Imprese ed Aziende

Thursday 23 June 2005

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.RELAZIONE ANNUALE. Presentazione del Presidente

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.RELAZIONE
ANNUALE.

Presentazione del Presidente

Non posso nascondere l’emozione di
parlare dell’attività di un’Autorità che è stata
presieduta da Francesco Saia, da Giuliano Amato e da Giuseppe Tesauro. E’ un’Istituzione che ha saputo conquistare sul
piano nazionale, europeo e internazionale rispetto e credibilità.

Il mio quotidiano impegno consiste
nel mantenerne la reputazione, il prestigio e, soprattutto, nel garantire
efficacia, speditezza e chiarezza all’azione amministrativa.

***

La mia relazione si divide in tre
parti: la prima dedicata al mercato e alla concorrenza, la seconda al conflitto
di interessi, la terza alla pubblicità ingannevole.

***

1. La concorrenza

L’Autorità guarda con preoccupazione
ai sintomi di crisi che provengono dai referendum sulla Costituzione europea.
L’Europa è stata e continua ad essere il motore che ha ispirato e dato sviluppo
alla politica della concorrenza nel nostro Paese.

Il dibattito pubblico, sappiamo, è
molto acceso.

Da un lato, si avverte il rischio di
una battuta d’arresto nel processo di integrazione e
si ammonisce sul fatto che si è andati troppo avanti, forse anche oltre i
desiderata di alcuni tra i popoli dell’UE. Dall’altro, si insiste
nel dire che, proprio oggi, bisognerebbe far sentire ai cittadini quanto
l’Europa sia stata, in realtà, loro vicina, quanto abbia già fatto e quanto
potrà fare di buono per loro nel prossimo futuro.

Ebbene, su questi temi l’Autorità deve fare
la sua parte.

Deve ricordare che, pur in una
situazione di difficoltà come quella odierna,
anzitutto la concorrenza e l’apertura del sistema economico nel quadro europeo
restano un risultato condiviso e prezioso. La libera concorrenza comunitaria è
un valore acquisito e che va senz’altro difeso, promosso e consolidato.

L’attenzione che la Commissione europea ha
avuto per la contendibilità dei mercati e per la
riduzione dei costi di beni e servizi, è un risultato che deve essere trasmesso
alla percezione dell’uomo comune. La cultura della concorrenza è un frutto dell’integrazione
comunitaria e resta un valore in sé anche dopo gli eventi che in questi giorni
hanno complicato il cammino della Costituzione per l’Europa. Forse, tra i molti
principi che restano ben saldi, quale che sarà la sorte del progetto
costituzionale, al primo posto c’è proprio quello meritocratico-competitivo
[1]. E ciò ha rilievo soprattutto per il mercato italiano che ha da poco chiuso
un’epoca, quella della diffusa proprietà pubblica dell’apparato produttivo,
anche se ancora molte imprese fornitrici di servizi essenziali continuano ad essere pubbliche.

E’ stato un periodo non facile e non
privo di incomprensioni.

Più volte e da più parti si è parlato
della vendita dei “gioielli di famiglia” ad opera di
governi che volevano far cassa.

Era una visione errata.

I fatti hanno dimostrato che la
proprietà pubblica non garantiva la qualità e l’economicità
dei servizi offerti, né la neutralità del regolatore nel processo di liberalizzazione. E al tempo stesso
la proprietà privata non era una garanzia di tutela degli interessi dei
consumatori.

I poteri di mercato esorbitanti sono
stati combattuti sia dalla Commissione europea, sia dai Governi nazionali, sia
dalle Autorità.

Al centro
dell’attenzione
l’Unione europea ha posto non tanto la libertà d’impresa, né i doveri di
solidarietà, ma la tutela del consumatore.

Questa giusta scelta ha consentito il
necessario consenso politico-istituzionale per le azioni di separazione
orizzontale e verticale, di privatizzazione, di liberalizzazione che hanno
caratterizzato quest’ultimo decennio di vita
economica; ma un difetto di comunicazione o comunque
di percezione non ha permesso anche il consenso sociale, non difficile peraltro
in quella favorevole situazione economica.

Quel contesto
è oggi in via di cambiamento, da un lato con la fase di rallentamento della
crescita e con il raggiungimento dei punti “di minimo” del ciclo economico,
dall’altro con la necessità di “ri-specializzazione”
del sistema produttivo.

Così come la nostra economia deve
essere incentivata a percorrere rapidamente la fase di risalita del ciclo,
anche l’Autorità deve dare concrete risposte per superare i nuovi dubbi che si
affacciano circa la reale possibilità di usare la concorrenza come strumento di
sviluppo [2].

Il percorso è sostanzialmente
parallelo: il sistema economico e il mondo politico devono riconquistare la
fiducia dei consumatori e, conseguentemente, anche quella degli investitori –
nazionali ed esteri -, riducendo le incertezze e le instabilità associate a una regolazione ancora troppo invadente e poco prevedibile
negli esiti.

A sua volta, l’Autorità deve
garantire al mondo imprenditoriale che le decisioni di repressione di condotte
collusive o abusive siano adottate sulla base di un
insieme di regole e di criteri interpretativi chiari e trasparenti, così che le
imprese conoscano con sufficiente certezza ciò che è consentito e ciò che è
invece vietato.

E soprattutto occorre determinare una
diffusa percezione nell’opinione pubblica che un mercato competitivo è
strumento di benessere sociale.

L’Autorità intende dunque mantenere
un atteggiamento cooperativo con le imprese al fine di facilitarle nel rispetto
delle normative, riducendo l’opacità dell’azione amministrativa e superando
inutili e ingiustificati formalismi in coerenza con le più moderne evoluzioni
del diritto antitrust. Inoltre, soprattutto nei mercati caratterizzati da
regole ingiustificatamente restrittive, l’Autorità intende avviare tavoli di
confronto, al fine di individuare soluzioni più favorevoli allo sviluppo della
concorrenza a beneficio dei consumatori. I primi timidi risultati positivi di questa impostazione non sono tardati a
manifestarsi: gli impegni assunti dai vertici dell’ENI per l’apertura di
importanti opportunità competitive nel mercato del gas naturale (che speriamo
il nuovo Amministratore delegato vorrà confermare); la disponibilità dell’ANIA
ad aprire un tavolo di studio per la migliore configurazione del sistema di
indennizzo diretto obbligatorio nella R.C.A.;
l’apertura di un tavolo di negoziazione con Telecom
che sarà esteso agli OLO; l’impegno assunto da Numico,
in sede di autorizzazione alla concentrazione con Mellin,
di diminuire già nel 2005 in
modo consistente i prezzi di tutte le tipologie di latte per l’infanzia.

L’Autorità vuole innovare anche le
procedure: renderle più snelle, meno formali e più partecipate. Così, seguendo
il modello comunitario, ha deciso di introdurre, in via sperimentale, prima
della formale comunicazione dell’operazione di
concentrazione una fase di collaborazione informale con le Parti ed i propri
rappresentanti, al fine di consentire rilevanti economie nella tempistica
procedurale [3].

Per assicurare un sistema
competitivo, non è sufficiente constatare l’esistenza di prezzi “fuori mercato”
in molti settori fondamentali, sia in qualità di input
nel processo produttivo di altre imprese sia nella forma di bene/servizio per i
consumatori finali; così come è insufficiente limitarsi a intervenire sulle
condotte ormai poste in essere. E’ indispensabile rimuovere le cause, spesso
strutturali, che assicurano protezione alle rendite di posizione.

Questo percorso è inevitabile in un
assetto economico, come quello italiano, ancora caratterizzato
da dimensioni medio-piccole, soprattutto nel
settore dei servizi, e con specializzazioni industriali ormai esposte alla
pressione competitiva delle economie emergenti. Funzione principe dell’Autorità
non può che essere quella di accompagnare questa fase di cambiamento, vigilare
sulle condotte, individuare i problemi di sistema e suggerirne le possibili
soluzioni.

Tra i principali settori di traino
per l’economia nazionale e per il benessere del consumatore finale, occorre
indicare tre aree di intervento sulle quali appare
centrale il ruolo svolto e che svolgerà l’Autorità.

La prima comprende i settori
dell’energia elettrica e del gas naturale, contraddistinti dal fatto di essere
da tempo liberalizzati con scarsa utilità per le imprese e per i consumatori.

La seconda riguarda i servizi bancari/finanziari
e i servizi assicurativi, entrambi poco permeabili alle spinte
competitive tanto nazionali quanto internazionali.

La terza concerne le libere
professioni e i servizi pubblici locali ancora sottratti al confronto
competitivo da una regolazione a tratti invasiva [4].

In questi ultimi settori esistono
certamente esigenze di interesse generale da tutelare,
ma spesso la regolazione interviene ben al di là di quanto strettamente
necessario, limitando in modo ingiustificato la concorrenza e il libero mercato
con tariffe non sempre proporzionate alla qualità e alla quantità delle
prestazioni.

