’art. 2449 c.c..

Il Comune di Milano nei propri
scritti difensivi ribadisce con forza di aver agito
come socio privato di una società per azioni e di aver fatto applicazione di
una norma del codice civile, da sempre presente nello statuto societario di AEM
s.p.a., che per l’appunto contempla la possibilità di
una tale riserva di nomina diretta degli amministratori: la modifica in
questione sarebbe pertanto espressione di autonomia negoziale dei soci aderenti
al patto sociale e sarebbe stata regolarmente deliberata dall’assemblea
straordinaria nel rispetto dei principi di diritto privato che presiedono al
governo delle società per azioni nell’ordinamento nazionale. Coerentemente con
tale prospettazione il Comune di Milano contesta altresì la giurisdizione del
giudice amministrativo dovendo, a suo dire, una tale questione, di stretto
diritto commerciale, essere trattata dal giudice ordinario competente in
materia societaria. La linea difensiva è sostanzialmente analoga a quella
spiegata dal Governo inglese nella causa C-98/01 decisa
con sentenza 13 maggio 2003.

In via preliminare occorre
evidenziare che l’oggetto immediato della causa principale non è rappresentato
dalle modifiche introdotte nello Statuto societario di AEM
s.p.a. dall’assemblea straordinaria dei soci bensì, per quanto qui rileva,
dalla delibera 8 marzo 2004 n. 5/04 del Comune di Milano che, al pari della
precedente delibera n. 4/04 con la quale è stato deliberato di procedere alla
privatizzazione (e cioè alla perdita del controllo di diritto) della AEM s.p.a., dev’essere qualificata
quale atto amministrativo espressione della funzione di governo (in particolare
di quella di indirizzo politico amministrativo) dell’ente locale. Oggetto del
giudizio pertanto non è la conformità a legge dello Statuto di una società per
azioni, bensì la legittimità o meno del provvedimento amministrativo con il
quale quelle modifiche sono state decise ed individuate alla stregua (come si è
visto) di un presupposto irrinunciabile ed indefettibile del procedimento
amministrativo di privatizzazione comportante la perdita del controllo di
diritto sulla AEM s.p.a..

Per una migliore comprensione del contesto giuridico nazionale alla luce del quale dev’essere vagliata la presente questione occorre inoltre
aggiungere quanto segue. A parere del Giudice remittente,
poiché non è revocabile in dubbio che la delibera del comune abbia natura provvedimentale, è ad essa che va
ricondotto l’effetto volitivo delle modifiche dello Statuto di AEM s.p.a., mentre la delibera dell’assemblea straordinaria dei
soci di AEM s.p.a. deve ritenersi meramente esecutiva della determinazione
amministrativa impugnata nel giudizio principale; in tal senso militano le
seguenti considerazioni: già dall’analisi delle due delibere comunali impugnate
emerge che è il Comune di Milano che "approva" le modifiche dello
Statuto di AEM s.p.a., mentre l’assemblea
straordinaria di AEM s.p.a. si limita ad "introdurre" (non certo a
deliberare) nello statuto societario le modifiche approvate dal Consiglio
comunale. La centralità della delibera comunale in ordine
alla produzione dell’effetto costitutivo si desume, altresì, dal più
volte citato art. 2 della legge n. 474 del 1994, che subordina la dismissione
del pacchetto azionario di maggioranza alla modifica "obbligatoria"
(la norma dice "deve essere introdotta") dello statuto societario
mediante inserzione di clausole che prevedano uno o più dei poteri speciali
previsti dalla norma. Non pare, pertanto, che la modifica statutaria possa
essere qualificata come espressione di autonomia negoziale
della compagine societaria, secondo i meccanismi di diritto privato delle
società, derivando da un obbligo di fonte legale, funzionalmente collegato alla
determinazione amministrativa discrezionale dell’ente pubblico di procedere
alla privatizzazione sostanziale della società, di cui pertanto costituisce
momento meramente attuativo, secondo una relazione di
presupposizione tra provvedimento amministrativo ed atto negoziale (sia esso un
contratto od un atto unilaterale) piuttosto ricorrente in ambito nazionale (ad
esempio nei contratti così detti ad evidenza pubblica, in cui la stipula del
contratto è preceduta dall’individuazione del contraente privato tramite un
procedimento amministrativo che si conclude con un provvedimento amministrativo
di aggiudicazione; nelle concessioni-contratto in cui il rapporto tra
amministrazione concedente e privato viene costituito in forza di un
provvedimento amministrativo, mentre i profili patrimoniali del rapporto sono
disciplinati tramite un contratto accessivo al
provvedimento concessorio; ed ancora nei rapporti di lavoro alle dipendenze
delle pubbliche amministrazioni in cui spesso gli atti privatistici
di gestione del rapporto, assunti dal datore di lavoro pubblico, si inscrivono
nell’ambito di assetti organizzativi fissati autoritativamente
tramite provvedimenti amministrativi di carattere organizzativo ecc…).

