Penale

Tuesday 31 August 2004

Beneficio della detenzione domiciliare per condannato in condizioni di salute gravi. I dubbi di costituzionalità del Magistrato di Sorveglianza di Alessandria. 688 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 aprile 2004

Beneficio della detenzione domiciliare per condannato in condizioni di salute gravi. I dubbi di costituzionalità del Magistrato di Sorveglianza di Alessandria

ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 aprile 2004.

  Ordinanza emessa l’8 aprile 2004 dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria sull’istanza proposta da M. I. Ordinamento penitenziario – Misure alternative alla detenzione – Detenzione domiciliare – Concessione del beneficio al condannato (nella specie: persona in condizioni di salute particolarmente gravi) con pena residua superiore ai quattro anni – Mancata previsione – Parita’ di trattamento di situazioni diverse – Contrasto con il principio di umanita’ della pena – Lesione del diritto alla salute. – Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-ter, comma 1-quater, introdotto dall’art. 4 della legge 27 maggio 1998, n. 165. – Costituzione, artt. 3, 27 e 32. (GU n. 33 del 25-8-2004)

  IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA

  Nel    procedimento    relativo   al   differimento   provvisorio

dell’esecuzione della pena ex art. 684 del codice di procedura penale

nei  confronti  di M. I., nato a Corleto Monforte (Salerno) il giorno

8 gennaio 1956, detenuto nella Casa di Reclusione N.C. San Michele di

Alessandria,  difeso  dall’avv. Flavio Campagna del foro di Torino di

fiducia,  in  relazione  alla  pena di cui al provvedimento di cumulo

proc. rep. contro Tribunale di Torino in data 22 gennaio 2004.

                            O s s e r v a

    I.  M. ha avanzato a questo magistrato di sorveglianza istanza di

applicazione  provvisoria  della  detenzione domiciliare ai sensi del

combinato  disposto  dagli  articoli  47-ter,  commi 1-ter e 1-quater

della legge n. 354/1975, come introdotti dalla legge n. 165/1998.

    In effetti, dalle acquisizioni istruttorie in atti risulta quanto

segue.

    Sul  piano  giuridico,  egli  e’  condannato  definitivo con pena

residua superiore a quattro anni..

    Sul  piano  sanitario,  egli  risulta sieropositivo dal 1989, con

alterazione della funzionalita’ epatica e biliare, affetto da epatite

C,  neorotoxoplasmosi,  con  reliquati  neorologici  che  determinano

difficolta’  nell’articolazione  della  parola  e  dei  movimenti, in

condizioni   di   salute   non   adeguati   trattabili   in  istituto

penitenziario..

    Egli    tuttavia   non   risulta   nelle   condizioni   descritte

dall’art. 146  del codice penale (grave deficienza immunitaria o AIDS

conclamato   accertate  ai  sensi  dell’art. 286-bis  del  codice  di

procedura  penale,  ne’  e’  in fase cosi’ avanzata da non rispondere

piu’ ai trattamenti disponibili o alle terapie curative)..

    Egli, a causa di tale quadro, si trova invece nella condizione di

cui   al  numero  2  dell’art. 147  del  codice  penale  (persona  in

condizioni  di  grave  infermita’  fisica).  Egli, in particolare, si

trova,  dal  punto  di  vista  sanitario,  nella  condizione  che  ha

individuato  la Corte di cassazione nella applicazione della medesima

disposizione  (non  e’  sufficiente che una o piu’ infermita’ fisiche

menomino  in  maniera  piu’ o meno rilevante la salute del soggetto e

siano  suscettibili di generico miglioramento in caso di ritorno alla

liberta’,  ma  e’  necessario  che le patologie siano suscettibili di

generico  miglioramento  in  caso  di  ritorno  alla  liberta’, ma e’

necessario  che  le  patologie siano di tale gravita’ da far apparire

l’espiazione  della pena in contrasto con il senso di umanita’ cui si

ispira la norma dell’art. 27, secondo comma, Cost.; occorre cioe’ che

la   malattia   sia  di  tale  gravita’  da  escludere  –  in  quanto

preponderante   sugli   altri   aspetti   della   vita  intramuraria,

globalmente  considerata,  del detenuto la sua capacita’ di avvertire

l’effetto  rieducativo  del  trattamento penitenziario» Cass. sez. I,

15 ottobre 1996, in Ced. Cass., rv. 206329).

