Civile

Tuesday 14 June 2005

Ancora in tema di investimenti a rischio e responsabilità della banca

Ancora in tema di investimenti a rischio e responsabilità della banca

Tribunale di Genova, Sez. I Civile Pres. A. Dimundo, Rel. D. Canapa – Sentenza 22 aprile 2005.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 25.5.2004 M. P. conveniva in giudizio la Banca Nazionale dell’Agricoltura s.p.a. allo scopo di ottenere da questo Tribunale pronuncia di dichiarazione di nullità dei contratti di compravendita delle obbligazioni per violazione delle norme imperative di cui al TUF ed in relazione all’art. 1418 c.c. condannando per l’effetto la società convenuta alla restituzione della somma di ¬ 204.000,00, in subordine, chiedeva di dichiarare l’annullamento del medesimo contratto ai sensi dell’art. 1439 c.c. o, in ulteriore subordine, dell’art. 1427 c.c. condannando per l’effetto la società convenuta alla restituzione della somma di ¬ 204.000,00, in via ulteriormente subordinata, chiedeva di accertare l’inadempimento da parte della B.N.A. dei contratti di prestazione di servizi di investimento e di deposito in cui si sono concretate le tre operazioni di compravendita titoli denunciate e, conseguentemente, dichiararne la risoluzione ex art. 1453 e 1455 c.c., in ogni caso, chiedeva di accertare la responsabilità precontrattuale ex art. 1337, 1338, 1440 e 2043 c.c. della Banca Nazionale dell’Agricoltura s.p.a. e, per l’effetto, condannare la banca convenuta al risarcimento di tutti i danni.

Assumeva a sostegno che alla fine del 1998 aveva stipulato con la B.N.A. un contratto “Mandato V.I.P.” conferendo all’istituto di credito un incarico di gestione di portafogli di investimento, che, avendo la gestione suddetta comportato perdite, si recava presso l’agenzia della B.N.A., che il funzionario dell’agenzia Piras proponeva di estinguere il “Conto V.I.P.” e gli suggeriva un investimento in obbligazioni argentine, che M. P. decideva di aderire alla proposta con tre investimenti per un controvalore pari a ¬ 204.000,00, che il funzionario dell’agenzia non aveva fatto presente che le suddette obbligazioni avevano un margine di rischio elevato, che non aveva ricevuto alcuna documentazione relativa all’investimento, neppure successivamente al “default” della Repubblica Argentina quando parte attrice aveva inviato lettera raccomandata all’agenzia per ottenerla.

Sostiene parte attrice la responsabilità della banca convenuta in quanto inadempiente agli obblighi generali di buona fede e correttezza e per aver scientemente violato la normativa in materia di prodotti finanziari.

In particolare, secondo la tesi di parte attrice, la banca avrebbe violato l’art. 21 TUF per il comportamento tenuto nei confronti dell’investitore, i contratti sarebbero nulli ai sensi dell’art. 1418 c.c. per contrarietà alle norme imperative di cui al D. Lgs. 24.2.1998 TUF, in particolare parte attrice rileva, altresì, la nullità, per difetto di forma scritta nel c.d. “contratto-quadro”, dei contratti di vendita dei bond in quanto il “contratto-quadro” non era mai stato stipulato, i contratti sarebbero comunque annullabili per vizio del consenso dell’investitore ai sensi dell’art. 1427 c.c., alla banca è altresì addebitabile una responsabilità precontrattuale e un conflitto di interessi, oltre che un comportamento inadempiente agli obblighi posti a suo carico dalla normativa di settore.

Parte convenuta si costituiva in giudizio contestando le opposte pretese delle quali chiedevano il rigetto.

Eccepiva, preliminarmente, la decadenza da parte dell’attore di far valere le proprie ragioni secondo il disposto dell’art. 16 della Raccolta degli usi unificabili di borsa.

Rilevava che era stato il cliente a voler effettuare comunque l’operazione, nonostante che il funzionario dell’agenzia della banca l’avesse avvertito dei rischi dell’investimento, che pertanto erano state rispettate dall’istituto di credito tutte le prescrizioni normative.

Dopo lo scambio di memorie di repliche, veniva ai sensi dell’art. 12 comma III del D.lgs. 5/2003 fissata l’udienza di discussone della causa davanti al Collegio e le parti provvedevano a depositare le memorie conclusionali. Acquisita la documentazione prodotta dalla banca convenuta, le parti insistevano nelle rispettive difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre valutare la eccezione di decadenza da parte dell’attore di far valere le proprie ragione secondo il disposto dell’art. 16 della raccolta degli usi unificabili di borsa.