Ne discende che la delibera
assembleare in questione, in quanto obbligatoria per legge e soprattutto
funzionalmente collegata, per espressa volontà del Consiglio comunale di
Milano, alla determinazione discrezionale di disporre la privatizzazione, non
pare davvero possa essere qualificata alla stregua di
un atto interno alla vita della società (con tutte le conseguenze in punto di
giurisdizione), bensì come atto necessitato previsto dalle norme che
disciplinano il procedimento amministrativo di privatizzazione e segnatamente
dall’art. 2, comma 1, della legge n. 474 del 1994.

In definitiva il giudice remittente dubita che, nel caso di specie, l’introduzione
nello Statuto societario della previsione del codice civile che autorizza una
riserva di nomina diretta degli amministratori in favore dell’ente pubblico
discenda dalla normale applicazione della normativa civilistica
in materia di società, dovendosi più propriamente imputare la modifica
statutaria in questione direttamente alla volontà dell’ente pubblico
territoriale, in veste di autorità pubblica, in quanto
assunta, peraltro in applicazione di uno specifico obbligo di legge, alla
stregua di un presupposto di fatto della determinazione amministrativa di
procedere alla privatizzazione sostanziale (e cioè alla cessione di un numero
di azioni tale da comportare la perdita del controllo di diritto) della società
controllata.

Il Comune di Milano obietta che i
principi sanciti dalla Corte di Giustizia nelle citate sentenze troverebbero
applicazione soltanto nei casi in cui l’ente pubblico non detenga più una
partecipazione di controllo, mentre nel caso di specie i poteri conferitigli
troverebbero piena corrispondenza nella misura rilevante della partecipazione
azionaria mantenuta dallo stesso nella società. Ci si limita ad osservare, in
fatto, a tal riguardo che, se così fosse, non sarebbe dato comprendere per
quale ragione il Comune di Milano abbia fatto sistematica applicazione della
legge n. 474/94 e, segnatamente dell’art. 2 sui poteri speciali, il cui
presupposto applicativo è per l’appunto "la perdita del controllo".
Il ragionamento appare, pertanto, una petizione di principio e conferma indirettamente
che la nozione di perdita del controllo fa riferimento al controllo di diritto,
non a quello di fatto, sicchè
la conservazione del mero controllo di fatto o comunque di una partecipazione
strategica non potrebbe legittimare, in sé, la previsione di poteri esorbitanti
al di fuori dei casi ed in assenza dei presupposti applicativi indicati dalla
giurisprudenza comunitaria in tema, mentre, per l’inverso, la riserva
obbligatoria di uno o più dei poteri speciali tipizzati dalla legge, prevista
per il caso di perdita del controllo di diritto, conferma che il controllo di
fatto non è reputato idoneo, almeno secondo la normativa nazionale, a garantire
il controllo pieno della società. Ad ogni modo il Giudice remittente
dubita che l’art. 2449 c.c. sia compatibile con l’art. 56 del Trattato CE
quantomeno allorquando ad avvalersene sia un ente pubblico che,
pur avendo perso il controllo di diritto della società per azioni partecipata,
conservi tuttavia una partecipazione rilevante (nella specie del 33,4%), ma non
tale da giustificare l’esorbitante potere di controllo reso possibile, nel caso
in esame, mediante il concreto utilizzo della norma civilistica
in questione.