    Egli  tuttavia  non  soddisfa  la condizione di cui all’art. 147,

ultimo  comma  del codice penale (esclusione del concreto pericolo di

commissione  di  delitti).  Ha  commesso  infatti numerosi delitti di

particolare  gravita’  e, situazione decisiva, e’ gravemente recidivo

dopo  benefici  penitenziari  e inflizione di misure di sicurezza, di

tal che la pura e semplice remissione in liberta’ costituisce fattore

di rischio per l’interessato e la collettivita’.

    Piu’  precisamente,   poiche’  tale  pericolo  di  recidiva e’ una

situazione  di fatto, da accertare in concreto, esso e’ una variabile

che  dipende dal regime sanzionatorio. Alla luce di tale valutazione,

sia  pure effettuata nella presente sede cautelare, egli e’ portatore

di  pericolosita’ sociale incompatibile con la mera scarcerazione, ma

compatibile   con   il   collocamento  in  un  regime  restrittivo  e

controllato  quale  quello  inerente la detenzione domiciliare, con i

relativi controlli, supporti e regime sanzionatorio e deterrente, ivi

compresa la possibilita’ di immediato arresto per evasione.

    Sussiste,  inoltre,  il  periculum  in mora, attese le condizioni

compromesse di salute e il cospicuo tempo di attesa necessario per la

trattazione  davanti  al tribunale di sorveglianza, poiche’ l’udienza

piu’   prossima  fissata  in  conformita’  all’art. 70,  della  legge

n. 354/1975 non e’ prima del 12 maggio 2004.

    L’istanza  dell’interessato  e’, in definitiva, assai ben fondata

in punto di fatto.

    Essa pero’ non puo’ essere accolta poiche’ vi osta l’art. 47-ter,

comma   1-quater.   Questa   disposizione   consente   l’applicazione

provvisoria della detenzione nei soli casi di cui ai commi 1 e 1-bis,

escludendo il caso, che qui ricorre, dell’art. 1-ter. Cio’ risulta in

modo  inequivocabile  dalla  disposizione dello stesso art. 1-quater,

introdotto  contestualmente  al  comma  1-ter (circostanza ugualmente

decisiva).  Non  e’ possibile, in definitiva, alcun altro significato

per  l’omesso  richiamo di tale ultima disposizione, se non la chiara

volonta’  legislativa di escludere tale ipotesi dalla possibilita’ di

applicazione  provvisoria. Tale e’ del resto la costante applicazione

concreta della norma nella quotidiana pratica giurisprudenziale.

    A  sommesso  avviso  di  questo magistrato di sorveglianza non e’

manifestamente  infondato  il  dubbio  che  questo assetto normativo,

rilevante  nel presente procedimento come emerge da quanto sopra, sia

in contrasto con gli articoli 3, 27 e 32 della Costituzione.

     In    primo   luogo,   per   il   fatto   che   esso   impedisce,

irragionevolmente,   di  adottare  in  via  urgente  l’unica  misura,

terapeutica  e  sanzionatoria,  adeguata  a tutelare il diritto a una

pena  umana,  il  diritto  alla  salute  e  il  valore costituzionale

rilevante  (e  anch’esso  immanente  alla  pena)  della sicurezza dei

cittadini.  In  proposito,  e’  sufficiente sottolineare la efficacia

umanitaria,  rieducativa  e preventiva di una misura contenitiva come

la  detenzione  presso  un  luogo  di privata dimora o cura. Ne’ puo’

essere  trascurato  il  dato criminologo della riconosciuta efficacia

deterrente  di  prescrizioni,  controlli  e  immediate  sanzioni  che

possono  conseguire  alla  detenzione  domiciliare  (per tacere della

possibile  attuazione  di  meccanismi  di  controllo  elettronico del

rispetto delle prescrizioni).