Tale norma non si applica alla fattispecie in esame in quanto essa riguarda “le  contestazioni relative alle esecuzioni degli ordini” mentre parte attrice non eccepisce irregolarità che attengono la conformità tra quanto richieste e quanto eseguito, bensì deduce profili di nullità o di annullabilità dei contratti di acquisto e di inadempimento.

Entrando nel merito della vicenda, si osserva che la domanda della parte attrice è volta ad ottenere la condanna della banca alla restituzione delle somme corrisposte a titolo di investimento, in quanto l’istituto di credito avrebbe violato l’art. 23 TUF, per difetto di forma scritta nel c.d. “contratto-quadro”, per violazione dell’art. 21 TUF per il comportamento tenuto nei confronti dell’investitore, per nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c. per contrarietà alle nonne imperative di cui al D. Lgs. 24.2.1998 TUF, per la sua annullabilità per vizio del consenso dell’investitore ai sensi dell’art. 1427 c.c., per responsabilità precontrattuale della banca, per conflitto di interessi.

La normativa di settore è raccolta nel T.U. 24.2.98 n.58 delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria e del successivo regolamento attuativo dell 1.7.98 che ha specificato i doveri degli intermediari conglobati nei principi codificati nel richiamato testo unico.

Tale normativa integra lo statuto dell’intermediatore finanziario e deve applicarsi come regola generale di comportamento a tutte le operazioni seguite ove non sia disposto diversamente dalla legge.

La rigorosa disciplina di vigilanza contenuta nel D. Lgs. 1.9.1993 n. 383 (TUB) è volta ad assicurare un regime di ampia garanzia nei rispetto del principio di trasparenza sancito dall’art. 11 TUB nell’esercizio dell’attività  creditizia e richiamata dalla norma di rinvio contenuta nel comma 4° dell’art. 19 D. Lgs. 24.2.1998 n.58 (TUF), che stabilisce i requisiti occorrenti per svolgere l’attività bancaria in senso tecnico e i requisiti di affidabile ingresso dell’ente creditizio nel settore dell’intermediazione finanziaria non bancaria (v. Tribunale di Roma sentenza dell’8.10.2004).

In particolare l’art. 21 TUF impone agli intermediari nell’attività di servizi di investimenti ed accessori di:

a- comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati;

b- acquisire le informazioni necessarie dei clienti ed operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati;

c- organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento;

d- disporre di risorse e procedura, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi;

e- svolgere una gestione indipendente, sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati.

La banca convenuta assume la piena legittimità delle operazioni compiute sottolineando che le richieste di acquisto sono state formulate dal cliente e che essa ha dovuto accettare dette richieste, in quanto dopo aver avvertito l’investitore della rischiosità dell’operazione non aveva a disposizione alcuno strumento per non dare seguito all’investimento.

In realtà i doveri imposti dalla banca si sostanziano essenzialmente nel dovere di informarsi e nel dovere di informare.

Le regole generali di comportamento sono sancite dall’art. 21 co. 1 lett. d) TUF: “disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi” e dall’art. 26 D. Consob 11522/98, tra le quali alla lett. e) è previsto che “Gli intermediari autorizzati, nell’interesse degli investitori e dell’integrità del mercato mobiliare.., e) acquisiscono una conoscenza degli strumenti finanziari, dai servizi nonché dei prodotti diversi dei servizi di investimento, propri o di terzi, da essi offerti, adeguata al tipo di prestazione da fornire.”

La suddetta normativa pone a carico degli intermediari e nell’interesse degli investitori un obbligo di conoscenza, che è più della semplice informazione, sui prodotti da loro offerti, conoscenza che si estende alla loro provenienza, alla situazione degli stessi nei mercati, alla loro destinazione tra il pubblico dei consumatori.

Va sottolineato che si tratta di conoscenza che l’investitore risparmiatore, per esperienza, per cultura o per diverso campo lavorativo non potrà mai acquisire, pervenendo ad un giudizio completo sulla operazione finanziaria che si appresta a sottoscrivere. Le circostanze dedotte da parte attrice, da considerare provate ai sensi dell’art 13 D.Lgs. 5/2003, evidenziano che la banca si è del tutto sottratta al dovere di informare la cliente in ordine alla tipologia e affidabilità del titolo e, dunque, al livello relativo di adeguatezza e, comunque, ha assunto in tale attività un comportamento non diligente e non rispondente al “need of protection” degli investitori non professionali.