La questione interpretativa si
connota peraltro di un ulteriore profilo di
problematicità: se è vero, infatti, che l’art. 2449 c.c. è stato
dichiaratamente assunto dal Comune di Milano tra le modifiche da introdurre
obbligatoriamente nello Statuto di AEM s.p.a. in funzione della ulteriore
cessione di titoli azionari (e tanto basterebbe probabilmente per affermare che
il Comune di Milano abbia agito in veste di autorità), è pur vero che il
riferimento al medesimo articolo del codice civile già compariva in precedenza
nello Statuto di AEM s.p.a. (sebbene sotto la diversa numerazione dell’art.
2458 c.c.). E’ possibile, pertanto, riproporre sotto
altra angolazione il quesito se il Comune di Milano, nel fare applicazione di
tale norma, prevista dallo Statuto prima ancora che dal codice civile, abbia in
realtà fatto ricorso, né più e né meno, ai normali meccanismi del diritto
societario. La questione è assai dubbia ed investe la natura giuridica della
società per azioni a partecipazione pubblica totalitaria, istituita dall’ente pubblico locale per la gestione dei servizi pubblici di
competenza. La AEM
s.p.a è stata, infatti, costituita nell’ottobre 1996
ai sensi dell’art. 22 lett. e) della legge 8 giugno 1990 a seguito della
decisione del Consiglio comunale di Milano di revocare l’Azienda energetica
municipale; nel 1998 è stata quotata in borsa e vi è stata una prima cessione
di titoli azionari in forza della quale il Comune di Milano, al momento,
detiene il 51% del capitale. E’ con la nascita della s.p.a. nel 1996 che
presumibilmente (in assenza di più precisa documentazione sul punto) è stato
inserito nello Statuto il riferimento all’art. 2458 c.c., poi divenuto 2449 c.c.. Senonchè la giurisprudenza nazionale del giudice
costituzionale, amministrativo nonchè di quello
ordinario, ha affermato, in diverse occasioni, che le società per azioni a
partecipazione pubblica maggioritaria (e ancor più se a partecipazione
totalitaria) rappresentano in realtà organi dell’ente pubblico controllante o,
quanto meno, società di diritto speciale, permanendo in capo ad esse
connotazioni proprie della loro originaria natura pubblicistica (così Corte
Costituzionale 28 dicembre 1993, n. 466, che ha conseguentemente affermato la
persistenza, su tale tipologia di società per azioni, del controllo della Corte
dei Conti indirizzato, di regola, agli enti pubblici cui lo Stato contribuisce
in via ordinaria) e ciò fintanto che non venga dismesso il pacchetto azionario
di maggioranza. Ne discende che è lecito dubitare, attesa la natura
sostanzialmente pubblica della società per azioni a partecipazione pubblica
totalitaria o maggioritaria, se il richiamo, operato nello Statuto, di una
norma quale l’art. 2449 c.c. possa ritenersi effettivamente espressione del
funzionamento ordinario dei meccanismi di diritto privato nell’ambito di una
società per azioni di diritto comune o, detto diversamente, se il momento
genetico della società per azioni, e, con essa, delle
previsioni statutarie, sia privatistico anziché pubblicistico.

Se si ritenesse che in un’ipotesi di tal fatta
il Comune di Milano abbia in realtà agito in veste di autorità
pubblica (cfr. punto 48 della sentenza della Corte di
Giustizia del 13 maggio 2003
in causa C-98/01 Commissione/Gran Bretagna) dovrebbe
ragionevolmente concludersi che anche l’esercizio dei poteri esorbitanti di cui
all’art. 2449 c.c., per essere legittimo, debba
soggiacere ai limiti di compatibilità ed ai presupposti applicativi previsti in
generale per l’esercizio dei poteri speciali di cui, per converso, non v’è
traccia alcuna né nell’art. 2449 c.c., né nella
delibera del Consiglio comunale n. 5/04.