I servizi locali sono caratterizzati
dalla molteplicità e complessità delle regolazioni che si sviluppano ai diversi
livelli di governo del territorio: nazionale, regionale e locale.

L’attuale assetto costituzionale e
amministrativo disegnato dalla riforma del titolo V della Costituzione ha infatti ampliato la potestà legislativa e regolamentare
delle regioni e le funzioni amministrative degli enti locali in materia di
disciplina dell’attività economica. Questo nuovo assetto richiede quindi una
particolare attenzione affinché le regolazioni regionali e locali, nel
perseguire l’interesse pubblico, non determinino limitazioni ingiustificate
della concorrenza nei mercati locali.

In questo, l’Autorità può e deve
svolgere un ruolo decisivo.

Il mercato dei servizi sul
territorio, infatti, appare ancora imperniato sul primato della programmazione
e gestione pubblica.

L’intervento dell’Autorità deve in
particolare focalizzarsi su tre ambiti: le restrizioni alle condizioni di entrata sul mercato; la disciplina delle attività di
impresa [5]; le modalità di ristrutturazione delle imprese ancora in monopolio
legale.

Un sistema economico più competitivo
ed efficiente dipende in misura rilevante anche dalla qualità della
regolazione.

Concorrenza e regolazione vivono infatti un rapporto di interdipendenza.

L’impulso impresso dagli organismi
internazionali, e in particolare dall’OCSE e dalle istituzioni comunitarie ha
accelerato nell’ultimo quinquennio la diffusione di tecniche volte a migliorare
non solo le regole, ma anche la qualità del loro processo di produzione.

L’Autorità intende sostenere questo
processo di trasformazione, favorendo la diffusione della cultura di
valutazione degli effetti dei provvedimenti normativi
e di modelli di regolazione pro-concorrenziale, oltre che nelle amministrazioni
centrali, nell’ambito delle autonomie territoriali [6].

Credo che lavorare per un “ambiente competitivo”
in cui la concorrenza possa costituire un motore per lo sviluppo significhi
lavorare per un nuovo sistema di amministrazioni
pubbliche. Amministrazioni meno burocratiche, meno pesanti nelle loro
dimensioni, più orientate al core business, in una
parola “più semplici”, possono stimolarne lo sviluppo e non costituirne,
invece, il freno. Amministrazioni orientate al mercato e non
a proteggere i monopoli pubblici o privati. Amministrazioni
che considerino il tempo come una risorsa preziosa e che abbiano il servizio al
pubblico come criterio della propria azione.

In un mercato globale,
i fattori della produzione tendono sempre più a spostarsi dove i sistemi
istituzionali, normativi e amministrativi risultano più favorevoli ed
efficienti. Si viene così a stabilire una concorrenza non più solo tra i
fattori della produzione in sé, ma anche tra gli ordinamenti, i regimi di
regolazione e le stesse amministrazioni. In questo contesto,
il sistema Paese nel suo complesso finisce per rappresentare un fattore
essenziale di incentivo o disincentivo per gli investimenti e, quindi, un
fattore in positivo o in negativo di competitività.

Sempre più spesso si sente parlare di
tutela dei campioni nazionali dalle mire appropriative
di gruppi stranieri.

L’Italia non deve temere gli
investimenti di capitali esteri, ma attirarli.

Il grado di penetrazione dei capitali
non nazionali nell’economia italiana non supera il 10%, mentre in Francia è al
30% e in Gran Bretagna raggiunge il 50%.

Forti in questo periodo sono stati
gli auspici di deroghe alle norme antitrust da parte di settori agroalimentari italiani. Ciò anche in ragione del
collegamento che il settore ha con il territorio nazionale.

Esistono nell’ordinamento poteri del
Governo che finora non sono stati esercitati e che
richiedono la cooperazione dell’Autorità.

Mi riferisco in particolare all’art.
25 della nostra legge istitutiva, ai sensi del quale il Governo determina in
linea generale e preventiva i criteri sulla base dei quali l’Autorità può
eccezionalmente autorizzare, per rilevanti interessi generali dell’economia
nazionale nell’ambito dell’integrazione europea, operazioni di concentrazione vietate, sempreché esse non
comportino l’eliminazione della concorrenza dal mercato o restrizioni alla
concorrenza non strettamente giustificate dagli interessi generali. In tali
casi l’Autorità prescrive comunque le misure
necessarie per ristabilire condizioni di piena concorrenza entro un termine
prefissato. Naturalmente ogni azione in questo senso che abbia rilievo comunitario
deve essere concordata con la Commissione europea, ma in nessun caso deve
trattarsi di interventi estemporanei e particolari che
avrebbero solo l’effetto di distorcere le regole di mercato con effetto
imitativo ed emulativo di impatto disastroso per l’intero sistema. Deve
trattarsi di criteri generali preventivi e concordati con l’Antitrust.

L’Unione europea tende ad accrescere
i poteri dell’Antitrust nazionale. Mi riferisco alla disapplicazione
delle leggi in contrasto con il Trattato di Roma, potere riconosciuto dalla
decisione della Corte di Giustizia sul caso del
Consorzio Italiano Fiammiferi.

Altre funzioni possono, invece,
esserci attribuite dal Parlamento nazionale, come ad esempio l’attuazione di
programmi di clemenza che consentirebbero, come nel resto d’Europa, un
riavvicinamento spontaneo di alcuni settori alle
regole competitive.

Anche per questo, nel rispetto dei
regolamenti parlamentari, l’Autorità vuol riferire dettagliatamente in
Parlamento alle Commissioni competenti per il giusto confronto in quell’alta Sede sui problemi di maggiore interesse
pubblico, come deciso dai due Presidenti delle Camere che continueremo a tenere
informati delle nostre attività e ai quali va il nostro ringraziamento per
l’attenzione che dedicano a questa Istituzione.

L’attività di segnalazione è stata
ingente nel corso dell’anno e in questi ultimi mesi.

L’impressione è che la stampa dedichi
particolare attenzione alle nostre proposte.

Si tratta di indicazioni
tecniche che spetta al Governo e al Parlamento valutare nella loro
praticabilità politica, ma troppo spesso in passato le segnalazioni sono state
ignorate dalle Istituzioni competenti. Probabilmente spetta a noi migliorare il
raccordo con le sedi governative e parlamentari e, in futuro, iniziare analogo
lavoro con le Assemblee regionali.

Negli ultimi mesi l’Autorità ha
avviato alcune indagini conoscitive in settori economici “critici” nei quali
l’evoluzione degli scambi, il comportamento dei prezzi ed altre circostanze
fanno presumere che la concorrenza sia impedita, ristretta o falsata: il calcio
professionistico, il trasporto pubblico locale, il caro prezzi nella
distribuzione agroalimentare [7].

Nell’ultima seduta l’Autorità ha
avviato un’indagine sulle possibili criticità anticompetitive del Sistema Sanitario
Nazionale, anche in questo caso con lo specifico intento di indicare possibili
suggerimenti che rendano, in un sistema
concorrenziale, un miglior servizio nel rispetto della programmazione regionale
e con particolare attenzione alla finalità sociale della tutela della salute.

***

2. Il conflitto di interessi

L’Autorità è in grado di fronteggiare
i nuovi compiti assegnati dalla legge sul conflitto di interessi.

Si tratta di una normativa di sicura
ispirazione tutoria di valori, non solo costituzionali, ampiamente condivisi,
che il Collegio applica con determinazione e nel più rigoroso rispetto dei
criteri di ermeneutica imposti dalle regole
giuridiche.

E’ una legge meritoria ma, come tutte
le cose del mondo, migliorabile ed è nostro dovere segnalarne i punti di
debolezza che si sono già manifestati.

L’Autorità ben conosce il dibattito etico-culturale, dottrinario e politico che ha preceduto,
accompagnato e seguito l’approvazione della legge 20 luglio 2004, n. 215.

Sul piano strettamente tecnico due erano le opzioni consentite al Parlamento per definire
l’istituto del conflitto d’interessi: un concetto statico basato sulla
potenzialità del danno e uno dinamico basato sull’esame dei singoli atti posti
in essere dai titolari delle cariche di governo.

La legge opta
per la seconda, ma in modo non netto: definisce infatti alcune situazioni di
incompatibilità, quelle che fino ad ora hanno impegnato l’attenzione
dell’Autorità.

Il conflitto d’interessi
vero e proprio è dato, ai sensi di legge, dal comportamento concretizzantesi in atti o in omissioni da parte di chi
partecipa all’adozione di un provvedimento, anche formulando la proposta,
oppure omette un atto dovuto, trovandosi in situazione di incompatibilità.

Altra ipotesi è che l’atto o l’omissione
abbia un’incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare, del
coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da
essi controllate, con danno per l’interesse pubblico.