La violazione da parte della convenuta degli obblighi a suo carico consistita, in secondo luogo, nel non aver adeguatamente tenuto in considerazione le informazioni acquisite dal cliente nella esecuzione dell’operazione, che avrebbe dovuto essere conforme a quei principi di diligenza, correttezza e trasparenza, imposti dalla lett. a dell’art. 21 TUF e dalle generali prescrizioni del codice civile secondo il disposto dell’art. 1337 c.c.

Si ricorda che l’art. 29 dei regolamento CONSOB impone agli intermediari di astenersi dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. Dispone in tal senso il 1° comma dell’art. 29 D. Consob 11522/98 che: “Gli intermediari finanziari si astengono dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione.

Ai fini di cui al comma 1, gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all’art. 28 e di ogni altre informazione disponibile in ordine ai servizi prestati.”

Di conseguenza, l’acquisizione della dichiarazione di cui all’art. 28 non esaurisce l’obbligo di diligenza imposto all’intermediario per dare corso all’operazione, dovendo questi tenere conto di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati.

Secondo una interpretazione prevalente nella giurisprudenza ed in dottrina, l’acquisizione delle notizie previste dall’art. 28 lett. A non è decisiva per stabilire se l’intermediario debba procedere o debba astenersi dall’operazione per inadeguatezza della stessa. In particolare, la Consob ha precisato con comunicazione n. DI/30396 del 21.4.2000 che: “…in nessun caso gli intermediari sono esonerati dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione disposta dai clienti, neanche nel caso in cui l’investitore abbia rifiutato di fornire le informazioni sulla propria situazione patrimoniale o finanziaria, obiettivi di investimento e propensione al rischio; nel caso la valutazione andrà condotta in ossequio dei principi generali di correttezza, diligenza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui l’intermediario sia in possesso (es. età, professione, presumibile propensione al rischio anche alla luce dalla pregressa ed abituale operatività, situazione del mercato…)”. Per le specifiche informazioni rese e per essere l’investitore soggetto titolare di conti correnti presso la banca, le notizie in possesso dell’intermediario rendevano chiaro che si trattava di soggetto nei cui confronti l’operazione di negoziazione proposta non fosse adeguata sia in relazione alla circostanza di tre investimenti su un unico titolo di rilevante importo sia in relazione alla tipologia del titolo.

In conclusione: l’intermediario è venuto meno all’obbligo di curare l’interesse dell’investitore, obbligo che costituisce espressione del generale principio di correttezza e buona fede e impone al primo di valutare l’adeguatezza di ogni operazione disposta dal secondo (art. 29 Reg. Consob. N. 11522/98).

La circostanza che all’investitore sia stato consegnato il documento sui rischi generali degli investimenti finanziari non è sufficiente a soddisfare tale esigenza di tutela del risparmiatore, trattandosi di informativa del tutto generica che non garantisce quella conoscenza concreta ed effettiva del titolo negoziato che l’intermediario deve assicurare in modo da rendere il cliente capace di tutelare il proprio interesse e di assumersi consapevolmente i rischi dell’investimento compiuto.( v. Tribunale di Roma sentenza dell’8.10.2004)

Si ricorda che la norma regolamentare in materia dispone che in presenza di una operazione non adeguata l’intermediario debba astenersi dal dare esecuzione all’operazione se prima non abbia avvertito l’investitore e ottenuto dal medesimo l’espressa autorizzazione ad agire ugualmente.

Questo onere della banca è funzionale alla realizzazione del migliore risultato possibile per il cliente; una valutazione che va fatta non in senso assoluto ma (come specificato anche nell’art. 26 lett. f del suddetto regolamento) in relazione al livello di rischio prescelto per sé da ciascun investitore.

Si ritiene che la sola ipotesi cui tali obblighi di valutazione dall’adeguatezza e di correlata astensione dall’agire non si applicano è quella in cui il servizio prestato si limiti alla mera esecuzione o trasmissione degli ordini dell’investitore senza che sia fornita dall’intermediario alcuna indicazione circa le operazioni da effettuare e sempre che vi sia stata da parte dell’intermediario una preventiva individuazione scritta dei limiti quantitativi e delle tipologie di strumenti finanziari, di operazioni e di ordini entro i quali le operazioni sono considerate automaticamente adeguate (c.d. execution only).