A tal ultimo proposito dev’essere evidenziato che né l’art. 2449 c.c., né la delibera del 8 marzo
2004 n. 5/04 che l’ha richiamato, né altra norma di legge interna individuano i
motivi di interesse generale cui finalizzare l’esercizio della facoltà di
nomina degli amministratori, riservata in capo al Comune di Milano, né
precisano le concrete circostanze di fatto alla cui ricorrenza subordinarne
l’impiego, tenuto altresì conto che la
AEM s.p.a. opera in gran parte in un settore sottoposto al
controllo di un’autorità di regolazione (l’Autorità per l’energia elettrica ed
il gas) la cui funzione di garanzia appare già di per sé idonea ad assicurare
il corretto svolgimento del servizio pubblico e comunque il perseguimento della
missione affidata al gestore del servizio. La mancata indicazione delle
finalità di interesse generale non consente neppure di
procedere al così detto test di proporzionalità, difettando il parametro in
relazione al quale accertare se la misura adottata vada, in realtà, oltre
quanto necessario per il raggiungimento dello scopo. Ad ogni modo, sul punto
può osservarsi, in via generale, che il controllo della società avrebbe comunque potuto essere garantito con modalità meno
limitative attraverso la stipula di patti parasociali ai sensi dell’art. 122
del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e, comunque, possibili finalità
imperative di interesse pubblico appaiono già adeguatamente salvaguardate dalla
possibilità di esercizio dei poteri speciali che il Comune di Milano, in veste
di autorità, si è riservato con la delibera del 8 marzo 2004 n. 5/04, ai sensi
dell’art. 2 comma 1, lettere b) e c) della legge n. 474 del 1994 (si veda sul
punto la citata delibera a p. 2 e 3). Infine la riserva di nomina ai sensi
dell’art. 2449 c.c. non è soggetta a limitazioni temporali ed è previsione
sostanzialmente immodificabile senza il consenso del Comune di Milano (anche
quando deterrà il 33,4% del capitale), stante la maggioranza dei due terzi
richiesta per le modifiche statutarie (cfr. sul punto
pagina 3 e 4 della delibera del Consiglio comunale di Milano del 8 marzo 1994,
n. 5/04).

Il Comune di Milano su altro piano, ribadisce di aver rispettato i principi che governano la
libera circolazione dei capitali facendo propria l’affermazione del Consiglio
di Stato secondo cui il socio pubblico, nella scelta del management, sarebbe
comunque obbligato, in forza della normativa nazionale, al rispetto di criteri
di professionalità, capacità ed indipendenza. L’argomento, tuttavia, appare non
pertinente, poiché nel caso di specie non è in questione il rispetto del
principio di imparzialità e di buon andamento nella
scelta dei membri del consiglio di amministrazione da parte del socio pubblico,
quanto piuttosto il diritto dei soci privati di AEM s.p.a. e dei potenziali
futuri acquirenti di scegliere loro gli amministratori che ritengano
maggiormente capaci di garantire il perseguimento dell’interesse sociale: è
sotto tale profilo che l’art. 56 del Trattato CE si assume leso.

Il Consiglio di Stato, come si è
detto, è andato di contrario avviso, opinando sostanzialmente che si
tratterebbe, in realtà (a quanto è dato comprendere), dell’utilizzo di
meccanismi di diritto societario di cui il Comune di
Milano si sarebbe avvalso alla stregua di un socio ordinario. Occorre pertanto
investire la Corte
di Giustizia della relativa questione interpretativa, non essendo chiara la
portata dell’art. 56 del Trattato CE in una vicenda quale quella per cui è causa laddove la matrice, di regola autoritativa, dei poteri speciali si intreccia con la
natura privatistica di taluni poteri esorbitanti riconosciuti agli enti
pubblici dal diritto commerciale nazionale. In particolare, il principio di
diritto affermato al punto 48 della sentenza del 13 maggio 2003 in causa C-98/01
appare meritevole di ulteriore sviluppo argomentativo,
in quanto non sufficiente di per sé a dirimere la questione interpretativa in
oggetto.