Si rileva, quindi, una concezione per
certi versi restrittiva dell’istituto, considerato non quale fenomeno in sé di
potenziale lesione, ma piuttosto nelle sue concrete manifestazioni e
conseguenze negative. Così come prevale un approccio privatistico,
legato al verificarsi di un “evento di danno”, che non sempre si adegua alla
variegata realtà dell’amministrazione. Diverso infatti
è il concetto di danno all’interesse privato nel diritto societario, al quale
il legislatore si è ispirato, da quello ben più complesso di danno
all’interesse pubblico, la cui definizione necessita di una valutazione che
prescinde spesso da qualsivoglia quantificazione in termini
economico-patrimoniali.

Resta infatti
irrisolto il problema di stabilire a chi spetti la configurazione
dell’interesse pubblico la cui lesione fa scattare i poteri sanzionatori.
La legge sembra delegare questa competenza all’Autorità che, interpretandola in
coerenza con la propria ispirazione, ha ritenuto nel regolamento attuativo che il pubblico interesse sia leso in tutti i
casi in cui i comportamenti dei titolari siano idonei ad alterare il corretto
funzionamento del mercato e comunque, in via
residuale, ogni qualvolta l’incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio
dei titolari e dei loro congiunti sia frutto di una scelta manifestamente
ingiustificata. E’ peraltro lecito chiedersi se la definizione dell’interesse
pubblico da tutelare (l’interesse primario) tra gli altri meritevoli comunque di considerazione (interessi secondari) non sia
un’attribuzione tradizionalmente riservata al potere politico e non all’area
della discrezionalità tecnica. Sul punto un chiarimento legislativo sarebbe
quindi opportuno.

Ancora,
suscettibile di miglioramento è il sistema delle dichiarazioni patrimoniali dei
parenti fino al secondo grado tenuti a dichiarare il proprio stato
patrimoniale, dato che i relativi adempimenti possono collidere con sentimenti
di naturale rispetto per l’altrui sfera personale, anche e soprattutto nei
confronti dei familiari.

Deve del resto rilevarsi che
l’Autorità è sprovvista di poteri sanzionatori nei
confronti dei parenti dei titolari che rifiutino di
collaborare.

Le norme devono essere interpretate
in senso conforme a Costituzione: ciò comporta che neanche possa sanzionarsi il
titolare per le omissioni dei parenti, potendosi a lui imporre solo la prova di
aver adempiuto ad un obbligo di richiesta, un obbligo
di diligenza insomma, e non di risultato.

La classe di Governo ha risposto
tempestivamente solo a parte delle richieste documentali dell’Antitrust e, in
particolare, alle richieste relative alle
incompatibilità [8].

Non può affermarsi lo stesso per le
dichiarazioni patrimoniali, rispetto alle quali si registra una certa
resistenza.

Nel 58° Governo della Repubblica
hanno adempiuto all’obbligo di comunicazione sulle
incompatibilità tutti i titolari meno due, mentre dei 97 titolari solo 61 hanno
inviato le dichiarazioni sui dati patrimoniali. Peggiore è la situazione dei
parenti: su 456 obbligati solo 233 hanno risposto all’invito.

I termini sono ancora aperti per le
dichiarazioni patrimoniali dei titolari del 59° Governo, ma per i termini relativi alle dichiarazioni sulle incompatibilità (ormai
scaduti) su 99 obbligati si registrano ancora due ritardatari.

Con riguardo alle specifiche
situazioni di incompatibilità, l’Autorità ha
affrontato numerose problematiche, cercando un’interpretazione sostanziale
delle norme per verificare l’effettivo collegamento e la stretta connessione
tra le cariche e gli uffici ricoperti o le attività svolte [9]. L’Autorità ha
considerato incompatibili le cariche di sindaco, di consigliere regionale o
comunale ricoperte da alcuni titolari di carica di governo. In conseguenza il
Parlamento ha ritenuto opportuno emendare la legge facendo espressa menzione di
compatibilità per le cariche negli Enti locali.

Si sarebbe potuto usare il fioretto
facendosi cadere l’incompatibilità solo per le piccole comunità locali. Si è
usata invece la spada e oggi la carica di governo risulta
compatibile con l’incarico di sindaco di una grande città o di una grande
provincia, in netta contraddizione con lo spirito della legge emendata.

Per quanto riguarda l’attività svolta
in società, l’Autorità ha inteso censurare qualunque incarico o funzione, a prescindere dalla gratuità e dai poteri di rappresentanza,
svolti in un’entità che eserciti un’attività economica, quali che siano il suo
stato giuridico e le sue modalità di finanziamento [10].

Per converso sono state considerate
compatibili le cariche in associazioni senza scopo di lucro, con finalità
esclusivamente culturali, assistenziali, di
solidarietà, sociali e ricreative.

In merito alle attività professionali
o di lavoro autonomo, l’Autorità ha ritenuto che la situazione di incompatibilità sussista ove si riscontri una connessione
di tale attività con la carica di governo rivestita. Quindi, la mera iscrizione
ad un albo professionale non è in principio causa di incompatibilità.
Non sono stati considerati incompatibili gli incarichi di insegnamento
di natura temporanea, così come attività espressione della libera
manifestazione del pensiero (la partecipazione a comitati scientifici,
relazioni a convegni, occasionali collaborazioni giornalistiche).

L’Autorità ha considerato
incompatibili situazioni di titolari di carica di governo, che rivestivano contemporaneamente posizioni nell’ambito di
amministrazioni pubbliche (Consigliere di Stato in ruolo, Prefetto in sede e
Capo Dipartimento nei Ministeri).

Per ciò che riguarda la consistenza
patrimoniale, in quasi la metà dei casi (28 su un totale di 61 dichiaranti) è emerso come i titolari abbiano direttamente o per il tramite
dei propri congiunti, attività in diversi settori economici, soprattutto
attraverso la detenzione di partecipazioni anche di controllo in società.

In alcuni casi si tratta di ingenti patrimoni, il che non è causa di incompatibilità
per i titolari, ma certamente accentua l’attenzione dei nostri Uffici.

***

3. La pubblicità ingannevole

La pubblicità ingannevole è stata
considerata finora la Cenerentola dell’attività dell’Antitrust e della
giurisdizione sugli atti di quest’ultima.

Ma la legge 6 aprile 2005, n. 49 ha
rafforzato i poteri dell’Autorità consentendole di incidere su questo settore
in modo penetrante.

A seguito della riforma, è stata già
istituita un’apposita Direzione che sta conducendo
un’azione determinata; ed è stato predisposto un indirizzo informatico dedicato
per avere da parte degli uffici indicazioni sulle modalità di presentazione
delle denunce e, ove sia possibile, per un preesame
della questione.

L’importanza che la pubblicità
commerciale riveste nella società contemporanea [11] è in larga parte da
ricercare in quello che è stato il progressivo ma inesorabile allontanamento,
soprattutto dal punto di vista “fisico”, dell’impresa rispetto al consumatore
finale. Le dimensioni spaziali all’interno delle quali, al
giorno d’oggi, si svolgono la gran parte dei rapporti commerciali e di consumo
sono divenute sempre più estese e comportano spesso l’instaurazione di contatti
a distanza tra consumatori e imprese. Basti pensare a come
l’implementazione di nuove forme di commercializzazione dei prodotti, quali in
particolare internet, abbia condotto al sostanziale abbattimento di
molte barriere geografiche nella distribuzione di prodotti e servizi.

E’ utile, in particolare, la
pubblicità comparativa che in Italia non riesce a decollare, e questa è la
prova più evidente della scarsa trasparenza informativa dei nostri mercati.
Anche per questo l’Autorità auspica che la pubblicità possa essere estesa a
settori per i quali è attualmente preclusa.

Va invece condannata la pubblicità
occulta, quella che a volte si nasconde in trasmissioni televisive e, stando
alle segnalazioni, con maggior frequenza in articoli giornalistici di
commentatori di questo o quel nuovo prodotto di mercato.

La pubblicità occulta va sanzionata
ex se, al di là degli effetti ingannevoli, e ciò
riguarda anche la pubblicità dei prodotti dannosi per la salute e di quelli che
possono essere pregiudizievoli per l’infanzia.

Ma l’ingannevolezza
è quantitativamente il male maggiore: maghi che promettono guarigioni, lavoro,
fortuna, successo e felicità; agenzie matrimoniali che si nascondono dietro
annunci di cuori solitari; istituti scolastici privati non riconosciuti o non
autorizzati che promettono titoli di studio validi sul territorio europeo o
nazionale; mutui falsamente descritti come a costo zero, che colpiscono
i ceti più deboli; finte vendite fallimentari e altri gravi casi di inganno a
danno degli utenti, ci inducono a ritenere che la tradizionale distinzione tra dolus malus e dolus
bonus, quest’ultimo considerato un tempo lecito e
giustificabile, sia venuta definitivamente a cadere.