    In  secondo  luogo  perche’ irragionevolmente equipara situazioni

diverse  quanto  ai  valori  costituzionali  in gioco, con violazione

dell’art. 3 Cost., in correlazione con gli articoli 27 e 32 Cost. Per

rimanere  alla  fattispecie  oggetto  dell’odierno esame, equipara un

condannato  portatore  di pericolosita’ compatibile con la detenzione

domiciliare  a  un  detenuto al quale tale misura non potrebbe essere

concessa  (neanche  in sede definitiva), a causa di una pericolosita’

del tutto incompatibile con forme trattamentali esterne.

    In  terzo  luogo  (e  si tratta di profili di dubbia legittimita’

della  disposizione  non  direttamente  rilevanti nella situazione di

fatto presente ma concernenti identici profili), perche’, nel caso di

persona  nei  cui  confronti  ricorrano  le  condizioni,  piu’ gravi,

dell’art. 146 del codice penale, equipara, nella fase provvisoria, il

condannato   socialmente   pericoloso   a   quello   non  socialmente

pericoloso,  impedendo  l’applicazione  al  primo  dell’unica  misura

idonea   della   detenzione   domiciliare,   stringendo  tra  le  due

alternative  ugualmente costituzionalmente dubbie della scarcerazione

tout  court  o del mantenimento della carcerazione. La prima priva il

condannato   di   supporti  necessari  alla  sua  rieducazione  e  la

collettivita’   di  tutela  contro  le  aggressioni  (tutela  che  la

detenzione  domiciliare garantirebbe). La seconda lederebbe la salute

del condannato e principi di evidente umanita’.

    Questa  irragionevole alternativa, in fatto, ricorre nella specie

odierna.

    Tali  profili  della  disciplina, a modestissimo avviso di questo

giudice, non appaiono espressione di discrezionalita’ legislativa ma:

      a) irragionevolmente  e  ingiustificata compressione dei valori

costituzionali predetti;

      b) irragionevole  equiparazione  di  situazioni  differenti, se

valutate alla luce dei valori medesimi.

    Ne’  potrebbe giustificarsi, per completezza, tale assetto, sulla

base  di  una  ipotetica  necessita’,  valutata  dal  legislatore, di

intervento  del  giudice  collegiale  (di  cui fanno parte componenti

esperti) per le fattispecie di cui al comma 1-ter e art. 47-ter della

legge  n. 354/1975,  concernenti le pene piu’ elevate (e la correlata

maggiore  pericolosita),  per  l’ovvio  motivo  che provvedimenti che

determinano  la scarcerazione di soggetti, anche autori di gravissimi

delitti  e  per  pene  della  stessa  durata,  e’  possibile  in  via

monocratica   (ad   esempio,   per  effetto  del  combinato  disposto

dall’art. 146  del  codice  penale  e  684  del  codice  di procedura

penale).  In  tali  casi,  in  modo  esattamente opposto a quello che

questa   ipotetica  ratio  comporterebbe,  e’  riservata  al  giudice

monocratico   l’adozione   in   via   urgente  del  provvedimento  di

liberazione  tout  court (e irragionevolmente preclusa l’applicazione

provvisoria della detenzione domiciliare).

    Ne  consegue  che la questione di legittimita’ costituzionale del

comma  1-quater  e  dell’art. 47-ter,  della legge n. 354/1975, nella

parte in cui non consente l’applicazione provvisoria della detenzione

domiciliare  al  caso  di  condannato  con  pena residua superiore ai

quattro  anni e’ rilevante nel presente giudizio e non manifestamente

infondata.

    Il  procedimento  deve  pertanto  sospendersi  e  gli atti essere

inviati alla Corte costituzionale.

                                         P. Q. M.

    Visti  gli  articoli  23 e seguenti, legge 11 marzo 1953, n. 87 e

47-ter, legge n. 354/1975;

    Dispone la trasmissione degli atti del presente procedimento alla

Corte costituzionale;

    Dispone  la sospensione del presente procedimento in attesa della

decisione della Corte medesima;

    Manda  alla  cancelleria  per  le  comunicazioni  di  legge e, in

particolare,  la  notifica all’interessato, al pubblico ministero, al

Presidente  del  Consiglio  dei ministri, nonche’ la comunicazione ai

Presidenti delle Camere.

        Alessandria, addi’ 8 aprile 2004.

         Il magistrato di sorveglianza: Marcheselli