Per l’ipotesi in cui la Corte di Giustizia ritenesse
che il Comune di Milano, quale socio di maggioranza assoluta, abbia
legittimamente fatto ricorso all’art. 2449 del codice
civile per garantirsi (allorquando diverrà socio di maggioranza relativa) la
riserva di nomina di un quarto dei membri del Consiglio di amministrazione
della società privatizzanda, trattandosi dell’impiego
di meccanismi di diritto privato delle società non soggetti ai rigorosi
presupposti di applicazione cui soggiacciono la previsione nonché l’esercizio
dei poteri speciali, il Giudice remittente chiede se
l’art. 2449 del codice civile sia conforme all’art. 56 del Trattato CE nella
misura in cui, applicato congiuntamente ad altra norma nazionale, quale, nel
caso di specie, l’art. 4 della legge n. 474 del 1994, garantisca al socio
pubblico di maggioranza relativa, sempre e comunque, la maggioranza assoluta
nel consiglio di amministrazione della società.

Se, per i motivi detti, l’art. 2449
c.c. appare, già in sé, suscettibile, quanto meno, di
limitare la partecipazione effettiva alla gestione ed al controllo di una
società, l’applicazione combinata con il citato art. 4 ha come risultato il ben più
grave effetto di interdire qualsivoglia possibilità di partecipazione effettiva
al governo della società anche da parte del socio o del gruppo di soci uniti da
un patto di sindacato (in ipotesi non interdetto dal potere di opposizione di
cui all’art. 1, comma 2 lett. b) della legge n. 474/94) in grado di controllare
una percentuale di azioni con diritto di voto superiore a quella detenuta dal
Comune di Milano all’esito della privatizzazione (pari al 33,4%). E la
situazione non sarebbe diversa in caso di un’offerta pubblica di acquisto, anche totalitaria (ma con esito solo parziale),
che portasse taluno a detenere una percentuale di azioni ben al di sopra del
33,4% che il Comune di Milano conserverà a cessione avvenuta.

In via subordinata il Giudice remittente chiede, infine, se sia compatibile con l’art. 56
del Trattato CE, così come interpretato dalla Corte di Giustizia nelle citate
sentenze, una norma nazionale, quale l’art. 2449 del codice civile, la cui
applicazione determini, in concreto (e cioè per come
applicata), l’aggiramento di altra disposizione di legge nazionale, quale
l’art. 2, comma 1, lett. d) della legge n. 474/94, a sua volta conforme al
predetto art. 56. Nella ricostruzione in fatto si è già evidenziato, infatti,
che, nell’ambito del procedimento di privatizzazione della AEM
s.p.a., il riferimento all’art. 2449 del codice
civile compare solo nella proposta di delibera poi approvata in data 8 marzo
2004, nella quale il Comune di Milano prendeva atto, citandola espressamente
(anche ai fini delle ulteriori modifiche da apportare allo statuto di AEM),
dell’entrata in vigore della legge 24 dicembre 2003 n. 350. Tale legge, come si
è già detto, all’art. 4, commi da 227 a 231, ha riscritto la disciplina dei
poteri speciali e tra questi anche di quello di nomina degli amministratori, di
cui alla lettera d) dell’art. 2, comma 1 della legge n. 474/94, autorizzando la
nomina di un solo amministratore senza diritto di voto, mentre la previgente versione consentiva la nomina di un numero di amministratori sino ad un quarto dei membri del consiglio
oltre ad un sindaco. Il Comune di Milano, non potendosi più assicurare il
controllo totalitario del consiglio di amministrazione
della AEM s.p.a. in quanto la lettera d) dell’art. 2, comma 1, era stata nel
frattempo modificata sulla scia della giurisprudenza comunitaria formatasi in
tema, ha presumibilmente ritenuto di poter conseguire il medesimo effetto
facendo applicazione dell’art. 2449 c.c. (pur mantenendo fermo nel preambolo
del deliberato, a p. 5, il richiamo all’art. 2, comma 1, lett. d) della legge
n. 474/94) che, come detto, consente all’ente pubblico con partecipazioni in
una società per azioni di nominare uno o più amministratori. Così facendo il
Comune di Milano, avvalendosi, in qualità di socio, di
una norma generale del diritto societario, ha di fatto aggirato la ben più
restrittiva norma di legge sul potere speciale di nomina degli amministratori
(nel frattempo modificata al fine di renderla conforme con l’art. 56 del
Trattato CE) che avrebbe potuto applicare in veste di autorità, ma di cui non
ha ritenuto di avvalersi in quanto presumibilmente non più funzionale
all’obiettivo di assicurarsi il controllo del consiglio di amministrazione
della AEM s.p.a.. In definitiva, facendo leva sulla
duplicità di veste di socio e di pubblica autorità, ha rinunciato, come
autorità, ad un potere che ha poi potuto comunque esercitare, in modo ben più
incisivo, ma di dubbia compatibilità con l’art. 56 del Trattato CE, in qualità
di socio ed in forza della normativa di diritto privato.