Il concetto stesso di correttezza
deontologica e professionale è in costante evoluzione e i relativi criteri
diventano sempre più rigorosi e, alla luce di questi, deve ritenersi ancora
scarsa la chiarezza di alcuni messaggi nei settori agroalimentare, farmaceutico e delle telecomunicazioni.

Anche per rispettare la volontà del
Parlamento l’attività dell’Antitrust sarà sul tema ancora più incisiva e meno
formale nei confronti dei consumatori che intendano in
qualsiasi modo denunziare comportamenti scorretti.

***

Un ringraziamento particolare per lo spirito con cui le innovazioni
procedurali sono state accettate va al personale dell’Autorità.

Grazie anche per la
fruttuosa collaborazione alle Istituzioni consorelle e, in particolare, alla
Banca d’Italia, all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, alla Consob, all’ISVAP, all’Autorità per l’Energia Elettrica e
il Gas, all’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici e al Garante per la
Protezione dei Dati Personali.

Un ringraziamento alla Guardia di
Finanza che ci assiste con la competenza e l’autorevolezza che le sono proprie.

Un ringraziamento infine a tutti i
presenti per il tempo che hanno voluto dedicarmi.

————-

[1] E’, poi, in questo momento storico
che va sottolineato un altro aspetto molto importante. L’impegno dell’Autorità
nel garantire l’apertura del mercato è un valore integrato nella Costituzione
italiana. Non solo l’art. 117, comma 1, della Costituzione sottopone la potestà
legislativa dello Stato e delle Regioni ai vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario, ma lo stesso articolo, al comma 2, lett. e), richiama la tutela
della concorrenza tra i compiti del legislatore statale; la Corte
costituzionale ha chiarito che esso corrisponde ad un valore di tipo
trasversale (sent. n. 14 del
2004 e n. 272 del 2004). La sintonia dei principi comunitari con quelli della
Costituzione nazionale non può che esser di conforto per l’Autorità
nell’espletamento, spesso non facile, dei suoi quotidiani compiti.

[2] Due sembrano essere le
considerazioni da fare, in un’ottica di sviluppo e promozione della
concorrenza, sullo stato di “salute” del sistema industriale nazionale.

Da un lato l’incapacità da parte
delle imprese italiane ad entrare nel gioco competitivo internazionale dei
settori a maggiore innovazione tecnologica – quali l’informatica, i prodotti
chimici, gli apparecchi ed i prodotti medicali, gli apparecchi
elettrici e per le comunicazioni in generale – e ciò è dimostrato
dall’incidenza non particolarmente elevata che tali imprese hanno sul prodotto
interno lordo nonché dal volume limitato di esportazioni.

Dall’altro, la difficoltà a continuare
a competere nei settori manifatturieri tradizionali, come prova l’andamento
decrescente degli indicatori di competitività, non ultimo il flusso crescente di importazioni dagli altri Paesi.

Considerando in primo luogo i mercati
tradizionali – quali il tessile, l’industria conciaria, dell’abbigliamento, del
legno e prodotti del legno, della ceramica e del vetro
-, le analisi economiche evidenziano il peso elevatissimo che hanno sui loro
costi di produzione gli input derivanti da settori ancora deficitari
in termini di competitività. Infatti, calcolando l’incidenza, diretta e
indiretta, dei costi di acquisto dei vari input sui
costi totali di produzione sostenuti dall’industria manifatturiera
tradizionale, si constata che i servizi professionali pesano per oltre l’8%, il
commercio all’ingrosso per poco meno del 5%, il trasporto via terra per quasi
il 3,5%, l’energia elettrica/gas naturale per oltre il 3%, analogamente i
servizi finanziari.

Tra l’altro, sebbene l’incidenza dei
costi di questi input sia sopra la media per la nicchia di mercati compresi
nella c.d. industria di tipo tradizionale, essa è
comunque elevata per l’intero sistema produttivo nazionale. Infatti,
i servizi professionali pesano per oltre il 7% dei costi di produzione
dell’aggregato dei settori produttivi nazionali. L’energia elettrica e gas
naturale gravano per quasi il 2%, i servizi finanziari
e connessi al credito per più del 2,5%, il trasporto (in particolare via terra)
per oltre il 2%, quasi sempre il doppio che in Germania, Francia e Olanda.

Il dato di maggior attenzione
riguarda il rapporto tra costi per la ricerca sviluppo rispetto a quelli
sostenuti per l’acquisto di altri input. Infatti, i
costi per ricerca e sviluppo pesano in misura marginalissima
non solo sui costi totali di produzione dell’intero settore industriale
nazionale (circa lo 0,17%), ma anche su quel sottoinsieme di settori che,
almeno in teoria, dovrebbe svilupparsi proprio grazie
alle strategie di investimento in ricerca. Settori quali l’informatica, i
prodotti chimici, le fibre artificiali, gli apparecchi medicali, elettrici, e
per le comunicazioni in generale, registrano una incidenza
di solo lo 0,77% dei costi per ricerca e sviluppo sui costi totali di
produzione. In Germania per gli stessi settori l’incidenza
ricerca è dell’1,23%, in Francia del 3, 64%, in Olanda del 3, 08%.

A ciò si aggiunga che anche in questa
nicchia di settori, sulla quale sarà inevitabile puntare per competere in un
assetto internazionale di specializzazione del lavoro, i costi per i servizi
professionali, energia elettrica, servizi finanziari, assorbono una quota
particolarmente elevata dei costi totali (basti osservare che i servizi
professionali superano l’8% dei costi totali, l’energia il
2,8%, i servizi finanziari il 2,5%) e quindi soffrono di un effetto a cascata
connesso alla carente competitività negli assetti di mercato che caratterizzano
i mercati fornitori di input.

[3] Le Parti interessate, in un arco di
tempo limitato precedente la comunicazione formale dell’operazione di
concentrazione (con una margine di elasticità a seconda della complessità del
caso), potranno quindi contattare gli uffici dell’Autorità, presentando una
bozza di formulario o un documento che contenga gli elementi essenziali
dell’operazione da notificare. Tale fase permetterà alle Parti di prospettare
agli uffici le questioni problematiche sulla qualifica dell’operazione e sul
merito concorrenziale della medesima, consentendo una maggiore collaborazione
ed un più tempestivo intervento dell’Autorità su tali operazioni, evitandosi,
tra l’altro, il fenomeno dell’interruzione dei termini.

[4] Gli interventi dell’Autorità, dalla
chiusura dell’indagine conoscitiva sul settore elettrico (insieme, merita
ricordarlo, con l’Autorità dell’energia elettrica e del gas) sino all’avvio di
una istruttoria nei confronti del leader nazionale (ENEL), ha consentito di
comprendere quali siano i principali problemi strutturali da affrontare e i
connessi comportamenti delle imprese sui quali vigilare.

In merito ai problemi strutturali si
può sostenere che questi siano ravvisabili, da un lato, nella
infrastruttura della rete di trasporto (nazionale e con l’estero),
dall’altro nella ancora squilibrata allocazione e tipologia del parco impianti
nel portafoglio degli operatori. I limiti nella rete di trasporto sono un
ostacolo indiscusso allo sviluppo di un assetto competitivo: l’insufficiente
capacità di rete è, infatti, causa di congestioni tra zone del territorio
nazionale, il che determina costi enormi e non simmetricamente distribuiti tra
le imprese che operano in zone con eccesso di offerta.
Se questo sistema serve a dare i corretti incentivi a realizzare gli
investimenti in nuovi impianti nelle zone deficitarie, tuttavia implica rischi
di volatilità nei prezzi e oneri elevati, quindi difficoltà a competere per la
gran parte delle imprese (se non la totalità, fatta eccezione per l’ex
monopolista), non dotate di impianti efficientemente
ubicati sul territorio nazionale. Per non dire che la spaccatura in zone del
paese, a causa delle congestioni, agevola condotte di esercizio
di potere di mercato (lecite o non lecite questo spetta all’attività
istruttoria stabilirlo) e il suo trasferimento a danno delle aree dove un grado
di competizione, pur minimo, potrebbe emergere.

Superare i limiti di rete (anche con
l’estero) e incentivare gli investimenti in
nuovi/efficienti impianti è ormai un’esigenza non rinviabile. In questo
scenario la riunificazione della gestione con la proprietà della rete nazionale
è da valutare positivamente proprio nell’ottica di dare
i corretti incentivi alla realizzazione dei nuovi investimenti. Ovviamente
purché sia escluso il rischio di collegamenti verticali tra il soggetto nel
quale si realizzerà tale riunificazione e gli operatori concorrenti a monte o a valle della filiera e a condizione che la nuova
entità riceva i giusti segnali e i corretti incentivi nel privilegiare gli
investimenti di rete piuttosto che tutelare la posizione nella vendita a valle.