Ne caso in cui, invece, tale servizio consegue ad una consulenza anche solo illustrativa o strumentale, l’intermediario svolge un ruolo attivo nel processo formativo della volontà dell’investitore e, pertanto, sussiste a carico dell’intermediario l’obbligo dì valutazione.

Nella presente fattispecie, questa attività di consulenza deve ritenersi avvenuta avendo parte attrice affermato di essersi indotta all’acquisto di titoli su indicazione del funzionario della agenzia.

Ha dedotto dei capitoli di prova la Banca per tentare di dimostrare di aver avvertito l’investitore della non adeguatezza dell’investimento, ma ha indicato quale unico teste il funzionario dell’agenzia della banca che ha curato l’operazione.

Occorre a tale riguardo affrontare la questione sulla utilizzabilità del teste P., funzionario dell’agenzia della banca che aveva curato l’investimento operato da parte attrice.

L’interesse a partecipare al giudizio previsto come causa d’incapacità a testimoniare dall’art. 246 cod. proc. civ. si identifica con l’interesse a proporre la domanda e a contraddirvi previsto dall’art. 100 dello stesse codice, sicché deve ritenersi colpito da detta incapacità chiunque si presenti legittimato all’intervento in giudizio, senza che possa distinguersi tra legittimazione attiva e legittimazione passiva, tra legittimazione primaria e secondaria (intervento adesivo dipendente), tra intervento volontario e intervento su istanza di parte. In particolare, è incapace di testimoniare chi potrebbe, o sarebbe potuto, essere chiamato dall’attore, in linea alternativa o solidale, quale soggetto passivo della stessa pretesa fatta valere contro il convenuto originario, nonché il soggetto da cui il convenuto originario potrebbe, o avrebbe potuto, pretendere di essere garantito (v. Cass. 03/04/1998 a. 3432)

La presente fattispecie rientra, pertanto, nella suddetta previsione in quanto ai sensi dell’ art. 2049 cod. civ. il committente è responsabile in solido con il dipendente nei confronti del danneggiato (v. Cass.11/05/1973 n. 1267) per cui l’investitore avrebbe potuto convenire quale soggetto passivo della stessa pretesa fatta valere contro il convenuto originario anche il funzionario della banca che ha curato l’operazione finanziaria.

Ne consegue che quest’ultimo era incapace a testimoniare secondo il disposto dell’art. 246 cod. proc. civ.

La banca ha dichiarato di aver avvertito l’investitore della rischiosità dell’investimento, ma che il cliente aveva, comunque, voluto investire quella rilevante somma in quell’unico titolo con tre ordini.

Tali circostanze, peraltro, non risultano da alcuno dei documenti prodotti dalle parti, in particolare è agli atti solamente uno dei tre ordini di acquisto dei titoli.

Il tipico modello predisposto dalla banca con la possibilità di scelta dell’investitore fra una serie di opzioni diverse tra loro, che seguono la dizione “Con riferimento a quanto da Voi precisatomi circa il presente ordine, Vi comunico che:”, cui seguono le possibili comunicazioni della banca fra cui “ho preso atto che a Vostro avviso l’ordine si riferisce ad una operazione eccessiva per dimensione/per frequenza…”, “ho preso atto che a Vostro avviso l’ordine non è adeguato per tipologia/per oggetto….”, “ho preso atto della natura e dell’estensione del conflitto di interessi nel quale Vi trovate…”, “ho preso atto che il presente ordine comporta gli elementi di rischio propri di un investimento in titoli…”, ” mi sono stati evidenziati la natura e i rischi dell’operazione”

Nessuna delle opzioni è stata, peraltro, barrata.

Tali indicazioni, pertanto, non possono essere considerate, sicuramente, rispondere alla prescrizione di informare adeguatamente l’investitore degli specifici rischi suddetti secondo il disposto del comma 1, dell’art. 21 del d.lgs. 58 del 1998 e l’art. 28, comma 2, della deliberazione 1 luglio 1998 n. 11522, né si può ritenere che senza alcuna specificazione delle varie ipotesi previste l’investitore sia stato messo al corrente delle ragioni per cui non fosse opportuno procedere all’esecuzione di tale operazione secondo la prescrizione di cui all’ art. 29, comma 3, della deliberazione 1 luglio 1998 n. 11522.

La suddetta conclusione viene altresì rafforzata dalla circostanza che il funzionario addetto, che ha seguito l’operazione, non ha neppure apposto la propria firma in calce alla suddetta generica dichiarazione.