In definitiva si chiede alla Corte di
Giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, alla
luce dei motivi tutti sopra esposti, se:

1 . l’art.
2449 del codice civile, così come applicato nella vicenda per cui è causa,
possa ritenersi conforme all’art. 56 del Trattato CE come interpretato con le
sentenze 23 maggio 2000 causa C-58/99; 4 giugno 2002 cause C-503/99 e C-483/99;
13 maggio 2003 cause C-98/01 e C-463/00, allorquando ad avvalersene sia un ente
pubblico che, pur avendo perso il controllo di diritto della società per
azioni, conservi una partecipazione rilevante (pari, nel caso di specie, al
33,4%) quale socio di maggioranza relativa, così ottenendo uno sproporzionato
potere di controllo;

2 . l’art.
2449 del codice civile, applicato congiuntamente all’art. 4 del decreto legge
31 maggio 1994, n. 332 convertito nella legge 30 luglio 1994, n. 474, possa
ritenersi conforme all’art. 56 del Trattato CE come interpretato con le
sentenze della Corte di Giustizia 23 maggio 2000 causa C-58/99; 4 giugno 2002
cause C-503/99 e C-483/99; 13 maggio 2003 cause C-98/01 e C-463/00, allorquando
ad avvalersene sia un ente pubblico che, pur avendo perso il controllo di
diritto della società per azioni, conservi una partecipazione rilevante (pari,
nel caso di specie, al 33,4%) quale socio di maggioranza relativa, così
ottenendo uno sproporzionato potere di controllo;

3 . l’art.
2449 del codice civile possa ritenersi conforme all’art. 56 del Trattato CE
come interpretato con le sentenze della Corte di Giustizia 23 maggio 2000 causa
C-58/99; 4 giugno 2002 cause C-503/99 e C-483/99; 13 maggio 2003 cause C-98/01
e C-463/00 nella misura in cui, così come concretamente applicato, realizza un
effetto in contrasto con altra disposizione di legge nazionale (e segnatamente
con l’art. 2, comma 1, lett. d) del decreto legge 31 maggio 1994, n. 332
convertito nella legge 30 luglio 1994, n. 474) a sua volta conforme all’art. 56
del Trattato CE e comunque riproduttiva, quanto a condizioni di esercizio ed a
presupposti applicativi, dei principi affermati dalle citate sentenze della
Corte di Giustizia in materia di poteri speciali.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale
per la Lombardia, sede di Milano, I sezione, non
definitivamente pronunciando, così provvede:

– rimette gli atti del presente
procedimento alla Corte di Giustizia delle Comunità
Europee ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE;

– sospende il presente giudizio.

Manda la segreteria per gli
adempimenti di competenza ai fini della trasmissione di
copia autentica della presente ordinanza alla Corte di Giustizia unitamente a
copia integrale degli atti di causa.

Milano, 29.9.2004.

Il Presidente Il Giudice relatore

Dott. Ezio Maria Barbieri Dott.
Luca Monteferrante

Depositata in Segreteria il 13
ottobre 2004