Tali interventi, insieme all’avvio
della borsa e al recente mercato per i contratti a termine – avviato dal
Gestore del mercato elettrico – dovrebbero incentivare
una maggior fluidità nelle negoziazioni, maggior trasparenza, possibilità di
copertura dei rischi, quindi spazio alla competizione. Occorre però anche uno
sforzo dal lato della domanda (che sarà pienamente attiva dalla fine del 2006),
affinché colga l’occasione di questi nuovi mercati per stipulare contratti più
aderenti ai profili di consumo e con copertura dei rischi, mettendo così in
concorrenza l’offerta.

La sfida connessa alla crescita di un
nuovo importante operatore in Italia è da cogliere senza “pregiudizi”, purché
la struttura di mercato sia tale da non condurre, partendo da un assetto di
dominanza singola, ad una dominanza collettiva. Sino
ad oggi gli operatori esteri non hanno fatto altro che godere
degli alti prezzi di vendita dell’energia nel nostro paese realizzando,
dati i loro bassi costi di generazione, elevati profitti. L’obiettivo deve
invece essere quello di trasformare tali operatori in reali competitori sul
territorio nazionale ed europeo, si spera, nel futuro, ma ciò richiede,
appunto, investimenti in capacità di trasporto alla frontiera e nuovi impianti
sul territorio nazionale.

Quanto al settore del gas naturale
ricordo, come per l’energia elettrica, sia l’attività di indagine
conoscitiva sia l’attività istruttoria svolta dall’Autorità. L’insieme di tali
interventi consente di affermare che il mercato nazionale della vendita di gas
naturale presenta limiti strutturali allo sviluppo competitivo in gran parte
riconducibili alle infrastrutture di trasporto. Infatti, l’ex monopolista
mantiene posizioni di controllo nelle società (o di utilizzo
prevalente dei diritti di transito) in tutte le infrastrutture di trasporto via
tubo che adducono il gas importato in Italia. E’
indispensabile superare un simile assetto, così da consentire anche ad altri
soggetti di accedere ai canali di importazione
tradizionali (Algeria e Russia in primis); esemplare al riguardo la decisione
assunta unilateralmente da Eni di rinviare i potenziamenti del TAG e del TTPC. L’avvio istruttoria su questa condotta potrebbe condurre ad
esiti positivi per l’apertura del settore e per il superamento delle cause
strutturali di impedimento allo sviluppo di un vero gioco competitivo. La realizzazione a breve-medio termine dei citati potenziamenti
è indubbiamente la strada maestra per lo sviluppo di condizioni concorrenziali
nel settore del gas naturale, sviluppo questo che riveste particolare
importanza alla luce del crescente peso del gas nel settore energetico.

Un altro settore centrale, tanto per
il mondo delle imprese quanto per i consumatori finali, è quello attinente i
servizi bancari e finanziari. Sul punto merita di essere richiamato
l’orientamento più volte espresso dall’Autorità, ossia la distinzione che deve
esserci tra (i) regolazione prudenziale-preventiva –
che implica, tra l’altro, valutazioni di garanzia di sana e prudente gestione-,
la quale spetta unicamente a Banca d’Italia in quanto finalizzate
all’accertamento della solidità, integrità, solvibilità degli istituti di
credito e (ii) interventi di tutela della concorrenza
connessi a condotte collusive, abusi di posizioni dominanti, nonché
al rischio di costituzione o rafforzamento del potere di mercato.

Nonostante l’ottima collaborazione
con l’organo di vigilanza, si osserva che l’articolo 20 comma 2 della legge n.
287/90, non ha consentito di operare una netta separazione di funzioni e di interventi, anche alla luce dell’evoluzione dei mercati
finanziari. Si consideri, infatti, che in tali mercati operano non solo
soggetti, quali società di intermediazione mobiliare,
società di gestione del risparmio, società finanziarie, imprese di
assicurazioni, ma anche istituti bancari che hanno nel tempo sviluppato la
propria attività in servizi finanziari non ad essi riservati.

Avendo la certezza che tutela del
risparmio e promozione/tutela della concorrenza sono
obiettivi non in conflitto ma da realizzare con strumenti diversi, è
auspicabile giungere ad una chiara distinzione tra poteri e autorità coinvolte,
così da assicurare la massima efficacia ed efficienza negli interventi. Il
risparmio dovrebbe essere tutelato assicurando trasparenza e garantendo la
solidità degli attori coinvolti. Ciò richiede che l’organo di vigilanza
controlli costantemente gli attori, servendosi degli strumenti della
regolazione prudenziale e rendendo noti e chiari gli esiti cui questa perviene.
La regolazione strutturale può essere ammessa per eliminare i rischi di
commistioni banca/impresa, anch’essa chiaramente delimitata e implementata da
Banca d’Italia. La concorrenza, invece, necessita di
interventi strutturali finalizzati al superamento delle barriere all’entrata,
alla repressione di condotte collusive, al divieto di costituzione o
rafforzamento di rendite di posizione che disincentivano il porre in essere
strategie aggressive a vantaggio del consumatore/risparmiatore finale. Simili
valutazioni appaiono quelle tipiche di una Autorità a
tutela della concorrenza ed è ad essa che dovrebbero essere pienamente attribuite.

In quest’ottica
è da leggere il parere favorevole dato dall’Autorità ad operazioni di
concentrazione coinvolgenti istituti di credito esteri. Infatti, per l’Autorità
antitrust ciò che rileva, posto che l’organo di vigilanza abbia
assicurato la solidità dei soggetti coinvolti, è l’assenza di effetti di
rafforzamento di posizioni dominanti e la garanzia di massima apertura dei
mercati a vantaggio delle imprese e dei consumatori finali, il cui benessere
dipende, al di là dell’assetto di controllo, dalle condizioni di accesso al
credito, dai tassi offerti, nonché dalle condizioni contrattuali previste.

E’ quindi da domandarsi se una
competenza più chiaramente distinta tra i due organi non sia
la via più corretta per evitare confusioni negli obiettivi da perseguire.

Allo stato, comunque,
l’Autorità sta seguendo il c.d. modello della “vigilanza funzionale”, secondo
cui la competenza spetta all’Autorità, anche ove siano coinvolti istituti di
credito, quando l’operazione di concentrazione o l’intesa o il presunto abuso
abbiano effetti su mercati non bancari. Lo stesso Consiglio di Stato ha
affermato, che l’articolo 20 attribuisce alla Banca d’Italia una competenza
speciale, circoscritta e limitata all’applicazione del diritto antitrust solo
con riferimento ai mercati riservati alle imprese aventi natura creditizia.

Passando ai problemi concorrenziali
di questo ampio settore mi limito a rilevare che
l’Autorità ha avviato, in un’ottica di collaborazione con BI, una indagine
conoscitiva sugli ostacoli alla clientela nell’ambito dei servizi di
intermediazione finanziaria. I costi di cambiamento appaiono assumere
particolare rilievo per i servizi di amministrazione e
gestione del risparmio e per l’offerta delle carte di credito che, nell’ambito
dei servizi di intermediazione finanziaria, soddisfano una parte preponderante
dei bisogni della clientela. La rilevanza di tale fenomeno trova riscontro
anche nella circostanza che, nel corso degli ultimi anni, sono
pervenute all’Autorità numerose denunce che lamentano la presenza di
significativi ostacoli legati al cambiamento dell’operatore cui rivolgersi per
l’offerta dei servizi del risparmio gestito e amministrato e delle carte di
credito. In particolare, nelle denunce vengono
evidenziati rilevanti costi di cambiamento, derivanti dalla richiesta da parte
degli operatori di commissioni ingiustificatamente elevate per la chiusura dei
rapporti contrattuali, e dai tempi eccessivamente lunghi connessi
all’interruzione dei medesimi rapporti.

Dalle denunce emerge, poi, che la presenza
di costi di cambiamento nei servizi dell’intermediazione
finanziaria deriva anche dal legame esistente tra questi ultimi con i servizi
strettamente bancari e in particolare con gli strumenti bancari di raccolta.

Del resto, la presenza di ostacoli alla mobilità della clientela bancaria è stata
evidenziata nel corso di un recente procedimento istruttorio avente ad oggetto
schemi generali di contratto predisposti dall’Associazione Bancaria italiana.

Sempre in merito ai problemi
concorrenziali del settore dei servizi finanziari, in una recente segnalazione
l’Autorità ha evidenziato che punto centrale per un assetto competitivo del
settore è il ruolo attivo del consumatore, ma ciò richiede piena e totale
trasparenza. In particolare, la trasparenza dei mercati finanziari, per
dispiegare positivamente i suoi effetti, deve poggiare su un’informazione
completa e nel contempo chiara. L’informativa deve avere ad oggetto, in
particolare, le fondamentali variabili concorrenziali che guidano l’investitore
nella scelta dei servizi finanziari, ovvero il rischio, il rendimento e il
costo del prodotto e/o servizio. Tanto più queste
caratteristiche sono agevolmente confrontabili tra servizi offerti da
soggetti anche di natura diversa tanto maggiore risulta la pressione
competitiva che le imprese offerenti subiranno.