La banca stessa predisponendo il modulo firmato con l’indicazione dei vari motivi di inadeguatezza dell’operazione ha riconosciuto che il dovere di informativa doveva essere specifico e non riferito genericamente alla dicitura di non adeguatezza della operazione e prevedendo la espressa comunicazione della natura e dei rischi dell’operazione nella relativa casella ha altresì riconosciuto che era consapevole di doverne informare l’investitore.

La  generica informazione orale cui fa cenno la banca non può essere considerata, sicuramente, senza altre specifiche indicazioni, rispondere alla prescrizione di informare adeguatamente l’investitore degli specifici rischi suddetti secondo il disposto del comma 1, dell’art. 21 del d.lgs 58 del 1998 e l’art. 28, comma 2, della deliberazione 1 luglio 1998  n. 11522, né si può ritenere che con quel generico avvertimento l’investitore sia stato messo al corrente “delle ragioni per cui non” fosse opportuno procedere “all’esecuzione di tale operazione secondo la prescrizione di cui all’art. 29, comma 3, della deliberazione 1 luglio 1998 n. 11522.

I pochi documenti prodotti dalla banca relativi all’investimento in oggetto confermano ancor più la valutazione della violazione degli obblighi di informativa al cliente e dal cliente.

Risulta agli atti solamente uno degli ordini di acquisto sopra descritto e il documento sui rischi generali degli investimenti. Documento che risulta  firmato il 25.6.1998.

Solamente questi due documenti, di tutta la documentazione che deve essere fomita dalla banca e da quest’ultima sottoposta alla sottoscrizione dell’investitore, è stato, quindi, provato che è intercorsa fra le parti. Essendo applicabile il co. 6 dell’art. 23 TUF a stregua del quale: “Nei. giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della  rova di avere agito con la diligenza richiesta” La banca convenuta avrebbe dovuto adempiere a detto onere.

Non avendovi adempiuto, ne consegue che può concludersi nel senso che la Banca convenuta non ha affatto ottemperato agli specifici e circostanziati obblighi che la disciplina di settore le imponeva nei riguardi del cliente investitore, lasciando costui nell’ignoranza circa i reali rischi che l’operazione comportava. (v. Tribunale di Taranto Sentenza n. 2273 del 27 ottobre 2004)

Si ritiene, pertanto, accertata la violazione dei doveri di informarsi e di

informare incombente sulla banca negoziatrice e, in particolare, l’omessa informazione sulle caratteristiche dei titoli venduti, sulla non destinazione primaria ai risparmiatori e sul gruppo cui appartengono le emittenti.

Le violazioni degli obblighi della banca imposti dalla normativa, peraltro; risultano essere ancora più gravi ed emergono proprio dalla documentazione prodotta dalla banca stessa.

Risulta pacifico fra le parti che M. P. ha sottoscritto l’unico ordine di acquisto dei titoli prodotto il 2.3.2000, sostiene la banca che il contratto denominato ” mandato VI” sottoscritto il 25.6.1998 costituisce il contratto-quadro in base al quale ha dato volontaria esecuzione agli ordini di acquisto.

Il “mandato VIP”, risulta pacifico, aveva come oggetto il conferimento alla banca dell’incarico relativo alla gestione di portafogli di investimento e secondo la prospettazione di parte attrice, su suggerimento del funzionario Piras, è stato estinto prima della sottoscrizione degli ordini di acquisto delle obbligazioni argentine.

Prospetta, al riguardo, parte attrice la tesi secondo cui nella fattispecie sussisterebbe la nullità della operazione finanziaria.

Nullità che secondo la prospettazione attorea si fonda sulla pretesa violazione dell’art. 23 del Decreto legislativo n. 58/98 che esige, a pena di nullità, il requisito della forma scritta per i contratti relativi alla prestazioni di servizi di investimento ed accessori.

Al contratto quadro, per il quale è imposta la forma scritta a Pena di nullità, viene invece lasciata la libertà di individuare le modalità con le quali il cliente impartisce ordini e disposizioni.

Il “mandato VIP” non è stato prodotto in giudizio dalla banca che sostiene avere lo stesso le caratteristiche del contratto quadro, pertanto, in mancanza di una prova contraria si deve ritenere, conformemente alla prospettazione di parte attrice, che tale documento fosse semplicemente un mandato specifico alla banca che esulava da quanto richiesto dalla normativa di settore.