L’Autorità ha suggerito
l’introduzione di una specifica disposizione volta a stabilire, in termini
generali, il principio secondo il quale l’informativa resa disponibile al
pubblico, il contratto e l’informativa rilasciata alla clientela in corso di
contratto devono essere chiari, tempestivi e completi.

La medesima trasparenza è stata anche
suggerita al fine di superare i conflitti di interesse
tra soggetto che eroga credito e soggetto beneficiario, nonché un ruolo
decisivo di Consob nel vigilare sui limiti in cui
tali conflitti sono ammissibili, tutelando il risparmiatore/consumatore finale.

Altro settore di rilievo è
indubbiamente quello dei servizi assicurativi. Posto che anche in tale settore
centrale è il ruolo del consumatore correttamente informato, quindi in grado di
mettere a confronto e fare competere le compagnie, ritengo
vi siano problemi di struttura, ossia condizioni nell’assetto del settore che
quantomeno disincentivano il dispiegarsi delle forze competitive.

Nel settore della R.C.A. si segnala
l’assenza di un rapporto diretto tra assicurato e soggetto pagatore del danno,
ossia del c.d. rimborso diretto. Allo stato, infatti, vi è una triangolazione
poco incentivante la competizione per acquisire la
domanda e contenere i costi tra danneggiato, compagnia dell’assicurato che ha
causato il danno – soggetto pagatore -, e compagnia del danneggiato che non
presta direttamente alcun servizio. E’ evidente che un siffatto schema non
induce le compagnie a competere sulle tariffe, non essendo queste ultime commisurate ai rimborsi.

In quest’ottica
lo sviluppo di un sistema di rimborso diretto, privo però di meccanismi
“tacitamente collusivi” o di scambi di informazioni
troppo invasivi, potrebbe innovare seriamente il settore. L’attuale meccanismo
CID appare insufficiente, essendo del tutto volontario e basato su modalità che
rischiano di non garantire un vero confronto competitivo.

A ciò si aggiunga, come detto, la
necessità di consentire al consumatore finale di fare rapide ma puntuali
comparazioni tra gli schemi assicurativi, prezzi e modalità offerti. Ciò
richiede trasparenza non mascherata da pure raccolte dati
a vantaggio delle sole compagnie. Nel realizzare tale obiettivo, lo stesso vale
per gli altri settori, la pubblicità comparativa potrebbe essere uno strumento determinante.

Su questi temi è di particolare
importanza la collaborazione con l’ISVAP e quella che l’ANIA ha di recente
dimostrato di voler offrire all’Autorità.

Quanto alle libere professioni ed ai
servizi pubblici locali credo che il corretto equilibrio tra regolazione e
concorrenza rappresenti uno dei nodi centrali per
garantire e rafforzare la competitività del nostro sistema economico nazionale.
In alcuni settori, la concorrenza non è sufficiente ad assicurare il miglior
funzionamento del mercato per le diffuse carenze e
rilevanti imperfezioni, asimmetrie informative ed esternalità,
suscettibili di produrre risultati iniqui ed inefficienti. Di qui, la necessità
di un intervento pubblico volto a perseguire, attraverso standard e regole di accesso e di disciplina delle modalità di esercizio delle
attività private, l’efficienza del mercato, garantendo la qualità dell’offerta
a beneficio dei consumatori. L’ampiezza e l’intensità dei vincoli imposti dalla
regolazione deve essere però limitata e soprattutto
proporzionata agli obiettivi che si intendono perseguire.

Diversamente, il rischio che si corre
è quello di raggiungere esattamente il risultato opposto, e cioè
quello di creare, anziché di eliminare, attraverso l’intervento regolatorio, nuove distorsioni del mercato e della
concorrenza. I meccanismi concorrenziali possono essere, infatti, frenati da
una regolazione ingiustificatamente restrittiva, che ostacola l’ingresso degli
operatori più efficienti nel mercato e impedisce che la domanda dei consumatori
sia soddisfatta nelle forme organizzative e nelle tipologie produttive che
spontaneamente si sarebbero sviluppate, riducendo sensibilmente l’efficienza
complessiva del sistema economico.

Le libere professioni, in
particolare, presentano tratti peculiari che ne hanno suggerito e, in certa
misura, continuano a suggerire una applicazione
selettiva e non uniforme delle regole di concorrenza. La protezione dei
consumatori e la tutela di interessi generali hanno
infatti giustificato in passato il mantenimento di vincoli all’accesso
all’attività professionale, di tariffe minime e di divieti di pubblicità. Si
tratta tuttavia di restrizioni che possono limitare spesso ingiustificatamente
la concorrenza. In questo settore, l’intervento dell’Autorità è stato quindi
particolarmente pregnante, attraverso l’attività di segnalazione, al fine di
svolgere una attenta verifica della proporzionalità e
della necessità della regolazione rispetto alle finalità perseguite.

L’Autorità più in generale considera
indispensabile che si proceda tempestivamente a varare una riforma degli ordini
e dell’intero sistema professionale italiano. Infatti, pur tenendo conto che le
libere professioni presentano caratteristiche specifiche che non consentono
un’applicazione uniforme tout court delle regole della concorrenza, ciò
nondimeno l’Autorità ritiene che si possano individuare alcune linee guida,
anche alla luce dei principi affermati dalla Commissione europea, lungo le
quali dovrebbe procedere una riforma organica del
settore.

Innanzitutto, la introduzione
di barriere all’accesso al mercato e la previsione di regimi di riserve di
attività, in particolare attraverso la costituzione di nuovi ordini
professionali e dei relativi albi, comporta una significativa restrizione della
concorrenza, attribuendo di fatto un monopolio alla corrispondente categoria
professionale. Pertanto la creazione di riserve di attività
trovano una giustificazione solo con riguardo a professioni il cui esercizio
sia strettamente connesso alla tutela di pubblici interessi costituzionalmente
garantiti, quali il diritto alla salute e alla difesa, e soltanto nella misura
in cui risultino strettamente necessarie a garantire la qualità della
prestazione e la tutela del consumatore. Se non si
riscontrano tali condizioni, le restrizioni alla concorrenza devono essere
eliminate, in quanto attribuiscono ingiustificati vantaggi a favore degli
iscritti all’albo e hanno l’effetto di sottrarre gli appartenenti dal confronto
concorrenziale con gli altri operatori la cui professione non è regolamentata,
ma che possono offrire combinazioni qualità-prezzo del servizio preferibili dal
punto di vista della domanda.

D’altra parte, per molte professioni,
i requisiti di qualificazione professionale risultano
già garantiti da specifici percorsi formativi, in alcuni casi anche
universitari, che assicurano idonee conoscenze tecniche e corrette modalità di
svolgimento delle attività. Le esigenze di tutela del consumatore possono tra
l’altro essere soddisfatte attraverso sistemi di certificazione di qualità
basati su meccanismi diversi e meno restrittivi della concorrenza di quelli
previsti da un ordine o da un albo professionale.

Inoltre, la
previsione di tariffe obbligatorie fisse o minime non appare in via generale
giustificata, in quanto le stesse non rispondono all’esigenza di garantire la
qualità dei servizi prestati e la correttezza degli operatori nei confronti dei
consumatori. Infatti, tali tariffe spesso non garantiscono elevati livelli
qualitativi nell’erogazione della prestazione, sottraendo al contrario, al
libero professionista, la disponibilità di un’importante variabile nelle
proprie scelte imprenditoriali. L’adozione di tariffe minime non rappresenta in
sostanza né un parametro di riferimento per il cliente che si trova a compiere
le proprie scelte sul mercato, né un incentivo per il professionista ad offrire
servizi qualitativamente migliori di quelli offerti dai propri concorrenti.

La salvaguardia
dei principi concorrenziali richiede, invece, la diffusione di informazioni
quantitative sui prezzi dei servizi professionali in modo che l’utente possa
valutare la congruità del prezzo chiesto dal professionista rispetto a quello
di mercato. Tale diffusione di informazioni dovrebbe
avere natura statica basata su dati raccolti, ex post, da soggetti terzi. In
altri termini, i compensi professionali non dovrebbero costituire un’emanazione
della volontà della categoria professionale ed essere elaborati ex ante dagli
Ordini, ma fissati liberamente dal singolo professionista, e quindi rilevati ex
post sul mercato.

Infine, in stretta connessione con
quanto sopra evidenziato, anche i divieti di pubblicità vanno attentamente
valutati alla luce dei principi concorrenziali. Nel settore delle libere
professioni, infatti, la pubblicità può costituire un elemento fondamentale per
colmare parte delle asimmetrie informative, relative alle tipologie, alle
caratteristiche e ai prezzi dei servizi offerti dai singoli professionisti, al
fine di aiutare gli utenti a limitare i costi connessi al reperimento delle
informazioni necessarie per compiere una scelta adeguata. La conoscenza da
parte della clientela delle diverse condizioni di
prezzo esistenti avrebbe anche l’effetto di stimolare la concorrenza tra i
professionisti, potendo portare, nel tempo, ad una riduzione dei corrispettivi.
Da questo punto di vista, l’Autorità intende sviluppare ulteriormente le
iniziative nei confronti dei diversi Ordini professionali allo scopo di
promuovere il riesame, tramite un test di proporzionalità, delle disposizioni
deontologiche con particolare riguardo a quelle relative all’attività
pubblicitaria e al sistema tariffario.

Credo dunque che una revisione dell’ordinamento delle professioni lungo queste
direttrici delineate dall’Autorità, che assicuri qualificazione professionale e
piena concorrenza, possa contribuire a rafforzare in modo significativo la
competitività del mercato.

[5] A livello locale sono infatti
ancora presenti numerose imprese pubbliche o in pubblico comando, quali le
aziende speciali, che erogano servizi riconducibili alle public utilities (distribuzione gas naturale, energia elettrica,
acqua, trasporto locale). A volte, tali imprese che gestiscono in regime di esclusiva il servizio pubblico sono presenti anche in
mercati contigui aperti alla concorrenza. Questo può comportare rilevanti
limitazioni della concorrenza. Più in generale, la privatizzazione di queste
imprese, se non preceduta da interventi di liberalizzazione e di
ristrutturazione, si rileva non efficace al fine della creazione di un contesto concorrenziale e, anzi, può comportare la
sostituzione di monopoli pubblici con monopoli privati in virtù di politiche
locali di sussidi incrociati.

Le restrizioni alle condizioni di entrata nel mercato, a loro volta, possono tradursi in
vincoli quantitativi o qualitativi. I vincoli quantitativi
consentono la predeterminazione del numero massimo degli operatori ammessi ad
un mercato, attraverso diversi strumenti, quali la riserva ad un’unica impresa,
la fissazione di distanze minime tra punti di vendita o di contingentamenti in
termini numerici o di superfici complessive di vendita. Esempio tipico è
quello del servizio di taxi, attraverso il vincolo dell’obbligatorietà della
licenza individuale e del divieto del cumulo di più
licenze. Ma altre forti restrizioni sono state
rilevate e segnalate dall’Autorità nei settori del commercio,
dell’autotrasporto, delle agenzie di viaggio, delle autoscuole.

Requisiti qualitativi sproporzionati
o non giustificati sono spesso previsti dalle amministrazioni aggiudicatrici locali nei bandi delle gare di appalto per servizi, lavori e forniture e costituiscono
condizioni che limitano la partecipazione delle imprese alle gare, in
violazione della stessa normativa comunitaria. Analogamente, sussistono ancora
concessioni ad imprese private, ad esempio nel settore della distribuzione del
gas naturale o dei trasporti di linea locali (marittimo o aereo), in settori
liberalizzati o da liberalizzare nel rispetto dei principi e delle norme
comunitarie. Tali concessioni non sono più giustificabili in mercati
liberalizzati e, quindi, andrebbero eliminate o
sostituite con autorizzazioni.

Esistono restrizioni alla concorrenza
che discendono dalla regolamentazione a livello locale della disciplina di attività di impresa. In alcuni settori, infatti, esistono
limiti regolamentari alla gamma merceologica che può essere offerta da un
soggetto. Gli svantaggi di tali vincoli di specializzazione
consistono principalmente nell’eliminare i vantaggi di costo derivanti dalla
produzione congiunta e nell’introdurre elementi di rigidità nell’evoluzione del
mercato. Pertanto, queste forme di intervento possono
comportare, con maggiore o minore rilievo a seconda dei mercati, costi e prezzi
più elevati e minore innovazione. Di conseguenza, andrebbe evitata da parte
delle regioni la reintroduzione di tabelle merceologiche.

Nel settore turistico, sono state
segnalate dall’Autorità alcune normative regionali che, imponendo limitazioni
alle modalità di utilizzo delle strutture ricettive,
sono idonee ad alterare le dinamiche della concorrenza. Di qui l’auspicio di un
riesame in modo da garantire un effettivo confronto concorrenziale tra le varie
tipologie di operatori presenti nel mercato del
turismo, garantendo il migliore soddisfacimento delle esigenze dei consumatori
finali.

Molte normative regionali fissano
inoltre gli orari di apertura, i turni di servizio,
nonché la chiusura per riposo, per festività o per ferie di alcuni esercizi
commerciali. Esempi tipici sono quelli relativi al
settore della distribuzione al dettaglio e a quello delle farmacie. Questo tipo
di intervento regolamentare, se non adeguatamente
valutato, può determinare significative restrizioni della concorrenza che non
solo non appaiono funzionali alla tutela di interessi pubblici, ma impediscono
altresì un’efficiente tutela delle esigenze dei consumatori.

[6] La finalità di questo intervento
non è solo quella di promuovere il miglioramento della qualità della
regolazione di regioni ed enti locali, ma anche di rendere più continuo e
proficuo l’interscambio di informazioni tra queste amministrazioni pubbliche e
l’Autorità. Infatti, pur nella necessaria distinzione
dei ruoli, è essenziale lo sviluppo di forme di cooperazione per rendere più
mirato e incisivo l’esercizio delle proprie competenze in materia di
consultazione e segnalazione.

L’Autorità intende stabilire stretti
rapporti di collaborazione con le autonomie territoriali, nella convinzione che
il miglioramento della qualità della regolazione non possa essere imposto
dall’alto, ma debba essere il frutto di un’azione
persuasiva.

L’Autorità si propone naturalmente di
operare in modo graduale, in quanto l’intervento dovrebbe prendere le mosse da
una sperimentazione sul campo delle tecniche di analisi
dell’impatto della regolazione sulla concorrenza, nonché delle modalità per
l’individuazione e la diffusione delle buone pratiche di regolazione. A questa
sperimentazione dovrebbero partecipare i rappresentanti delle regioni e degli
enti locali che saranno chiamati a contribuire
attivamente nella definizione dei nuovi modelli di regolazione.

[7] Un primo settore sul quale stiamo
concentrando l’attenzione è quello del calcio professionistico e degli agenti
dei calciatori.

L’Autorità ritiene
infatti opportuno analizzare, attraverso un’apposita indagine, i vari
mercati coinvolti nel settore del calcio professionistico, esaminando gli
elementi che ne determinano o viceversa limitano le spinte competitive, nonché
il ruolo svolto dai vari attori in essi presenti: dalla Federazione Italiana
Giuoco Calcio e Lega Nazionale Professionisti, alle società sportive, dagli
agenti di calciatori alle società da questi costituite. L’analisi sarà quindi
concentrata sulla ricerca delle cause che hanno condotto alla presenza di
diverse anomalie che potrebbero risultare non idonee
ad agevolare lo sviluppo di rapporti realmente concorrenziali tra i diversi
operatori.

In questo senso, sembrano meritevoli di attenzione le previsioni normative e i regolamenti di
settore, in particolare laddove sono previsti obblighi potenzialmente in grado
di limitare gli spazi competitivi. Un altro profilo riguarda le modalità di
fornitura dei servizi di intermediazione inerenti le
prestazioni sportive di calciatori professionisti, nonché l’impatto di
eventuali legami tra tali società e gli operatori attivi in ambiti diversi.

Un secondo settore sul quale
l’Autorità vuole focalizzare l’attenzione, tramite un’apposita
indagine conoscitiva, è quella del trasporto pubblico locale.

L’industria del trasporto pubblico
locale in Italia è caratterizzata oggi da tante imprese di piccole dimensioni,
da scarsa presenza dell’imprenditoria privata, da alti costi e bassa
redditività, e dai contributi pubblici più elevati in confronto con gli altri
sistemi di TPL in Europa.

Permangono quindi una serie di limiti
e vischiosità che impediscono il pieno dispiegarsi degli effetti di una riforma
(che andrà a regime alla fine di quest’anno) mirata
ad introdurre un regime di mercato e la piena liberalizzazione
del settore.

Di qui, la scelta dell’Autorità di
avviare un’indagine relativa alle trasformazioni che
stanno interessando il settore del trasporto pubblico locale e delle connesse
problematiche concorrenziali. In particolare, ci si concentrerà su alcuni
profili, normativi e applicativi, che appaiono particolarmente problematici nel processo di liberalizzazione.

Tra questi: lo stato degli
affidamenti dei servizi (affidamento in house, proroghe degli affidamenti
diretti e delle concessioni in essere); la dimensione
ottimale dei lotti nell’affidamento dei servizi; le modalità di
espletamento delle gare senza discriminazioni a danno dei nuovi entranti,
soprattutto con riferimento al reperimento del materiale rotabile per il TPL
ferroviario; i criteri di selezione del vincitore; gli obblighi di assorbimento
del personale dal precedente gestore; le forme di cooperazione e le strategie
degli operatori e, in particolare, l’ammissibilità e i criteri di
partecipazione dell’Associazione Temporanea di Imprese alle gare (ATI); la
separazione tra gestione dell’infrastruttura e gestione del servizio; le
possibili distorsioni concorrenziali prodotte dai sussidi incrociati nei
servizi di TPL.