La nullità del contratto per violazione dell’art. 23 del Decreto legislativo n.58/98 consegue alla circostanza evidenziata dalle esaminate risultanze documentali che il contratto quadro non è mai stato sottoscritto né prima né successivamente all’ordine di acquisto dei titoli e alla sua esecuzione da parte della banca, pertanto, nel caso in esame si può parlare di vizio genetico, relativo alla conclusione del contratto.

Resta, quindi, ultroneo esaminare ancora la denunciata violazione dell’art. 21 del TUF relativamente alla parte in cui impone che una organizzazione che “riduca al minimo il rischio di conflitti di interessi e che “in situazione di conflitto”, impone di “agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento” così come la domanda di annullamento dei contratti per errore o dolo.

Relativamente al danno si osserva che è pacifico essersi verificato il rischio che avrebbe dovuto costituire oggetto di apposita ed espressa informativa, ossia il default in relazione alle obbligazioni emesse, ossia essersi determinata l’assoluta incertezza in ordine al recupero del capitale investito, da parte del risparmiatore.

La convenuta non ha neppure contestato la sussistenza del danno, che risulta evidente in quanto le obbligazioni non sono più negoziabili sul mercato e non appaiano, allo stato, suscettibili di rimborso.

Ne consegue il diritto dell’investitore a recuperare il capitale investito nei confronti della banca che, col suo comportamento inadempiente, ha messo l’investitore inconsapevole nella situazione di accollarsi i rischi dell’investimento, per cui l’azione di recupero del capitale dovrà essere posta in capo all’inadempiente.

Deve essere, pertanto, accolta la domanda di parte attrice con conseguente condanna della banca convenuta al rimborso della somma di ¬ 204.000,00. Richiede parte attrice anche gli interessi e la rivalutazione monetaria, peraltro, non essendo stato dimostrato che investimenti finanziari alternativi avrebbero reso interessi superiori al tasso legale, si ritiene di attribuirli in tale misura, dalla data dei singoli investimenti, 06.03.2000  07.08.2000 13.12.2000, al saldo, considerato il mancato godimento della somma per tale periodo. Nessuna prova è stata, invece, fornita relativamente alle altre voci di danno richieste né elementi che possano consentirne una valutazione equitativa. Chiede, altresì, la banca la compensazione delle somme richieste in restituzione nella ipotesi di accertamento della nullità dei contratti di vendita, una compensazione parziale tra l’importo che deve essere restituito dalla Banca, ai sensi dell’art. 2033 c.c., e quello delle cedole delle obbligazioni oggetto di causa percepite dai P..

Avendo dichiarato la nullità dei contratti per violazione dell’art. 23 del Decreto legislativo n.58/98 e, quindi, avendo accertato un vizio genetico relativo alla conclusione del contratto, ne consegue che le cedole delle obbligazioni oggetto di causa che sono state percepite da M. P. in esecuzione ed applicazione dei contratti devono essere restituite da parte attrice alla Banca e, sussistendone i presupposti, i due crediti-debiti reciproci possono essere compensati.

Risulta pacifico e incontestato che M. P. ha percepito il 31.7.2000, il 5.2.2001 e il 30.2.2001 le cedole maturate dell’importo di ¬ 11.154,96, ¬ 2.295,58, ¬12.939,96; per un totale di ¬ 26.390,50 tali somme dovranno, quindi, essere restituite alla banca e dedotte dal credito di parte attrice nei confronti di controparte, che, pertanto, dovrà essere condannata alla restituzione della differenza fra le due somme, ossia di ¬ 177.690,50.

Di nessun rilievo, invece le ulteriori richieste relative alla quantificazione dell’ammontare del danno e alla sua limitazione in quanto nessun danno è stato riconosciuto.

Dalla soccombenza prevalente deriva che parte convenuta dovrà rispondere delle spese processuali sostenute da parte attrice.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza:

in accoglimento della domanda di M. P.,

– dichiara la nullità dei contratti per violazione dell’art 23 del Decreto legislativo n.58/’98 da parte della convenuta ;

– condanna Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. a corrispondere a controparte la differenza fra la somma oggetto degli investimenti e quanto corrisposto a controparte in relazione alle cedole maturate per tali titoli, ossia ¬ 177.690,50, oltre interessi legali dai singoli investimenti, 06.03.2000 – 07.082000 – 13.12.2001 al saldo;

respinge ogni altra domanda;

condanna la parte convenuta al pagamento delle spese processuali, che liquida in favore di parte attrice complessivamente in ¬ 5.300,00, di cui ¬ 2.142,00 per competenze ed ¬ 3.900,00 per onorari, oltre IVA,

CPA e 12,5% rimborso spese generali.