Infine, in considerazione di talune
“anomalie”, evidenziate tra l’altro dall’evoluzione dei prezzi crescenti e
apparentemente non correlati ai costi, l’Autorità ritiene necessario
approfondire, con una indagine conoscitiva, la
struttura della filiera del settore agroalimentare.
Dalla produzione, al trasporto, dalla distribuzione all’ingrosso sino alla
vendita finale occorre comprendere come e perché manchino in
Italia spinte a politiche commerciali aggressive.

Tenuto conto della enorme
incidenza che la spesa per questo settore ha sul consumatore finale e alla luce
della importanza che la stessa politica agricola riveste sul bilancio nazionale
– per non parlare di quello comunitario-, la ricerca degli ostacoli alla
competizione è il primo passo per individuare le misure “urgenti” di
intervento. Una grande distribuzione organizzata più
“vivace” e non frenata dalle regolazioni di settore, una filiera del trasporto
più efficiente, un sistema infrastrutturale idoneo
per collegare le varie aree del paese e per collegare produttore e consumatore
finale in modo più diretto, una politica di informazione sui prezzi e sul loro
confronto più efficace a vantaggio del consumatore, sono solo alcuni prime idee
per i possibili interventi.

[8] I termini che fanno scattare le
denunce di omissione non erano ancora decorsi quando intervennero le dimissioni
del Governo.

L’attività di controllo e
accertamento svolta dall’Autorità in relazione alle
situazioni di incompatibilità è stata particolarmente intensa e caratterizzata
non solo da richieste di informazioni e chiarimenti in ordine alle situazioni
dichiarate, ma anche dallo svolgimento di accertamenti d’ufficio in relazione
alle situazioni di incompatibilità non dichiarate. In questa prima fase di applicazione della legge, la maggior parte delle
situazioni sono state risolte nella cd. fase pre-istruttoria,
attraverso un fitto scambio di corrispondenza con gli interessanti.

Nella maggior parte dei casi (7 sul
totale di 10 nei quali è stata accertata l’incompatibilità) gli interessati
hanno dato riscontro positivo alle richieste
dell’Autorità, dimettendosi dalle cariche incompatibili ovvero dalla carica di
governo.

Nei confronti dei 16 titolari di
carica del 58° Governo che non sono stati nuovamente incaricati nel 59°
Governo, l’attività di controllo e accertamento deve
proseguire per i dodici mesi successivi alla cessazione della carica. La prima
applicazione di tale fattispecie si è verificata relativamente
alla nomina a consigliere di amministrazione della RAI S.p.A. dell’ex
Ministro per i Beni e le Attività Culturali. L’Autorità ha aperto
un’istruttoria, che si concluderà entro il 15 luglio
2005, data la particolare complessità dei nodi giuridici da sciogliere.

[9] L’Autorità ha considerato
rientrante tra le cariche “inerenti” alle funzioni svolte in qualità di
titolare di carica di governo, lo svolgimento da parte del Commissario
straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e
antiusura anche dell’incarico di Commissario per la medesima attività di
coordinamento presso il Ministero degli interni. Tenuto conto degli elementi
sintomatici tipici degli enti pubblici, nonché della
natura di organo ausiliario della pubblica amministrazione, ha considerato
inoltre che il Formez (Centro di Formazione e Studi)
avesse natura di ente pubblico, considerando incompatibile il titolare di
carica di governo al contempo consigliere di amministrazione dell’ente.

[10] Ha considerato così incompatibili
le ipotesi di svolgimento delle funzioni di procuratore di una società a
responsabilità limitata o di una banca, di socio amministratore di una società
semplice, di socio accomandatario (mentre per quello accomandante ha operato
una valutazione caso per caso), di componente del collegio sindacale e di
liquidatore. L’Autorità ha altresì valutato le società semplici, le società
cooperative o consortili, nonché le fondazioni e le
associazioni, verificando di volta in volta se, pur in assenza di scopo di
lucro, specifiche disposizioni statutarie prevedano lo svolgimento di attività
di natura imprenditoriale o la detenzione e gestione di partecipazioni in
società. Sono quindi state considerate incompatibili le cariche di consigliere di amministrazione di un’università privata e di una
fondazione che, pur non avendo scopo di lucro, detenevano numerose
partecipazioni, anche di controllo, in società.

[11] L’Autorità crede in una pubblicità
innovativa, creativa, tale da attrarre, affascinare, accattivare. E’ giusto che
ci sia competizione tra i pubblicitari ed è un bene che le migliori pubblicità
siano premiate ed abbiano i riconoscimenti cui a volte le televisioni ci fanno assistere
con suggestive cerimonie.

Ma l’Autorità è altrettanto consapevole
che è utile al mercato solo la pubblicità veritiera, quella che non crea
illusione e che quindi non ingenera sfiducia, la peggior malattia dell’economia
di mercato.

Nel mercato globale
la pubblicità è divenuta, nel corso degli anni, il principale e talora il solo
strumento attraverso il quale l’impresa è in condizione di “raggiungere” i
destinatari potenziali delle proprie offerte commerciali. Dal punto di vista
dell’impresa ricorrere alla pubblicità significa così innanzitutto informare il
pubblico – anche quello più distante – della propria presenza o del proprio ingresso sul mercato. Significa altresì, in seconda istanza, fare conoscere i tratti distintivi dei propri
prodotti o servizi rispetto a quelli offerti dai concorrenti.

Specularmente, dal punto di vista dei consumatori
e dei potenziali utenti, la pubblicità commerciale può costituire, in presenza di determinate condizioni, un utile ausilio
nelle scelte di acquisto. Basti pensare a quante volte risulta
difficoltoso per il consumatore che debba operare una scelta prendere visione
diretta del prodotto ch’egli intende acquistare o, ancor più, confrontare un
numero congruo di prodotti al fine di individuare quelli meglio rispondenti
alle proprie esigenze. A ciò si aggiunga la considerazione dei beni o servizi
più complessi, in relazione ai quali si pongono seri
problemi di asimmetria informativa del consumatore.

ANGELO CLARIZIA

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IL NEW DEAL DELL’ANTITRUST

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La relazione del Presidente
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è particolarmente
interessante, perché, a pochi giorni dall’insediamento del vertice, non ha
rappresentato un consuntivo, ma ha indicato le linee di indirizzo
per favorire lo sviluppo della concorrenza.

E’ stata così enunciata la
“filosofia” di intervento dell’Autorità, caratterizzata
da grande incisività nella conformazione dei mercati e da peculiare attenzione
alle esigenze dei consumatori, soprattutto in relazione alla affermata volontà
di garantire certezze e risultati tangibili attraverso la valorizzazione di un
metodo collaborativo – partecipativo, che fa emergere
la consapevolezza della vacuità della sola sanzione, che per quanto alta, non
può essere determinante, né in assoluto, né ai fini di cambiamento (potendo
anzi costituire un elemento del calcolo economico-sociale dell’impresa).

Si è quindi sottolineata
l’opportunità di procedere in una prospettiva di concertazione che, nel
rispetto delle regole, consenta di plasmare l’assetto del mercato in ragione
delle esigenze rappresentate dalle varie parti, nell’ambito di una
impostazione, già perseguita con successo da altre Autorità straniere, che
hanno in modo pregnante caratterizzato lo sviluppo dei mercati: quindi non solo
sanzioni e controlli meramente esterni e a posteriori, ma regole concrete, che
mirino a prevenire e correggere in itinere, più che a colpire, come confermato
anche dalla Corte di Giustizia CE (31 maggio 2005 C-53/03) in ordine alla inconfigurabilità delle Autorità come organi
giurisdizionali.

E’ pacifico che il new deal aprirà un
dibattito sul ruolo dell’Antitrust, ancorché ammorbidito dal rilievo consensuale-partecipativo del metodo proposto. Ma il punto
centrale resta comunque sempre quello di non guardare
al passato, ma di saper cogliere la ratio essenziale delle Autorità
indipendenti in un sistema economico, nel quale i politici non possono
continuare a “dirigere” in modo pervasivo, ma devono
lasciare solo al mercato ed al suo Garante ogni decisione di assetto e di
regolazione .

Nel contempo il “dialogo” con le
imprese potrà assicurare, soprattutto nei settori sensibili, non solo quelle
certezze (oggi messe in crisi anche dalle frequenti oscillazioni
giurisprudenziali), ma soprattutto l’apprezzamento di risultati concreti anche
da parte degli utenti (sì da valorizzare una forma di controllo sociale da
tutti auspicato e ben lontano dall’essere attuato), sia
l’abbandono della logica delle valutazioni ex ante, che tanti danni possono
provocare, in particolare se svolte in modo unilaterale ed autoritativo.